«Parliamo di quando sei stato rinchiuso in uno scantinato e ti hanno ordinato di dipingere».
«È una porcata metterla così. Non sono stato rinchiuso proprio da nessuna parte. Cristo Santo. Se fossi stato bianco, avrebbero parlato di Artista In Residenza invece di tirare fuori questa storia».
«Pensi che le tue origini etniche ti aiutino o ti ostacolino?».
«Non le sfrutto».
«Ti sembra che altri le stiano sfruttando?».
«È possibile. E con questo mi ficco un piede in bocca. Spegni la videocamera, amico».
JEAN-MICHEL BASQUIAT, intervistato da Marc Miller, Art/New York Video Series8-1
Giù nello scantinato dell'Annina Nosei Gallery, al 100 di Prince Street, Basquiat stava dipingendo una tempesta. La stanza era piena di una nebbia di fumo d'erba. C'era un mucchietto di cocaina su un tavolo, un paio di sedie funky e uno stereo portatile che emetteva un flusso costante di musica di Charlie Parker. «Jean-Michel», disse la voce tesa dal marcato accento italiano, «sto accompagnando qualcuno giù da te».
Basquiat continuò a dipingere mentre la Nosei, una donna dinamica e magra con una permanente stilizzata, fece irruzione nello studio con due collezionisti di mezz'età a rimorchio. «Che cos'è quest'immagine a cui sta lavorando?», chiese una delle donne. Basquiat si voltò di scatto e si diresse verso di lei con il pennello in mano, come se avesse intenzione di sbatterglielo addosso. Poi tornò indietro. La donna rise e si mise a sedere su una sedia, continuando con le sue domande idiote mentre Basquiat se ne tornava alla sua tela. Basquiat odiava che la Nosei lo interrompesse mentre lavorava8-2.
Don Rubell e sua moglie, Mera, ebbero una più cortese accoglienza quando Keith Haring li portò a trovare Basquiat nel suo scantinato. «Logicamente eravamo curiosi. Andammo di sotto», raccontarono i Rubell. «E c'era questa persona sorprendentemente bella con un libro di Cy Twombly in una mano mentre dipingeva con l'altra. All'inizio ci sembrò un po' diffidente, ma poi ci rendemmo conto che era veramente sensazionale. Ci lasciò completamente spiazzati, e comprammo all'istante due dei suoi quadri»8-3.
Il collezionista Doug Cramer ricorda di essere rimasto turbato dopo aver visto Basquiat nello scantinato. «Stava cancellando quello che aveva dipinto. Sembrava uno schiavo, o giù di lì»8-4. Era l'autunno del 1981 e la presenza di Basquiat nella fossa dell'Annina Nosei Gallery stava già diventando un caso. Solo un anno prima il giovane artista viveva a Washington Square Park e dipingeva graffiti per strada. Adesso le sue tele raggiungevano i cinquemila o diecimila dollari e venivano vendute non appena le dipingeva. «La situazione non venne gestita bene», raccontarono i Rubell, «e Basquiat ci mise poco a diventare una merce, della serie: "Vieni a vedere l'artista che dipinge". Riusciva a fare due o tre quadri al giorno. Era facile sfruttarlo»8-5.
«Aveva sempre bisogno di soldi», dice la Nosei, «e io vendevo i suoi quadri solo per procurarglieli. Ma poi si arrabbiava perché glieli avevo venduti»8-6. Diverse volte a settimana l'assistente della Nosei, Liz Gold, accompagnava Basquiat alla Citibank, tra LaGuardia Place e Blecker. «Era come un bambino che s'era perso. Annina gli faceva un assegno. Io gli davo 2.500 dollari in contanti il primo giorno, e poi altri cinquemila il giorno dopo. E lui se li teneva in tasca»8-7. La Gold disse pure che non finivano tutti in droghe. Jean-Michel amava la bella vita. Comprava vestiti da Armani. Aveva una limousine che lo andava a prendere in galleria, dopo il lavoro, soprattutto se doveva uscire con qualche ragazza.
Al contrario di Basquiat, la Nosei era nota per il suo singolare rapporto con i soldi. Diversi ex-assistenti della galleria ricordano le sue idiosincratiche tattiche di risparmio: la carta straccia veniva usata per prendere appunti. I bordi seghettati strappati dai fogli di francobolli venivano usati come nastro adesivo. Se le veniva lasciato del cibo accanto lo divorava immediatamente o se lo portava a casa per offrirlo agli ospiti. Una volta si mise a urlare contro Basquiat perché s'era segnato un numero di telefono sulla carta intestata della galleria: «È carta che costa cinque centesimi a foglio!»8-8.
Eppure artista e gallerista avevano qualcosa in comune. Avevano entrambi un'indole volubile, e potevano essere gentili un minuto per poi diventare ostili il minuto dopo. Davano frequente dimostrazione di comportamenti paranoici. E condividevano una vorace passione per l'arte, così come per i soldi.
Ma il loro rapporto con i soldi era del tutto antitetico. La Nosei metteva in conto ogni penna o pennello. Raccontò la Gold:
Teneva veramente un conto delle spese che detraeva dalle vendite, e ogni tanto veniva Jean-Michel e diceva: «Ehi, ho venduto cinque quadri, dove sono i miei cinquemila dollari?», e a quel punto lei tirava fuori i suoi quaderni e diceva: «Ti ho comprato due telai e tre latte di colore». Povero ragazzo. Non capiva cosa stava succedendo. Lei si sedeva e gli diceva: «Ascoltami, mi farebbe piacere mandare uno dei miei assistenti a comprare i materiali che ti servono da Pearl Paint…», e così lui non ci andava mai e tutto quello che vedeva erano questi quadri entrare e uscire. Jean-Michel non aveva idea di quello che gli stava succedendo, e tutto stava succedendo troppo in fretta8-9.
La Gold si ritrovava spesso a dover fare da cuscinetto tra la Nosei e Basquiat. Doveva anche aiutare la Nosei a tenere buoni gli altri artisti che mal sopportavano l'immediata celebrità di Basquiat. Ogni tanto venivano degli amici di Basquiat a trovarlo, ma per la maggior parte del tempo c'era un flusso costante di collezionisti. Raccontò sempre la Gold:
Il meglio del collezionismo, escluso Saatchi, venne qui. Quello che mi dava fastidio era questa sorta di visita guidata: «Guardate un po' che abbiamo quaggiù». Ogni volta che veniva un qualche importante collezionista finiva sempre con un «andiamo giù nello scantinato». Credo che danneggiasse il suo lavoro e non gli facesse bene alla psiche avere tutti questi collezionisti idioti che venivano giù. Ed era una cosa che succedeva sempre. Dopo che se ne andavano diventava violento8-10.
Eppure la Gold ricorda i tre anni e mezzo passati con la Nosei come «un periodo meraviglioso. A volte mi verrebbe voglia di scriverle una lettera per dirle: "Grazie per avermi lasciato entrare nella Storia insieme a lei"»8-11.
La Nosei ricorda l'artista con un misto di personale nostalgia, disappunto materno e una punta di critica. «Era veloce, velocissimo», dice la Nosei. «Posso dire che sono poche le persone che non mi annoiano, e Basquiat era uno di loro. Aveva letto molto ed era in grado di fare delle rapide e originali associazioni. Non so se mi segui, ma è come se avesse una mente che ti spiazzava continuamente. Ed era così poetico»8-12.
La mostra Public Address alla Nosei Gallery dell'ottobre del 1981 fu una collettiva in cui vennero esposti anche lavori di Barbara Kruger, Jenny Holzer e Keith Haring. Tutto il retro della galleria era occupato da sei quadri di Basquiat, ritratti stilizzati di soggetti come un indiano, un rabbino e un poliziotto. In quella fase Basquiat poteva essere facilmente etichettato come artista folk urbano.
Il rabbino, dipinto in nero su di un insolito sfondo rosa, somigliava vagamente a Chagall. In un box in basso alla tela c'erano le parole «Gold, tin, tar and asses»8-13. L'indiano aveva un filo, tipo filo spinato, tutt'intorno al corpo, e sullo sfondo in lontananza c'erano due tepee, motivo ricorrente a quel tempo. L'efficace titolo era Irony of Negro Policeman. In un altro quadro c'era un custode color lavanda con una corona infilata sopra il cappello che brandiva una scopa come fosse uno scettro, e accanto a lui un cestino della spazzatura, con sopra scritto «ashes» (gioco di parole con ash can)8-14, anch'esso con una corona sopra. Avere elevato un uomo qualunque alla regalità era tipico di Basquiat. C'era anche un teschio terrificante, spaventoso e tutto rattoppato, una specie di Frankenstein stile Picasso8-15.
Era la prima volta che il lavoro di Basquiat appariva sulle pareti di una galleria di SoHo, e per gli amici della strada e dei club fu una cosa indimenticabile. Racconta Vincent Gallo:
Mi ricordo che andai alla sua prima mostra, e c'erano Annina e sua figlia Paulina che servivano vino. E pensai: «Mio Dio!». Ero scioccato all'idea che uno dei miei amici in così poco tempo ce l'avesse fatta a entrare in quel giro. Jean aveva messo una cassetta di Spoonie Gee nel registratore, come fosse un party. Era la prima volta che vedevo dei lavori suoi così grandi, e veri. Per me era impensabile il solo trovare soldi per comprare il materiale che serviva per lavori simili. Per la metà eravamo amici di Jean dei vecchi tempi, i suoi veri amici, gli hippy, e l'altra metà era gente che non avevo mai visto prima. Era un sabato di nebbia e pioggia e a quel tempo SoHo era diversa. Era come morta, al di là di questa mostra. Francesco Clemente aveva fatto una mostra, e anche Julian Schnabel. Ma la mostra di Jean era lì che veniva fuori insieme a tutto un nuovo movimento artistico. E c'eravamo noi, quelli del Mudd Club e di posti simili, che ci ritrovavamo di colpo a SoHo in un'elegante galleria insieme alla gente del mondo dell'arte che fino a quel momento non aveva avuto alcun tipo di legame con noi. E mi ricordo che la figlia di Annina venne fuori con il vassoio pieno di bicchieri di vino, con il suo bel vestito. È una cosa ridicola da ricordare, ma fu la cosa più sorprendente dell'inaugurazione. Era lì che ti rendevi conto che stavano servendo Jean. Che a baciargli il culo era quella stessa gente che in altre circostanze lo avrebbe disprezzato al cento percento. Mi resi conto per la prima volta che solo un artista poteva passare da una classe sociale all'altra come fosse al di fuori di tutto e di tutti. Non c'era più alcun dubbio che Jean sarebbe diventato famoso. Pensavo anch'io che fosse il più grande dei pittori e dei poeti, ma non riuscivo a credere che qualcuno di noi potesse diventare così commerciale uscendo fuori da questa specie di setta che avevamo creato. Basquiat è sempre stato uno che ci sapeva fare. Adesso recitava il ruolo del timido, di quello che stava a disagio, ma aveva sempre il controllo della situazione8-16.
Basquiat, dice Gallo, sembrava «molto fico. S'era messo un completo Armani con i pantaloni macchiati di colore e fumava un sacco d'erba»8-17. (Come la parrucca di Warhol, gli abiti griffati e macchiati di colore di Basquiat sarebbero diventati, almeno per un po', un segno di riconoscimento immediato).
Il giorno dopo Jean-Michel, che era stato sveglio tutta la notte a festeggiare, andò in limousine a Brooklyn con due amici, il musicista Arto Lindsay e Jeff Bretschneider. «Erano circa le sei e mezza del mattino e io mi stavo vestendo», racconta Gerard Basquiat. «Jean-Michel portava un gessato, entrò in cucina e disse: "Papà, ce l'ho fatta". E diede a Jennifer, la più piccola delle sue sorelle, una manciata di soldi»8-18. Ricorda Bretschneider:
Entrò in casa e diede dei soldi al padre, ed era tutto preso da sua sorella. Ci andò per parcheggiare lì davanti la limousine, farsi vedere con quei vestiti e fare vedere al padre che era riuscito a guadagnare un bel po' di soldi. Ma so benissimo che quando andò via si sentì completamente vuoto. Come se non avesse trovato quello per cui era andato8-19.
Era la prima volta che Basquiat rivedeva il padre da quando, anni prima, era andato via di casa.
Anche se il periodo di tempo che passò alla galleria della Nosei venne presto chiamato il «periodo di prigionia», lo scantinato era in effetti un grande spazio in cui molti artisti sarebbero stati ben lieti di lavorare. Aveva un lucernario e due finestre che s'affacciavano su un muro di mattoni. C'erano delle rastrelliere per immagazzinare i lavori di Basquiat. E la Nosei gli aveva messo a disposizione un assistente per stendere le tele e fare le commissioni. Basquiat raccontò la situazione nell'intervista rilasciata ad Anthony Haden-Guest:
Mi offrì uno studio. Era la prima volta che avevo un posto dove lavorare. È ovvio che accettai. Mi accorsi solo dopo degli svantaggi… Era proprio nella galleria, neanche a dirlo. E lei continuava a portare i collezionisti lì sotto, non avevo molta privacy. Ma non m'importava. Ero giovane. Era un posto dove lavorare, ed era la prima volta che ne avevo uno mio8-20.
Basquiat di solito non si faceva vedere se non di tanto in tanto la sera. Si fermava da Dean & DeLuca per mangiare. Non aveva le chiavi dello scantinato, e così erano Liz Gold o il suo assistente ad aprirgli. Accendeva il suo stereo portatile (per un po' dipinse con il Bolero di Ravel: lo ascoltava così ossessivamente che al piano di sopra la Nosei doveva battere i piedi sul pavimento per farlo smettere) e cominciava a lavorare più tele contemporaneamente, camminando sopra la pittura e lasciandovi le sue impronte stampate sopra. Gene Sizemore, che lavorò come assistente di Basquiat per metà di quell'anno, racconta:
Si spostava da una tela all'altra come un ballerino. Era terribilmente aggraziato, agile e atletico. Era velocissimo nel lavorare. Ogni tanto faceva qualche passo indietro per vedere quello che aveva dipinto, ma senza mai perdere il ritmo, proprio come Ali nei suoi giorni di gloria che arretrava tenendo la guardia bassa e senza mai perdere il controllo8-21.
Sizemore lavorava per la Nosei la mattina e per Basquiat il pomeriggio. «Jean godeva moltissimo nel pagarmi più di quanto venissi pagato da Annina». A detta di Sizemore la sistemazione dello studio nello scantinato della Nosei era grottesca:
Era come se stesse lì con la palla al piede e le catene per produrre tutta quella roba. Annina vendeva le cose prima che fossero finite. E andava nel magazzino nello scantinato mentre Basquiat non c'era per tirare fuori lavori da proporre ai collezionisti. Così Jean-Michel e io stabilimmo la regola per cui i lavori non potevano essere venduti finché non erano firmati. A un certo punto fui messo in mezzo. Avrei dovuto far firmare tre quadri a Jean-Michel. Lui arrivò come una furia, facendo mille cose contemporaneamente, e non firmò un bel niente. E così fui costretto a firmare io i quadri prima che venissero mandati ai collezionisti8-22.
Un'altra volta Sizemore dipinse le parti vuote di una tela che era stata spostata da un telaio all'altro. Nessuno sembrò accorgersene. A proposito degli accordi con la Nosei, Sizemore racconta:
Avevano trasformato la galleria in uno spaccio di soldi. Jean-Michel si vestiva come un vecchio con uno squallido pigiama e le pantofole, aveva i suoi dreadlocks, e c'erano diverse migliaia di dollari che gli uscivano fuori dalle tasche. Nel pomeriggio se ne andava giù a Canal Street a comprare cassette per duecento dollari. Era sempre eccessivo. Non sapeva mai cosa avrebbe fatto. A volte voleva solo uscire per andare a comprare materiali. A volte lavorava per mezz'ora e poi se ne andava. Sembrava non sapere niente di arte. Una volta dissi che nel suo lavoro c'erano degli elementi di Twombly, e il giorno dopo aveva comprato un bel libro costoso in edizione di lusso su Twombly per studiarlo. Non era raro vedere Jean-Michel uscire dall'ufficio di Annina incazzato o confuso, ma con le tasche piene di soldi8-23.
Dopo che Basquiat veniva pagato, i due andavano a comprare materiali da Pearl Paint: colori acrilici Liquitex e scatole di pastelli a olio. A Basquiat piaceva anche usare fotocopie a colori da incollare sulle tele. Quando erano del tutto incollate Basquiat diceva di poter risolvere il problema mettendo la colla dentro una siringa ipodermica e iniettandola sotto la superficie del foglio, una tecnica che in realtà non adoperò mai. Una volta chiese a Sizemore di trovare una vernice color oro che fosse il più dorato possibile: la vernice a base d'olio che Sizemore comprò in un negozio di ferramenta diventò poi il suo colore preferito.
C'erano degli habitué che passavano regolarmente dalla galleria per andare a trovare Basquiat. Larry Gagosian, che diversi anni prima era stato socio della Nosei, era tra i visitatori più assidui. L'anno successivo avrebbe allestito la prima mostra di Basquiat a Los Angeles. Henry Geldzahler era un altro di quelli che si facevano vedere spesso. Tony Shafrazi diventò amico di Basquiat in quel periodo. Poi c'erano i suoi soliti amici: Glenn O'Brien, Edit DeAk e Maripol. Il poeta e critico d'arte di Downtown René Ricard prese l'abitudine di gironzolare per lo studio supplicando Jean-Michel di dargli un qualche suo lavoro. «Per favore», lo pregava, «questo qui lo adoro. Dammelo. Me lo merito». Ricard apprezzava veramente il lavoro di Basquiat, e la sua persona. Adorava andarsene in giro a parlare delle dimensioni dell'uccello dell'artista.
E fu proprio René Ricard a firmare l'ingresso ufficiale della star nel mondo dell'arte. Nel suo lungo ed elegiaco articolo, The Radiant Child, pubblicato sul numero di dicembre di «Artforum» del 1981, Ricard scrisse:
Ha la piena consapevolezza di cosa sta comunicando nel suo utilizzare tutto ciò che è in grado di rendere la sua visione […]. Se Cy Twombly e Jean Dubuffet avessero avuto un figlio e l'avessero dato in adozione, sarebbe stato Jean-Michel. Qui c'è l'eleganza di Twombly […] e la brutalità del giovane Dubuffet8-24.
A volte degli amici con meno scrupoli raccoglievano i disegni (il graffitista Rammellzee li chiamava scribble-scrabble8-25) da terra per poi venderli alla Nosei. A detta di Sizemore la Nosei era talmente paranoica da vietare l'accesso nello scantinato agli amici graffitisti di Basquiat8-26. Altri amici, a cui Basquiat fintanto che era povero e sconosciuto aveva generosamente dato disegni, porte dipinte, finestre, televisori e camici, adesso apparivano regolarmente per vendere la loro merce alla galleria. Cosa che Basquiat non perdonò mai. Dice la Nosei:
Era totalmente tormentato, e soffriva moltissimo, soprattutto per via della stupidità della gente che aveva intorno, e per la solitudine che ne derivava. Aveva bisogno di loro perché era disperato, e così finiva per attaccarsi a gente che alla fine disprezzava8-27.
Gli altri amici, i più vecchi, erano stati scaricati. Racconta Al Diaz:
Divenne proprio ciò che disprezzava. Immagino che fu più lui che noi a decidere quando entrò in questo teatrino dell'arte. Ognuno se ne andò per la propria strada. Io ero ancora un ragazzino ribelle. Lui stava per conquistare il successo. Stava appena cominciando la scalata8-28.
Una volta passò di lì Mick Jagger. Basquiat era elettrizzato. «Ehi, vuoi della coca?», chiese a Jagger, a detta dell'assistente della galleria Joe LaPlaca. «No, faccio jogging», rispose Jagger8-29. Arden Scott andò a trovare Basquiat nel suo scantinato e rimase turbata da quanto vide. «C'era cocaina dappertutto. Era talmente orribile che mi venne la pelle d'oca. Gli dissi: "Puoi decidere se fare di te un grande artista o una grande tragedia". Lui sorrise e mi rispose: "Perché non entrambi?"»8-30. Racconta Cortez:
Era veramente un pessimo esempio tenere un artista nello scantinato a lavorare. Era come dire: «Ho questo lavoratore nero nello scantinato. Guarda questo soggetto da circo dall'aria zombie che dipinge». Annina portava giù tutti questi bianchi di periferia che andavano in galleria. Ed era imbarazzante per gli amici più cari di Jean-Michel vedergli spendere tutto in droghe e limousine. Fu un triste inizio8-31.
Cortez avrebbe voluto che Basquiat finisse in una galleria tipo Sperone Westwater, o Leo Castelli. «Annina non era quello che gli auguravo. Ma lei lo costrinse ad andare nella sua galleria mentre io ero via, e gli diede dei soldi»8-32. Adesso voleva che Cortez portasse tutti i lavori di Basquiat i n galleria. Stufo, Cortez decise di affrontare artista e gallerista di persona:
Credo che Jean-Michel si sentisse in colpa. Ero nell'ufficio di Annina e lei lo mandò a chiamare giù nello scantinato. Quando arrivò aveva lo sguardo di un bambino di quattro anni. Una cosa umiliante. Lei disse: «Diego si rifiuta di restituirti i lavori». Io uscii dalla stanza dicendo: «Fammi causa». Mi fece mandare una lettera dal suo avvocato. E io vendetti tutti i lavori a Bruno Bischofberger. Mi sentii ferito e tradito. Mai nessun artista mi aveva fatto stare così. Seduceva tutti con la sua persona e la sua intelligenza, e poi li faceva a pezzi8-33.
Il modo in cui Basquiat si comportò con Cortez fu uno dei primi esempi della sua rinomata volubilità. Passava sempre dalla parte dei suoi nuovi benefattori, sedotto da chiunque gli facesse l'offerta che a breve termine sembrava più vantaggiosa. Raccontò poi O'Brien al regista Geoff Dunlop:
Credo che volesse essere sfruttato. Voleva qualcuno che prendesse i suoi lavori, li vendesse e ci cavasse fuori più soldi che poteva. Era giovane, ed era nero, era prevedibile che venisse trattato come un bambino che s'è perso nel bosco8-34. Ma Jean-Michel non era uno stupido. Capiva cosa stava succedendo. Si lamentava di tutti i galleristi che aveva, ma credo che in alcuni casi esagerasse. Se uno dà retta alle cose che sente l'idea che si fa è che Annina lo tenesse incatenato nello scantinato, scendesse giù per dargli cibo e droghe, e non lo lasciasse uscire. E non credo sia andata così. Per lui quello fu un bel periodo8-35.
Girava voce che la Nosei tenesse Basquiat sotto costante effetto di cocaina per farlo produrre in serie. Anche i suoi amici la pensavano così. La Nosei era certamente a conoscenza della presenza di droghe nello scantinato, ma è assai poco credibile che lo incoraggiasse a fare uso di cocaina. Anzi, era una iper-salutista:
Ne discussi con lui perché ero convinta che prendesse eroina, e gli dissi: «Se hai intenzione di continuare, quantomeno prendi succo d'arancia e vitamina B». Era arrabbiato perché avevo tirato fuori questa storia dell'eroina, e mi disse: «Non provare a dirlo a nessuno. Mio padre lo verrebbe a sapere»8-36.
Jean-Michel comprava quasi tutta la cocaina da Jeffrey Bretschneider, che abitava tra la Ventitreesima Strada e la Settima Avenue. «Tra il Chelsea Hotel e lo Squat Theater», erano le indicazioni che dava alla gente che doveva andare da lui per la prima volta. L'appartamento di Bretschneider era una sorta di covo di droga e di sala multietnica anni Ottanta. Dopo che il Club 57, il Mudd Club e gli ultimi club aperti fino all'alba avevano chiuso, un gruppetto di nottambuli si ritrovava a casa di Bretschneider e se ne stava lì fintanto che non arrivava l'ora di ricominciare il giro dei club. John Sex, John Lurie, Deborah Harry, Chris Stein, Henry Geldzahler, Billy Idol, Michael Stewart, Cookie Mueller, Klaus Nomi, Rammellzee, Fab 5 Freddy… l'elenco sembrava una specie di annuario sociale di Downtown. «Nessuno di loro lavorava», raccontò Bretschneider, anche lui ragazzetto di periferia. «Sembravano tutti avere degli introiti clandestini»8-37.
Basquiat lasciò alcuni quadri e disegni nell'appartamento di Bretschneider, e gli chiese di provare a venderli a David Bowie. Spuntava lì ogni giorno con un amico, il musicista Arto Lindsay, per passare delle ore a sniffare coca. Raccontò Bretschneider:
Ogni volta che mi arrivava una partita di coca, li invitavo da me a provarla. Davo loro una dose a testa. Ce ne stavamo tutto il giorno lì seduti ad ascoltare musica nuova, e poi ce ne andavamo in giro per club. Non parlavamo mai di arte8-38.
(Lindsay sostiene divertito che Bretschneider esageri un po' nel raccontare quello che facevano)8-39. Una volta Basquiat andò da Bretschneider e si portò dietro la Nosei. «Trovai che fosse strano e poco ortodosso portarsi dietro una donna di quell'età», raccontò ancora Bretschneider, «ma lei entrò e rimase affascinata dall'ambiente. Disse che le ricordava gli anni Sessanta»8-40.
Nell'inverno del 1981 Basquiat si mise a lavorare a tempo pieno per la mostra prevista per l'estate successiva. Iniziò Arroz con Pollo8-41 a casa di Nick Taylor. Ma per alcuni giorni smise di dipingere, e la Nosei gli diede dei soldi perché se ne andasse qualche giorno in vacanza. Scarabocchiò la parola «Culebra»8-42 sul muro e il giorno dopo andò a Puerto Rico a trovare la sua amica Leisa Stroud, ex-fidanzata di John Lurie. Raccontò la Stroud:
Nemmeno sapevo che sarebbe arrivato. Non avevo il telefono, e così non c'era modo di contattarmi. Era un posto lontanissimo, l'unico modo per raggiungerlo era un traghetto che faceva una sola corsa al giorno. Jean-Michel arrivò con una ragazza che si chiamava Valda. Era innamorato pazzo di lei, ma dopo una settimana lei andò via perché continuavano a litigare. Il giorno dopo arrivò René Ricard. Jean-Michel aveva dei cartoni pieni di latte di colori acrilici, e mentre li stavano scaricando dall'aereo venne giù un cartone e il colore finì tutto sull'uscita di emergenza. Rimase lì per un sacco di tempo8-43.
Basquiat aveva notato Valda Grinfelds molto prima che si conoscessero. Ricorda lei:
Mi disse che gli ero sempre piaciuta per come mi vestivo ai party del Mudd Club e sotto effetto di quaalude. All'inizio si presentò come «Willie». Non seppi il suo vero nome finché un giorno non venne da Danceteria e m'invitò alla sua prima personale alla galleria di Annina. La scintilla scoccò una notte al Bowlmor, a University Place. La prima notte che tornò a casa con me gli uscì sangue dal naso. Una specie di infausto presagio8-44.
Ma per Basquiat quelli furono giorni felici:
In seguito mi disse che dopo aver preso un taxi da casa mia passò da Park Avenue. Il sole stava sorgendo, e il Pan Am Building era ancora illuminato. Disse solo: «Mi sentivo come un re». Non molto tempo dopo andammo a Culebra8-45.
(Un autoritratto dell'epoca, che è una semplice figura incoronata, si chiama The King). La Grinfelds rimase colpita dall'ambizione di Basquiat:
Mi ricordo che incontrammo Annina in un ristorante su Houston Street in cui c'erano un paio di disegni di Warhol alle pareti. E Jean disse: «Sai, voglio riuscire a vendergli uno dei miei disegni». E alla fine ci riuscì. Jean sapeva sempre quello che voleva. Donna o fama che fosse8-46.
Basquiat si portò a Puerto Rico alcune tele arrotolate. Dice la Grinfelds:
All'inizio in Arroz con Pollo c'erano delle altre immagini. Quando arrivammo nella stanza d'albergo a San Juan, prima di partire per l'isola, c'erano tre immagini di uomini, tipo santi, sullo sfondo. Alte, regali, a modo loro spirituali. Il colore del quadro era rosa salmone. Ma a Culebra ci dipinse sopra. Se provi a scrostare il giallo e l'arancione viene fuori il colore iniziale. Nell'immagine ci siamo noi a cena con René a casa sua. Lui voleva lasciare le tele fuori nella veranda sotto la pioggia, e io le dovetti trascinare dentro8-47.
Sporcò poi di colore anche tutta quanta la veranda, e, dice Ricard, «lasciava sempre un gran casino, come una rock-star»8-48. Ricard passò un sacco di tempo a quattro zampe a strofinare il pavimento dopo che era passato Basquiat. «Ero diventato una piccola casalinga. E sarei finito in un pentolone». A detta di Ricard, il quadro, che lo raffigura come un perfido missionario che sta per essere bollito dentro un pentolone da alcuni nativi americani, trasse ispirazione da una cena a base di pollo che René stava preparando. «Mi fece quest'orrenda caricatura in cui sono un missionario bianco con accanto una donna nera terrificante e demoniaca», dice Ricard. «Lo disegnò con i pastelli a olio e poi lo dipinse con colori acrilici. Il quadro subì una serie di modifiche»8-49.
René Ricard aveva esordito come poeta. Come molti artisti degli anni Ottanta, la sua prima collaborazione era stata con Warhol, e, cosa alquanto strana tenuto conto del destino di Basquiat, con Edie Sedgwick. Ricard compare nell'algido film di Warhol Kitchen, con Edie protagonista che alla fine viene inspiegabilmente uccisa. Compare anche a fianco della moribonda Edie in The Andy Warhol Story di Warhol, interpretando Andy, ovvero ricoprendo Warhol di insulti mentre la telecamera si muove, più per indolenza di Warhol che per altro8-50. A un certo punto Ricard si fece scomunicare dalla Factory prendendo uno dei film di Warhol troppo alla lettera: fece un pompino al ragazzo che Warhol aveva scelto come star di Blow Job. È anche nel film di Eric Mitchell del 1980, Underground U.S.A., insieme a Patti Astor, Cookie Mueller e Taylor Mead8-51.
A fine anni Settanta Ricard divenne un critico d'arte, esplorando club e studi di artisti insieme alla sua amica Edit DeAk, con la quale conviveva. Oltre a curare mostre all'Artists Space, la DeAk fu, dal 1973 al 1978 e insieme a Walter Robinson, la co-direttrice della rivista d'arte «Art-Rite». Aveva occhio per la nuova arte, e fu una delle prime persone a lodare Basquiat. Ricard, un soggetto pericoloso con l'aria stravissuta da monaco dissoluto, s'era ricoperto del manto di Critico d'Arte degli anni Ottanta. «A fine anni Settanta il mondo dell'arte era moribondo e io sto cominciando a rivitalizzarlo», scrisse su «Vogue». «Non solo sto collaborando alla nascita sociale degli anni Ottanta, ma sono anche in grado di dar loro una letteratura e uno stile»8-52. O, per come la mise Warhol nei suoi Diari, René Ricard è «il George Sanders del Lower East Side, il Rex Reed del mondo dell'arte»8-53. Il critico-poeta della notte creò un modello: il primo ad essere consacrato fu Julian Schnabel. Qualche tempo dopo Ricard, che era stato prelevato da un ragazzo in uno dei club che stavano aperti fino all'alba, si svegliò nel loft di Maripol e vide un grande quadro di Jean-Michel. «Chiamai il direttore di "Artforum", Ingrid Sischy, e le dissi che avevo il mio nuovo artista. Mi chiese: "Come si chiama?". E io: "Non lo so"»8-54.
Ricard non ci mise molto a scoprire che il creatore dell'opera che aveva ammirato era l'artista del graffito firmato SAMO che aveva visto al Mudd Club in una mostra curata da Keith Haring. «Era uno dei ragazzi più chic della città. Lo conoscevano in tutti i club»8-55.
Tornato dalla DeAk scoprì che aveva un Basquiat al muro di cui fino a quel momento non s'era accorto. Ricard non perse tempo a presentarsi all'artista, che lo invitò a vedere i lavori che aveva nell'appartamento tra la Prima Strada e la Prima Avenue:
Era completamente squattrinato, ma andò da Balducci's, comprò una dozzina di ravioli e fece della salsa di pomodoro fresca, che cosparse di parmigiano grattuggiato sul momento. Fu il più gentile dei gesti. Rimasi sinceramente colpito. Gli dissi: «Ti farò diventare il più celebre pittore d'America». Lui mi chiese: «Mi farai sfidare Schnabel?». E io: «Posso già fissare la data dell'incontro»8-56.
«Jean era magico», dice Ricard. «Non è normale arrivare a tanto in così poco tempo. Fu una specie di congiuntura storica. Il 1981 fu l'hora mirabilis: ci furono Schnabel, Jean-Michel, Keith e John Ahearn»8-57.
A Culebra Basquiat dipinse e disegnò ininterrottamente. Alcuni quadri raffiguravano pescatori con la loro preda, inclusa una grande tela dal titolo Culebra. Esplorò l'isola con la Grinfelds e la Stroud. Ma gli dava fastidio tutto: l'acqua, il buio, anche le mucche. «Non sapeva nuotare», dice la Stroud. «Lo portai a fare immersioni in un'isoletta fuori Culebra. Gli diedi pinne e boccaglio. Era proprio come un bambino di tre anni, talmente eccitato da pesci così incredibili»8-58. «Non amava la natura», taglia corto la Grinfelds, «ed era ipersensibile. Bastava ad esempio che parlassi di olocausto nucleare perché si terrorizzasse e diventasse bianco. Era angosciatissimo. Non ho mai visto nessuno in vita mia reagire a questo modo»8-59.
Quando qualche giorno dopo il cane della Stroud venne investito da una macchina, Basquiat si sdraiò per terra stravolto dalla tristezza. «Era come se fosse morta nostra madre o non so che cosa»8-60, dice la Stroud. Forse l'evento gli fece ricordare il traumatico incidente d'auto avuto da bambino. Un veterinario salvò l'animale da una frattura multipla. Quella notte Basquiat fece un sacco di disegni. Disegnò la Stroud e il cane sulla spiaggia, entrambi scheletri. Disegnò angeli con la S di Superman che Ricard, infatuato dell'artista, interpretò come autoritratti. «Disegnava uomini con pesci, uomini con le ossa in vista. Ma entrava in acqua solo fino alla vita dopo la sua unica esperienza di immersione. Era proprio come un bambino», dice la Stroud. «Ho delle sue foto in cui salta e ride»8-61. I quadri di quel periodo sono semplici, dai colori brillanti e tropicali. Dice Ricard, che non faceva mistero di quanto lo desiderasse:
Jean se ne stava solo nella casa di Puerto Rico a disegnare. Fu in quei giorni che mi raccontò di questo dj portoricano con cui aveva avuto una storia e mi disse che aveva scopato con uomini più grandi di lui. Si mise il cazzo intorno al collo tipo stola. Era enorme, davvero imponente, non circonciso8-62.
Ricard, che si autodefiniva «il prete più spogliato del mondo dell'arte», dice che fu Basquiat a chiedere a Valda di andare via perché:
[…] voleva restare da solo con me. Voleva essere nelle condizioni di farmi vedere il suo pene. Lo usò come esca. Aveva costante bisogno di qualcuno con cui fare sesso. La sua vita era sesso. Era dappertutto. Era una puttana. Aveva fatto marchette su Condado Street quando viveva a Puerto Rico. Usava il sesso come arma, e a quel punto tirava fuori il cuore. Era impossibile per una donna stare veramente con lui. L'amore della sua vita fu Andy8-63.
Basquiat respinse le avance di Ricard. Disegnò invece degli osceni ritratti di se stesso e della Stroud scrivendoci sopra delle parolacce in spagnolo. «Pensai bene di nasconderli al mio ragazzo», dice la Stroud. «Flirtavamo tutto il tempo, ma non ci fu mai niente di serio»8-64.
Nel periodo che rimase lì, Basquiat si abituò alla flora e alla fauna dell'isola, e in seguitò tornò spesso a trovare la Stroud. Diceva di volere mettere casa a Culebra. Racconta la Stroud:
Si lamentava di quanto fosse triste New York. Del fatto che non avesse amici, e che tutti lo usassero. Era gente che andava a frugare nella sua spazzatura per trovare i lavori che buttava. Tutti quelli a cui aveva regalato un disegno se l'erano venduto. E tutti andavano da lui a chiedere soldi e droghe8-65.
C'erano altre frustrazioni ricorrenti. «Jean-Michel continuava a ripetermi di essere l'unico artista nero che era riuscito ad affermarsi», dice la Grinfelds, «e che era incazzato perché Leo Castelli si rifiutava di prenderlo, e la gente lo insultava perché era un nero, un outsider»8-66. Quella con Valda Grinfelds fu una storia di odio e amore, proprio come la maggior parte delle sue relazioni. «A Culebra non fece altro che chiedermi di sposarlo», dice Valda. «Ma io rifiutai. Una relazione con Jean era di quelle che richiedono alta manutenzione. Era come essere risucchiati da un vortice. E non c'era modo di preservare intatta la propria identità»8-67.
La loro storia sarebbe continuata, fra lascia e prendi, anche dopo che la Grinfelds si sposò con un altro per ottenere la green card. A un certo punto lei iniziò pure a lavorare per Basquiat, costruendogli telai. «Quando gli dissi che mi stavo per sposare, mi chiamò immediatamente invitandomi ad andare con lui a Saint Moritz», dice. Dopo avergli visto iniettare una dose «massiccia» di eroina, lei cercò di convincerlo ad andare in clinica di riabilitazione. Anche Valda si drogava, e così diventò una delle poche donne con cui Basquiat parlava dell'eroina. «Jean non era uno squallido tossico. Non fu mai dipendente nel senso proprio del termine. La definizione, del resto, non è uguale per tutti». Solo pochi mesi prima che Basquiat morisse, i due ebbero una lunga discussione su un bambino, Noah, che lui sosteneva di avere concepito durante un viaggio a New Orleans8-68. Dice la Grinfelds:
C'erano delle cose che erano semplicemente inspiegabili. Erano i misteri di Jean-Michel. Glieli leggevi negli occhi. E il suo modo di guardare spaventava. O se non ti spaventavi, venivi in qualche modo trascinato dentro la sua vita. Lui lo sapeva, e ne approfittava. Alcuni non lo sopportavano. Era un pittore geniale, un'anima in pena, un ragazzino ferito, un vecchio arrogante, e tutto quello che c'è in mezzo. Era, in breve, una persona rara. Basta guardare la sua arte per accorgersene8-69.
Quando, mesi dopo, Bretschneider e Maripol arrivarono a Culebra per farle visita, c'erano ancora tracce di Basquiat. «C'era ancora del colore sul pavimento di casa di Leisa»8-70, dice Bretschneider. Basquiat lasciò alla Stroud una pila di dipinti e disegni. Portò alla Nosei, a New York, Arroz con Pollo. Il quadro finito, acrilico e pastello a olio, è un'abbozzata scena domestica: una lei demoniaca che brandisce una forchetta aspettando la cena a tavola, un pollo arrosto servito da una figura scheletrica con un'aureola di filo spinato. Il quadro venne esposto nella personale di Basquiat alla Annina Nosei Gallery nel marzo del 1982.