A giugno, qualche mese dopo la sua gloriosa personale, Jean-Michel lasciò New York per incontrare Annina Nosei a Modena per una seconda mostra programmata alla galleria di Mazzoli. Irrazionalmente i galleristi si aspettavano che, a una settimana dalla mostra, Basquiat dipingesse abbastanza da riempire la galleria. Ma questa volta Basquiat si ribellò alla Nosei, che racconta:
Perse deliberatamente l'aereo per fare la pace con una delle sue fidanzate. Qualche giorno dopo mi chiamò dicendomi: «Sono qui, e non so che fare. Raggiungimi». E così andai da lui, e trovai la sua stanza d'albergo sottosopra. Jean-Michel s'era portato dietro solo una sacca da tennis, e la roba del servizio in camera, le sue scarpe, era tutto per terra. Era il bordello più totale! Mazzoli non aveva mai visto una cosa simile. «Come fa a dipingere?», mi chiese10-1.
Ma non c'era dubbio che Jean-Michel fosse riuscito a dipingere. Le tele erano pronte che aspettavano. La Nosei continua così:
Andammo allo studio che Mazzoli aveva messo a disposizione dell'artista. L'idea era che Jean-Michel avrebbe dipinto molti dei suoi quadri lì e sarebbe rimasto a Modena per la mostra, e noi ne avremmo fatto un libro. Ma Jean-Michel non volle farlo. Aveva sonno. Mazzoli non gli piaceva, aveva orari diversi dai suoi, era impossibile, e così fece tutti quei quadri e se ne andò10-2.
Se Basquiat era costretto a riempire l'ambiziosa agenda dei suoi galleristi, aveva già pianificato di farlo a modo suo. Poco prima di partire per l'Italia era passato a sorpresa dal loft di Kai Eric, al 101 di Canal Street, dove in passato aveva anche dormito, e aveva convinto Eric ad andare con lui. «Stammi a sentire, amico, nessuno lì parla inglese. Voglio che vieni con me». Eric aveva esitato. «Ti pago il biglietto», gli aveva promesso Jean-Michel, con quel suo tipico disperato mix di generosità e bisogno10-3.
Suzanne Mallouk, che malgrado il suo rito d'esorcismo continuava a frequentare di tanto in tanto l'artista, all'ultimo minuto si unì anche lei alla gita. «Dissi che non andavo», racconta. «E lui mi disse: "E allora è meglio che te ne vada da casa mia prima che sia tornato"»10-4. Ma sulla strada per l'aeroporto, Basquiat c'aveva ripensato ed era tornato a prenderla.
Il viaggio era iniziato nel tipico stile Basquiat. Erano andati al Kennedy Airport in limousine, sorseggiando champagne. Basquiat portava un cappello da pescatore pieno di macchie di colore e una giacca sportiva Armani. Ricorda Eric: «Tutto il suo bagaglio era una borsa di tela e forse un abito che teneva fuori dalla borsa. La sua idea era che avrebbe comprato la roba nel negozio più elegante della città, o che avrebbe chiesto al servizio in camera di farlo per lui»10-5. Jean-Michel non andava da nessuna parte senza la sua colonna sonora, e il viaggio in Italia non fece eccezione. «Aveva questo gigantesco stereo portatile Panasonic all'avanguardia, e una scatola di cartone 60x60 piena di cassette»10-6, dice Eric. Com'era prevedibile la Twa insistette per controllare l'impianto stereo di Basquiat. Oliando il trio arrivò a Roma, lo stereo era ridotto in pezzi. Dice Eric:
Non ci dispiacque più di tanto. Saltammo su un taxi e sulla strada per Roma vedemmo un negozio di elettronica, e Jean-Michel comprò uno stereo portatile tutto nuovo, anche migliore dell'altro. Poi andammo all'Hotel de Ville. Proprio sulla Scalinata, con una vista pazzesca sulla città. Quando arrivammo trovammo una bottiglia di champagne che ci aspettava in camera10-7.
Se ne stettero una settimana a girare per Roma, provando ristoranti, bar e club. Eric affittò una piccola macchina sportiva rossa. Fece lui da autista, perché Jean-Michel non aveva la patente né sapeva guidare, e i tre partirono alla volta di Modena. Quel guidare in mezzo alle montagne ascoltando musica new wave aveva un che di esotico. Racconta Eric:
Nevicava. Salimmo in cima a una montagna e d'improvviso c'era neve dappertutto. E Jean-Michel disse: «Fermati! Fermati!», uscimmo fuori dalla macchina e mettemmo lo stereo portatile per terra. Stavamo ascoltando Chemistry di Brian Eno, che è decisamente elettronica. Jean-Michel ascoltava dai Talking Heads a Miles Davis, e tutto quello che c'era in mezzo10-8.
Esplorarono i paesini vicino Roma. Racconta Eric:
Passeggiavamo verso mezzogiorno per questi paesini italiani, e le piazze erano così vuote. Era come in un film di Sergio Leone con Clint Eastwood al momento della resa dei conti. Lì al centro della piazza con il sole che bruciava, e la polvere che volava per la strada, e noi sembravamo visitatori venuti da un altro pianeta, sai com'è. Viaggiatori del tempo con uno stereo portatile che mandava a tutto volume musica elettronica, molto ipnotica, sensuale. A mezzogiorno in Italia tutti fanno la siesta, e le poche persone che incontrammo erano i devoti che pregavano sotto i porticati10-9.
Quando arrivarono a Modena, Emilio Mazzoli offrì ai suoi ospiti un lauto pasto. Mazzoli, che sembrava un incrocio tra la versione italiana di Henry Geldzahler e Babbo Natale, li accolse in maniera gentile. Ma il pittore e l'aspirante patrono ebbero qualche problema di comunicazione. «Aveva qualcosa come sedici figli, che se ne stavano tutti seduti a tavola con noi», dice Eric. «Era un uomo ricchissimo, e gentilissimo, e cercò di intrattenerci, ma non riusciva a capire quello che dicevamo»10-10. Mazzoli aveva visto la sorprendente prolificità di Basquiat la prima volta che era andato a Modena, e aveva grandi progetti per l'artista. Adesso che era tornato per una o due settimane, il gallerista era determinato a trame guadagno. Continua Eric:
Alla fine ci portarono nella parte industriale della città, dove c'era tutto un hangar che era stato affittato perché Jean-Michel ci dipingesse dentro. Poteva essere circa tremila metri quadri, con un soffitto di quindici metri10-11.
A quel punto Basquiat capì cosa lo aspettava. In quella sorta di caverna, a detta di Eric, c'erano operai che stavano costruendo tele gigantesche, di 7,6x4,5 metri. Racconta Eric:
Mi chiedevo se veramente Jean sarebbe stato in grado di lavorare su così larga scala. Ma lui sembrava completamente indifferente. Senza sapere cosa sarebbe andato a fare, si limitò a cominciare a dipingere. Era di una spontaneità straordinaria. Poi, quando la spontaneità cominciò a venir meno, iniziò a prendere cose qua e là dai libri. Libri per bambini con i dinosauri, dizionari10-12.
Modena di per sé non è che ispirasse un granché. Ecco cosa ne dice Eric:
Sembrava una specie di periferia di Alphaville. Tutte le strade si chiamavano con nomi di scienziati: Enrico Fermi, Einstein […]. Noi stavamo in questo albergo quadrato di marmo verde marcio appollaiato in cima a una base militare10-13.
Jean-Michel in seguito disse a un amico che mentre camminava per le strade di Modena la gente lo guardava come fosse un freak. I ragazzetti vestiti con i loro abiti sportivi non avevano mai visto nessuno come lui, con i suoi dreadlocks e i vestiti macchiati di pittura.
In un articolo scritto dopo la morte dell'artista, Frederick Ted Castle rievoca il suo breve incontro con Basquiat, la Nosei e Mazzoli a Modena. Mazzoli, racconta Castle, aspettava con impazienza che Basquiat completasse una serie di lavori che gli aveva commissionato. Castle era stato invitato a una cena in cui ebbero luogo le trattative per l'acquisto dei lavori. Basquiat fece lo sciopero della fame. Ordinò solo un brodino che non mangiò, mentre Mazzoli banchettava con salsicce. Mazzoli non parlava l'inglese e Basquiat parlava poco l'italiano, e così la Nosei fece da interprete. A detta di Castle, Mazzoli voleva realizzare alcune stampe dei lavori di Basquiat e pagarlo dandogli in cambio parte della tiratura. Basquiat voleva essere pagato per tutta quanta la tiratura e così rimase arroccato sulle sue posizioni finché Mazzoli, arrabbiato, finì per capitolare. Come fece notare Castle: «Non si fidava mai della gente e immaginava volessero sempre fregarlo»10-14. E di solito aveva ragione lui.
Il viaggio non fu solo ed esclusivamente lavoro. Jean-Michel aveva intuito nello scovare i club più alla moda, specie nel periodo che i tre trascorsero a Roma. Dice Eric:
Di notte ce ne andavamo in questo posto che si chiamava Il Paradiso, che aveva scoperto Jean-Michel. Era una specie di bar superelegante e Kitsch. C'erano un centinaio di divanetti di velluto tutti girati verso il palcoscenico. E facevano questi quindici minuti di intrattenimento esotico. C'era un cantante di Mariachi, e una spogliarellista modello Marlene Dietrich, e poi le tende di velluto rosso si chiudevano e ci proiettavano sopra delle fiamme10-15.
Tutte le notti telefonavano a New York, supplicando Jeffrey Bretschneider di raggiungerli, e descrivendogli le loro uscite tipo, incluso Il Paradiso. «Era strano», dice Bretschneider, «ma ogni volta che mi raccontavano di queste fiamme a me veniva in mente l'Inferno di Dante, e mi facevo un'idea di come dovesse essere l'Inferno, quello vero»10-16. Dopo due settimane Basquiat aveva riempito otto tele gigantesche con i suoi classici scarabocchi. C'era anche un quadro che rispecchiava la sua reazione all'essere costretto a produrre su richiesta: uno scheletro con un'aureola, che si trascina dietro una mucca grassa color fuoco. Entrambi sembrano lì lì per essere sacrificati.
Basquiat era stufo, e decise di partire immediatamente. I tre andarono in aeroporto, giusto in tempo per il volo successivo. E però, come sempre, la sua spontaneità venne ostacolata dalle autorità. «Jean-Michel aveva qualcosa come centomila dollari in contanti», ricorda Eric. «Erano dollari americani, e non voleva dichiararli. Ognuno di noi s'era nascosto trentacinquemila dollari negli stivali»10-17. Jean-Michel e Suzanne aspettarono in fila alla biglietteria mentre Eric andò a riconsegnare l'auto presa a nolo:
Avevamo solo venti minuti per riuscire a prendere il jumbo che c'avrebbe riportato in America. Quando tornai, Jean-Michel era in piedi accanto a Suzanne al centro dell'atrio. Portava lo stesso cappello da pescatore con le macchie di colore e la giacca Armani, e i dreadocks ben in vista. Ed era come se sorridesse e si muovesse al rallentatore, tipo Stan Laurel. Lo sguardo di Suzanne era completamente perso10-18.
La ragione fu presto chiara:
Dietro a Jean-Michel c'erano due poliziotti italiani con gli Uzi in mano e un commissario dell'Interpol in impermeabile. Ci portarono nei meandri della sicurezza aeroportuale. Lì c'erano tutti i nostri bagagli, inclusa la scatola di cartone piena di cassette, che non si sa come ma era riuscita a restare intatta durante tutto il viaggio. Credo che pensassero che trasportavamo droga. Sai com'è, Jean-Michel era nero ed era incensurato. Comunque sia trovarono i soldi. Trattarono la cosa in maniera molto civile. Ci scortarono fino all'Interpol lì all'interno dell'aeroporto. Era come in The Man from U.N.C.L.E.10-19. Volevano sapere dove avevamo preso i soldi. Gli dicemmo che li aveva guadagnati Jean-Michel. Come se fosse credibile, ma certo, che questo tizio nero incassasse centomila dollari per otto quadri. Non ci credettero per un solo istante10-20.
I tre vennero interrogati per un'ora, in perfetto stile italiano, ovvero davanti a un buon espresso. Dopo che Mazzoli confermò che Jean-Michel era stato pagato per i suoi quadri, bagagli e soldi vennero restituiti. E sorprendentemente i tre riuscirono anche a prendere l'aereo.
Tornato a New York, Basquiat diede a Eric ottocento dollari. Ma subito dopo l'amicizia si raffreddò:
Di solito veniva a trovarmi o mi chiamava tutti i giorni, ma adesso le telefonate cominciarono a diradarsi sempre più. Fumava crack, e la cosa lo faceva diventare pericolosamente paranoico e irascibile. Era solo troppo sensibile. E iniziò a vedere congiure dappertutto. Dovette essere crudele con Suzanne, perché in quel momento era all'apice del successo, con tutti quei soldi, assaporava la bella vita, e cominciava già a disincantarsi. Era circondato da tutta questa gente che voleva che comprasse loro la droga. A quell'epoca faceva sempre la bella vita, ma nei sei mesi successivi iniziò a perdere il controllo. Puoi anche stringere le mani di tutta questa gente a lungo, ma prima o poi finiranno per rubarti l'anima10-21.
Intanto gli sforzi fatti da Basquiat a Modena stavano già ripagando diversi galleristi. «Fui costretta a ricomprare i quadri da Mazzoli», dice la Nosei, «diedi dei soldi a Jean-Michel e vendetti i quadri a Bruno»10-22. «Alle sue spalle era in corso ogni sorta di doppiogioco»10-23, racconta oggi Brett De Palma. Perry Rubenstein, che iniziò a collezionare opere di Basquiat dopo che Mazzoli gliene fece vedere alcune, capì le complesse dinamiche della situazione. Racconta:
Sono sicuro che Jean-Michel ne fece una malattia del dover stare lì. Così il dovere dipingere i lavori da esporre in situ fu solo una tattica per risparmiare soldi di cui erano a conoscenza tutte le parti in causa. Dal punto di vista dei galleristi, era frustrante avere a che fare con un artista impossibile e ingestibile. Mazzoli fu dell'avviso che un'esperienza era più che sufficiente per lui. Credo che Jean-Michel sentì che per i galleristi era solo un produttore di materiale. Fu allora che cominciò ad avere la sensazione di fabbricare quadri per l'uomo bianco, e te ne accorgi dai lavori che vennero fuori. Mercanti di Proscuitto10-24 [sic]… è un chiaro riferimento al mercante di carne di maiale Emilio Mazzoli10-25.
Racconta De Palma:
Alla fine diventò una specie di catena di montaggio. Appena il lavoro era fatto, i galleristi diventavano iperpossessivi e cercavano di averne il controllo. Jean continuava a dire: «È come dare da mangiare ai leoni. Sono senza fondo. Puoi lanciargli carne per tutto il giorno, ma loro non sono mai sazi»10-26.
«Impostarono il mio lavoro stabilendo che avrei dovuto fare otto quadri in una settimana per la mostra prevista la settimana successiva», raccontò il giovane artista arrabbiato alla giornalista Cathleen McGuigan quando lo intervistò per il domenicale del «New York Times». «Fu una delle cose che non m'andarono giù. Lavoravo in un grande deposito. E Annina, Mazzoli e Bruno stavano lì dentro. Era come una factory, una factory malata», disse. «Io volevo diventare una star, non la mascotte della galleria»10-27.