A go-go con Larry

È fico avere vent'anni ed essere arrivati mentre centinaia di giovani artisti vanno lasciando le diapositive dei loro lavori qua e là […] ma la crassa volubilità del mercato degli speculatori può avere un effetto deleterio sulla futura carriera dell'artista […]. Qui non si tratta più di collezionare arte, ma di comprare individui. Non è un pezzo firmato SAMO. è un pezzo di SAMO.

RENÉ RICARD, The Radiant Child11-1 

Larry «Go-Go» Gagosian, sempre a caccia di artisti da rappresentare, s'imbatté la prima volta nei lavori di Basquiat per caso, nell'ottobre del 1981 alla mostra Public Address. «Passai da Annina perché Barbara Kruger era una mia amica e mi aveva parlato di questa collettiva», raccontò poi. «Non avevo mai sentito parlare di Basquiat. Non avevo mai visto i suoi lavori. Non avevo mai sentito parlare di SAMO. Non sapevo niente di lui»11-2.

Gagosian, un gallerista indipendente che aveva un accordo con la Nosei, conosceva bene tutti gli altri artisti: oltre alle classiche foto con aforismi della Kruger, c'erano diverse efficaci asserzioni di Jenny Holzer, alcuni scarabocchi radianti di Keith Haring, e sei grandi profetiche teste di Basquiat. Gagosian dice di essere stato folgorato dai quadri del giovane artista. Il gallerista ricordò in un'intervista rilasciata nell'ufficio imbottito d'arte della sua galleria nell'ex-edificio Park-Bernet su Madison Avenue:

Ebbi come un brivido. Pensai che quei quadri avessero veramente un che di elettrico. Uno era straordinariamente denso. Era un intricato dipinto di una testa che sembrava un teschio con i denti ben in vista, una specie di architettura costruita dentro il cervello. Non avevo mai visto niente del genere11-3.

Gagosian comprò diversi quadri lì sul posto. Incontrò anche l'artista, rintanato come sempre sul retro a fumare una canna gigantesca:

Era nell'ufficio di Annina e aveva addosso una specie di abiti da lavoro tutti sporchi di pittura. Mi stupii nel vedere che era nero, e che aveva dei capelli come i suoi, sai com'è. Non me l'aspettavo, e restai spiazzato. Non ero preparato a dover interagire con uno che aveva un aspetto così. Mi ricordava Mike Tyson, il pugile. Ma appena cominciammo a parlare, vidi che aveva quella sua voce alta e suadente, e si muoveva in modo disarmante. E fui immediatamente a mio agio e a disagio, una sensazione che continuai ad avere fintanto che ci frequentammo11-4.

Probabilmente fu una cosa reciproca. Se Martin Scorsese avesse fatto un film sul mondo dell'arte, Gagosian sarebbe stato il protagonista: il gallerista traffichino in completo Armani. Dal suo luccicante elmetto di capelli argentati a spazzola agli immacolati mocassini di pelle di vitello, Gagosian aveva l'aspetto lussurioso da sibarita: un'eleganza fin de siècle. Nei due decenni che gli fu dato di dominare il mondo dell'arte, Go-Go si straconquistò il suo soprannome. Era notoriamente implacabile nella sua ricerca di buoni affari. Scrisse Grace Glueck sul «New York Times» nel 1991:

La sua impudente presenza, l'insaziabile ambizione e il meteoritico successo nel mercato delle rivendite – di questo si tratta: opere rivendute o smerciate dopo il loro acquisto originario – ne fecero, per molti, il simbolo di quella spocchiosità propria degli anni Ottanta, epoca in cui le opere d'arte venivano trattate come merci di Wall Street11-5.

Il segreto del successo di Gagosian stava nella consapevolezza che chiunque è disposto a separarsi da qualunque cosa, a condizione che il prezzo offerto sia quello giusto. Onesto principio base degli affari era relativamente nuovo per il mondo dell'arte, e a Gagosian venne attribuita l'effettiva invenzione di un mercato secondario che ebbe inizio con il favoloso colpo fatto nel 198511-6, quando convinse Burton ed Emily Tremaine, la cui leggendaria collezione di arte del dopoguerra – che includeva il Victory Boogie Woogie di Piet Mondrian, rivenduto a S.I. Newhouse al prezzo, a quel che si dice, di undici milioni di dollari – era stata il Santo Graal di banditori d'asta e galleristi. Com'era nel suo stile, Gagosian contattò i Tremaine senza che nessuno glieli presentasse. Si limitò a cercare il numero sull'elenco telefonico e li intortò.

Gagosian scovava tesori che non erano in vendita e li offriva a una selezionata lista di clienti, tipo Newhouse, il magnate della pubblicità inglese Charles Saatchi e il «padrone del mondo» hollywoodiano David Geffen. Le sue tecniche assai poco ortodosse – per esempio fotocopiare pagine di riviste e libri d'arte e offrire opere che ancora non era nelle condizioni di vendere – gli attirarono il risentimento dei colleghi, che continuavano a considerare quella di gallerista una professione da gentiluomini. Una volta fece a un giornalista che voleva intervistarlo un'interessante domanda ipotetica: «Se qualcuno le dicesse che qualcun altro ha avuto guai con la Legge, lei non potrebbe scriverlo, o sì?».

Gagosian ebbe un bel po' di liti per questioni d'affari, e riuscì a sottrarre artisti ad altre gallerie facendo quello che aveva sempre fatto: un'offerta che non potevano rifiutare11-7. Soffiò David Salle a Mary Boone11-8. Ma quando accalappiò Peter Halley (che, si racconta, abbia ricevuto due milioni di dollari in contanti, cosa che sia Gagosian sia Halley negarono quando furono chiamati a deporre), Ileana Sonnabend rispose con una causa multimilionaria chiusasi infine con una sentenza a favore di Gagosian. Halley, che dice di essere passato a Gagosian perché gli aveva offerto un «contratto molto allettante», in seguito lasciò la galleria perché, a quanto sembra, ebbe la sensazione che gli accordi non venissero rispettati11-9.

Gagosian ebbe anche qualche problema legale, a partire da quando un riscossore si presentò chiedendo indietro un'auto che lui si rifiutava di pagare. (Gagosian gli diede del cretino). John Seed, che a inizio anni Ottanta lavorava alla galleria di Gagosian a Los Angeles, racconta di un ufficiale giudiziario che si presentò a un certo punto, e dice di essere stato costretto a rilasciare un assegno ad almeno una persona che aveva vinto una causa contro il gallerista11-10. Gagosian nega di avere mai avuto a che fare con un ufficiale giudiziario, ma alcuni suoi dipendenti trovarono la sua etica in affari un valido motivo per lasciare la galleria.

Anche se in base alle dichiarazioni dei redditi fatte al New York County Clerk per gli anni 1990 e 1991 doveva allo Stato qualcosa come tredici milioni di dollari11-11, il Fisco apprese in seguito che aveva presentato due volte i moduli della dichiarazione e che non era la Gagosian Gallery Inc., ma la società che si occupava dei trasporti delle opere in galleria, la Contemporary Art Holding Corporation, che doveva dei soldi: sette milioni di dollari11-12. Gagosian non aveva alcun legame finanziario con detta società, costituitasi quando lui e diversi altri azionisti avevano acquisito la collezione Richard Weisman. Tuttavia, se avesse venduto le due opere consegnate alla sua galleria, il Fisco sarebbe stato autorizzato a procedere contro di lui11-13.

Nei primi anni Novanta ci sono state anche altre citazioni in giudizio per debiti non pagati in passato, che spaziavano dal Busters Cleaning Corp11-14 all'«Art Journal» Rizzoli11-15. Erano tutte battaglie che Gagosian aveva già portato a termine. Ma adesso si ritrovava nel bel mezzo di una nuova disputa: era appena stato querelato da Ralph Lauren, che gli affittava la galleria, perché aveva depositato le mensilità presso terzi in attesa che il proprietario riparasse i danni causati dall'acqua11-16.

A detta di una fonte: «Se devi tenere la contabilità di un lavoro creativo, finisce che rimandi tasse e debiti personali per lunghi periodi. La sua galleria era nel delirio più totale»11-17. Ma Go-Go non era tipo da permettere che qualche debito intaccasse il suo stile di vita. La dépendance che aveva nell'Upper East Side, progettata inizialmente per Christophe de Menil, aveva la sua piscina olimpionica privata, e di recente aveva comprato due case da David Geffen. Toad Hall, la sua proprietà da otto milioni di dollari sulla parte chic di Further Lane, a East Hampton, era stata progettata da Charles Gwathmey ed era appartenuta a François de Menil. Era lì che Gagosian organizzava le sue celebri serate estive durante le quali proiettava le sue anteprime nella sala cinematografica privata per un'élite di amici: gente come Geffen, Ron ed Ellen Delsener, Jann Wenner, Claudia Cohen, Bruce Wasserstein, Mick Jagger, David Salle ed Eric Fischl. Un mix di artisti e collezionisti che era tanto socialmente eccitante quanto potenzialmente redditizio11-18. Anche se sostiene di non avere mai avuto chi lo finanziasse, Gagosian a un certo punto diventò socio di Peter Brant, al 575 di Broadway, lì dove adesso c'è la SoHo Gallery. (In seguito mandarono a monte l'accordo)11-19.

Gagosian disse nel corso di un'intervista che tutti i suoi introiti erano «capitale autogenerato […]. Non ho mai avuto un finanziatore, né un socio, nessuno zio ricco, niente di tutto ciò. I soldi che ho fatto li ho reinvestiti: messi a profitto, ecco, credo sia questa la parola»11-20.

Con un autista che lo porta in giro per la città su un Audi station wagon, non smette mai di parlare al cellulare. Negli ultimi dieci anni si è aggiudicato l'offerta più alta a un'asta. E le sue tre gallerie sono tra le più eleganti al mondo: oltre al suo lussuoso attico-quartier generale al 980 di Madison Avenue, ha una galleria splendidamente ristrutturata a mo' di garage al 136 di Wooster Street a SoHo, e ha aperto da poco uno spazio spettacolare su Camden Drive, a Beverly Hills, progettato dall'architetto Richard Meier. È proprio accanto a Mr Chow's, l'ex-seconda casa di Basquiat a Los Angeles11-21.

Ma probabilmente una delle più grandi vittorie conseguite da Gagosian fu quella con Leo Castelli a metà anni Ottanta. Per quarant'anni Castelli era stato il più celebre e riverito gallerista d'arte in tutto il mondo, e ricevere il suo imprimatur corrispondeva, nel mondo dell'arte, all'essere nominato cavaliere dalla Regina. Inizialmente la partita sembrava assurda: il cortese gentiluomo vecchio stampo e lo sfrontato supervenditore. «Quando voleva un quadro, era disposto a offrire qualsiasi cifra pur di averlo»11-22, disse Castelli a «Forbes», ammirato, nel 1990. Il vecchio gallerista era rimasto colpito da Gagosian quando, nel 1987, subito dopo la morte di sua moglie Antoniette, aveva venduto alcune proprietà di Castelli così da metterlo in condizioni di poter pagare le tasse. Gagosian era riuscito a chiudere un accordo da un milione e mezzo di dollari in ventiquattrore. Gagosian non è mai stato raffinato: non si fece scrupoli nel cercare di comprare l'amicizia di Castelli con un orologio Patek Philippe da 7.500 dollari.

L'associazione tra i due fu vantaggiosa per entrambi: fu Castelli a presentare Gagosian a S.I. Newhouse. Tre anni dopo Gagosian sarebbe finito su tutti i giornali per aver comprato False Start di Jasper Johns da Newhouse a un'asta serale da Sotheby per la cifra record di 17,1 milioni di dollari, il prezzo più alto mai pagato per un artista vivente. La sua società con Castelli gli conferì e gli garantì un'aura di rispetto nel mondo dell'arte. Adesso era considerato un gallerista internazionale, e non un venditore di serie B. Nei suoi spazi di Uptown e Downtown, Gagosian aveva messo in piedi mostre che anche la concorrenza riconosceva essere pari a quelle dei musei con artisti che spaziavano da Francesco Clemente a Egon Schiele.

Gagosian era il prototipo dell'uomo anni Ottanta: un apprezzabile mix d'arte e commercio. Un Trump del mondo dell'arte che perfezionò l'arte del commercio d'arte11-23.

Gagosian non aveva sempre goduto di tanto successo. Il padre, un ragioniere della city di Los Angeles, aveva fatto anche l'attore con l'Armenian Connection, una compagnia teatrale di Fresno con cui collaborava William Saroyan. La madre aveva avuto delle particine in diversi film, incluso uno di Orson Welles, e poi si era data alla pittura. Dopo aver lavorato ai gradini più bassi della William Morris Agency (cosa che avevano fatto, notoriamente, anche David Geffen e Michael Ovitz), Gagosian iniziò la sua scalata nel mondo dell'arte a metà anni Settanta vendendo poster di cattivo gusto vicino alla UCLA, la sua Università, dove si era laureato nel 1969. In un anno aveva aperto una sua galleria andando incontro ai gusti dell'agente immobiliare Eli Broad e del produttore di Dynasty e Love Boat Douglas Cramer. Dice Broad: «I primi anni Larry era molto aggressivo. E coraggiosissimo. Se volevi comprare un'opera d'arte, sapevi già quale e ti rivolgevi a Larry, lui ci riusciva. Faceva succedere le cose»11-24. Nel 1979 si spostò a Est aprendo una galleria a SoHo che gestì insieme ad Annina Nosei. A quel tempo la sua conoscenza del mondo dell'arte di New York gli derivava prevalentemente da:

[…] un mix altalenante di partite a carte e piccola rappresentanza d'arte al piano terra del palazzo di Leo Castelli. Ero in qualche modo amico di questi tizi e ce ne stavamo seduti in circolo, a volte giocavamo a carte, altre volte cercavamo di fare piccole trattative commerciali, e io me ne stavo con le orecchie tese ad ascoltare. Ho imparato moltissimo da questo starmene lì, mentre Leo era in quel palazzo.

Non passò molto tempo che Gagosian trovò uno spazio lì e lo comprò a scatola chiusa. Non avendo i soldi, diede in cambio un quadro di Brice Marden e diecimila dollari. Uno dei primi artisti che lui e la Nosei esposero fu David SaIle. Nel 1980 era tornato a Los Angeles, ma continuò a restare in affari con la Nosei. Nel 1985 aprì una galleria tutta sua a New York, questa volta a Chelsea, divenendo rapidamente il più importante intermediario nelle trattative d'arte.

Esperto nelle negoziazioni, Gagosian non scoprì mai nuovi talenti. Era invece abile nel captare dagli altri il meglio di quanto il mondo dell'arte offriva, singola opera o artista che fosse. E nessuno riusciva a ostacolarlo. La leggenda vuole che una volta Gagosian offrì ad Alfred Taubman un casa che già possedeva in cambio di alcuni quadri della sua collezione. (Gagosian sostiene che voleva soltanto scambiare delle opere d'arte di Taubman con dei beni immobili).

Quando Newhouse decise di vendere parte della sua collezione direttamente a Sotheby's, tagliando palesemente fuori Gagosian dall'accordo, lui si precipitò da David Geffen, che a detta di una fonte «andava raccattando la crema della collezione di Newhouse». E Geffen pagò quaranta milioni per opere sulle quali Gagosian prese una commissione del tre per cento, ovvero più o meno 1,2 milioni di dollari. «Larry trovava sempre una sua strada e la percorreva», dice Geffen11-25.

Douglas Cramer ha comprato opere d'arte da Gagosian sin dai primi tempi a Los Angeles, e stima che quasi un terzo della sua collezione – che include oltre cinquecento opere – è stata comprata tramite il gallerista. Dice Cramer:

Larry ama stare al centro dei pettegolezzi. Non passa un mese senza che si senta dire che ha fatto il passo più lungo della gamba e che sta lì lì per chiudere bottega. In giro c'è un sacco di invidia. Ma lui è di quelli che cadono sempre in piedi. Ha battuto ogni record nella velocità delle vendite concluse. È un negoziatore magnifico. Ha una memoria enciclopedica su quali opere stiano dove. Larry riesce sempre a trovare il modo per infilarsi nelle case dei collezionisti e le studia attentamente, parete per parete. Ha fatto delle Polaroid di quello che stava appeso a casa mia, e non sono mai riuscito a capire come ci sia riuscito11-26.

A detta di Cramer le sue finte andavano a vantaggio di entrambe le parti:

Larry è geniale nel riuscire a mettere insieme persone che stanno da un capo all'altro del Paese. Riesce ad attivare reazioni a catena. È capitato di essermi ritrovato a vendere cose che pensavo non avrei mai venduto, o di comprarne altre che non avrei mai sperato di comprare. Il suo modo di fare ruotare tutte queste palle per aria per poi farle atterrare nel posto giusto al momento giusto ha un che di miracoloso. Se il mondo dell'arte fosse un circo, Larry non sarebbe solo il capocomico, ma anche il funambolo e l'uomo proiettile11-27.

Ma un'altra fonte la vede diversamente:

A motivare Larry non è l'affare di per sé. E nemmeno i soldi o i giocattoli di cui si circonda, Ferrari o altro che siano. Sono tutte cose che gli danno ben poca soddisfazione. Lui vive solo di questo passare da una transazione all'altra.

Questo trafficare e trattare diventa quasi una spirale. In un'industria del tutto priva di regole, l'unica legge è quella del caveat emptor11-28. Spiega un altro gallerista:

Gli affari nel mondo dell'arte si basano sempre sulla menzogna. Se tu affidi qualcosa affinché venga venduta, e sei d'accordo su un determinato prezzo di vendita, è dato al gallerista venderlo per un prezzo superiore senza dirtelo e intascare la differenza. In tutti gli altri tipi di affari verrebbe considerata frode, ma nel mondo dell'arte tutti chiudono un occhio.

Le implacabili trattative di Gagosian si aprono e si chiudono con un solo giro ininterrotto di telefonate nel quale la posta viene costantemente rialzata. E Gagosian non molla mai. Dice la stessa fonte di prima:

Chiama anche venti volte al giorno senza arrendersi. Una volta che compri qualcosa lui continua a chiamarti. La maggior parte della gente ha delle regole sociali che rispetta. Larry no. Non c'è nulla di inespugnabile. «No» non è mai una risposta.

Basquiat non fece eccezione all'approccio aggressivo tipico dell'affarismo di Gagosian. Alla prima conversazione sul retro della galleria della Nosei aveva già piantato i semi per una relazione a lungo termine con il giovane artista. Non che trattare con Basquiat fosse una cosa così complicata. Chiunque ci sapesse fare e offrisse un'adeguata somma era in grado di comprare qualcosa da lui, che era costantemente a caccia di contanti per mantenere i suoi vari vizi.

«Diventammo amici, poi lui si trasferì nello studio di Crosby Street e io iniziai a comprare direttamente da lui, e Annina si infuriò», dice Gagosian, che non perse tempo a beneficiare dell'abilità di Basquiat di sfornare istantaneamente quadri in cambio dei contanti che gli servivano per le droghe:

Ma sai, non è che ci fossero molte alternative se volevi lavorare con lui. Non è vero che ho agito alle spalle di Annina. La verità è che lasciare lo studio non fu una cosa premeditata. Mi accusava sempre di derubarlo [in realtà Basquiat si lamentò con un amico del fatto che Gagosian non l'avesse mai pagato per tutta quanta una mostra, nda]. Ma io non gli rubai mai nulla, consapevolmente o inconsapevolmente che fosse. Era quello il modo in cui voleva essere pagato: in contanti, o barattando con qualcos'altro, vestiti o cose che mi chiedeva tipo: «Be', fai un biglietto per Parigi per la mia ragazza», o altro11-29.

A un certo punto Gagosian capì di avere trovato pane per i suoi denti quanto a lavorare velocemente e in libertà:

Non era affatto stupido. Non ho mai sentito di nessuno che sia riuscito ad avere la meglio su di lui. Quando camminava dentro una stanza, emanava un'energia che faceva esplodere tutto quello che c'era dentro, e non era una cosa intenzionale. Era per via di quel suo inconfondibile potere naturale, e credo che la cosa facesse innervosire un sacco di gente. E credo pure che gli abbia messo alcune persone contro. Era vittima di un sacco di invidie. Posso vantarmi del fatto di essere riuscito per lo meno ad essere alla sua altezza, perché era un tipo assolutamente tranquillo11-30.

Probabilmente Gagosian fu l'unico gallerista di Basquiat ad avere avuto, per certi versi, uno spirito affine. Entrambi si distinguevano per i loro atteggiamenti da ragazzacci: nel modo di trattare le donne, tanto quanto nel modo di comportarsi ai party, o in quel loro cercare di cambiare il Sistema. Nell'articolo pubblicato su «Seven Days» nel 1989, la giornalista Deborah Gimelson attribuì il successo di Gagosian al suo «carisma perverso»: «Tutti quelli con cui entra in affari sono persone che hanno potere e una qualche collocazione sociale. Non possono permettersi di comportarsi in modo sconveniente», scrisse citando quanto le aveva detto un gallerista. «E così Go-Go è il loro ragazzaccio, il rinnegato. Godono al posto suo per le pagliacciate che fa»11-31.

La rapida ascesa di Gagosian lo rese presto oggetto di pettegolezzi che spaziavano dalle illazioni sulle sue fonti di reddito e di opere d'arte al fatto che molestasse o meno le donne al telefono, cosa che lui ha sempre negato risolutamente. Al di là di questa iniziale reputazione da rinnegato, il gallerista condivideva qualcos'altro con Basquiat. A detta di quelli che lo conoscono bene, e malgrado il suo intuito negli affari, Gagosian, quando si trattava dei normali bisogni quotidiani, era come un bambino indifeso. Racconta un critico:

È una specie di gallerista computerizzato. Un gallerista superdotato, un genio. La sua memoria e la capacità che ha di assimilare e trattenere informazioni è strabiliante. Eppure non è in grado di farsi nemmeno una tazza di caffè. Dipende totalmente dagli altri. Deve avere tutto uno staff ad Hampton, tutto uno staff nella sua casa di New York, e uno staff ancora più numeroso in galleria. Tutti quanti sono lì con lui così non si sente solo.

Eppure il successo di Gagosian incontrò degli ostacoli. Oltre a Newhouse e Geffen, tra i suoi clienti c'erano Keith Barish, Carl Ichahn, Ron Perelman, e in ultimo Gianni Versace, che poco prima di morire decorò la sua casa con opere d'arte contemporanea, inclusi quadri di Basquiat e Schnabel. Sostiene una fonte:

Non so se capisci l'audacia di quest'uomo in un mondo che non ha regole. È una delle ultime tracce della permissiva vera anima del capitalismo. In cui vige ancora il «corri e spara». Il paradiso dei pirati. E tutti quelli che ci stanno dentro abbastanza a lungo ne diventano beneficiari e vittime.

Basquiat fu entrambe le cose.

Nell'aprile del 1982 Nosei e Gagosian organizzarono una mostra nella galleria di Larry a Los Angeles, dentro un capannone su Altmont Street. A quel tempo Basquiat si comportava da perfetto enfant terrible, e il viaggio per Los Angeles ne fu un tipico esempio. Tra l'aggressività di Gagosian nel fare affari e l'atteggiamento irriverente di Basquiat, è difficile stabilire chi stesse sfruttando chi.

La cosa iniziò anche prima che l'artista lasciasse New York. All'inizio Basquiat convinse Gagosian a pagare un biglietto aereo a varia gente del suo entourage. «Comprai biglietti di prima classe per Jean-Michel, Rammellzee, Toxic, A-1 e Fab 5 Freddy», dice Gagosian, srotolando una lista di nomi che sembrano usciti da un'etichetta rap. «Annina era inferocita perché pensava li stessi viziando. Ma io pensavo che sarebbe stato divertente. E forse stavo cercando di impressionarli, com'è nel mio stile».

Non appena l'aereo fu decollato, Basquiat e la sua cricca si piazzarono comodamente in prima classe. Basquiat tirò fuori sette grammi di coca e li versò sul sottobicchiere del cocktail. Dice Gagosian ridendo:

Non avevo mai visto nessuno fare una cosa del genere su un aereo. C'erano questi quattro ragazzetti neri dall'aria cattiva tutti quanti chini su un mucchietto di cocaina, poi passarono a delle canne pazzesche, tirarono su la schiena e si misero a fumare. Era una cosa assolutamente selvaggia. Avevano grandi occhiali da sole, di quelli che si usano per sciare e che li nascondevano, e grandi cappotti. L'hostess era terrorizzata. Una cosa terribile. Pensai: «Mio Dio, finiremo tutti in gabbia»11-32.

Ma Jean-Michel restò assolutamente tranquillo. «L'hostess andò da loro e disse: "Non potete farlo su un aereo. Le autorità vi aspetteranno allo sbarco"», ricorda Gagosian visibilmente compiaciuto. «Jean-Michel si limitò ad alzare lo sguardo verso di lei, e con un tempismo perfetto disse: "Oh, pensavo che questa fosse la prima classe"»11-33.

La Nosei fu costretta a fare da tutrice. Afferrò la cocaina e la buttò dentro il water11-34. Le bravate, però, erano solo all'inizio. Jean-Michel era insieme a due factotum di Gagosian, Fred Sutherland e Steve Koyvisto. Matt Dike, un altro assistente di Gagosian, venne incaricato di fare da autista e baby-sitter. A poche ore dall'arrivo a Los Angeles, Basquiat fu lì lì per essere arrestato.

La sera dell'inaugurazione, l'artista, che aveva passato i giorni precedenti tra un party e l'altro, era introvabile. «Cominciarono a preoccuparsi di dove potesse essere»11-35, dice Claudia James, che allora lavorava per Gagosian. Ma lo seppero presto tutti dove fosse. Jean-Michel era con Ulrike Kantor, una gallerista sopra i quaranta ed ex-moglie di uno dei più famosi collezionisti di Los Angeles. «Vennero fuori versioni contrastanti», dice Gagosian. «Lei disse che non era riuscita a svegliarlo, lui disse che era intrappolato nel suo letto. Comunque, arrivò tardi all'inaugurazione»11-36.

La Kantor aveva conosciuto il pittore a una cena dal gallerista Jim Corcoran. A quanto pare fu amore a prima vista. «Io lo guardai e lui guardò me, ed entrambi dicemmo: "Oh, mio Dio"»11-37, ricorda lei. «Volevo solo rivederlo, non è che si dovesse andare a letto insieme per forza. Era una di quelle persone incredibilmente affascinanti. Durante la cena mi misi a sedere accanto a lui e cinque minuti dopo andammo via insieme»11-38. Dopo aver girato qualche club, rientrarono da Ulrike, una casa progettata da Frank Lloyd Wright, dove Basquiat si imboscò per qualche giorno in compagnia della sua nuova amante. Racconta lei:

Aveva il corpo più proporzionato che avessi mai visto. Era longilineo, ma c'era un che di forte in lui, di animalesco. La notte che passammo insieme mi stupì veramente. Una mattina mia figlia lo vide dentro la vasca da bagno e disse: «Mamma, è l'uomo più orrendo che abbia mai visto». Fumava ininterrottamente Gauloise. Non feci altro che dirgli di smettere, ma lui mi rispondeva: «Picasso è morto a novant'anni»11-39.

Ancora una volta la Nosei fu costretta a fare da madre superiora. «Che stai facendo?», urlò a Go-Go. «Stai lasciando che una donna adeschi un tuo artista. Chiamala e dille di rimandarcelo qui». «Perché?», chiese Gagosian, comunque divertito da tutta quanta la faccenda. «Perché è un minorenne. E lei gli prenderà i quadri!». Come sempre i galleristi hanno le loro priorità. Dice la Nosei:

È così Larry chiamò Ulrike. E Jean-Michel era lì che strillava: «Tiratemi fuori di qui! Non ho una macchina! Non so dove sono! Voglio andare via!». Andai al telefono e dissi: «Ulrike, potrebbe essere tuo figlio. Non potresti lasciarlo in pace? E un ragazzino, ha solo diciannove anni». E lei mi rispose: «Annina, noi due dobbiamo parlare: insieme possiamo fare affari». Ma io le dissi che non volevo fare proprio nessun affare con una come lei. Nel senso che era da idiota comportarsi così per una donna che aveva la mia età. Ero arrabbiatissima11-40.

Dice la Kantor:

Lei continuò a chiamarmi a casa e in galleria. Io non rispondevo al telefono. Annina lo trattava con la stessa possessività con cui si tratta un cane. Era la sua piccola proprietà. Lui diceva: «Vuole solo che io stia nello scantinato a lavorare. Ma io ho intenzione di diventare famoso malgrado lei»11-41.

Alla fine Gagosian mandò una macchina a prendere Jean-Michel. «Larry stava impazzendo», dice Dike. «Pensava che lei gli stesse soffiando Jean»11-42.

L'inagurazione fu un affare gigantesco. Era presente la crema dei collezionisti e dei galleristi di Los Angeles, e anche qualche celebrità. Jean-Michel se ne stava sul retro, a fumare erba. Ricorda Dike:

Jean aveva le cuffiette del walkman dentro le orecchie e lanciava a tutti occhiatacce. Non parlò con nessuno, inclusi tutti i grossi collezionisti. Quella notte si sarebbe meritato il premio di Stronzo dell'Anno. Prima di diventare famoso era solo un ragazzaccio, e rimase tale anche dopo esserlo diventato. Ma i suoi quadri erano straordinari11-43.

La mostra fece il tutto esaurito. Eli Broad, Thomas Ammann e Scott Spiegel non si lasciarono sfuggire un solo quadro. Un critico di Los Angeles recensì in un solo pezzo la mostra di Basquiat e quella di Julian Schnabel, artista del momento:

I lavori di Basquiat sono riflessi diretti e furiosi di una società decadente e sadica. Segni calligrafici, figurine infantili, simboli di angeli o diavoli, uomini neri e uomini bianchi, che mostrano i denti, indossano corone, portano la bilancia della giustizia. Occhi robotici rivoltati all'indietro per far vedere che hanno il cervello bruciato, senza speranza. Sembra non ci sia alcuna possibilità di distillare o interpretare. È come se la città stessa brulicasse su queste tele scorrazzando indisturbata.

O se i demoni di Jean-Michel venissero fuori dalla pittura. C'era un fiero Red Weimar11-44, e due delle tele – decorate con vera pelle – si chiamavano Tar and Feathers11-45. Dice Claudia James:

Fu una delle migliori mostre di Jean-Michel. Ma lui continuava a creare problemi. Era il solito teatrino in cui lui interpretava il ruolo del bambino cattivo, e Annina era lì a dirgli: «Dai, fai il bravo», e anche Larry stava un po' al gioco, perché pensava fosse fico. Jean se ne stette tutto il tempo lì a fumare erba e ad ascoltare la sua musica in cuffia. Fu scortese con i collezionisti, girando i tacchi e andandosene via. Credo che già allora si fosse reso conto di quanto stava accadendo. Del fatto che lo stavano usando. E sopportava la cosa, anche se malamente. E poi a un certo punto si arrabbiò e fece una scenata. Come se non avesse intuito che era così che funzionava il Sistema11-46.

Dice Gagosian:

Basquiat era iperparanoico. Forse per la cocaina che prendeva. Mi ricordo che una mattina mi mostrò il naso dicendomi: «Lo vedi? C'è un buco». Non stava scherzando. Era assolutamente turbato dalla cosa e credo che non tirò di coca per almeno un paio d'ore. Aveva bisogno di continue fonti di eccitazione, di qualunque cosa si trattasse, che fossero soldi, sesso, droghe o dolore. Era solo una specie di personaggio tragico, uno di quelli che quando non ce la tanno più finiscono per sentire questo vuoto che li fagocita e infine implodono11-47.

Gagosian aveva organizzato un party privato al China Club per festeggiare l'inagurazione della mostra. Ma Basquiat insistette per fare un giro per rimediare droga. Dice Dike:

Jean voleva sempre farti fare qualcosa di illegale e mettere la tua vita in pericolo. E così andammo e rimediammo tipo tre, quattro grammi di cocaina, una bella busta di erba e varie altre cosette. Stavamo guidando quando gli sbirri iniziarono a starci dietro. Jean aveva dreadlocks che gli sbucavano da tutte le parti e un grosso cappello sopra, e uno dei suoi completi appariscenti, sai com'è, ci dipingeva sopra. E gli sbirri ci fermarono, pensando che la macchina fosse rubata11-48.

Il fatto che l'artista sventolò il suo libretto bancario non convinse la Legge:

Gli sbirri non gli credettero quando Jean disse che era un pittore. Pensavano che fosse un qualche grosso spacciatore o una cosa simile. Ma proprio quando stavano per perquisirlo, ricevettero una chiamata per una rapina giusto in quell'isolato, e furono costretti a lasciarci andare. Sudavo freddo. E Jean non si innervosì nemmeno. Era come se sapesse che alla fine non sarebbe stato arrestato, o forse pensava che il lusso in cui viveva era tale da essere intoccabile, e si incamminò verso il party come niente fosse11-49.

Dice John Seed:

Larry e i suoi clienti erano tutte persone profondamente e irredimibilmente ciniche, che usavano il potere che avevano per collezionare anime. Larry doveva pagare la gente perché gli stesse dietro, nel senso che i suoi dipendenti, i clienti e i soci non erano mai gente a cui Basquiat piaceva. La vera ricchezza stava nell'intrattenerlo, ma la cosa non voleva dire che piacesse loro. Dal punto di vista di Larry tutti gli esseri umani insieme non erano altro che quello che erano in grado di comprare11-50.

A detta di Seed, Gagosian e Basquiat si completavano a vicenda:

Basquiat faceva talmente tante cazzate che Larry trovò qualcuno che potesse soccorrerlo. Jean-Michel riusciva a sopportare tutta la merda del mondo, ma era sempre un manipolatore di prima classe che riusciva ad andare d'accordo con Larry. Era in grado di mortificare Larry e al tempo stesso di giocare a fare il ragazzo perduto. Quelli come Larry e Jean-Michel passavano la vita ad accertarsi di essere circondati da gente che li disapprovava e li tradiva, perché avevano già ampiamente tradito loro stessi. Com'era il rapporto tra Larry e Jean-Michel? Come quello tra squali e piranha11-51.

Basquiat rimase parecchi mesi in California. Sarebbe stato il primo di numerosi soggiorni a Los Angeles, interrotto da qualche capatina a New York, così come da un breve viaggio a Zurigo per una mostra alla Bruno Bischofberger Gallery. Abitò per un po' allo Chateau Marmont, nella suite di Belushi. «Si ritrovava sempre a vivere le ironie della Storia»11-52, dice Stephen Torton, che era partito per Los Angeles con Basquiat insieme a Rammellzee in ottobre. Com'era sua abitudine Basquiat comprò loro biglietti di prima classe, pagando in contanti: cinquemila dollari in banconote da cento. «Rischiammo di perdere l'aereo perché pensavano che i biglietti fossero falsi»11-53, dice Torton. Basquiat mantenne i suoi orari notturni anche a Los Angeles. Ricorda Torton:

Non si alzava mai dal letto, non andava mai in spiaggia, andava solo nei nightclub e poi a dormire. Rammellzee e io passammo tutto il tempo seduti ad aspettare che si svegliasse, e io mi misi a fare tutta una serie di disegnini. Mi ricordo quando li vide lui. Era veramente infastidito. Mi disse: «Non cambierai mai il tuo modo di pensare una linea»11-54.

Andarono da Maxfield's, un'elegante boutique che era il negozio di abbigliamento preferito di Basquiat lì a Los Angeles, e comprarono completi Armani. Poi li accatastarono sul retro di una limousine presa a nolo. Basquiat e il suo entourage sembravano essere un obiettivo irresistibile per la Polizia di Los Angeles. Ancora una volta lui e i suoi amici furono lì lì per finire dentro. Dice Torton:

Io facevo da autista, mentre Jean-Michel e Rammellzee stavano seduti dietro. Stavamo girando di club in club. Gli sbirri ci fecero scendere dalla macchina. Jean e io alzammo le mani. Ma quando Ram tirò su le mani iniziò a sistemarsi i capelli. Gli sbirri si infuriarono, e lui disse: «Già che stanno alzate pensavo di poterci fare qualcosa». Pensavano fossimo spacciatori. Ma la macchina era affittata dalla galleria di Gagosian, e così alla fine ci lasciarono andare11-55.

Torton e Rammellzee rimasero con Basquiat una settimana A fine mese presero un aereo per New York, giusto in tempo per il party di Becky Johnston per il film Ciao, Manhattan, organizzato alla Port Authority. La Johnston, celebre sceneggiatrice (Il principe delle maree) ebbe una storia con Basquiat. Più avanti lei e Tamra Davis avrebbero fatto una delle poche videointerviste con il pittore.