Fun Gallery, nella Bohemia dei baby boomers

Mi sono sempre chiesto come sarebbero stati i giovani artisti cresciuti con i quadri di Andy Warhol alle pareti come arte possibile e con migliaia e migliaia di immagini televisive immagazzinate nelle loro teste. Il risultato è stato l'East Village.

HENRY GELDZAHLER14-1 

Bohemia era un posto dove nascondersi. Adesso è un posto dove ci si sgomita.

JOHN RUSSELL14-2 

Ancora una volta l'East Village diventò crogiuolo di un nuovo movimento artistico. Negli anni Cinquanta era stato l'Espressionismo Astratto, negli Ottanta furono il Neoespressionismo e il Graffitismo. Robert Hughes la ribattezzò «la Montmartre del Neo»14-3. Ma mentre il primo movimento spostò le placche tettoniche del mondo dell'arte da Parigi a New York e influenzò la cultura occidentale per tutta la seconda metà del secolo Ventesimo, il secondo movimento fu solo una moda, il bip di un radar – meglio: di uno schermo televisivo – che galvanizzò un decennio, e poi svaporò, un terremoto giovanile e passeggero i cui principali promotori e agitatori morirono giovani o divennero adulti.

Le differenze tra i due movimenti furono profonde tanto quanto le differenze tra due generazioni, tra il Modernismo e il post-Modernismo, tra il dopoguerra e il dopo-Warhol. O, come la mise uno scrittore: «L'Espressionismo Astratto unì le proprie forze per promuovere una causa, mentre gli artisti dell'East Village si misero insieme per promuovere loro stessi»14-4.

Nel 1951 l'Espressionismo Astratto fece il suo debutto con la mostra sulla Nona Strada. Scrisse Calvin Tomkins in Off the Wall: 

Molti artisti non fecero altro che andare lì, discutere sulla parete da occupare, e appendere (o ri-appendere) i loro quadri. Alla fine c'erano sessantuno opere di sessantuno artisti, un'esibizione coraggiosa e la prima occasione che tutti quanti ebbero di verificare le dimensioni raggiunte dal Neoespressionismo. Molti dei quadri esposti riflettevano uno stile nuovo, gestuale e dai movimenti liberi. Al party d'inaugurazione vennero centinaia di persone (sulla Nona Strada era stato appeso uno striscione) e per alcuni di loro fu una rivelazione14-5.

«Life» pubblicò la celebre foto degli avatar del nuovo movimento: «Gli irascibili»14-6.

Quando la Fun Gallery aprì sull'Undicesima Est, trent'anni dopo, diventò teatro di un mini-boom e del suo inevitabile tracollo. La breve vita artistica dell'East Village iniziata e finita con la Fun, che chiuse nel 1985, fu un microcosmo se confrontato con il mondo dell'arte e prefigurò in tutto e per tutto il boom dell'arte degli anni Ottanta.

La Fun Gallery fu fondata nel luglio del 1981 dalla star del cinema di serie B Patti Astor e dal suo compagno, Bill Stelling. «La Fun Gallery lanciò l'East Village», dice la cofondatrice del P.P.O.W. Wendy Olsoff, «lo definì»14-7. Come la maggior parte delle gallerie dell'East Village, la Fun sembrò come spuntata nottetempo da una qualche spora organica di Downtown. Il mondo dei club dell'East Village, con le sue miriadi di installazioni funky – graffiti e arte performativa al Mudd Club, luci nere e serate a tema al Club 57 – aveva dato vita a un mondo parallelo di gallerie d'arte, che fu solo un'estensione di quello stesso party a Downtown 24 ore su 24. Dice Stelling:

Come accade per ogni movimento elettrizzante, fu una questione di gente, tempo e soldi. Conobbi Patti mentre stava girando un film che si chiamava Underground U.S.A. Avevo uno spazio sull'Undicesima Strada, tra la Seconda e la Terza Avenue, che veniva usato come studio di design tessile. Ce ne uscimmo con la brillante idea di esporre i lavori fatti da amici in questo minuscolo spazio di due metri e mezzo per quattro e mezzo. Non sapevamo come chiamarlo, e Kenny Scharf disse: «Perché non lo chiamiamo Fun?»14-8.

Gran parte del divertimento era la stessa Astor, una delle protagoniste di Downtown che, come la Lhotsky, Ann Magnuson e Gracie Mansion, aveva astutamente reincarnato se stessa in un'altra: nel suo caso una sorta di Marilyn degli anni Ottanta.

La Astor, originaria di Cincinnati, dove da bambina sognava di fare la prima ballerina, all'inizio degli anni Settanta era andata a studiare al Barnard College per poi mollare tutto e trasferirsi a San Francisco. Lì aveva conosciuto il regista Eric Mitchell. Tornata a New York nel 1976, si era messa con Mitchell ed entrambi avevano accettato una parte nel film Unmade Beds di Amos Poe. Dopo un bel po' di tempo Mitchell aveva diretto un suo film, e la Astor, insieme a René Ricard, era diventata una delle star di Underground U.S.A. A quel punto aveva perfezionato il suo aspetto: si era decolorata i capelli fino a farli diventare di un biondo platino e aveva strizzato il suo corpo voluttuoso dentro gonna e maglioncino stretti.

Il suo film successivo fu Wild Style di Charlie Ahearn, che ricostruiva la vita dei graffitisti, molti dei quali espose in seguito alla Fun. Lavorava per Stelling, che a quel tempo gestiva un'agenzia per trovare coinquilini. La Astor esponeva già: quando Stelling le propose di aprire insieme una galleria, Futura 2000 aveva già dipinto un murale gigantesco nel suo appartamento nel Lower East Side. Costituirono la nuova società con un capitale di cinquecento dollari che la Astor aveva appena avuto come rimborso dal Fisco14-9. Il primo a esporre nella nuova galleria fu Steven Kramer, artista e tastierista dei Contortionists ed exmarito della Astor. Il secondo fu Kenny Scharf con i suoi nuovi lavori. In breve tempo la Fun espose anche molti dei più famosi graffitisti, incluso Fab 5 Freddy (Bischofberger, interessato a conoscere il mondo dei graffiti, andò all'inaugurazione e interrogò la Astor, che non aveva idea di chi fosse), Futura 2000, Lee Quinones e Dondi White. Dice Fab 5 Freddy:

L'idea di base che stava dietro la Fun era che a loro [i graffitisti, nda] non piacevano le gallerie algide e tranquille dalle pareti bianche. Volevano una galleria che fosse come i loro lavori, un posto dove esporre e vedere gli amici, suonare e ballare. Eravamo una piccola posse. E contribuimmo a far venir fuori l'estetica dell'East Village14-10.

Sei mesi dopo, la Astor e Stelling trasferirono la galleria sulla Decima Est, dove diventò presto oggetto di conversazione per il mondo dell'arte. L'evento che consacrò definitivamente la Fun fu la mostra di Scharf del settembre 1982 in cui venne esposta una serie di tele gigantesche colorate a spruzzo con sopra i personaggi di Hanna-Barbera: versioni stravolte degli Antenati e dei Pronipoti, e una stanza a luci nere che era una versione in miniatura della sua ultima installazione al Palladium.

Ricard vide la mostra come l'emblema di un nuovo movimento. Annunciò che la pittura aveva rimpiazzato il cinema indipendente e «il Rock, sperma della grande Era dei club della seconda metà degli anni Settanta». Scrisse:

La Fun è l'apoteosi di quello che Edit DeAk ha definito «clubismo», e che adesso sta accadendo dentro una galleria d'arte. Patti usa l'arte per fare la star. E adesso sì che è nei guai. È Edie, ma è anche Andy Warhol e… Leo Castelli. In effetti, se ripenso agli anni Ottanta quello che mi ricorderò come apice è l'inaugurazione della mostra di Kenny Scharf, qualche settimana fa alla Fun Gallery di Patti Astor […]14-11.

Quasi immediatamente altre gallerie iniziarono a sbucare fuori nel raggio di dieci isolati, a fianco di ristoranti ucraini e indiani e alle bodegas14-12 del quartiere. Scrisse Kim Levin sul «Village Voice»:

Il mondo dell'arte si schiera con i perdenti, con quei pionieri che cercano di affermarsi contro ogni previsione. È parte del fascino delle gallerie dell'East Village è il loro portare avanti il sogno americano in quello stesso luogo in cui generazioni di immigrati poveri sono sbarcate prima di loro, e dove i gruppetti di beat, hippy e punk battono la ritirata14-13.

Con un comunicato stampa del marzo del 1982, Gracie Mansion annunciava che la sua galleria avrebbe incarnato lo spirito di quel tempo:

Gracie Mansion, Seconda delle Personalità Contemporanee Più Chiacchierate di New York, è orgogliosa di annunciare l'apertura della sua nuova galleria, GRACIE MANSION GALLERY, LOO DIVISION, al 432 della Nona Est, Suite 5, New York City, New York. Gracie ha trasformato il suo wc in una galleria per vedere da vicino i lavori più personali degli artisti della Lower Manhattan. Lungi dall'essere avversa (e tuttavia spinta dalla gelosia) per gli spazi ampi, aperti e ben illuminati, ha scelto uno spazio in cui i potenziali compratori potranno vedere i lavori in un ambiente ravvicinato che corrisponde all'incirca a quello di un appartamento medio nell'East Village.

Come quasi ogni altra cosa a New York, la storia dell'East Village è una storia di un quartiere di immobili a buon mercato che in breve tempo si trasformò da popolare a residenziale. Dice la Mansion:

Quando visitammo i primi spazi, vedemmo un sacco di quei covi di tossici in cui entravamo e trovavamo schermi in plexiglass e vie di fuga sul retro. Era per questo che gli affitti erano così bassi. I proprietari fremevano per trovare qualcuno che li prendesse in affitto e che non li trasformasse in un qualche spaccio di droghe e prostitute. Erano talmente in cerca di inquilini che si erano organizzati tipo cassieri di banca. Riuscivi a rimediare un posto per cinquecento dollari. Che poi, a ripensarci, probabilmente i nostri cinquecento dollari erano pure una rapina.

La galleria era talmente piccola, dice la Mansion che la gestiva insieme al suo socio Sur Rodney Sur, che «se volevo far vedere una tela a qualcuno la dovevamo stendere per strada, e le macchine dovevano girarci intorno». La prima ondata dell'East Village si era già alzata. Raccontò la Mansion che per pagare la sua prima inaugurazione usò duecento dollari avuti come rimborso dal Fisco:

Il fatto è che nell'East Village non ci fu nulla di premeditato. Accadde tutto spontaneamente. Nemmeno sapevo che ci fosse la Fun Gallery. Non sapevamo nulla di quello che c'era sul mercato. Non ne avevamo idea. Ma iniziai a vendere sin dalla prima mostra, e poi erano talmente tanti gli artisti dell'East Village che ci fu come un'esplosione. Tutti facevano arte.

Come era già accaduto con le serate a tema nei club, le prime mostre all'East Village spesso venivano organizzate intorno a una idea singolare e ironica. Le mostre erano talmente improvvisate che quando la Mansion venne sfrattata «portammo tutti i mobili in galleria e chiamammo l'evento Salon Show14-14». La Mansion organizzò anche un Couch Show14-15. Forse il suo evento più celebre fu il Famous Show14-16: un centinaio di ritratti di artisti famosi realizzati da artisti non famosi. La mostra era talmente affollata che il più famoso artista del momento, Julian Schnabel, non riuscì a entrare. La folla bloccò il traffico impedendo agli autobus di passare da St. Mark's Place. La Mansion, che indossava un abito «Pollock» dipinto da Mike Bidlo, passò gran parte della serata a tenere buoni i poliziotti del quartiere14-17.

Nei primi mesi del 1983 c'era già una mezza dozzina di nuove gallerie in zona, incluse, tra le altre, 51X, Civilian Warfare, Nature Morte, Piezo Electric, New Math, Sharpe, Tracy Garett, International with Monument, P.P.O.W. e Pat Hearn. Organizzavano una mostra per qualsivoglia artista morto di fame che viveva nell'East Village e che non era in grado di esporre a SoHo – e anche per alcuni artisti che potevano farlo, ma che preferivano fare marameo al Sistema.

«C'era un che di divertente nel non esporre a SoHo», dice la Olsoff, «e si respirava aria da campus universitari»14-18. Concorda l'artista Freya Hansell: «Fra un ambiente giovane e vivace. Potevi fare o costruire qualsiasi cosa, e alla gente interessava»14-19. Dice Walter Robinson, critico d'arte e pittore che sull'«East Village Eye» seguiva la cronaca di quanto accadeva nell'ambiente: «Per me è stato una specie di lungo party con tutta una folla di nuova gente che ci prendeva in considerazione e non ci trattava da intrusi giovani e incompetenti»14-20. Le gallerie facevano parte di una rete di artisti. Racconta la Mansion:

C'era un forte senso di comunità. Andavamo tutti alle inaugurazioni di tutti e portavamo i collezionisti. Se veniva un collezionista importante o un gallerista, correvamo a telefonare dicendo: «C'è tal dei tali dietro l'angolo». Mi ricordo quando Grace Glueck fece il suo primo grosso articolo sull'«East Village»: quando venne a dare un'occhiata pensava di coglierci di sorpresa, ma ci fu un passaparola da una galleria all'altra in modo da sapere in quale sarebbe passata. C'era parecchia innocenza agli esordi dell'East Village. Eravamo tutti abbastanza ingenui. Io ero veramente convinta di fare un qualcosa di politico, che in qualche modo desse la possibilità alla gente del quartiere di mostrare i propri lavori. Pensavo veramente che quando la gente veniva all'East Village e comprava le opere esposte, lo faceva perché le piacevano sul serio. Non avevo idea che comprassero arte come investimento. Venivano a mendicare per avere un pezzo, e poi, alle aste, i prezzi salivano alle stelle. Fu una cosa dolorosa14-21.

I semi della speculazione che generarono il boom dell'arte degli anni Ottanta erano stati piantati. Arrivati a metà 1983, quando ci fu la seconda ondata del movimento artistico dell'East Village, l'area si era trasformata in una meta ambita da collezionisti, critici d'arte e artisti. Dice la Olsoff:

I collezionisti erano interessati a trovare nuovi e freschi talenti. Avevano i soldi e non temevano il rischio. Le limousine cominciarono a fermarsi lungo le strade. Il fatto che collezionisti importanti scendessero dalle loro macchine quando inauguravamo una mostra cominciò a scatenare gelosie. Ogni gallerista era in grado di raccontarti storie venali di gente che comprava e rivendeva arte senza neanche tirarla fuori dalle casse. Era chiaro a tutti quanto ciò fosse malsano14-22.

«La parola chiave è affare», scrisse Nicolas A. Moufarrege, «laddove l'anno scorso era mostra»14-23.

Il breve invaghimento della stampa per i graffiti era nulla se confrontato alla prosa che sgorgò su Alphabet City. Era impossibile aprire una qualunque pubblicazione con sede a New York – dalle riviste più lette tipo «New York» al «SoHo Weekly News» – senza trovare un pezzo sullo scenario artistico dell'East Village.

E intanto molte delle gallerie si erano allargate in spazi più grandi, con introiti notevolmente maggiori. I proprietari degli stabili dell'East Village fecero in fretta a speculare sull'appena scoperta modaiolità del quartiere, e offrirono contratti a breve termine per il doppio o il triplo del prezzo precedente. Alcuni dei nuovi galleristi, tipo Deborah Sharpe, Tracey Garret e Pat Hearn, avevano grandi ambizioni affaristiche. A novembre lo spazio rinnovato con stile dalla Hearn (spese ventimila dollari per rimetterlo a nuovo) aprì sulla Sesta Est. Due anni dopo si sarebbe spostato in un locale di SoHo sulla Nona Est. Dice la Hearn: «Mi ricordo che contai le gallerie, e passarono da sei a sessanta nel giro di un anno e mezzo»14-24. «Si è creata una gerarchia», commentò Jeffrey Deitch in merito a quel boom, «e si è passati dalla democrazia pura all'oligarchia». C'erano limousine costantemente posteggiate fuori da spazi delle dimensioni di un francobollo, da cui scendevano noti collezionisti come Eugene e Barbara Schwartz che se ne andavano in giro per gli acquisti della settimana. Attraversavano SoHo e l'East Village ogni fine settimana con la loro macchina attrezzata di autista, fermandosi in una dozzina di gallerie per mattina. E non erano i soli: Lenore ed Herbert Schorr, Don e Mera Rubell, S.I., Victoria e Caroline Newhouse, ed Elaine Dannheisser furono tra i primi collezionisti a scoprire l'East Village14-25. Dice Stelling:

Era un ambiente artistico alternativo in cui riuscivi a comprare un quadro per meno di mille dollari. I collezionisti erano sempre a caccia di occasioni. Per la prima stagione organizzammo quattro mostre, e poi ci spostammo sulla Decima Strada. I primi ad accorgersi della galleria furono gli altri artisti. Keith Haring portò Bruno Bischofberger. A stupirmi fu il fatto che la Fun fosse un posto in cui alle inaugurazioni venivano i ragazzi del Bronx e fumavano canne gigantesche accanto alle signore di Park Avenue con macchine e autisti che le aspettavano fuori. Era una specie di terra di nessuno, in cui le persone si rispettavano tra loro e si divertivano. Il giorno dell'inaugurazione della mostra di Kenny Scharf, Estelle Schwartz [una consulente d'arte che non aveva alcun legame con Eugene Schwartz, nda] venne alla Fun Gallery insieme ad alcuni collezionisti. L'allarme sul soffitto prese a suonare e lei si spaventò. Si fiondò sul suo visone, saltò dentro la sua Mercedes, e scappò via. Fu allora che capii che non era una collezionista seria14-26.

A un certo punto il Guggenheim portò il proprio personale a fare un giro. In quella stagione due spazi alternativi – Artists Space e P.S.1 – cominciarono a tenere d'occhio l'East Village14-27. Scrisse Craig Owens su «Art in America»:

Malgrado si sia cercato di considerare le gallerie gestite dagli artisti dell'East Village come diretta discendenza del movimento degli spazi alternativi degli anni Settanta, quanto è stato creato nell'East Village non è un'alternativa, ma una replica in scala ridotta del mercato dell'arte contemporanea – una sorta di impresa junior per i giovani imprenditori della cultura14-28.

Il proliferare di arte e artisti venne seguito da Walter Robinson e Carlo McCormick sull'«East Village Eye». Sul numero dell'estate del 1984 immortalarono lo scenario:

Preso nel suo insieme, lo scenario artistico dell'East Village è talmente tanto «costruito» da sembrare straordinario, un capolavoro del marketing basato su felici coincidenze. Oltre ad avere i propri artisti, il proprio quartiere, la stampa e dei nomi di gallerie singolari, l'East Village ha anche il suo giorno della settimana (la domenica) e una sua architettura da galleria: piccoli monolocali dentro case popolari senza né retro né magazzino […]. E come ambiente l'East Village ha questo: una miscela unica di povertà, Punk Rock, droghe, incendi dolosi, Hell's Angels, alcolizzati, prostitute e alloggi diroccati che si sovrappongo a un ardito allestimento avanguardistico di notevole prestigio.

Chiudevano il pezzo scrivendo che lo scenario artistico dell'East Village «segue lo Zeitgest reaganiano in modo encomiabile»14-29.

Anche Ann Magnuson, manager del Club 57 e veterana dell'East Village, in un articolo di copertina pubblicato sul «New York Times Magazine», si lamentò della «collisione tra sushi e souvlaki che si riscontrava al mercato, influsso degli studenti d'arte bianchi e borghesi sbarcati in un'area colpita dalla povertà. I ricchi patroni dell'arte si spostano da Uptown a Downtown sospesi come spore nell'aria, a caccia di tele e attaccati come funghi su un pezzo di pane bianco in cassetta andato a male»14-30.

Gli stessi artisti contribuirono inconsapevolmente alla trasformazione dell'East Village in zona residenziale: tutto un nuovo mercato di proprietà immobiliari residenziali e commerciali si espanse rapidamente per venire incontro alle esigenze della nuova popolazione in crescita, la nuova politica dei prezzi mandò via i vecchi proprietari – e anche alcuni artisti e gallerie – dal quartiere. Appartamenti che erano stati affittati per poco più di cento dollari adesso erano saliti a 700 o 1.200 dollari. Nel 1983 il Christadora, un antico palazzo abbandonato tra la Nona Strada e Avenue B, era stato venduto per 1,3 milioni di dollari, e l'anno successivo venne rivenduto per tre milioni a un promotore immobiliare che lo trasformò in un lussuoso edificio in co-proprietà14-31.

Lo scenario artistico raggiunse il suo apice tra il 1984 e il 1985, quando nell'East Village si contarono più di settanta gallerie. Entro un anno più della metà, incluse la Fun, New Math e Civilian Warfare, avrebbero chiuso. «C'era un qualcosa in quell'andare per bassifondi che venne meno dopo quattro anni passati a scavalcare spacciatori e bidoni della spazzatura per entrare in una galleria», dice la Olsoff.

E si cominciava già a parlare di un nuovo movimento artistico reazionario, il Neo-Geo, con le sue star, tra cui Peter Halley e Jeff Koons, i cui cinici e gelidi coniglietti cromati non sarebbero stati sovrastati dai graffiti e dal Neoespressionismo ancora per molto. «Le cose erano alla moda per tempi sempre più ridotti», dice la Mansion, «la gente triplicò i prezzi nel giro di tre anni, e poi finì tutto»14-32.

Intanto Timothy Greenfield-Sanders si era appropriato del formato e del titolo della celebre fotografia degli «Irascibili» per la sua immagine postmoderna dell'élite dell'East Village, I nuovi irascibili, pubblicata nella primavera del 1985, che fu più la commemorazione di un momento storico che una testimonianza del momento presente14-33. In segno di protesta per essere stati «scomunicati» dall'East Village, Haring, Scharf e Basquiat, che fino ad allora avevano snobato SoHo, si rifiutarono di sedere insieme ai loro colleghi, e il fotografo si mise d'accordo per immortalarli in separata sede. Ma per una qualche ragione Basquiat non andò alla seduta fotografica.

Sia la Astor che Stelling continuarono a indossare magliette che dichiaravano: «L'originale è sempre il migliore», ma la Fun Gallery quell'estate chiuse, non riuscendo a vendere abbastanza da coprire né le spese dell'affitto – che era salito da 175 a 1.800 dollari – né le esorbitanti spese dei trasporti intercontinentali. La sua morte fu opportunamente commentata da un graffito: qualcuno scrisse con lo spray «No More Fun», 'Fine del divertimento', sopra la vetrina abbandonata14-34. Per cercare di rimediare alle perdite, la Astor allestì una vendita straordinaria dei memorabilia della Fun Gallery, inclusa la segreteria telefonica di Kenny Scharf aggiudicata per quattromila dollari14-35.

«Il più vasto mondo dell'arte ha preso facilmente il sopravvento e sfruttato la situazione», dichiarò Walter Robinson in un'intervista, «prima ha creato l'East Village concedendogli grande attenzione, e poi gli ha proiettato sopra tutti i propri vizi distruggendolo»14-36. L'East Village e molti dei suoi artisti furono vittime del proprio successo.