I diligenti sforzi di Mary Boone nel promuovere Basquiat vennero ricompensati il 10 febbraio del 1985, quando il «New York Times» gli dedicò l'articolo di copertina, con tanto di folgorante foto. Con indosso un completo Armani spruzzato di vernice, l'artista con i dreadlocks troneggiava su una grande sedia, tenendo alto in mano un pennello a mo' di piccolo scettro. Con un piede scalzo appoggiato in maniera disinvolta a una sedia capovolta, la faccia immobile con espressione arrogante, Basquiat sembrava un principe incoronato che disprezzava il suo mondo meraviglioso21-1.
In un documentario della BBC sull'artista, Shooting Star, Kinshasha Conwill, direttore dello Studio Museum di Harlem, osservò:
La fotografia sul «New York Times» è molto efficace perché li dice che in qualche modo […] indossava una maschera I…]. Si ha la sensazione inquietante che sia diventato anche lui azionario di questo suo personaggio stereotipato. Si è vestito come se dovesse interpretare la parte dell'esotico privilegiato. Ha i dreadlocks ed è scalzo, ma porta vestiti costosi in maniera iperdisinvolta e sicura di sé21-2.
Il titolo dell'articolo corrispondeva a quanto detto dalla foto: New Art, New Money. The Marketing of an American Artist. La notte del sabato prima dell'uscita dell'articolo, Basquiat portò Warhol e Paige Powell a cena da Gerard e Nora. Gerard Basquiat ricorda la visita con evidente orgoglio. Jean-Michel e Warhol erano usciti per andare al chiosco dei giornali a comprare tutta una serie di copie. «Avevamo amici a casa e lui se ne stava lì ad autografare le riviste. Fu bello, un momento piacevole. E Andy mangiava»21-3, si vantò.
L'articolo centra la precarietà di Basquiat all'apice del suo successo nel mondo dell'arte, facendo un cinico quadro di un artista che soffriva visibilmente di un'intossicazione da troppo, troppo in fretta. Le eleganti cene da Mr Chow's, dove Basquiat era cliente fisso, le notti in centro con Warhol meticolosamente raccontate dai paparazzi, la stessa presenza di un giornalista del «New York Times» nel suo studio lì a guardarlo dipingere per i posteri, creavano l'immagine di una vita vissuta sotto una lente di ingrandimento mediatica che l'aveva pubblicizzata quasi prima che fosse. Basquiat parlò in maniera onesta dei problemi che aveva con i galleristi. «Non c'è di che essere lusingati [dal fatto che ti corteggino, nda]», disse a Tamra Davis, «oggi sono più i galleristi degli artisti». E in merito alle vicissitudini della sua carriera disse con insistenza: «La gente pensa che mi stia bruciando, ma non è così. Ci sono giorni che non ho una sola idea, e lì penso: "Amico, sono arrivato", ma è solo la mia natura volubile»21-4.
Bischofberger chiese a Beth Phillips di comprare un centinaio di copie della rivista, che, annotò lei all'epoca, «non era esattamente d'arte»21-5. All'inizio Basquiat era elettrizzato dalla pubblicità che gli aveva procurato il pezzo, e dall'immagine di copertina, con quei piedi scalzi che lanciavano al Sistema il tacito messaggio «Fottiti». Ma ben presto l'euforia sparì. Basquiat si lamentò con amarezza del modo in cui l'articolo lasciava intendere che a crearlo erano stati i suoi galleristi. «Come se non mi fossi fatto da me», disse a un amico.
Il crescente disincanto di Basquiat nei confronti del sistema delle gallerie era ormai evidente in ogni cosa che faceva. Per la sua seconda mostra alla Mary Boone Gallery, nel marzo del 1985, l'artista dipinse deliberatamente «noiose e minuscole tele di circa 1,2x1,2 metri, perfette per i collezionisti. Ridipinse tutta quanta la mostra per dispetto», dice Diego Cortez, «e come espressione del suo disprezzo per l'ambiente dell'arte»21-6. La delusione era reciproca. La Boone affermò che a quel punto non si faceva più illusioni sul suo rapporto con Basquiat, che descrive come emotivamente disturbato e – all'età adulta di venticinque anni – come non più nella fase di primizia artistica. Dice la gallerista:
Quando lo rappresentai non era più all'apice della sua creatività, più che altro era a quello della sua celebrità. Fece i suoi lavori migliori quando era con Annina. Le sue opere stavano diventando troppo elementari, e quando fece la sua seconda mostra era diventato veramente pazzo: all'inaugurazione cercò di picchiarmi. Tina Chow dovette separarci. Pensava che stessi boicottando la mostra perché non volevo appendere tanti quadri quanti ne voleva appendere lui. Alla fine facemmo come diceva lui, e il risultalo fu tremendo. Io do sempre l'ultima parola all'artista, ma in questo caso voleva dire avere a che fare con qualcuno che era un malato di mente. La gente non capisce che la tossicodipendenza a lungo termine può farti andare fuori di testa21-7.
Dice Bischofberger:
Mary voleva esporre venti opere, mentre lui ne aveva preparate trenta e volle esporle assolutamente tutte. Alla fine si mise a urlare che sarebbe stato appeso tutto quanto su doppie file. Fu un grave errore. Lei continuava a ripetere: «Mi piacerebbe ritoccare i suoi lavori». E lui: «Come osa pensare di ritoccarli»21-8.
I quadri non erano certamente i migliori di Basquiat: non avevano né la forza né la cura dei suoi primi lavori. I venti pezzi nel catalogo, prezzati a circa ventimila dollari l'uno, includevano Flexible, un ritratto di un uomo nero dipinto su assicelle bianche con le braccia unite come in un manicotto, Wicker21-9, in cui c'era uno scheletro che, insieme a una pianta, sbucava fuori da un cesto, e His Glue-Sniffing Valet, un personaggio dall'aria folle su una sedia a rotelle.
Ma il saggio scritto per il catalogo da Robert Farris Thompson era di fatto estatico:
Straordinario artista afroatlantico, dà colore all'energia dell'arte moderna (di per sé debitrice nei confronti dell'Africa) con le sue trasformazioni di segni e immagini subsahariane, nere e creole. Canta il disegno. Canta il corpo. Li canta in splendide ripetizioni […]21-10.
Ripetizione era la parola chiave. Arrivata a quel punto la vita di Basquiat sembrava essere diventata un loop di energia sempre più negativa, e più successo aveva meno sembrava in grado di gestirlo. E di conseguenza le sue opere stavano diventando un riflesso della sua eroinomania. Eppure l'inaugurazione fu affollata come sempre. Basquiat indossava uno strano cappello Comme des Garçons che sembrava un nido di uccello: la sua versione, forse, di una corona di spine.
Robert Pincus-Witten scrisse della mondanità dell'evento sulla rivista «Arts», cogliendo in pieno la sensazione frenetica di una bolla che stava per esplodere:
Drogato dal proprio stesso mito, Basquiat per l'occasione ha schiacciato i suoi dreadlocks dentro un nido di paglia, indiscutibile metafora dei misteri haitiani qui compressi per divenire efficace spiegazione da catalogo: tutto è impregnato di una tormentata inespressività di chi vorrebbe essere smascherato, mentre il mostro sacro bambino risplende nella stanza di stridente timidezza. Al delirio si è brindato con champagne all'Odeon, con superalcolici all'Area e con una cena preparata da Mr Chow's e servita al loft di Great Jones Street subaffittato da Andy […]. I ragazzi alimentano il glamour e Andy alimenta loro […]. Come Esopo potrebbe ammonire alla fine di una delle sue favole, un artista viene giudicato in base alle persone con cui si accompagna21-11.
Il party sarebbe apparso stravagante a chiunque. «C'erano tutti, da David Byrne a Julian Schnabel»21-12, raccontò Keith Haring. Anche Steve Rubell fu colpito dalle ciotole di caviale belga e disse: «Pensai: "Chi è tutta questa gente?". Sembravano un mucchio di scrocconi»21-13. Dice Brett De Palma:
Fu un grande party. Sembrava fosse il club di Jean. La cosa strana però è che c'era tutta una serie di attività nascoste. Era l'altra faccia del successo di Jean, lo squallore di questi parassiti che cercavano di sfruttarlo21-14.
«L'ultima volta che vidi Jean-Michel fu a quel party», dice Suzanne Mallouk, «e mi ricordo che subito dopo la mostra Mary Boone ci abbracciò e disse: "I miei due arabi preferiti"»21-15.
Se il lussuoso dispiegamento di caviale, champagne e groupie era mirato a celebrarne il successo, l'ambiente in sé era una sorta di parodia delle forze distruttive che operavano nella vita del giovane artista. Orde di gente, fra cui Steve Kaplan che Basquiat detestava da quando a SoHo lo aveva chiamato «negretto», venivano respinte all'ingresso.
Al piano di sopra, seduta sul letto del figlio nel santuario privato, c'era sua madre, che a detta di almeno uno degli ospiti sembrava sedata farmacologicamente. Il padre, che continuava ad essere l'uomo più elegante della città, flirtava con una delle groupie di Basquiat, che minacciò di cacciarlo dal party. Disse Victor Bockris:
Ero in fila per prendere da mangiare accanto a Richard Gere, Julian Schnabel e David Byrne. E due cose mi stupirono. La prima è che mi ricordo di aver ballato come un forsennato insieme ad alcuni meravigliosi gay svedesi, a pochi centimetri di distanza dai dipinti di Jean-Michel che erano appoggiati contro il muro. Nessuno si preoccupava del fatto che non fossero protetti. Restai impressionato dalla sicurezza di questo tizio. Era come se fosse invulnerabile. Potevi pure andare a finire contro un quadro, e lui l'avrebbe semplicemente ridipinto. La seconda è che, nel bel mezzo del party, andò via sbattendo la porta. Quando tornò era evidente che era fatto. Era su di giri, seduto su una panca vicino alle scale. Andai da lui e gli dissi che era un party bellissimo. Ma il suo atteggiamento era strano e così gli dissi: «Sembri uno che è stato tradito». E lui: «L'hai detto. L'hai proprio detto». Quanto in alto puoi arrivare? Eppure Jean restava sempre un infelice21-16.
A quel punto la relazione di Basquiat con la Boone era irrimediabilmente in rotta. Bischofberger, che da Zurigo, a distanza di sicurezza, riusciva a risparmiarsi molte delle sfuriate selvagge dell'artista, racconta i problemi all'ordine del giorno. Il divario sempre più profondo tra i progetti di Basquiat e quelli dei suoi galleristi non sarebbe potuto essere più evidente:
Mary gli mandava un camion e Jean-Michel non si faceva trovare. Non faceva altro che sbucare all'improvviso in galleria facendo domande e chiedendo aiuto. Oppure vendeva un quadro a Eli Broad, e poi glielo chiedeva indietro perché così poteva dipingerci sopra21-17.
Tra l'avarizia di Bischofberger e la compulsività della Boone, Basquiat si ritrovò spesso al centro di una gara di tiro alla fune. La Phillips doveva costantemente arginare la Boone che era comprensibilmente ansiosa di vedere i lavori dell'artista preso su consiglio di Bischofberger. Doveva pure calmare le acque quando le cose con Basquiat diventavano ingestibili, come testimonia un messaggio telefonico delirante lasciato dalla Boone: «Jmb non sa trattare con la gente. Non sa fare affari. Si è creata una situazione imbarazzante. Mary è furente. Assolutamente sconvolta da quanto è accaduto».
A un certo punto, in base a una nota indirizzata al collezionista Heiner Bastion che in data 30 aprile 1985 Bischofberger dettò a Beth Phillips, Basquiat riuscì ad arrampicarsi dentro un camion e a trafugare uno dei suoi quadri, cosa che a quanto pare faceva ogni volta che ne aveva occasione:
Caro Signor Bastion, la prego di accettare nuovamente le mie scuse per lo spiacevole inconveniente. Credo che la colpa sia dell'artista, Jean-Michel Basquiat, che ha fatto lo «scherzetto» di prendere il quadro dal camion e riportarlo nel suo studio. Con Jean-Michel sono cose che capitano regolarmente […]21-18.
Nel mentre Basquiat riceveva grosse somme di denaro, dovunque si trovasse. A febbraio gli vennero inviati 25mila dollari, e subito dopo gliene vennero inviati ancora 40mila a Maui, alle Hawaii. Il 15 aprile del 1985 la Phillips spedì a Basquiat 5mila dollari al Royal Regent Hotel di Hong Kong, dove era andato in vacanza con il ristoratore Michael Chow. Un secondo vaglia di 10mila dollari gli venne fatto subito dopo all'Ambassador Hotel. L'assistente di Basquiat, Shenge, chiamò il 21 aprile per chiedere che venissero inviati altri soldi all'artista. A detta della Phillips, quando Basquiat era a New York riceveva almeno cinquantamila dollari a settimana21-19.
Infine Basquiat pregò Bischofberger di dire alla Boone che non voleva più stare nella sua galleria:
Disse: «Non posso restare ancora con la Boone, nel senso che mi sta facendo diventare completamente matto». E così ebbi l'onore di chiamare Mary e di dirle che Jean-Michel voleva restare soltanto con me. Per lei non fu una tragedia colossale. Per certi versi era contenta di liberarsene21-20.
Per quanto la Phillips descrivesse la relazione artista-gallerista come «fuochi d'artificio sulla Lower Manhattan», più che con un botto finì con un amaro piagnisteo. Dice Jennifer Goode: «Smisero di parlarsi. Lui smise di risponderle al telefono e altrettanto fece lei. E poi lui se ne andò»21-21. «Una volta andai da lui e c'era un telegramma di Mary», ricorda Tony Shafrazi, «e gli chiesi perché non le rispondeva. Mi disse che l'avrebbe fatto. Si sentiva veramente aggredito da tutti quei galleristi»21-22. Lo stesso artista fece delle spietate osservazioni sulla gallerista in un'intervista rilasciata poco prima di morire. Malgrado un tempo l'avesse considerata «meno avida degli altri galleristi», in quell'occasione disse:
Mary non si è mai entusiasmata per la mia carriera. Non ha mai fatto in modo che un museo si interessasse alle mie opere. Non ha fatto niente di niente per me. Non riesco nemmeno più a parlarle senza che finisca in una gara a chi urla più forte. E questo perché credo che sia veramente disonesta. Nel vero senso della parola. Non è sincera… Penso sia brillante, anche se non la definirei intelligente. Ha mandato in rovina la sua galleria. Ne ha abbassato il livello mettendosi in società con un altro tizio [l'ex-marito della Boone, il gallerista tedesco Michael Werner, nda]. Era una buona galleria americana. E adesso non lo è più21-23.
A detta della Boone, Basquiat riceveva in cambio delle vendite uno stipendio di circa un milione di dollari all'anno.
Fece all'incirca un milione e quattrocento dollari nella sua fase di maggiore successo. Era estremamente prolifico, e se ti ricordi quello era il momento in cui si vendeva anche il più piccolo pezzo di carta di praticamente qualunque artista»21-24, dice (ma Bischofberger si ricorda che la cifra era quasi la metà di questa).
C'era anche una serie di extra: i galleristi pagavano a Basquiat le spese degli alberghi, che non gli venivano poi messe in conto. «Gli pagammo per tre mesi una suite al Ritz Carlton che costava mille dollari al giorno»21-25, racconta la Boone. Malgrado abbia svolto un ruolo importante, la Boone non si fa scrupoli nell'etichettare il fenomeno Basquiat:
Tutto quello che accadde negli anni Ottanta ebbe a che fare con l'avidità e la velocità. E la realtà è che l'arte diventò metafora perfetta degli anni Ottanta. Sai di che parlo: lusso, glam, entrate disponibili, eccessi. E così Basquiat come artista finì per rappresentare gli anni Ottanta ancor più di Schnabel21-26.
Nel maggio del 1985 sulla Quarantesima aprì al suono della fanfara un nuovo club, il Palladium. Il nuovo colpo dei fondatori dello Studio 54, Steve Rubell e Ian Schrager, che avevano appena finito di scontare la pena per evasione fiscale in una struttura di minima sicurezza a Montgomery, in Alabama, divenne il tempio della boria anni Ottanta21-27. Disegnato dall'architetto giapponese Arata Isozaki, lo spazio spettacolare e a più piani combinava sfarzosi spettacoli e stile trendy e di Downtown: un mix ostentatamente hi-tech di Studio 54 e Area. Un soppalco in cima a una parete di pannelli di vetro che si illuminava a tempo con la musica sovrastava la gigantesca discoteca. Potevi perderti in un alveare di bar, salottini e angolini nascosti. Poi c'era l'elitaria Micheal Todd Room, dove era possibile trovare chiunque, da Boy George a Laurie Anderson, lì a tenere a corte.
Schrager e Rubell si erano assicurati che nel progetto rientrasse anche l'ultima novità degli anni Ottanta: l'arte. Il loro curatore era, come c'era da aspettarsi, Henry Geldzahler. A Kenny Scharf venne data carta bianca per un box che era al piano di sotto, dove tutto, dai bagni alle cabine del telefono, venne trasformato in cartoni animati fluorescenti e tridimensionali. A Keith Haring, Francesco Clemente e Julian Schnabel venne chiesto di dipingere le pareti della Michael Todd Room. La stessa cosa fu chiesta anche a Basquiat21-28. «Più artisti rimediavi più credibile diventavi, e potevi sfruttare la cosa», disse Schrager alla rivista «New York»21-29.
Basquiat aveva incaricato la sua amica Nancy Brody di lavorare per lui per cinquanta dollari al giorno. E lei aiutò Basquiat a dipingere la parete dietro il bar:
Era terribilmente in ritardo al Palladium, e Ian Schrager fu molto gentile. Quando Jean si fece vivo con ore e ore di ritardo, cominciò a dirmi cosa dovevo fare e io mi misi a dipingere meccanicamente. Mi diceva: «Questo fallo rosso, blu, o bianco». Lavorava con un pennello lunghissimo, e dipingeva da fotocopie che aveva fatto fare nella copisteria Todd's. Fece un disegno gigantesco. E ci mise un sacco di energia21-30.
Dentro il murale c'era una gigantesca immagine dai colori vivaci di una maschera messicana di dragone che Basquiat aveva già disegnato spesso prima di allora e che si stagliava su uno sfondo ricoperto da strati di numerose piccole immagini.
Il club aprì il 14 maggio, scenario folle per ogni abitante di Downtown e giornalista di tendenza che si rispettasse. «Il Palladium è dove Uptown incontra Downtown. E gli artisti sono le rockstar degli anni Ottanta», disse Rubell a un giornalista televisivo. Andy Warhol se ne stava relativamente al riparo sul soppalco, facendo Polaroid della nascita di un nuovo scenario. «La verità è che questo è il suo ambiente. Qui l'arte sembra straordinariamente a proprio agio», scrisse Calvin Tomkins sul «New Yorker». Chiamò Basquiat «il Wunderkind del Neoespressionismo», e aggiunse:
I due murali di Basquiat non solo sono più grandi di qualunque cosa abbia mai fatto ma sono anche la sua cosa migliore. Con un più energico uso del colore, strutturati in maniera più intelligente, più onesti nel riconoscere il loro debito a Cy Twombly e a qualche altro artista della vecchia guardia. Come il grande fondale di Keith Haring, i Basquiat sono l'ideale per l'ambiente che li circonda. Sono all'altezza della musica hard-rock, delle luci, delle file di schermi, dell'architettura e della folla di gente meravigliosamente bardata che è riuscita a entrare. Inaugurano inoltre uno standard di Disco Arte, una nuova forma il cui momento è ovviamente arrivato21-31.
Ma al di là dell'aspetto sfarzoso, la Brody, che insieme al fratello di Shenge, Shagzy, lavorava a Great Jones Street come assistente di Basquiat, ricorda che a quel tempo l'artista era sempre fatto e conduceva una vita da zombie:
Jean-Michel dormiva tutto il giorno e Shagzy andava lì a farsi grosse canne. Shagzy costruiva i telai e preparava le tele. Era una specie di bambino che aspetta che si svegli la mamma per poter giocare. Jean-Michel si svegliava tardi, veniva giù e preparava i waffles. Andava da Dean & DeLuca a fare compere, si faceva di droga, guardava un film. La Tv era sempre accesa. Ascoltava tutto il tempo dischi, dal Jazz a Maria Callas. Ho ancora un secchio di vernice che mi regalò. Le pressioni che arrivano insieme al successo sono talmente tristi21-32.
Il modo di fare di Basquiat, sempre eccessivo, diventava sempre più incontrollabile. Non c'era nessuno che tenesse in mano le redini. Tutti quanti, dagli assistenti ai collezionisti, alle amanti, almeno in quel momento, erano semplici spettatori.