La mostra delle collaborazioni Warhol-Basquiat alla Tony Shafrazi Gallery, nel settembre del 1985, segnò un ulteriore punto di svolta nella sempre più misera vita dell'artista. Riportò in vita tutti gli spettri che avevano tormentato Basquiat, come fossero altrettante immagini dipinte di scheletri inquieti: dalla sua incapacità di far durare qualsivoglia tipo di rapporto, alla sua problematica gestione della celebrità.
Era la coppia più in vista del momento: Warhol e Basquiat, il più famoso artista bianco e il più famoso artista nero. Avevano realizzato delle buone serigrafie e dei lavori fotografici anche migliori, e la loro sfarzosa vita sociale, da Mr Chow's all'Area, veniva ossessivamente riportata dai media, dalla pagina sei del «Post» al domenicale del «New York Times». Del loro rapporto Geldzahler disse:
Ritengo fosse meraviglioso. Andy si era seriamente preso la responsabilità di avere un protetto che era un genio. E Jean forse vedeva in lui una specie di padre, perché quella che frequentava era una star internazionale, e di conseguenza anche lui lo era. Era splendido. Beneficiavano l'uno dell'altro23-1.
I due artisti posarono insieme, come è noto, per la locandina della mostra, fotografati da Halsband, che li ritrasse in tenuta Everlast – senza alcuna ironia – con boxer e guantoni da pugile. Warhol portava un dolcevita nero, Basquiat era a torso nudo, e mostrava la cicatrice irregolare nel punto in cui gli era stata asportata la milza. «Lui era bianco che più bianco non si può e Jean-Michel era nero che più nero non si può. Era un incontro di boxe, un incontro, ma insieme erano all'opposto l'uno dell'altro», dice il fotografo della Factory Christopher Makos. «C'è un qualcosa di essenziale in quella foto»23-2.
L'invito per il party organizzato per l'inaugurazione della mostra, il 14 settembre al Palladium, ritraeva i due sfidanti in una posa anche più esplicita: Warhol che languidamente molla un sinistro contro la mascella di Basquiat, e sulla faccia del giovane artista una smorfia di dolore. Già prima dell'inaugurazione Warhol capì che Jean-Michel avrebbe reagito male. 12 settembre:
Ha chiamato Jean-Michel e io sto trattenendo il fiato in vista della grossa lite che attaccherà con me appena prima della mostra dei nostri quadri in collaborazione alla Shafrazi Gallery23-3.
Forse lo fece per prevenirlo, ma anche Warhol prese le distanze. L'inaugurazione, annotò nei suoi Diari:
[…] era pienissima. […] Io indossavo la giacca Stefano con il dipinto di Jean-Michel sulla schiena, ma ho deciso che non posso portare cose strane. Sembro uno squinternato. Voglio attenermi al classico nero23-4.
Evidentemente era arrivato alla conclusione che promuovere il suo protetto non aiutava più la sua immagine. La locandina documenta accuratamente la fine del rapporto, anche se fu Basquiat a tagliare i ponti. Quando vennero esposte le collaborazioni, i due si parlavano a stento. Shafrazi, Warhol e Basquiat appaiono in un video girato durante la mostra. «Penso che dovresti darci una bella strizzata», dice Basquiat a Shafrazi. Ma né lui né Warhol sembrano essersi accorti di essere nella stessa immagine23-5. In seguito Keith Haring scrisse un agiografico saggio per un catalogo:
Jean-Michel e Andy appartenevano a generazioni diverse e ad ambienti sociali diversi. Avevano uno stile pittorico estremamente diverso e un'estetica che lo era altrettanto. Erano a diversi livelli delle loro vite e a diversi livelli del loro sviluppo. L'unico tratto fisico comune erano i capelli. Eppure, in qualche modo, trovarono un terreno comune e stabilirono una relazione sana. Le loro personalità si completavano reciprocamente. Jean era aggressivo e imprevedibile, mentre Andy era timido e garbato. Jean aveva la faccia tosta di fare qualunque cosa gli venisse in mente e dovunque gli venisse in mente di farla, e Andy adorava stare a guardarlo. Era un meraviglioso esempio di dare e prendere che rendeva possibile a entrambi esaudire i propri desideri […]. I quadri erano la prova fisica dell'armonia che esisteva al di là delle tele23-6.
Ma gli irriverenti scarabocchi di Basquiat sulle prevedibili icone di Warhol raccolsero critiche pressoché unanimi. Un'opera – una natura morta di maionese Hellmann's, noccioline Planters e salsa di mele Mott's, con spettrali imitazioni di marmellata d'arancia, gelatine Jell-O e piselli in scatola – illustrò a perfezione il trionfo della confezione sulla sostanza. Scrisse Eleanor Heartney su «Flash Art»:
La mostra offre lo spettacolo del più celebre cinico d'America all'opera insieme al «bambino selvaggio» dell'arte contemporanea, che, ci viene detto, incarna l'energia bruta e primaria della giungla urbana. E come spettacolo è curioso. Ancora una volta Warhol si rivela essere a modo suo un Re Mida, dato che tutto quello che tocca diventa banale. Le immagini «autentiche» di Basquiat – le sue coraggiose figure e il suo arrabbiato scrivere a mano – così come i Grandi Temi della vita, della morte, dell'avidità e della lussuria che la mostra appositamente affronta, sono tutti rappresentati in scatola come la celebrata zuppa di Warhol […]. Questa collaborazione unisce due esemplari di persona attentamente costruita. Il vero problema qui è: chi sta usando chi23-7?
Forse più cattiva è la recensione di Vivien Raynor sul «New York Times»:
L'anno scorso avevo scritto che Jean-Michel Basquiat aveva le carte in regola per diventare un bravo pittore, a condizione che non soggiacesse a quelle forze che volevano farne una mascotte del mondo dell'arte. Quest'anno pare che tali forze abbiano avuto la meglio, dal momento che adesso Basquiat è alla Tony Shafrazi Gallery […] a danzare un pas de deux con Andy Warhol, mentore che lo ha aiutato nella sua ascesa alla celebrità. A dirla tutta quella a cui stiamo assistendo è una variante della storia di Edipo: Warhol, uno dei Papi del Pop, dipinge – si direbbe – un logo della General Electric, o un titolo del «New York Post» o un'immagine della sua dentiera. A quel punto il suo protetto di venticinque anni aggiunge o leva qualcosa facendo uso del proprio repertorio più o meno espressionista […]. La collaborazione sembra più che altro una delle tante manipolazioni di Warhol, che sembra mettere sempre più in pratica le teorie di Mencken, secondo le quali non si sbaglia nel sottovalutare l'intelligenza del pubblico. Basquiat, nel mentre, si rivela essere una spalla troppo compiacente. Come suggerisce lo spirito della locandina della mostra […] il verdetto è: «KO tecnico per Warhol al sedicesimo round»23-8.
Warhol capì all'istante che la critica aveva messo definitivamente KO la relazione con il suo giovane protetto. 19 settembre 1985:
Mentre eravamo all'Odeon ho chiesto il giornale e sul «Times» di venerdì ho visto un grosso titolo «Basquiat e Warhol in pas de deux» e ho letto una sola riga, che Jean-Michel era la mia «mascotte». Oh Dio23-9.
20 settembre: «Gli ho chiesto se era arrabbiato con me per quella recensione in cui l'avevano definito la mia mascotte e lui ha detto no»23-10. Anche se poi ammise di esserlo con Halsband:
All'inaugurazione della mostra da Tony Shafrazi Jean-Michel era assolutamente tranquillo. Il giorno dopo io e lui andammo all'Odeon per il brunch. Era fuori di testa per l'articolo in cui veniva accusato di essersi lasciato manipolare da Andy. Jean era… così infuriato. Era talmente arrabbiato con Andy23-11.
Basquiat, sempre incostante con la gente che amava, e terribilmente sensibile quando veniva criticato, reagì all'istante mollando Warhol. In una nota scritta sul diario più o meno un mese dopo, Warhol si lamentò della sua assenza. 14 ottobre 1985:
E, oh, ieri Jean-Michel mi è mancato moltissimo. Gli ho telefonato e o era freddo o era fatto. Gli ho detto che mi manca moltissimo. Lui vede spesso Jennifer Goode, e penso che quando romperanno sarà di nuovo disponibile23-12.
Per la fine di novembre il pas de deux di Warhol con Basquiat sembrò essere del tutto terminato. 24 novembre:
Jean-Michel non mi chiama più da un mese, quindi credo sia davvero finita. Era andato alle Hawaii e in Giappone, ma adesso è a la, quindi penseresti che potrebbe chiamare. […] Riesci a immaginare essere sposati con Jean-Michel? Da stare sulle spine per tutta la vita23-13.
Le collaborazioni provocarono una rottura anche peggiore con Bischofberger. Basquiat pensava che sarebbe stato pagato con un forfait di cinquecentomila dollari. Bischofberger invece cominciò a centellinargli il compenso in stipendi mensili. Basquiat si lamentò aspramente dell'accordo in un'intervista rilasciata ad Anthony Haden-Guest: «Bischofberger. Oh Dio! Mi deve mezzo milione di dollari […] e sta cercando di pagarmi con rate da diecimila dollari al mese per i prossimi vent'anni […]. Deve avermi preso per scemo o non so cosa»23-14.
Subito dopo, in base a quanto riportato nei Diari, anche la relazione con la Powell si concluse ufficialmente. 8 dicembre:
Ha telefonato Paige che pensa di andare in un posto di Uptown per una terapia di cioccolato-dipendenza, una cura che fanno gli eroinomani. E ha detto che finalmente ha superato del tutto la cosa di Jean-Michel. Le è successo alla sfilata di Comme des Garçons, ha detto che lui sembrava uno scemo mentre sfilava sulla passerella e che a lei in quel momento è finalmente passata23-15.
La Powell ricorda l'ultima volta che vide Basquiat:
Ero con Chris Stein, Debbie Harry, Tama Janowitz e Steven Sprouse. Jean-Michel prese Tama per un braccio e le disse: «Fanatica!». Era arrabbiato perché suo padre s'era fatto fotografare per il suo libro Un cannibale a Manhattan. E anche Steven la prese per un braccio e disse: «Andiamocene». E così ce ne andammo al Nirvana Club. Ma Jean-Michel salì sul taxi con Debbie. Poi quando scese tirò fuori una scatola a molla con un pollo, che era una cosa tipica da lui, nella routine del «ragazzo nero divertente». Era talmente infantile. Seduti al tavolo eravamo dieci all'incirca, tra cui anche Iggy Pop e David Bowie, e Jean-Michel tirò fuori un pugno di monete cercando di fare dei giochi di prestigio. Continuava a guardarmi, limitandosi a fulminarmi con lo sguardo23-16.
La luna di miele a tre era finita, ma Basquiat e Warhol continuarono a vedersi di tanto in tanto. Il 22 dicembre di quell'anno, per il compleanno di Basquiat, Warhol lo stupì regalandogli una parrucca sotto vetro. Dice la Powell:
In quell'anno e mezzo prima che Andy morisse provarono realmente ad allontanarsi. Posso attribuirlo alla pessima recensione uscita sul «New York Times» a proposito della mostra che fecero insieme. Fu quello il momento in cui, in un certo senso, tagliò i ponti con Andy23-17.
Non sorprende che la relazione della Powell con Warhol migliorò di colpo.
L'influenza di Warhol su Basquiat è complessa. Fu il consenso di Warhol a consacrare definitivamente il successo di Basquiat. Ma malgrado avesse bramato tale celebrità per tutta la vita, Basquiat non aveva né la maturità né la natura per gestirla. Aveva visto in Warhol un padre, ma lui, malgrado il suo affetto per l'artista, non era in grado di esserlo. Eppure il fatto stesso che Warhol lo assecondasse fornì a Basquiat quell'approvazione di cui era disperatamente alla ricerca. E fu Basquiat, e non Warhol, che infine tradì l'amicizia voltando le spalle all'altro nel momento in cui la loro unione non fu più ben vista dalla stampa. Rinnegare Warhol fu un tragico esempio della sua incapacità di tenere in piedi le relazioni, soprattutto quelle dalle quali era più coinvolto. Lì dove non riusciva ad allontanare la gente con il suo carattere impossibile, la scaricava su due piedi.
E, malgrado il suo amore per Warhol, Basquiat non imparò da lui la cosa più importante. Subì il fascino dell'essere artista, ma Warhol era un uomo d'affari. Anche se Basquiat lo idolatrava per aver rivoluzionato il senso dell'essere un artista di successo, non adottò mai la sua filosofia di vita.
Warhol considerava l'arte, prima di tutto e più di ogni altra cosa, un commercio. «Essere bravi negli affari è la forma d'arte più affascinante»23-18, scrisse nella Filosofia di Andy Warhol. I suoi valori erano più simili a quelli di Gerard Basquiat che a quelli che Jean-Michel riconosceva o era in grado di capire. Fu solo dopo essere diventato famoso che Basquiat iniziò a rendersi conto, più che altro con disperazione, che per galleristi, collezionisti e anche amici i soldi venivano prima di tutto, che il mondo dell'arte era prima di ogni altra cosa un mercato che funzionava secondo le leggi della domanda e dell'offerta. Avendo di fatto evitato ogni altra regola del Sistema – dal prendere un diploma scolastico al prendere la patente di guida, al pagare le tasse – si ritrovò intrappolato nei meccanismi di un'industria che poteva competere con Wall Street in quanto a insider trading, giochi di potere e corruzione.
Quelli che erano vicini a Warhol discussero dei meriti di quella relazione. Dice Victor Bockris:
A mio avviso Andy fece del bene a Jean-Michel. Per un po' fu come una bella dose sparata in vena. Si prestò per fargli pubblicità. Me lo ricordo lì, davanti alla vetrina della Mary Boone Gallery. Fu sotto i suoi auspici che in città si iniziò a brindare a Jean-Michel. Dovunque andavi c'erano Jean-Michel e Andy. Erano una coppia favolosa, una grande coppia. L'idea che Andy abbia distrutto Jean-Michel è una stupidaggine23-19.
Anche se il documentarista del mondo dell'arte Emile de Antonio disse a Bockris:
Andy si comportava come un vecchio innamorato di una giovane donna difficile. Era chiaro che Andy sarebbe stato liquidato a un certo punto se non fosse riuscito a distruggere Jean-Michel. […] Molti pensavano che fosse Jean-Michel a dominare Andy […] e che lui fosse solo una vittima. Ma a me pareva il contrario. Giunsi alla conclusione che la prima mossa di quel rapporto assolutamente perverso l'avesse compiuta Warhol23-20.
Christopher Makos vede la relazione come un ulteriore esempio di «lesbismo vampirico». Dice Makos:
Fu una marchetta per entrambi. Non me ne frega niente del fatto che si dica quanto fosse fico Jean-Michel. Era furbo abbastanza da sapere che prendendo quella strada sarebbe diventato un grande e famoso artista pop, così come Andy era furbo abbastanza da sapere che era la migliore e la più efficace delle trovate possibili. Fu come quando Elizabeth Taylor e Malcolm Forbes iniziarono a farsi vedere in giro insieme. Cioè: lei aveva tra le mani un miliardario e lui si beccava un'attrice famosa. Questo tipo di relazioni sono il massimo nell'ottica delle pubbliche relazioni. E la loro era una dinamica del genere, era un'amicizia basata sull'opportunismo. C'era tutto un gruppo specializzato nella sofisticata arte dell'usarsi reciproco. E Andy ne fu l'istigatore. Fu per tutti quanti un maestro su come farlo al meglio. Non doveva fare altro che mettere sotto la sua ala le cose e queste diventavano favolose23-21.
Basquiat andò a finire dritto dritto tra i miti della già assestata cultura giovanile di Warhol. Dotzon Rader aveva già scritto del suo perverso ruolo di Pifferaio Magico anni prima. In un articolo pubblicato nel 1984 su «Esquire» e intitolato I bambini di Andy muoiono presto aveva scritto:
È come un capo scout troppo permissivo che dà l'erba ai ragazzi e poi di notte ignora i suoni che vengono dalle loro tende. Warhol è una figura paterna per i ragazzi che gli stanno intorno, ma non ne è all'altezza. Ascolta e guarda, ma per loro non riesce mai a tirare fuori più di un «Ah davvero?». E così, questa generazione di bambini abbandonati dai genitori, psicologicamente se non fisicamente, corre da lui che presta loro attenzione […] ed è ansiosa, sessualmente confusa, annoiata, sola e vorrebbe tanto non esistere23-22.
Ma mentre Warhol attraeva fatalmente chi voleva morire, dal canto suo era aggrappato tenacemente alla vita in tutto il suo materialistico splendore. Dice Bockris:
Andy era dipendente dai soldi, dalla fama e dal successo. Ma Jean-Michel dipendeva da cose più immediate. La fine della loro relazione fu determinata più che altro dal fatto che Jean-Michel prendeva tutta quell'eroina. Andy non voleva avere niente a che fare con un tossico, perché i tossici muoiono. Era già successo con Edie Sedgwick23-23.
Warhol, iperconsapevole della propria immagine, sapeva esattamente cosa stesse succedendo. Scrisse in Pop:
Ogni tanto qualcuno mi accusava di essere cattivo, di lasciare che la gente si distruggesse mentre io stavo a guardare, filmavo, registravo. Ma io non mi consideravo cattivo, solo realista. Fin da piccolo ho imparato che ogni volta che diventavo aggressivo e dicevo a qualcuno cosa doveva fare, non succedeva niente. Non ci sapevo proprio fare. Ho imparato che in realtà si ha più potere quando si sta zitti, perché così almeno c'è la possibilità che gli altri comincino a dubitare di se stessi. Quando sono pronte, le persone cambiano, non prima, e a volte muoiono prima di arrivarci23-24.