Deperibile

Quasi tutti i tossicomani hanno un aspetto più giovanile della loro età. Gli scienziati hanno eseguito di recente esperimenti con un verme che sono riusciti a far decrescere evitando di somministrargli il cibo. Mediante questi decrescimenti periodici che implicavano uno sviluppo costante, la vita del verme è stata prolungata indefinitamente. Forse, se l'intossicato potesse mantenersi in uno stato costante di disassuefazione, vivrebbe fino a un'età fenomenale.

WILLIAM S. BURROUGHS, La scimmia sulla schiena24-1 

I lavori di Basquiat continuavano a vendere, ma alla fine del 1985 il pittore era sparito di scena. Una volta rotti i ponti con Warhol, era scomparso dalle colonne dei gossip. Si era isolato nel loft di Great Jones Street, rinchiudendosi con Jennifer Goode in un guscio di eroina che si schiudeva di tanto in tanto per un viaggio all'estero: uno a Tokyo, uno a Los Angeles e uno in Costa d'Avorio.

L'artista aveva capito che il suo momento era finito. «La gente ha un'attenzione a cortissimo raggio», avrebbe detto in seguito ad Anthony Haden-Guest, «ogni sei mesi o ogni anno cercano un nuovo artista, il che è impossibile. In un secolo ci sono solo venti artisti validi»24-2. In un'intervista con Geoff Dunlop, regista di un documentario della HBC sull'artista intitolato Shooting Star, Basquiat parlò della sua fama transitoria:

Vai nei ristoranti e ne scrivono alla pagina sei del «Post». Voglio dire, sono sicuro che in parte è anche divertente, ma in parte fa girare le palle. Mi piacerebbe riuscire ad essere lasciato un po' in pace, senza essere portato su e giù come fanno per la maggior parte del tempo24-3.

Seguì un'indimenticabile scambio di battute. Dunlop dice: «A volte possono pure voltarti le spalle, no?». A Basquiat trema il mento mentre risponde: «Oh, quello lo fanno sempre. Non mi viene in mente nessuna grande celebrità a cui non l'abbiano fatto». «A te le hanno voltate?», chiede Dunlop. «Ogni tanto», dice Basquiat, e intanto la camera si sofferma sulla sua espressione di dolore intenso. «Ogni tanto», mormora tra sé e sé24-4.

In ottobre DeKnegt venne incaricato di organizzare un trasporto delle opere di Basquiat, incluso un ritratto di Larry Gagosian, nella nuova galleria di Gagosian sulla Ventitreesima Strada. Il lavoro degenerò in una grande zuffa. DeKnegt, all'epoca eroinomane anche lui, dice di aver visto Basquiat prendere regolarmente dei taxi per andare a comprare droga all'East Village. «Diceva al tassista di aspettarlo mentre andava a comprarla. Ero veramente infuriato con lui, e non facevo altro che urlargli: "Porca puttana, finirai per morirci!"»24-5.

A dicembre Marcia May diede un party per i venticinque anni di Basquiat al Mortimer's, un posto che lui doveva detestare. Fu una serata tetra e alienante. «Jean-Michel era in ritardo, e pensavo avesse trovato strana l'idea di venire al Mortimer's», dice la May, «quando non era nel suo ambiente diventava timidissimo»24-6.

Tra gli invitati c'erano Andy Warhol, Malcolm Morley (con cui Liz Taylor aveva una storia, e la cui presenza era stata espressamente richiesta da Jean-Michel), la collezionista Maggie Bult, Baby Jane Holzer e Tina Chow, il cui regalo era stato un vasetto di caviale. Warhol regalò a Basquiat una raccolta di dischi rhythm'n'blues. La May e suo marito, Alan, gli regalarono un cappello Stetson fatto su misura (che avrebbe lasciato nella macchina di un amico una settimana prima di morire). Jennifer Goode e suo fratello Eric furono invitati, ma non andarono.

Dopo pranzo Basquiat e Warhol andarono da Bloomingdale's, dove Jean-Michel aveva intenzione di fare un buono acquisti da tremila dollari da regalare alla madre. Ma quando prese la sua American Express Gold gli vennero chiesti i documenti. E anche se era in compagnia di uno dei più celebri artisti del mondo, Basquiat venne trattato con un misto di razzismo e sospetto24-7.

Se Basquiat era grato alla May per le sue attenzioni, aveva un modo perverso di dimostrarlo. La May gli aveva commissionato un quadro per la figlia, Alexandra. «Voleva che posasse a seno nudo. Lei logicamente non lo fece, ma lui la dipinse ugualmente così»24-8, dice la May, che in quel caso inorridì e chiese a Basquiat di «aggiustarlo un po'». Basquiat si offrì di restituirle i soldi, o di darle un altro quadro. Ma la May seppe in seguito che il quadro era stato venduto in Giappone. Michael Halsband ricorda diversamente l'episodio:

Mi trovavo da Jean-Michel quando arrivò Marcia e chiese di vedere il quadro. Lui le disse che non era ancora finito, e tirò fuori un quadro di un Ciclope con un occhio solo e le lette di fuori. Era un'immagine buffa, ma non era assolutamente il ritratto di una ragazza. Lo girò verso di me dicendo: «Trovi che ci somigli ad Alex?». Marcia gli aveva già dato dodicimila dollari d'anticipo, e volle indietro i suoi soldi24-9.

Mezz'ora dopo Halsband incontrò Basquiat da Indochine. «Mi fece vedere un disegno e mi chiese di consegnarlo a Marcia»24-10. Basquiat aveva disegnato un fiore storto con sopra scritto il nome Alex May, che aveva barrato. A detta di Halsband aveva decorato il disegno con una litania di parole che più o meno riassumeva quelli che erano i suoi sentimenti per la sua patrona texana: «Sputo bavoso, feci, piscio». Dice Halsband: «"Qui non c'è niente da guadagnare, niente da guadagnare", e tutta una serie di cose così. A quel punto chiamai Jean e gli dissi che Marcia non l'aveva voluto»24-11.

Dopo la morte di Basquiat i due litigarono per il disegno. La May insisteva sostenendo che fosse una quadro importante per sua figlia, e offrì in cambio un disegno a colori senza firma. Halsband rifiutò. Basquiat ne sarebbe stato contento, si era sempre lamentato amaramente del fatto che i suoi amici vendessero i lavori che regalava loro. Il ritratto di Alex finì all'asta da Christie's nella primavera del 1997 con il titolo Jewess, nome che, in risposta alla May, Basquiat aveva scritto arrabbiato sul retro della tela e di cui Liz Williams s'era accorta andando a guardare. Malgrado sua figlia Alex insistesse per comprarlo a qualunque prezzo, la May contestò la proprietà del quadro, e fece in modo che la casa d'aste ne bloccasse la vendita24-12.

Basquiat si prese la sua vendetta anche nei confronti del suo rivale Malcolm Morley. Aveva saputo della sua relazione con la Williams tramite Brian Williams, alias B. Dub, un assistente che lavorava per entrambi. Oltre che stirare tele e dipingere gli sfondi per Morley, B. Dub gli andava a prendere e a riconsegnare le videocassette. A quanto racconta, Basquiat fece un commento offensivo in merito ai volgari gusti cinematografici di Morley. Williams riportò il commento a Morley e, dice, «Jean-Michel andò su tutte le furie»24-13. I due artisti innescarono una sfida di disegno. Ricorda Morley:

Mi venne a trovare e fu una cosa strana perché mi chiese se potevo fargli un ritratto. Volevo dimostrargli che avrei potuto fargli un ritratto stile Degas. Iniziai a fare questo disegno bellissimo, e anche lui iniziò a fare un disegno con un pennarello, guardandomi. A metà lavoro si alzò e venne a guardare il mio disegno, che era proprio bellissimo e lui di colpo scarabocchiò degli occhi in stile graffiti proprio al centro! Che come cosa è un po' come andare a firmare il disegno di un altro artista. Così gli diedi il mio disegno, e lui mi diede il suo in cui sembravo una specie di mostro24-14.

A quel tempo Basquiat aveva diversi assistenti. Oltre alla Brody e a B. Dub c'era Shenge, un tizio con i dreadlocks che aveva conosciuto anni prima in un club che si chiamava Zippers. Shenge aveva fatto pure il dj al Reggae Lounge e al Berlin, dove Basquiat andava a contemplare Suzanne Mallouk. Come Stephen Torton ai tempi di Crosby Street, Shenge divenne il convivente senza segreti di Great Jones Street. E come Torton, le sue ambizioni si fusero con quelle di Basquiat, sfociando infine in un'ingestibile situazione competitiva. «Vivevo lì da quando ci si era trasferito», dice Shenge, che sembra una specie di orsacchiotto rasta. Un uomo dalla voce dolce che parla in modo volutamente criptico, come un guru senza seguaci. «Lì dentro fui io a costruire tutto quanto. Era una cosa in stile veramente selvaggio e in cui le energie si mescolavano»24-15. Shenge abitò nello scantinato dal 1983 al 1986, lavorando come Venerdì di Robinson Crusoe, e di tanto in tanto teneva la contabilità di Basquiat. Cercava inoltre di difenderlo dal mondo esterno, tenendogli nascoste le telefonate, trattando con i galleristi. Ricorda B. Dub: «Jean-Michel lo ricompensava con regali comprati da Agnes B.»24-16.

Warhol non apprezzò mai granché il lavoro fatto da Shenge. «Jean-Michel voleva che vedessi i suoi dipinti a Great Jones Street, e così andammo lì ed era un porcile», si legge sul diario in data 5 agosto 1984. «Il suo amico Shenge – il tizio nero – vive con lui e si suppone che sia lui a prendersi cura del posto, ma è un porcile. E tutta la casa puzza terribilmente di erba»24-17. A detta di Warhol, Basquiat si lamentò dei suoi problemi con Shenge sin dall'inizio. 16 settembre 1984:

Ha telefonato Jean-Michel e mi ha parlato dei problemi che ha con Shenge, che si occupa del suo alloggio in Great Jones Street. Shenge ha un suo alloggio di sotto, ma va sopra e usa il bagno e il letto di Jean-Michel, e ora, dopo essere stato al Ritz Carlton, Jean-Michel si è abituato ad avere il letto rifatto24-18.

Ma per quanto Warhol potesse inorridire, Shenge rimase del tutto indifferente. Per quel che lo riguardava, lui era il maggiordomo di Great Jones Street. Con la sua faccia barbuta, la testa piena di dreadlocks lunghi fino alla vita e il guardaroba stile africano, di certo era attento al suo look. Racconta:

Nel periodo in cui sono stato lì la gente ha pagato Jean-Michel quel che gli spettava. Prima se qualcuno voleva due quadri al prezzo di uno, o se ne voleva quattro al prezzo di due, ci riusciva perché pagava in contanti. Arrivato io lì le cose sono cambiate24-19.

Ma Shenge non era il massimo come contabile. (La contabilità di Basquiat, se mai ne ha avuta una, era un disastro, e l'artista non pagò mai le tasse). Gli faceva da amico e protettore: un mix tra baby-sitter, guardia del corpo e fratello maggiore. Shenge la ricorda come una relazione fra anime affini:

Era come se vivessimo l'uno all'interno dell'altro. Io non ero solo me stesso, e così lui. Quando non c'ero non riusciva a fare le cose. Per quei tre anni non ho mai vissuto la mia vita, mai. Prima studiavo e ho dovuto mollare tutto. Perché se Jean era sveglio dovevo lavorare con lui sei ore a notte. In casa c'era anche altra gente, gente che stendeva le tele, gente che costruiva i telai. Non ha mai riempito un assegno. Non aveva idea di che cosa fosse un assegno. Lui era una di quelle persone che vanno in giro con soldi in contanti ed è tutto. Era uno di quelli che pensavano erroneamente che quasi tutto andasse pagato in contanti, e che i soldi che si hanno vanno spesi tutti quanti. Ed era una cosa di cui io e Andy parlavamo, ma non c'era modo di convincere Jean. Vivi l'oggi, l'attimo presente, era la sua filosofia24-20.

Shenge cercò di fare da strizzacervelli a Basquiat. Dal momento che anche lui aveva problemi con suo padre, si sentiva particolarmente vicino a Basquiat e al suo conflitto con Gerard:

Quello che voleva interiormente era attenzione da parte di suo padre, e riconciliarsi con lui. Si fondava tutto su questo amore che non riusciva ad avere. Tutto quanto. Era quello che si aspettava: una riconciliazione finale. Ma non ce ne fu mai nessuna. E credo che fosse una cosa che spaventava a morte il padre24-21.

Shenge incoraggiò Basquiat a parlare con i suoi. «Gli dissi che doveva quantomeno provare a vedere che cosa succedeva perché si vedeva perfettamente che era quello il suo problema, anche se poi non cercava una soluzione né faceva niente. Era il suo pensiero fisso»24-22. Shenge chiese di conoscere i genitori di Jean-Michel, ma gli fu detto di no. Infine lo convinse ad andare a Brooklyn per la cena del Ringraziamento:

Mi sentivo come uno di quelli che portano le bare. Fu tornando da lì che capii che Jean voleva morire. Era una cosa che vedevi. Lo vedevi benissimo che non aveva quell'amore paterno di cui aveva bisogno. Da un giorno all'altro il mondo ti dice che sei un genio, e lui pensò: «Se sono un genio, che problema ha quest'uomo [Gerard] ad accettarlo?»24-23.

Ma Shenge aveva le sue ambizioni. «In silenzio» dipingeva giù nello scantinato, e alla fine fece una sua mostra alla John Good Gallery. «Shenge non aveva mai dipinto prima di andare a vivere con Jean»24-24, dice B. Dub. Basquiat vide la camera artistica di Shenge come il tradimento finale. Shenge finì di adempiere ai suoi compiti nel 1986, quando Basquiat lo cacciò perentoriamente fuori di casa. Racconta Shenge:

Non voleva che facessi una mostra, perché in quel periodo non dipingeva. Le droghe lo misero fuori combattimento e fu costretto a fermarsi. Di tanto in tanto veniva di sotto scongiurandomi di smettere di dipingere perché era una cosa che non riusciva a sopportare. E io gli dicevo: «Ecco a che punto sei arrivato, amico, ad essere invidioso di me». Dal 1986 smisi di credere che sapesse chi ero realmente. Era successo qualcosa alla sua mente. Quello che vedo in momenti del genere è come un'ombra di ciò che c'era prima. Quanto succedeva era una sorta di spettro di quello che era stato. Forse era il mix di droghe e Jennifer. È difficile individuarne la causa, perché quello che vedevo era una miriade di cose diverse dal Jean-Michel che conoscevo24-25.

Lo sgomento di Basquiat per il successo di Shenge fu fonte di divertimento per Warhol, che il 20 gennaio 1986 scrisse sul diario:

Questa mattina Jean-Michel mi ha svegliato alle 6 […]. Ha dei problemi perché sta cercando di mandare via Shenge dalla casa, dice che l'ha mantenuto per tre anni, ma la ragione principale (ride) è che Shenge ora dipinge come lui. Fa copie dei suoi quadri. Jennifer è via. Deve essere così difficile vivere con Jean-Michel24-26.

Continuò Warhol qualche settimana dopo:

Jean-Michel è veramente infelice, mentre Shenge fa il suo show. Per me lui è (ride) bravo quanto Jean-Michel. Jean-Michel l'ha buttato fuori cambiando le serrature, ma alla fine l'ha lasciato entrare a riprendersi i suoi dipinti24-27.

«Pensavo che il fatto di esporre un suo amico potesse fargli piacere», disse John Good, che aveva stretto amicizia con Basquiat e disse di essere rimasto sorpreso dalla sua reazione. «Ma mi misi in una situazione disastrosa»24-28. Non stupisce così tanto il fatto che Basquiat, che a modo suo avrebbe voluto essere considerato uno dei più importanti artisti e che aveva cercato così ostinatamente di prendere distanza dai graffitisti, fosse infastidito all'idea che il suo unico factotum nero adesso dipingesse, e che la gente lo prendesse seriamente in considerazione.

Nella sua ultima intervista confessò ad Anthony Haden-Guest:

La gente viene da me per due mesi e fa una mostra. È una cosa che ho visto succedere davvero. Ho un coinquilino che viveva qui per tenermi la contabilità e fare altra roba per me… Non s'era mai sognato di diventare un pittore, ha iniziato a dipingere con la sola idea di fare soldi. Ha fatto una mostra, che era terribile. Probabilmente s'è messo a copiare il mio lavoro24-29.

Dice Barbara Braathen, che aveva continuato la sua storia con Basquiat ed era diventata amica di Shenge:

Jean-Michel respingeva sistematicamente quelli che gli si avvicinavano troppo. E si lamentava del fatto che la contabilità non fosse ben tenuta. Le cose erano trascurate, le ricevute venivano perse, ma non c'era nessuna malizia in questo, era solo sciatteria. Quando litigarono Jean non lasciò entrare Shenge nemmeno per prendere i suoi dischi. E prima di lavorare da lui si manteneva facendo il dj24-30.

Shenge andò a rifugiarsi da Lee Jaffe, che lo sistemò in una stanza dentro il suo studio. Dice Jaffe:

Non parlai più con Jean-Michel dopo che ospitai Shenge. Lo chiamai, ma non rispose mai alle mie telefonate. Avevo la sensazione che si stesse sempre più annientando. Ogni tanto mi fermavo a casa sua e suonavo, ma nessuno veniva a rispondere. Il suo numero di telefono cambiava in continuazione, e alla fine non ci fu più nessun telefono24-31.

Nel febbraio del 1986 Basquiat andò ad Atlanta per una mostra alla Fay Gold Gallery. Com'era sua abitudine invitò Nancy Brody, incontrata per strada, ad andare con lui. La Brody ricorda il disagio di Basquiat quando la Gold si mise a parlare della sua cameriera, Bessie. «Dovette essere imbarazzante per Jean. La sola altra persona nera che Fay conosceva era una cameriera»24-32, dice la Brody che ricorda come Basquiat, una volta arrivato, andò a rintanarsi al Ritz Carlton.

La Gold aveva scoperto Basquiat diversi anni prima, a un suo compleanno, quando il marito le aveva regalato 5mila dollari perché si comprasse un bracciale di diamanti. E lei invece ne spese 5.200 per comprare un dittico di Basquiat alla Annina Nosei Gallery. Rivide l'artista diverso tempo dopo, quello stesso anno, alla Fiera dell'Arte di Basilea. Dice la Gold:

Sembrava disorientato, aveva gli occhi spiritati e Annina mi disse sottovoce che si drogava. Ma sono sempre stata attratta dalle persone eccentriche, forse perché mia madre, che era ebrea, aveva una sua gentilezza istintiva. Ero molto amica anche di Mapplethorpe24-33.

Nel 1985 decise di voler fare una mostra dei disegni di Basquiat e andò a trovarlo a Great Jones Street. Lui le vendette undici disegni per 16.500 dollari, ma le disse che temeva sarebbe stato linciato se fosse andato al Sud. Dalla Gold comprò dieci disegni dell'artista folk Sam Doyle.

Più o meno un anno dopo la Gold allestì una mostra di Basquiat, e per l'occasione invitò l'artista. Aveva organizzato la partecipazione di Basquiat a un talk show, ma arrivati agli studi televisivi lui ci ripensò. Lei diede un party in suo onore, ma lui era strafatto. Due mesi dopo lui mandò ad Atlanta il suo gatto-procione del Maine, Rasputin, che la Gold aveva ammirato. Disse che viaggiava troppo e che non poteva occuparsene. Lei ribattezzò il gatto Basquiat.

All'inizio del 1986 la tossicodipendenza di Basquiat era talmente progredita che cominciò a girare voce che avesse l'Aids. Aveva perso uno dei denti davanti, e la faccia gli si era ricoperta di macchie infiammate. Basquiat andò diverse volte insieme alla Goode a Hana, nell'isola di Maui, alle Hawaii, per cercare di disintossicarsi. Dice lei:

Lì affittavamo una casa. È l'unico posto in cui sono stata con lui e in cui non si drogava. Ce ne andavamo in giro in jeep, e lui metteva la radio a tutto volume, ed era fantastico. Me lo ricordo lì che ballava24-34.

Tornato a New York, Basquiat riprendeva immediatamente le vecchie abitudini. A quel tempo comprava eroina da Linda Yablonsky che abitava con Pat Place, un musicista della band punk-rock dei Bush Tetras, e vendeva droga a una clientela che includeva una serie di artisti e musicisti famosi24-35. Il romanzo del 1997 della Yablonsky, Tutto quel buio, è una storia semi-romanzata dei suoi giorni di spaccio, in cui c'era un complesso personaggio che si chiama Claude Ballard, parzialmente ispirato a Basquiat. La Yablonsky crea una scena straziante in cui lo salva da un'overdose facendogli un'iniezione di acqua e sale24-36. (Nella vita vera l'incidente non riguardò Basquiat). Dice lei:

Non spacciavo a casa. Ed eravamo tutti amici. Non era come nei vicoli dove la gente si andava a sparare eroina. Tutti si drogavano, tutti gli artisti. Lui comprava delle grosse quantità e ne dava un sacco alle fidanzate in quelli che erano delle specie di droga party. Spesso si presentava nel bel mezzo di uno di quei party per averne ancora24-37.

La Yablonsky dice di avere comprato opere di Basquiat, ma di averlo pagato sempre in contanti, mai in droghe. «Ma sono sicura che c'era gente che prendeva suoi lavori in cambio di droghe. Io non sarei mai riuscita a fare una cosa simile»24-38. Qualche anno dopo, quando la Yablonsky venne beccata dalla Narcotici, Basquiat l'aiutò a pagare l'affitto dandole alcuni dei suoi quadri. «Non me ne dimenticherò mai», dice lei, «mi aiutò per due mesi»24-39. Anche se a quel tempo era anche lei una tossica, la Yablonsky si rese conto di quanto l'eroina stesse distruggendo Basquiat. Dice: «Quando iniziò a consumare sempre più droga, smise di lavorare, e questa fu la più grave delle tragedie»24-40.

Quando non se ne stava rintanato a Great Jones Street, Basquiat viaggiava con la Goode. Nell'agosto del 1986 Basquiat realizzò finalmente il suo sogno di andare in Africa. Lui e la Goode partirono per la Costa d'Avorio per una mostra organizzata da Bruno Bischofberger ad Abidjan, all'Istituto Culturale Francese. Fu il suo primo e ultimo viaggio in Africa. Dice Bischofberger: «Voleva fare una mostra in Africa, e ne organizzammo una»24-41. Bischofberger disse a Basquiat di non restare deluso se ad Abidjan avesse trovato strade asfaltate e grattacieli, e non soltanto gente che abitava in capanne primitive. Continua Bischofberger:

Sperava che africani per niente sofisticati vedessero la sua mostra. Ma tutti gli invitati erano rappresentanti del Governo, e poi c'erano tre o quattro tra i più celebri artisti del Paese, e gente che era venuta da Parigi. Non si può pretendere che l'uomo della strada vada a vedere le opere di Jean-Michel24-42.

Eppure Basquiat fu contento di incontrare gli artisti locali, anche se venne fuori che a influenzarli era soprattutto l'arte occidentale. Dopo la mostra il gruppo fece un giro in macchina del Paese fino a una tribù di Korhogo. «Jean-Michel fumò talmente tante canne che non ero sicuro che l'autista sarebbe riuscito a non finire fuori strada»24-43, dice Bischofberger. Sua moglie, Yo Yo, fece un sacco di foto. «Di sera l'unica cosa che riesci a vedere dei neri sono gli occhi»24-44, ricorda Yo Yo.

Anche se a quel punto Basquiat viveva praticamente recluso, capitava spesso di incontrarlo in pigiama che pedalava sulla sua biciclettina rossa diretto all'East Village per comprare droghe. Era rapidamente degenerato nella caricatura di sé: un tossico versione cartone animato con i suoi prevedibili alti e bassi. Quella sua spontanea infantilità che aveva alimentato il suo talento oltre che il suo carisma, si era trasformata in una serie perversa di tic comportamentali. Il suo modo di fare da cattivo ragazzo cominciava ad annoiare, come fosse un dipinto stereotipato.

A un certo punto una serie di artisti del momento venne chiamata per posare per una foto di gruppo da Mr Chow's. Quando gli artisti si ritrovarono al ristorante, Basquiat innescò una battaglia di cibo, e poi si defilò in modo che la colpa venisse data a Keith Haring. All'inaugurazione della prima personale di Julian Schnabel al Whitney, nell'autunno del 1987, Basquiat riuscì a raggirare le guardie e a scarabocchiare dei graffiti vicino ai quadri dell'artista. Scott Borofsky, un artista che aveva appena conosciuto Basquiat, fu testimone del gesto borioso, e anche dell'indifferenza di Basquiat. «Mi ricordo che lo vidi guardarsi indietro con un grosso sorriso stampato in faccia»24-45, ricorda Borofsky.

La sua brama di droga fu causa di una serie di incidenti divertenti. B. Dub ricorda l'ossessione di Basquiat per la cucina di White Castle24-46. «Voleva assolutamente fare cose che non faceva da quando aveva dieci anni. Affittammo una macchina e andammo per il Ponte della Cinquantanovesima Strada fino al Queens a comprare qualcosa tipo trenta dollari di hamburger White Castle»24-47. Tornati a casa Basquiat surgelò gli hamburger per poi, il giorno dopo, rischiare di dare fuoco al loft mettendoli nel forno a microonde mentre B. Dub era fuori a comprargli cibo portoricano su sua richiesta. Quando B. Dub tornò nel loft affumicato, Basquiat gli diede cento dollari per tornare da White Castle.

Basquiat convinse anche il gallerista tedesco Michael Werner, all'epoca marito di Mary Boone e suo socio nella galleria, a cenare da White Castle. Werner era andato a Great Jones Street con un collezionista per vedere alcuni lavori. Racconta ancora B. Dub:

A Jean-Michel piaceva scherzare con la gente e prenderla in giro. A modo suo era un terrorista. Per cui chiese loro di andare a cena. Me lo riesco appena a immaginare seduto in macchina con questi tizi e dire all'autista: «Al Ponte della Cinquantanovesima, direzione Queens!»24-48.

Basquiat teneva impegnato il suo assistente con diverse commissioni, tipo andare da Whole Foods a comprare quaranta dollari di spazzolini italiani fatti con setole naturali. (B. Dub era abituato alle richieste assurde di Basquiat. Una volta, su ordine dell'artista, portò un libro imbottito d'erba dalla Larry Gagosian Gallery alla Fruitmarket Gallery di Scotland, dove Basquiat espose nel 1984. Il pacco venne intercettato e si rischiò una retata alla Gagosian Gallery). B. Dub preparava le tele per Basquiat di giorno, mentre il pittore dormiva. «[Jean-Michel] lavorava soprattutto sul tardi e di notte. Il più delle volte tornavo il giorno dopo e vedevo che tutto un disegno gigantesco o un dipinto era completamente cambiato»24-49, dice.

Una volta B. Dub assistette a un incontro tra due dei più famosi artisti della loro generazione. Mark Kostabi si fermò allo studio di Jean-Michel. «S'era portato dietro un catalogo delle sue opere da far vedere a Jean. Io lavoravo sul retro, e sentii Kostabi chiedere cose strabilianti, del tipo: "Qual è il momento in cui decidi di barrare una parola?"»24-50. Mentre Basquiat chiacchierava con Kostabi s'era messo a trasformare il primo disegno del catalogo in una caricatura. Basquiat aggiunse i dreadlocks e i vestiti a una delle classiche figure fatte con lo stampino da Kostabi, e la battuta finale: «You always draw bald guys?»24-51. Dice B. Dub, che ebbe la massima tolleranza per il comportamento di Basquiat:

Jean-Michel era talmente volubile. Un sacco di gente finiva per stancarsi del suo atteggiamento. Per me era come se fosse, be', un genio e questo è quanto. Non ho mai visto nessuno così bravo in così tante cose. E aveva talmente tanta energia. La cosa buffa è che, per quanta erba fumasse, non sembrava mai stonato né stanco24-52.

Ma la Goode vide in prima persona il risvolto negativo delle droghe. «Lo resero molto meno creativo, perché smise di vedere le cose. Smise di uscire, smise di leggere. Se ne stava chiuso a chiave in quella casa»24-53.

Alla fine del 1986 Jennifer Goode riuscì nell'impossibile: seguì insieme a Jean-Michel un programma di somministrazione di metadone a Manhattan. Ma Basquiat mollò dopo poche settimane: dover parlare della sua infanzia allo staff di psichiatri lo faceva sentire troppo a disagio. E poi, ancora una volta, Basquiat non riusciva a relazionarsi con le figure autoritarie: dal padre, al preside a cui aveva tirato una torta in faccia, ai vari galleristi. «Tornò alle sue vecchie abitudini»24-54, dice la Goode, che seguì il programma per un anno e alla fine, dopo la morte di Basquiat, chiuse definitivamente con la droga.

Per mesi Basquiat si iniettò speedball, mix letale di eroina e cocaina che uccise John Belushi. Dice la Goode:

Era una cosa che faceva veramente paura. Lo vidi cambiare profondamente. Sai com'è, cominci a diventare paranoico. Quando l'avevo conosciuto in faccia aveva una piccola cicatrice, e alla fine ne fu completamente ricoperto. Erano tutte infiammate, e lui se le toccava continuamente, una reazione nervosa provocata dalla cocaina. Aveva perso uno dei denti davanti. Aveva in programma di farsene uno finto. Lo voleva d'oro, ma poi non se lo fece mai24-55.

A detta della Goode Basquiat in quel periodo spendeva più di trecento dollari al giorno in eroina. Dice:

E poi di più, e i soldi cominciarono a mancargli, e così dovette rientrare nel giro. Ed era costretto a lavorare di più perché i suoi quadri erano meno forti. Stava sempre peggio, e dipingeva sempre meno. I quadri che faceva erano sempre più pasticciati. Non si capiva niente. Ma continuava a idolatrare gente che si faceva di eroina. Adorava William Burroughs24-56.

Grazie a Victor Bockris Basquiat era appena riuscito a conoscere il suo idolo. Dice Bockris:

Lo portai a prendere un cocktail al bunker al 222 di Bowery, dove viveva Burroughs. Conoscere Burroughs per Jean-Michel fu come quando Andy conobbe Muhammad Ali. Fu una scena molto interessante. C'erano Keith Haring e John Giorno. E me lo ricordo perfettamente. A un certo punto Bill cacciò fuori un enorme coltello che gli aveva regalato Chris Stein dei Blondie. Sarà stato lungo venticinque centimetri, e lui lo agitava fingendo di recitare. Era molto divertente. E Jean-Michel era lì che rideva di pura gioia, come fosse tornato bambino24-57.

Non passò molto tempo che, secondo quanto dice Bockris, Giorno e Burroughs andarono al loft di Basquiat:

C'erano bustine di eroina ammucchiate sul tavolo. Una pila gigantesca. Su quel tavolo ci sarà stata eroina per almeno cinquecento dollari. La maggior parte delle persone la nasconde. John Giorno mi disse che era evidente che Jean-Michel stesse cercando di ammazzarsi24-58.

Ma Basquiat si era sempre fatto vanto della sua capacità di tollerare quantità di droga pazzesche. La Goode viveva nel costante terrore di tornare a casa e trovarlo morto per overdose: «Andavo a casa sua e lui mi diceva: "Jennifer, non ti preoccupare. Non ho nessuna intenzione di morire". Mi rassicurava, anche se non è che mi andasse di parlarne. Parlandone avrei dovuto in qualche modo affrontare la cosa»24-59. La Goode era talmente preoccupata per Basquiat che provò a fargli scrivere un testamento. Dice:

Parlammo dell'idea di fare un testamento. Era una cosa macabra di cui parlare, ma in ogni caso non riuscii mai a portarlo da un avvocato. Mi disse che non voleva che venisse coinvolto suo padre. E chiuse lì la discussione. Parlammo del fatto che alcuni dei suoi quadri sarebbero potuti servire per mantenere le sue sorelle e sua madre, e con il resto si sarebbe potuta fare una mostra che avrebbe girato diverse parti del mondo, senza che finissero all'asta e tutto quanto. Ma era talmente disorganizzato, e non pensava che sarebbe morto24-60.

Nel novembre del 1986 la Goode raggiunse il limite:

Lo amavo veramente, ma alla fine arrivai alla conclusione che non potevo cambiarlo, e che non poteva esserci un futuro per noi se non che come amici. Parlai con le persone che lo conoscevano bene, tipo Tina Chow, e piangemmo. Quello che mi disse la gente fu: «Devi prenderti cura di te. Hai fatto tutto quello che potevi per Jean-Michel»24-61.

La Goode ruppe con Basquiat, ma anche se non stavano più insieme continuò a vederlo. «Per i nove mesi successivi alla nostra rottura mi feci viva di tanto in tanto. E lui era sempre stordito dalla droga»24-62, dice. Fu solo quando si mise con un altro, casualmente nero anche lui, che Basquiat sembrò capire che era finita. Dice la Goode:

Gli restituii le chiavi di casa, e lui distrusse tutto quello che era in vista. Fece a pezzi ogni oggetto di vetro, tutto. E scrisse sui muri. Poi si calmò, ma non accettò mai veramente la cosa. Io continuavo a pensare che le cose si sarebbero aggiustate. Speravo che si innamorasse di un'altra e che fosse felice. Ma non successe mai24-63.

Basquiat con un pugno fece un buco nella finestra del bagno. E accanto scrisse: «Cuore infranto».