La morte significa un sacco di soldi, tesoro. La morte può farti sembrare realmente una star27-1.
ANDY WARHOL, Andy Warhol, The South Bank Show, London Weekend Television
Il dopo-morte di Jean-Michel Basquiat fu confuso e complicato quasi quanto la sua vita. Diverse battaglie legali cominciarono prima ancora che venisse seppellito. E ancora oggi non sono state risolte.
Alcuni definirono la morte dell'artista l'ultima mossa della sua carriera: il valore dei suoi dipinti fu immediatamente inflazionato. Quanti sostenevano che Basquiat avesse regalato loro delle opere si affrettarono a strombazzarlo in giro e a tormentare la Baghoomian Gallery. «Prima ancora della sepoltura, gli avvoltoi cercarono di entrare a casa sua»27-2, dice Vera Calloway. E chiunque avesse qualcosa di creato dall'artista sembrò saltare fuori all'improvviso per venderlo. Dice Gagosian: «Le ex-fidanzate arrivavano con sportelli di frigo e tavolette del water. Se lui avesse fatto loro dei tatuaggi si sarebbero fatte amputare»27-3.
Appena pochi giorni dopo la morte di Jean-Michel, Gerard Basquiat assunse un legale, Michael Stout, che conosceva bene il mondo dell'arte e i suoi contorti meccanismi in materia di eredità. Stout era stato il legale rappresentante degli eredi di Salvador Dalì, e al momento rappresentava gli eredi di Robert Mapplethorpe, Donald Judd e Keith Haring. «Ho avuto clienti celebri con complicati e altrettanto celebri problemi»27-4, disse una volta. E continua ad averne. Nel 1993 Stout, nel corso di un procedimento legale riguardante la stima del patrimonio Andy Warhol, ha fatto causa a Christie's, Christie's Appraisals Inc. e all'ex-consigliere generale e presidente Patricia Hambrecht, così come al suo vicepresidente, Stephen Lash, in merito a un disaccordo su una stima fatta nel 1990 da Christie's di alcune fotografie di Mapplethorpe. Malgrado Stout e l'ufficio del Procuratore Generale abbiano conseguentemente istituito una commissione esecutrice ridotta, Stout sta cercando di ottenere duecento milioni di dollari di risarcimento danni e pena per violazione di contratto, obbligo fiduciario, diffamazione e per stress emotivo intenzionalmente inflitto. (Entrambe le parti difendono con forza le proprie posizioni nella causa attualmente in corso)27-5.
Se la vita di Basquiat fosse stata un film noir, Stout sarebbe stato interpretato da Sydney Greenstreet. È un gentiluomo di mondo sulla cinquantina, con un'aria spiccatamente cosmopolita e una postura curiosamente aggraziata, malgrado il fisico corrisponda perfettamente al nome27-6. Dice Stout: «Il patrimonio Basquiat era una sorta di prova scritta da facoltà di Giurisprudenza»27-7.
Il primo passo che fece Stout fu mettere i beni al sicuro: si procurò le chiavi del loft di Great Jones Street da Baghoomian, che aveva avuto accesso all'immobile sin dalla morte di Basquiat, e mise i sigilli. Baghoomian agì altrettanto velocemente. In base alla deposizione rilasciata da Stout all'avvocato di Baghoomian, Morell Berkowitz, nel marzo del 199027-8, dopo avere consegnato le chiavi del loft, Baghoomian cercò di entrare nei diversi magazzini dove erano conservate le opere di Basquiat. Diede a Stout il nome di un'infrastruttura che non esisteva, poi tentò di spacciarsi per l'esecutore testamentario in uno dei magazzini dov'erano realmente conservati i lavori. Ma non lo fecero entrare perché non aveva la documentazione richiesta.
Per il 20 agosto, una settimana dopo la morte di Basquiat, sia il loft sia i locali del magazzino di Olendorff a Long Island e di Hahn & Dards a Washington Heights vennero messi sotto chiave. Subito dopo Christie's – insieme a Stout e a diversi suoi assistenti – iniziarono il meticoloso processo di catalogazione del patrimonio Basquiat. Spiegò Stout a Berkowitz:
Il signor Basquiat voleva assolutamente che venisse portato via tutto da quello spazio il prima possibile. Aveva dei risentimenti nei confronti della gente di Warhol e di quell'edificio che era dei suoi eredi, e riteneva fossero stati molto sgarbati con lui in merito alla questione dell'affitto e ad altro, e voleva uscirne per la fine di settembre o la metà di ottobre. Gli dissi che era una pazzia pensare di spostare anche soltanto una cosa prima che tutto venisse catalogato, fotografato, assicurato, protetto.
Basquiat in sostanza non aveva alcun archivio scritto dei pagamenti ricevuti per le sue opere, né aveva compilato le normali dichiarazioni dei redditi. Per cui Stout cercò di ottenere una documentazione scritta delle transazioni effettuate da ognuno dei suoi ex-galleristi. In base alla sua deposizione fu in grado di ottenere dei documenti regolari da Annina Nosei, Bruno Bischofberger e Mary Boone. Le transazioni effettuate da Larry Gagosian erano «assai poco professionali». E il materiale che gli diede Baghoomian era assurdo, anche per una persona specializzata nelle questioni d'affari del mondo dell'arte come Stout. Questo fu quanto mise agli atti:
Non avevamo un interlocutore con cui trattare, e non nel senso che il gallerista non ci fosse. Nel senso che per quanto fosse stato poco professionale, era impensabile presentare una contabilità del genere a me e al funzionario del Fisco. Mi pare che le parole del funzionario del Fisco furono: «Signor Baghoomian, è escluso che si possa raggiungere un qualche accordo. La saluto». Gli chiedemmo come fosse riuscito a pagare in contanti tutti quei quadri, e il signor Baghoomian rispose: «Riciclo soldi per conto di terzi».
Sally Heller, che venne incaricata di aiutare a valutare le opere, ricorda:
Quando arrivai al loft c'erano sacchi della spazzatura giganti con dentro le sue cose in attesa di essere prelevate. Lo studio era in condizioni disastrose. C'era la più totale disorganizzazione, e in sostanza fummo costretti ad analizzare tutto e a mettere da parte colori e altre cose che erano state donate alla Odyssey House. C'era parecchio buio nel loft perché i lucernari erano stati sigillati. La gente faceva la fila davanti ai cassonetti che c'erano fuori, lì a frugare tra la spazzatura, cercando cose che avrebbe potuto rivendere. Ogni giorno c'era qualcosa come quattro o cinque persone che aspettavano di vedere che cosa sarebbe stato buttato via, come degli avvoltoi. Erano rimaste solo delle pile di disegni, erano tutti su fogli di carta 50x60cm con al centro dei ghirigori fatti di minuscoli tratti di matita. E c'era un buffo cappello di paglia che sembrava un nido di uccello o un pezzo di Folk Art. Catalogammo e facemmo Polaroid di tutto27-9.
Non scattarono Polaroid ai residui di droghe. «C'erano lenzuola sporche di sangue e siringhe usate dappertutto. Era alquanto inquietante»27-10, dice Tina Summerlin, che lavorava per Stout. Dichiarò Stout nella deposizione:
Vrej mi chiese di andare nella stanza da letto al piano di sopra a togliere una grossa quantità di eroina che era in un determinato cassetto dell'armadio. E lì pensai: «Diamine, sarebbe meglio parlarne con il padre», ma Vrej mi disse che avrei potuto turbarlo, o una cosa del genere. Credo che cercasse di muoversi con cautela, sai com'è, di evitare che il padre vedesse l'orgia di droga che c'era stata là dentro con siringhe sparse sul pavimento e sangue sul letto27-11.
Ci vollero parecchi mesi per catalogare le cose di Basquiat. L'inventario di Christie's è di 157 pagine. Oltre ai 197 disegni, 25 blocchi di schizzi, 85 serigrafie, 171 dipinti e alle altre «opere d'arte di Jean-Michel Basquiat», c'erano 16 scatole del disco rap che aveva prodotto con Rammellzee, dozzine di Warhol, incluso un quadro della serie Shoes realizzato con polvere di diamante, Diana Vreeland, e i ritratti fatti da Warhol alla famiglia Basquiat: Jean-Michel, Gerard, sua sorella Jeanine e la madre Matilde. C'erano anche foto di Vanderzee, opere di Haring, Kosuth, Lichtenstein, Sam Doyle e Alison Saar, e uno strano oggetto di legno fatto da William Burroughs. E c'erano anche dei giocattoli d'epoca: un camion da demolizioni Buddy L, uno schiaccianoci di metallo a forma di cane, un Meccano e parecchi mobili Stickley – da una libreria a dieci sedie a un tavolo da pranzo – da poterci arredare il soggiorno di una villa27-12.
Christie's stimò che il valore del patrimonio Basquiat superava la somma di 3 milioni e 800mila dollari27-13. Il 24 agosto del 1988, dodici giorni dopo la morte del figlio, Matilde Basquiat firmò un documento che nominava Gerard amministratore, rinunciando così a qualsivoglia diritto in materia – lettere di amministrazione e altri procedimenti legali – per quel che riguardava il patrimonio27-14. (Firmò con la versione inglese del nome: «Matilda»). In quanto amministratore del patrimonio Basquiat, Gerard ne ebbe in gestione la parte più consistente, per una somma del valore di 2.195.545 milioni di dollari. In base alla dichiarazione dei redditi fatta nel maggio 1989, Gerard e Matilde ricevettero ognuno 489.778 dollari.
Dal giorno della morte del figlio, Gerard sembrava preoccuparsi di qualunque cosa riguardasse i suoi affari. Di sicuro le azzardate trattative d'affari fatte mentre Jean-Michel era in vita giustificavano la sua paranoia. Gerard diffidava in particolare di Vrej Baghoomian. Il 28 ottobre Matilde scrisse a Baghoomian scusandosi per il piccolo incidente del giorno del funerale e per il malinteso con Gerard, che aveva creduto «mi avesse chiamato in disparte per un qualche fine speculativo». Ringraziò Baghoomian per il necrologio apparso sul «New York Times». «Dio solo sa cosa lo abbia spinto a drogarsi», scrisse, «e che Dio benedica i suoi sforzi»27-15. Ma gli sforzi di Baghoomian, che avrebbero presto incluso quelli di fare causa agli eredi Basquiat, non erano certo da benedire.
Kelle Inman fu la prima a fare causa. Nel febbraio del 1989 sostenne che gli eredi le dovessero più di ottocentomila dollari di interessi per opere che Jean-Michel le aveva regalato, inclusi dieci Andy Warhol che erano stati venduti a Christie's subito dopo la morte di Basquiat27-16. La causa non venne mai chiusa, e la Inman dice di non avere intenzione di portarla avanti27-17. A marzo Baghoomian avvisò che avrebbe fatto causa agli eredi chiedendo la restituzione di un «dipinto arancione» che Basquiat gli aveva regalato, così come di una cifra intorno ai ventisettemila dollari che aveva prestato all'artista27-18. A maggio la Robert Miller Gallery, al 41 della Cinquantasettesima Est, inviò migliaia di comunicati a nome degli eredi di Jean-Michel Basquiat. Dice l'ex-direttore della Miller Gallery John Cheim:
Gerard voleva che suo figlio fosse rappresentato da una galleria di Uptown e non di Downtown. A loro piaceva l'idea che fossimo impegnati nella pittura e che la galleria avesse già una reputazione consolidata. E non volevano essere associati a nessuno dei precedenti galleristi o a nessun altro dell'ambiente. Incontrammo Gerard e Nora in galleria, mostrammo loro i nostri cataloghi e chiacchierammo piacevolmente, e poi tutto successe rapidamente, tra lo stupore generale della folla di SoHo27-19.
A detta di Cheim, di quella folla facevano parte Tony Shafrazi e Mary Boone, che a quanto pare pensava che Basquiat adesso fosse in qualche modo più facile da gestire. «Gerard era iperdiffidente nei confronti di chiunque avesse rappresentato Jean-Michel in passato»27-20, dice Cheim. Aggiunge l'ex-codirettore Howard Read: «Giocò a nostro vantaggio il fatto che non l'avessimo mai rappresentato»27-21.
Non molto tempo dopo che la Miller Gallery era stata scelta per rappresentare il patrimonio Basquiat, adesso valutato tra i cinque e i venti milioni di dollari, Baghoomian fece causa alla Robert Miller Gallery, agli eredi Basquiat e a Gerard Basquiat, appellandosi a un accordo verbale che prevedeva che avrebbe dovuto gestire lui il patrimonio, chiedendo il cinquanta per cento di tutte le vendite delle opere dell'artista e chiedendo trenta milioni di dollari di danni. Secondo l'affidavit di Baghoomian rilasciato presso la Surrogate's Court della città di New York, il suo diritto di rappresentarne in esclusiva l'opera si basava su «una duratura e riuscita relazione» con Jean-Michel Basquiat, che aveva portato il prezzo delle sue opere a livelli record, sul «manifesto rapporto di empatia stabilito con l'artista», e su «un nuovo accordo» recentemente fatto con Gerard Basquiat. «Robert Miller», sosteneva Baghoomian, «è apparso dal nulla come gallerista del patrimonio Basquiat appropriandosi di un mio diritto». Baghoomian chiese – e ottenne – un'ingiunzione preliminare che impedisse alla Miller Gallery di vendere qualsivoglia opera27-22. L'ingiunzione venne in seguito revocata.
A giugno i beni del patrimonio vennero nuovamente inventariati, questa volta a scopo di archiviazione. Wendy Williams, da anni responsabile degli inventari della Miller Gallery, passò settimane intere a esaminare meticolosamente ogni articolo. A detta di Cheim c'erano diverse dozzine dei suoi più importanti dipinti, che in seguito vennero venduti per cifre tra i 75mila e i 500mila dollari. Ricorda la Williams:
Ci venne data una copia dell'inventario di Christie's. Jeanine, Gerard e io supervisionammo il trasferimento di tutta la roba al magazzino della Miller Gallery, al 430 della Cinquantacinquesima Ovest. Ci mettemmo a sedere per terra a segnare, fotografare e catalogare tutto. Mettemmo da parte, per Gerard, la collezione di dischi, i giocattoli e la collezione di arte africana. Gli demmo anche i quaderni di Jean-Michel con dentro pagine e pagine di scritti e ogni tanto dei disegnini27-23.
Il 9 agosto Matilde Basquiat scrisse nuovamente a Baghoomian, malgrado le fosse stato detto di non contattarlo, per come la mise lei, per ragioni legali, «ma come ogni altra persona, io ragiono con la mia testa». Aggiunse che sapeva che suo marito l'avrebbe potuto «minacciare», e si scusava per qualsivoglia «disagio» la cosa avrebbe potuto causare27-24. Nell'ottobre del 1989, mentre l'ingiunzione contro la Miller Gallery era ancora in piedi, Vrej Baghoomian allestì una grossa mostra delle opere di Basquiat per inaugurare la sua nuova galleria al 555 di Broadway. L'inaugurazione, il 21 ottobre, venne festeggiata con un esclusivo invito a cena con «festa da ballo e musica dal vivo»27-25. L'evento finì alla pagina 6 del «New York Post»:
La grande inaugurazione di oggi della nuova galleria del gallerista Vrej Baghoomian su Broadway è carica di tragedia. Si prevede vengano esposte opere di Jean-Michel Basquiat e gli inviti sono stati stampati sul suo Red Warrior del 1982. Ma ieri Michael Stout, rappresentante legale dell'ultimo patrimonio dell'artista, ha ottenuto un ordine restrittivo dal Sostituto Procuratore di Manhattan René Roth con il quale Baghoomian viene diffidato dall'offrire in vendita ognuno dei trenta dipinti di Basquiat che aveva in suo possesso al momento della morte dell'artista27-26.
L'inaugurazione era affollata di vecchi amici dell'artista e di suoi fan, inclusi Diego Cortez, Jeffrey Deitch, Keith Haring, David Bowes, Maripol, Glenn O'Brien e Leisa Stroud. Poi c'erano Annina Nosei, Tony Shafrazi e la collezionista Lenore Schorr. La gente era lì che indicava i quadri che aveva dato in prestito. La Inman, con i capelli rasati alla Sinead O'Connor, disse soltanto: «Ho una cicatrice, ma mi sento a posto». Vrej e Shenge erano in piedi dietro la scrivania della galleria a sparlare di Gerard e Michael Stout: «Gerard si è scagliato fuori da un bar dicendo: "Ma io sono il padre di Jean-Michel Basquiat"», «I collezionisti sono prostitute, vanno ovunque il vento li porti», «Nessuno può andare a guardare nella vita privata di Jean-Michel. E nessuno può dire di aver passato dei momenti straordinari insieme a lui».
La cena fu sfarzosa: la gente s'era vestita per l'occasione con velluti, lamé dorati e diamanti. E questa folla fatta prevalentemente di bianchi cenò sul posto, circondata dai feroci e arrabbiati dipinti di Basquiat: Famous Negro Athletes, Live from the 5-spot, Charlie Parker, Eroica27-27 e Joe. Infine la band cominciò a suonare. Il batterista era esattamente sotto la parola «Famous» di uno dei quadri. Ma nessuno ballò. Per una bella cifretta Baghoomian aveva realizzato un pesante ed elegante catalogo e il facsimile di uno dei quaderni dell'artista27-28.
Non passò molto tempo che vennero intentate nuove cause riguardanti le opere di Basquiat. Nel novembre del 1989 la gallerista Michelle Rosenfeld fece causa chiedendo novecentomila dollari di danni per la mancata consegna da parte di Basquiat di tre quadri che nel 1982 aveva comprato per dodicimila dollari27-29. Nello stesso periodo, gli eredi Basquiat avevano fatto a loro volta causa a Baghoomian sostenendo che non aveva pagato venti o più quadri che aveva in catalogo. Baghoomian rispose con una causa per diffamazione di cinquanta milioni contro Gerard Basquiat. Infine, gli eredi tornarono sui loro passi e fecero causa a Baghoomian presso la Corte Federale per violazione del copyright nel catalogo che aveva pubblicato in occasione della mostra postuma di Basquiat27-30. La Corte stabilì che Baghoomian doveva agli eredi Basquiat 209.400 dollari per uso non autorizzato delle immagini nel catalogo27-31.
Nel 1991 Baghoomian perse la prima delle cause che aveva fatto, nella quale aveva sostenuto di essere di diritto l'unico rappresentante di Jean-Michel Basquiat. Nel 1992 lui e la società che rappresentava la sua galleria fecero bancarotta, e tutte le cause contro di lui e la sua galleria vennero sospese. A detta del suo rappresentante legale, Dennis Trott, «Vrej abita attualmente in California, ma si è ritirato dalla vita pubblica»27-32. Nessuna delle azioni legali intentate da Baghoomian è stata portata avanti.
Nel frattempo i prezzi raggiunti alle aste dalle opere di Basquiat continuavano a salire vertiginosamente. Il 3 maggio del 1989, alla vendita serale di Christie's, la prima dopo la morte dell'artista, Annina Nosei e Vrej Baghoomian, seduti fianco a fianco, furono tra i maggiori offerenti. Un Basquiat dal titolo Thin Foil, stimato tra i 100 e i 150mila dollari, venne venduto per 260mila dollari. La Nosei sussurrò a Baghoomian: «Se ci riprovi sono dalla tua. Resto qui solo per appoggiarti. Alla fine riuscirai a rivenderlo per 500mila dollari». Quando l'offerta per il lotto numero 62, un dipinto di Basquiat del 1981 che si chiamava Jesus, cominciò a salire, Baghoomian si avvicinò alla Nosei e le bisbigliò: «E si ricomincia». «È un quadro meraviglioso», rispose lei. Le offerte per il quadro, che era stato stimato tra i 100mila e i 150mila dollari, salirono rapidamente. Baghoomian lo comprò per 280.000 dollari (296.000 inclusa la commissione). «Perfetto», disse lui. «Congratulazioni», gli disse la Nosei, «finalmente ce l'hai fatta. Fantastico». «Meglio che comprare un sacco di porcherie», aggiunse Baghoomian, «non m'è rimasto molto altro»27-33.
I prezzi di Basquiat continuarono a salire negli anni successivi. Fintanto che l'artista era in vita, a detta di Bischofberger, il prezzo più alto raggiunto da un suo quadro era stato 30mila dollari. Nel 1984 il primo lavoro di Basquiat messo all'asta era stato venduto per 20.900 dollari. Nel novembre del 1989 Arroz con Pollo venne venduto per 440.000 dollari da Christie's, mentre Sotheby's vendette In the Field Next to the Road27-34 per 407.000 dollari. Nel maggio del 1990 Christie's vendette Sienna per 330.000 dollari.
Nel febbraio del 1992 Baghoomian, i cui affari erano in perdita da quando era sbarcato nel Paese, lasciò gli Stati Uniti per l'Armenia, e lì sparì senza lasciare traccia27-35. Dichiarerà in seguito di aver passato due anni dal fratello a San José, in California27-36. Lasciò oltre un milione di dollari di debiti, diverse cause in corso, e una serie di richieste da parte di creditori inferociti, così come da parte di artisti le cui opere, ancora in suo possesso, erano rimaste chiuse a chiave nei suoi giganteschi locali di Broadway.
La galleria chiuse ufficialmente il 24 marzo del 1992, costretta a dichiarare bancarotta da uno dei suoi creditori, Anthony McCall, un tipografo che sosteneva che Baghoomian gli dovesse 105.878 dollari. Baghoomian doveva ancora alla Rosenthal & Rosenthal, il suo principale creditore, più di un milione di dollari che gli erano stati prestati. La Rosenthal & Rosenthal, che gli aveva già fatto causa, mise sotto sequestro le sue proprietà a seguito di un ordine restrittivo della Corte. Nelle ventitré pagine di inventario delle opere di artisti ancora in possesso di Baghoomian c'erano trentadue George Condo, nove James Brown, quattro Malcolm Morley e cinquantotto Basquiat27-37. Per la fine di marzo tutta SoHo parlava della sparizione di Baghoomian e di come avesse messo nei guai vari artisti. Disse lo scultore Bernard Venet: «Quando andò via, aveva duecentomila dollari di mie opere. Fui fortunato perché presi in garanzia un Basquiat che mi era stato detto era di Vrej. Ma poi mi venne notificato da un avvocato che di fatto quel quadro era di qualcun altro»27-38.
Baghoomian si lasciò alle spalle una serie di istanze da parte di artisti, collezionisti e altri galleristi che dichiaravano dovesse loro soldi, opere o entrambe le cose. Il caso di Undiscovered Genius of the Mississippi Delta è un classico esempio del contorto modo di gestire gli affari di Baghoomian. Prese in prestito 400mila dollari dalla Rosenthal & Rosenthal per acquistare il quadro, che andò al creditore come garanzia collaterale. Contemporaneamente però impegnò il quadro come garanzia con la Mercer Air, altro suo creditore, piazzando poi in realtà un altro quadro al posto del primo. Pare inoltre che vendette quote del quadro a diversi collezionisti, inclusi Marcia Fogel e Ari Arslanian. (Istanze che sono state tutte risolte per vie legali)27-39.
Dice Douglas Cramer, il rappresentante legale fiduciario della fallita società di Baghoomian, che a quell'epoca era in causa con gli eredi Basquiat per trentasette opere che la Baghoomian Gallery sosteneva di possedere: «È chiaro che non è al di sopra di ogni sospetto. È stato querelato per frode da tutta una serie di persone»27-40. A detta di Cramer Baghoomian venne anche accusato di avere preso in prestito soldi per comprare quadri che in alcuni casi erano già di sua proprietà e di avere dichiarato di avere acquistato quadri in realtà mai acquistati. A un certo punto, in un momento di singolare boria, pagò uno dei suoi avvocati con un disegno di Basquiat, e poi si prese i soldi della commissione. Anche il giudice della corte che sentenziò la bancarotta fece riferimento alla transazione che «forse potrebbe essere descritta come un doppio gioco», con echi in stile «araba fenice»27-41. Infine la Rosenthal & Rosenthal querelò l'agenzia di assicurazioni della galleria, la Lloyd di Londra, per oltre venti quadri che il fiduciario della galleria dichiarò mancanti dall'inventario di Baghoomian. La Lloyd vinse la causa.
A quattro anni dalla sua morte, Basquiat ottenne finalmente quel riconoscimento da parte di un museo che tanto disperatamente aveva desiderato in vita. La retrospettiva del Whitney, curata da Richard Marshall, venne inaugurata il 23 ottobre del 1992, e rimase aperta fino al 14 febbraio del 1993. Il fascino esercitato sulla gente da Basquiat fu evidente il giorno dell'affollata inaugurazione, che vide la partecipazione di oltre duemila persone: un record anche per un museo abituato alla bolgia e alle mostre commerciali, inclusa la Biennale. Era presente Gerard Basquiat, accompagnato da Stout e da una serie di altri uomini in completo dall'aria seria, mentre all'altro capo della galleria Suzanne Mallouk abbracciava molti dei suoi amici e tratteneva le lacrime27-42.
La retrospettiva aprì con clamore di stampa. In un articolo sul «New York Times» dal titolo Basquiat. Man for His Decade, Roberta Smith scrisse:
Il ricco repertorio dei soggetti di Basquiat spazia attraverso la Storia e la cultura del mondo, dell'America e dell'America nera, trovando un modo nuovo per collegare tra loro le cose […]. Presa nel suo insieme, l'esposizione dimostra in maniera convincente che qualsivoglia drammatica traiettoria la carriera di Basquiat possa simboleggiare, si continua a parlare di lui perché c'è un qualcosa di affascinante, vero e originale nella sua arte […]. Le sue opere sono uno dei singolari successi degli anni Ottanta e, con il loro insistere sul fatto che il credo politico sia più forte lì dove più personale, continuano ad essere di grande rilievo nei Novanta […]. La sua arte era nella sua essenza un'anatomia di se stesso, una mappa della sua passione per il linguaggio e la conoscenza, del suo amore per la cultura e la musica pop, della sua ambizione e del suo essere nero, e anche della possibilità della sua stessa morte27-43.
Robert Hughes e Hilton Kramer, tuttavia, non furono tra i suoi fan. Hughes definì la mostra:
[una] parodia di un funerale, messa in piedi per un talento scheletrico infilato dentro un sarcofago realizzato in modo grossolano e troppo grande per lui […]. La sua vita è stata talmente triste e malamente interrotta, e l'arte che ne è venuta fuori è talmente limitata che non sembra giusto soffermarcisi sopra. Chi schiaccerebbe una farfalla con la ruota della macchina27-44?
Kramer, in un articolo scritto per il «New York Observer», giudicò la mostra «un disastro»:
La sensibilità di Basquiat, sempre che si possa dire ne abbia avuta, era quella di un adolescente indisciplinato e smodato avveduto soltanto in quel suo istintivo mettersi in mostra per autopromuoversi […]. Ho visto graffiti sui vagoni della metropolitana parecchio più interessanti della sua roba27-45.
In mostra c'era qualche centinaio di opere, inclusa tutta una serie dei suoi dipinti migliori: Hollywood Africans, Leonardo da Vinci's Greatest Hits27-46, Undiscovered Genius of the Mississipi Delta, Eyes and Eggs, Arroz con Pollo, Obnoxious Liberals27-47, CPKR27-48, Charles the First, Horn Players, Portraits of the Artist as a Young Derelict27-49 ed Eroica, con il suo piccolo triste scarabocchio «Man Dies»27-50. Ma una cosa fu subito evidente: i primi lavori di Basquiat erano di gran lunga i migliori. Il suo talento non era stato al passo con la sua fama. L'inquietante dipinto del 1988 Riding with Death è una rara e ultima eccezione.
Nel novembre del 1994 Michelle Rosenfeld vinse la causa contro gli eredi Basquiat e ottenne 395.000 dollari27-51. La Rosenfeld dichiarò di avere dato mille dollari in contanti a Basquiat come anticipo per tre quadri che non aveva mai ricevuto. Non aveva documenti della transazione se non un contratto scritto a matita da Basquiat e poi strappato in due. «Aveva riso e mi aveva detto che un giorno questo contratto sarebbe valso un sacco di soldi. Vedrai, sarò come Julian Schnabel», testimoniò la Rosenfeld, facendo una meticolosa descrizione della visita che aveva fatto al loft dell'artista:
Era il primo pomeriggio. La Tv era a tutto volume, come sempre […] e c'erano dei cartoni animati. Si aggirava per il loft mangiando da una scatoletta di Spam con il coperchio ancora attaccato. Indossava una specie di calzoncini da ginnastica […]. C'erano un paio di assistenti che gli gironzolavano intorno […]. C'erano dipinti dappertutto. Alcuni non erano finiti, alcune erano solo tele, ma entrare lì dentro e vedere tutti quei dipinti era una cosa travolgente.
La Rosenfeld fece una seconda visita al loft dell'artista, questa volta per portargli in dono una ciotola di frutta secca e noccioline. Appena andò via Basquiat rovesciò il contenuto della ciotola fuori dalla finestra27-52. Secondo una versione esagerata dell'incidente che iniziò presto a circolare per SoHo, Basquiat le aveva rovesciato quel cibo salutare sulla testa. Disse Mary Boone, che testimoniò che Basquiat aveva sempre avuto un problema comportamentale:
Mi ripeté quella storia un sacco di volte. Non mi piaceva il modo in cui trattava la gente e spesso mi coinvolgeva nei casini che combinava […]. Feci salire il valore dei suoi quadri da 500 a 350mila dollari. Era una star internazionale. Finì sulla copertina del «New York Times Magazine». E, incidentalmente, mancò due volte all'appuntamento con il fotografo e si rifiutò di mettere le scarpe. Be', come avrete capito era semplicemente un selvaggio.
Nel 1996 la sentenza a favore della Rosenfeld venne revocata dalla Corte d'Appello. Nel gennaio del 1997 il caso venne riaperto. Andarono a testimoniare alcuni galleristi, inclusi la Boone, Annina Nosei e Barbara Gladstone, che fornì un interessante aneddoto sulla «pipa ad acqua» che le fu offerta da Basquiat quando nel 1982 andò a trovarlo a Crosby Street per comprare delle opere27-53. Questa volta la giuria trovò che il contratto della Rosenfeld con Basquiat era stato violato, ma nel luglio del 1997 la Corte chiuse il caso sulla base del fatto che erano scaduti i termini. L'appello della Rosenfeld è ancora in corso27-54.
Nell'ottobre del 1994 riapparve d'improvviso Vrej Baghoomian. Si trasferì in un loft su Bleecker Street, affittatogli dall'ex-amante di Basquiat, la gallerista Barbara Braathen, e si mise immediatamente a vendere opere. Qualche settimana e Baghoomian fu di nuovo protagonista di un grosso scandalo che questa volta coinvolgeva dei presunti falsi Basquiat.
Seduto nel suo nuovo loft di Downtown, Baghoomian ha cercato di dare delle spiegazioni:
Avevo intenzione di stare via soltanto tre settimane, ma dopo che misero i sigilli alla galleria e portarono via tutto, la situazione s'era fatta ingestibile, e non vedevo motivo di tornare. Credo di aver provato un insieme di vergogna e orgoglio. Ero a disagio per quello che stava succedendo27-55.
In realtà Baghoomian era tornato a New York nell'agosto del 1993. Ma gli ci volle un po' prima di risollevarsi. Nel mentre, dice lui, «avevo fatto da mediatore in giro, una piccola commissione qui, un'altra lì»27-56. Il 12 ottobre del 1994, però, diversi falsi Basquiat vennero scoperti alla FIAC, l'annuale fiera d'arte contemporanea internazionale di Parigi. Vennero scoperti da un uomo che si definiva esperto di Basquiat, un appassionato collezionista che si chiamava Richard Rodriguez e che lavorava come consulente per la banca francese BPP. Osservò Rodriguez:
Le date non corrispondevano allo stile. I dipinti datati tra il 1986 e il 1987 erano realizzati con lo stile delle prime opere, quelle del 1982 e del 1983. Andai a guardare sul catalogo della mostra al Whitney e capii che quei quadri erano stati realizzati copiando le immagini prese da altri quadri. Alcune dell'immagini erano capovolte, come si fa in fotografia. Basquiat non capovolgeva mai le sue figure in quadri diversi. Capii che questi tre dipinti erano stati fabbricati appositamente. Erano tutti dipinti che venivano dalla Baghoomian Gallery. In seguito ne trovai molti altri fabbricati allo stesso modo27-57.
I dipinti sospetti vennero messi sul tavolo del gallerista parigino Daniel Templon. Rodriguez informò della sua scoperta Templon, gli eredi Basquiat e la Robert Miller Gallery. Il risultato immediato fu che sia Baghoomian sia Templon querelarono Rodriguez per diffamazione.
Con la sua classica boria, Baghoomian rispose mandando a Rodriguez una lettera in cui lo chiamava impulsivo bugiardo e gli suggeriva: «Faresti meglio a chiudere la bocca e a buttarti nella Senna prima di fare altri danni»27-58. Templon lo insultò personalmente dandogli dell'«uomo stupido e imbecille», e in un'intervista definì Rodriguez come «un fan di Elvis Presley. Un fanatico. Un po' paranoico». Tuttavia diversi personaggi del mondo dell'arte parigino confermarono che il signor Rodriguez era un appassionato d'arte e un collezionista considerato un'autorità per quel che riguardava l'opera di Basquiat. (A quel punto Templon fu grato a Rodriguez per le rivelazioni fatte. A quanto dice lui l'Interpol sta attualmente indagando sul caso. L'Fbi ha confermato che sta investigando sul caso e che, tenuto conto della portata internazionale della questione, è stata coinvolta anche l'Interpol27-59).
Tornato a New York, Baghoomian scoprì che la Cinque & Cinque, la società che aveva fatto causa agli eredi Basquiat, aveva messo in aspettativa il personale e congelato i relativi conti in banca, così come i proventi della vendita fatta da Sotheby's di Undiscovered Genius of the Mississippi Delta, opera che la Rosenthal aveva consegnato alla casa d'aste e che era stata appena venduta per 294.000 dollari. (La Corte ammonì gli avvocati e ordinò che Sotheby's restituisse il denaro, parte del quale venne conteso tra i tre che ne dichiararono la proprietà, e Baghoomian venne diffidato dal fare offerte da Sotheby's).
Il 22 novembre la Commissione di Autenticità del patrimonio Basquiat, presieduta da Gerard Basquiat, che includeva John Cheim, Diego Cortez, Jeffrey Deitch, Larry Warsh e Richard Marshall, si riunì per esaminare le opere in questione. Dopo avere analizzato diapositive e tele, stabilirono che cinque delle opere – Smoke Bomb, Mass Slums, Tax-Free, Balloon e Ascecticism [sic] – erano false. Diffusero dei certificati con stampato sopra il simbolo della corona di Basquiat affermando che le opere in questione «non» erano di Jean-Michel Basquiat. (I certificati includevano una lunga clausola esonerativa in cui veniva precisato che si trattava «solo di un'opinione fondata sull'ispezione dell'opera e sulle circostanze di cui è a conoscenza la commissione in questo determinato momento. Non è in nessun modo una garanzia […]»27-60).
Templon, che aveva comprato una mezza dozzina di dipinti da Baghoomian, alcuni dei quali già rivenduti, contattò il gallerista chiedendogli dei documenti che dimostrassero la provenienza delle opere. Non ricevette risposta. Chiese anche di essere rimborsato per due dei dipinti, Balloon e Smoke Bomb, valutati insieme 143.000 dollari. I galleristi Michelle e Herbert Rosenfeld, che avevano comprato dipinti da Baghoomian che poi avevano rivenduto a Templon e Perry Rubenstein, chiesero anche loro di essere rimborsati. Dice Templon:
Di solito un falso è un brutto dipinto, ma questi erano talmente belli, talmente perfetti. (In effetti erano talmente convincenti che durante la FIAC «Le Figaro» ne aveva riprodotto uno come copertina della sua sezione Arte e Tempo Libero). La reputazione di Baghoomian non è di certo impeccabile, ma c'è una gran bella differenza tra il non essere del tutto onesti e il fabbricare e organizzare la vendita di falsi. È un pessimo uomo d'affari, ma adesso dubitiamo anche del fatto che sia una persona onesta. Deve dimostrare da dove vengono quei dipinti27-61.
La provenienza dei dipinti è ancora in discussione. Anche se alcuni sono stati fatti nel 1982, l'unico timbro che hanno sopra è quello della Baghoomian Gallery. Quando il legale dei Rosenfeld chiese i documenti di Ascecticism, Baghoomian gli diede il nome di un gallerista di Parigi, che negò di essere mai stato proprietario del quadro27-62. Disse Baghoomian:
Fu la mia unica mossa sbagliata: vendere il quadro a mio fratello. La cosa peggiore è che qualcosa andò storto e il gallerista disse di non essere mai stato proprietario del quadro. Ma io non avevo niente da nascondere27-63.
Baghoomian sembrava contento e per niente a disagio nel suo loft pieno di opere d'arte. Un autoritratto di Warhol color seppia guardava da sopra le sue spalle. Un gigantesco trittico bianco di Basquiat, con sopra ripetuta la parola «Alchemy», era appeso sulla parete in fondo. Baghoomian frugò tra una serie di diapositive e disse che aveva il più grande archivio al mondo di opere di Basquiat, «mille e duecento dipinti e più di duemila e cinquecento disegni»27-64.
Baghoomian emise fatture che disse documentavano le transazioni tra lui e i più recenti proprietari di tre dei dipinti27-65. I precedenti proprietari di due delle opere – Mass Slums e Tax-Free – erano stranamente residenti in una zona sperduta dalle parti di Cardiff, nel Galles. Uno dei contatti di Cardiff, raggiunto per telefono, si rivelò essere la famiglia del fratello di Baghoomian. Il proprietario di Smoke Bomb era, su ammissione di Baghoomian, suo fratello Paul che viveva in California. Nessuno dei dipinti in questione era mai stato esposto prima né catalogato. «Trovo sia solo una campagna calunniatoria», ha detto Baghoomian a proposito della presunta falsità delle opere, «io posso parlare solo di dipinti che sono passati dalle mie mani. Se li ho avuti direttamente da Jean-Michel, come fanno ad essere falsi?»27-66.
A una serie di esperti delle opere di Basquiat, inclusi Bruno Bischofberger27-67 e Annina Nosei27-68, venne mostrata una diapositiva di una delle opere che in un primo momento giudicarono autentica. Ma al momento attuale è opinione diffusa che i dipinti siano dei falsi. Rubenstein ha dimostrato come parole e immagini dei due dipinti che sono sul catalogo della Whitney siano stati genialmente combinati per creare diversi nuovi simil-Basquiat. «Sono stati abilmente realizzati da qualcuno che sapeva bene come Basquiat applicava il colore e metteva foto, testi e immagini insieme», dice, «sono un'accurata riproduzione di immagini probabilmente ricalcate da una proiezione su superficie opaca»27-69. A detta di Rubenstein, le tele e i punti metallici dei presunti falsi sembrano anche loro nuovi.
Vari artisti residenti a New York vennero sospettati di essere stati complici di contraffazione di opere di Basquiat, incluso uno che prese in prestito un proiettore e lo restituì con dentro la diapositiva di un'opera di Basquiat. Ma Baghoomian non venne dissuaso dal recente scandalo. Da lì a un anno aveva aperto una nuova galleria nel vecchio spazio di Tony Shafrazi al 163 di Mercer Street. Per l'estate del 1996 era di nuovo scomparso dal mondo dell'arte.
Julian Schnabel aveva sempre voluto fare un film. E così, quando Lech Majewski, un regista polacco, lo intervistò per un film che aveva in programma di fare su Jean-Michel Basquiat, Schnabel non poté evitare di appropriarsi del progetto. Diede a Majewski cinquantamila dollari per le ricerche fatte (altri cinquantamila dollari gli vennero dati da Peter Brant) e iniziò a girare il suo film. Dice Schnabel: «All'inizio non volevo dirigere il film. Sono stato letteralmente costretto a farlo per essere certo che la storia venisse raccontata nel modo giusto»27-70.
Schnabel trascorse l'estate del 1995 a girare il film. Il cast includeva David Bowie nei panni di Warhol, Dennis Hopper nel ruolo di Bruno Bischofberger, Parker Posey in quello di Mary Boone, Paul Bartel in quello di Henry Geldzahler, Michael Wincott nei panni di René Ricard e Courtney Love di Tina Lhotsky. Claire Forlani, che inizialmente doveva essere Suzanne Mallouk, interpreta un insieme di fidanzate, e Benicio del Toro un insieme di amici, in parte Al Diaz, in parte Vincent Gallo. Basquiat era interpretato da un quasi esordiente, Jeffrey Wright, che prima di allora era stato Nurse Belize in Angels in America.
In basso: l'artista nello studio di Vrej Baghoomian
(1988). © Mark Sink
Schnabel girò il film con il suo solito entusiasmo, malgrado l'ondata di caldo e l'improvvisa alluvione dell'ultima notte di riprese. Realizzò personalmente anche diversi esemplari di graffiti alla Basquiat firmati SAMO. A un certo punto lui e la sua troupe passarono una faticosissima notte in un vicolo vicino all'ex-Mudd Club. Joey Arias interpretava se stesso, il vero buttafuori del Mudd Club. Tra mezzanotte e le 4:30 del mattino, al sorgere del sole, Schnabel, vestito con un sarong umido e con l'aria di Marion Brando che fa Kurtz in Apocalypse Now, girò e rigirò ossessivamente sempre la stessa scena: Jeffrey Wright che veniva picchiato da due teppisti che cercavano di rubargli un pezzo di un graffito SAMO che lui stesso aveva gentilmente firmato. Avevano fatto una dozzina di riprese della rissa nel vicolo. Ogni volta Wright collassava in modo coreografico, con un fiotto di finto sangue che gli schizzava fuori dalla bocca. Ma Schnabel non era ancora contento. Voleva che la steadicam riuscisse a passare direttamente dalla faccia insanguinata di Basquiat al finto poster di Basquiat (Wright) e Warhol (Bowie) nelle loro tenute da pugile. «Io stesso dovevo imparare come usare la steadicam», disse Schnabel, fissando la neve sul monitor. «Sembra un gruppetto di suore triturate da un frullatore»27-71. Per Wright il film fu soprattutto una faccenda di arte che imitava la vita:
C'erano un sacco di piani paralleli su cui lavorare. C'era la doppia iconografia di Warhol e Basquiat, e c'era la doppia cosa di me che ero sconosciuto al grande pubblico del cinema e di Basquiat, anche lui sconosciuto al grande pubblico del cinema. E la relazione tra Basquiat e Warhol era influenzata da questa cosa, così come la mia relazione con Bowie. Mi immedesimai realmente in Basquiat, perché mi ritrovavo a passare realmente dagli stessi corridoi, stanze, saloni da cui era passato lui. E credo che la mia interpretazione fosse sinceramente valida e il modo in cui venne montato il film fu valido, così come erano valide la sua storia e lui stesso da vivo. C'era poi un altro parallelo, ovvero il fatto che alla fine del film vieni lasciato con il dubbio su chi realmente fosse Basquiat: è una cosa che nemmeno Schnabel sapeva, per cui la tralasciò. Mi sono avvicinato a Basquiat attraverso le sue opere e quanto ho scoperto della sua vita è stato il suo profondo senso di isolamento. Non si trattava di solitudine, perché aveva amici, ma di un vero e proprio senso di isolamento27-72.
Dice infine Wright:
Julian ne ha fatto un personaggio troppo remissivo, troppo vittima, troppo passivo, e che non è pericoloso tanto quanto lo era nella realtà. È una sorta di Basquiat frenato. Ed è come se nel ricordo risultasse un Basquiat migliore. È una cosa fottutamente brutale. Ma forse è solo adesso che la nostra cultura può capire quanto fosse pericoloso Basquiat27-73.
Dice Schnabel:
Credo che Jean fosse come il protagonista del romanzo Il profumo. Grenouille è questo tizio che ha delle capacità extrasensoriali. Se annusa qualcosa riesce a vedere un intero paesaggio. E così crea questo profumo talmente delizioso che la gente finisce per mangiarsi lui. Di fondo questo è quanto è accaduto a Jean27-74.
Il film ricevette delle buone recensioni, ma molti nel mondo dell'arte risero del fatto che Schnabel, che nella vita reale non era mai stato particolarmente vicino all'artista e che era stato più volte messo in ridicolo da lui, si spacciasse per un esperto della sua vita, una sorta di alter ego. Particolarmente divertente fu il colpo di grazia artistico: negato il permesso da parte degli eredi di riprodurre i quadri di Basquiat, Schnabel e i suoi assistenti se ne fecero di propri.
Nell'aprile del 1996 Gerard Basquiat decise di tagliare i ponti con la Robert Miller Gallery. A detta di diverse fonti addentro alla situazione, si erano create delle tensioni con Robert Miller. Gerard era avvelenato per avere perso il primo round della causa Michelle Rosenfeld. Dopo quasi dieci anni passati ai margini del mondo dell'arte, cercando di districare il caos apparentemente senza fine del patrimonio del figlio, era arrivato alla conclusione che egli stesso fosse in grado di fare il lavoro di qualsivoglia gallerista, e si era licenziato dal suo lavoro a tempo pieno. Era convinto inoltre che facendo sparire temporaneamente dal mercato le opere di Jean-Michel sarebbe riuscito a riportare i prezzi all'apice raggiunto negli anni Ottanta.
La cosa sembrò funzionare. Nel maggio del 1996 a una vendita serale da Sotheby's, un quadro del 1984, Desmond27-75, venne venduto per 233.000 dollari, quasi 70mila dollari più della massima stima. Alla vendita del patrimonio di Henry Geldzahler da Christie's, un disegno a matita su carta millimetrata venne venduto per 11.213 dollari, quasi sei volte più della massima stima. Un'opera senza titolo consistente in tre criptiche righe, «thier dogs, thier harpoons, thier wives [sic]»27-76, stimata tra i cinquecento e i settecento dollari, venne venduta per 5.175 dollari. Nel novembre del 1997 venne raggiunto un record mondiale per le opere su carta di Basquiat con la vendita di un Untitled del 1982 per 255.500 dollari da Christie's. In quella stessa settimana un dipinto di Basquiat, Saxaphone [sic], venne venduto da Sotheby's per 244.500 dollari. «C'è un nuovo gruppo di collezionisti che ha sviluppato una sorta di jeanfilia. Sono arrivati al punto da sollevare i sassi per vedere se sotto ci sono sue opere», dice il gallerista Andrew Terner, «ogni giorno ricevo telefonate da tutto il mondo»27-77.
Covert Street è nel distretto di Bushwick, a Brooklyn, un sobborgo vicino Williamsburg. La casa in cui abita Matilde Basquiat, con la sua porta non dipinta e delle false finestre malamente disegnate, è il più malridotto degli edifici di una strada residenziale in cui ragazzine giocano a saltare la corda e l'occasionale irrompere di un qualche stereo portatile scuote l'assonnato pomeriggio di una domenica d'estate. Ad aprire la porta è Joseph Andredas, zio materno di Jean-Michel, un uomo alto, magro, dai capelli grigi, con addosso una maglietta. Va di sopra a chiamare Matilde. È come se l'interno della casa non fosse stato imbiancato, o forse nemmeno pulito da decenni. Dal tetto pieno di crepe pendono delle ragnatele. La pittura sulle pareti è scrostata. La madre di Basquiat vive in evidenti condizioni di indigenza. «Immagino di sapere cosa vuole. Non avrei dovuto lasciarla entrare», dice Joseph, scomparendo in cucina.
Una donna con un vestito da casa a fiori scende dalla scala sgangherata, fermandosi sull'ultimo gradino. Matilde Basquiat porta delle pantofole logore. I capelli sono tirati all'indietro, ma le unghie e i denti avrebbero bisogno di cure. Guarda fisso dritto davanti a sé. Quando le chiedo del figlio, fa roteare gli occhi e non sembra intenzionata a parlarne. Quando le viene spiegato che adesso il figlio è considerato un pittore importante e che quello che le chiedo andrà a finire in un libro su di lui, risponde lentamente. «Non è importante», dice chiudendo così la faccenda, «realizzato… in qualche modo». Continua solo dopo un'altra lunga pausa. «Non tutti riescono a gestire… la curiosità degli altri. Mio marito ha voluto arginare la curiosità della gente». La madre di Basquiat sembra irremovibile in questa sua determinazione a non voler parlare del figlio. «Non è una figura pubblica», dice decisa. E, mentre chiude la porta, aggiunge: «Educazione»27-78.
È la giornata nazionale del Portorico, e a un tavolo allestito all'angolo di una strada una coppia vende bandiere e collanine di perline. Matilde Basquiat è portoricana, e aveva insegnato al figlio a parlare bene lo spagnolo. Ma su Covert Street non c'è nessuno che festeggia.
Quando Jean-Michel Basquiat morì senza lasciare testamento, entrambi i genitori diventarono co-eredi del suo patrimonio. Nonostante Matilde Basquiat abbia delegato l'amministrazione del patrimonio al marito, è ancora erede della sua metà. «Sono eredi in parti uguali»27-79, dice Michael Stout. A detta di almeno una delle fonti a conoscenza delle vicende del patrimonio Basquiat, ognuna delle gallerie che lo rappresenta, inclusa la Robert Miller Gallery per quei nove anni in cui fu in affari con Gerard Basquiat, «cammina sui gusci d'uovo. Un giorno quella donna s'imbatterà in un avvocato che le dirà che le spetta il cinquanta per cento».
Oggi al 57 di Great Jones Street non abita nessuno. C'è una corona disegnata sull'esterno della porta, ma a disegnarla non è stato Basquiat. Il loft è affittato a una ditta che rifornisce un ristorante giapponese ed è usato come magazzino per carne e pesce crudi.
Dentro il piccolissimo due piani è buio quanto mai. Il piano di sopra e il soppalco che faceva da base per il letto di Basquiat sono ancora coperti di una moquette industriale grigia. Al piano di sotto le pareti della cucina sono ancora di un brillante giallo limone. C'è un «Do Not Enter, Dogs Below»27-80 scritto sulla porta dello scantinato che porta allo spazio stretto e claustrofobico dove un tempo vivevano Shenge e Kelle Inman.
Non c'è traccia del fatto che un artista abbia vissuto qui. Niente graffiti, niente scarabocchi. Ma a una delle pareti della cucina è attaccato un elenco scritto a mano: «Kukibara, Miru Himo, Corn, Hashira, Choice Rib Eye». Visto da chi ha occhio suona casuale, poetico, appropriato: potrebbe essere il testo di un dipinto di Basquiat27-81.