9. I cagoulards

Allo scoppio della guerra civile di Spagna, nel 1936, Carlo Rosselli organizzò, come ho detto, una spedizione di volontari di Giustizia e Libertà, invisi ai comunisti e, almeno in un primo momento, benvoluti dagli anarchici. Incontrando a Parigi André Malraux, si sentí dire che in Spagna servivano “tecnici”, non gente colta e ideologizzata. E per tecnici intendeva piloti di aerei, esperti di armi. Carlo partí con la sua Ford nera e restò in Spagna per sei mesi. Non fu una passeggiata. Al primo scontro con il nemico rimase ferito. Gli anarchici non avevano una buona impressione del comando rosselliano e alla fine fu “cacciato”. Disse piú tardi che quella fu la sua “avventura spagnola”, dove la parola avventura la diceva lunga sui suoi insuccessi aragonesi. Nel ricco epistolario dei Rosselli, dell’anno di quella avventura è rimasta solo una lettera, quasi come se fosse stata operata una censura. Scrive Franco Bandini nel suo libro Il cono d’ombra: «Piomba nel bel mezzo di una guerra civile tra le piú tragiche e sanguinose della storia recente, dove in un solo mese, quello dell’agosto 1936, vengono fucilate dalle due parti non meno di ottantamila persone. E Carlo non se ne accorge, non dedica una riga al vasto massacro che pure lo serra dappresso nella stessa Barcellona. Per quattro mesi vive e opera nella pazzia canicolare di una rivoluzione libertaria in cui gli stessi contadini sparano fucilate al liberatore Durruti».

Aldo Garosci, il principale biografo di Rosselli, racconta che Carlo fu una prima volta in Spagna «alla fine del luglio 1936» per gettare le basi di una colonna militare composta dai suoi e da quelli guidati dal suo amico anarchico Camillo Berneri. Secondo Bandini invece, Carlo non si mosse da Parigi fino al ferragosto di quell’anno. E Paolo Spriano racconta che Rosselli aveva organizzato a Parigi alla fine di luglio nella sede di Giustizia e Libertà in rue Val-de-Grace, una riunione sulla questione spagnola con comunisti, socialisti, massimalisti e anarchici.

Carlo dunque giunse a Barcellona il 16 agosto del 1936. La colonna partí per la Catalogna. In Aragona Carlo guidò la sezione fucilieri. A metà gennaio del 1937, nei primi minuti del combattimento a Monte Pelao, fu ferito a una gamba. Gli anarchici scrissero del suo allontanamento: «Accettano (gli anarchici) le dimissioni di Rosselli, considerando che se non le avesse offerte gliele avrebbero date».

Cacciato dagli anarchici, tornò a essere un giornalista disoccupato, sempre piú affascinato dalla militarizzazione delle colonne comuniste. E il demone dell’azione, sempre presente, lo portò a pianificare l’assalto all’Italia fascista con raid aerei poi falliti, come quello destinato a bombardare Villa Torlonia. Per dimenticare i suoi insuccessi spagnoli sognava di sbarcare con un manipolo di Giustizia e Libertà forse in Liguria, una mossa alla Carlo Pisacane. Avrebbe voluto far pagare la guerra di Spagna a Mussolini in maniera diretta, bombardando anche il balcone di piazza Venezia.

Ignazio Silone, anch’egli a Parigi, ironizzò su quelle immaginazioni rosselliane, non sospettando nemmeno che Carlo voleva coinvolti anche i comunisti nella sua impresa. Le difficoltà per un’azione simile erano tante e non potevano risolversi con qualche pagliacciata sulle strade di Parigi. Accompagnato da suo fratello Nello, lasciando Melina e i suoi due fratelli con le governanti italiane, Marina e Palmira, e una londinese, Géneviève Nouffland, salí sulla sua Ford e puntò alle terme di Tessé-la-Madeleine, sobborgo di Bagnoles-de-l’Orne, in bassa Normandia. Era il 17 maggio, Carlo aveva trentasette anni, Nello uno di meno.

Il lussuoso albergo delle terme era affollato. Non si accorsero di essere sorvegliati fin dal primo giorno da sette giovanotti, tra i venti e i trent’anni, compresa una ragazza. Facevano parte di un chiassoso gruppo detto La Cagoule. La loro setta segreta, nata da poco, si chiamava in realtà OSARN. Ferocemente anticomunisti, con a capo Jean Filliol, un tarchiato energumeno, non nuovo a soppressioni violente. Due dei cagoulards (“incappucciati”) sedevano a pranzo e a cena nello stesso ristorante dei Rosselli e un gruppo di altri cinque sedeva in una sala vicina. Questi ultimi si alzavano dal tavolo spesso ubriachi e litigiosi. Per poterli riconoscere avevano iniziato a spiarli a Parigi, al Café du Départ, a place Saint-Michel. Li avevano seguiti anche alla Coupole, senza suscitare alcun sospetto. Spacciandosi per agente di assicurazioni, uno di loro aveva anche cercato di entrare nell’appartamento al numero 79 di rue Notre-Dame-des-Champs. Erano in stretto contatto con l’uomo che aveva rapporti con i servizi segreti italiani, François Méténier.

Ai Rosselli quei giovanotti sembravano innocui e festosi visitatori delle terme. Uno di loro annotò nel suo diario la presenza di un funzionario del partito comunista, tal Dozza, che discuteva animatamente con Carlo. E qualche giorno dopo, quella inquietante del duca di Spoleto, personaggio misterioso quant’altri mai. Quei giovanotti avevano già provato a portare a termine la loro missione omicida, ma il malfunzionamento di una macchina li aveva dissuasi. Li seguivano dovunque, anche nelle visite alle chiese dei dintorni, o quando, seduti in un bar, scrivevano le loro cartoline. Troppo giovani per destare sospetti? Sta di fatto che i Rosselli continuarono a ignorare la loro presenza. L’improvvisa partenza di Marion, dovuta al compleanno dell’amato Mirtillino, cambiò ancora una volta i piani degli assassini. Dopo aver accompagnato Marion in stazione, per raggiungere piú presto Bagnoles, la Ford nera si inoltrò nella foresta di Couterne, seguita dalla macchina degli incappucciati che la speronarono quasi rovesciandosi. Nello uscí dall’abitacolo per accertarsi che non ci fossero feriti, credendo a un brutto incidente. Gli venne incontro Filliol che lo colpí con diversi colpi di pistola e subito dopo sparò a Carlo, che era rimasto in macchina. Li finí a pugnalate, ventisette delle quali riservate al corpo di Carlo, sistemando poi i cadaveri massacrati l’uno sull’altro. Sotto le unghie di Nello furono ritrovate tracce di pelle del suo assassino. Non presero denaro, anelli e preziosi, ma trafugarono dalla tasca interna della giacca di Carlo documenti importanti dell’avventura aragonese. Sul luogo del delitto capitò per caso una ragazza in bicicletta, che riuscí a scamparla correndo all’impazzata verso Bagnoles.

I giornalisti si precipitarono subito a casa Rosselli per riferire la ferale notizia. Quel trambusto nel suo salotto impressionò Melina, che fu subito ricacciata nella sua cameretta insieme ai fratellini. La camera ardente fu allestita proprio nel salotto. I funerali dei Rosselli a Parigi furono imponenti. Vi parteciparono piú di centocinquantamila persone. Parte di quella folla enorme li accompagnò fino al cimitero di Père-Lachaise. Se ne avvantaggiò il Fronte Popolare tuonando nei comizi contro la destra europea, in specie quella italiana.

Secondo Franco Bandini, la Cagoule era al servizio di diversi servizi segreti. Ricevette dagli italiani, guidati da Ciano e Mussolini, armi, in cambio di quella mattanza, armi truccate, destinate ai combattenti antifascisti in Spagna.

La versione dei giornali italiani era univoca. I fratelli Rosselli erano stati freddati dal fuoco amico, mentre in Francia la polizia sapeva dell’assassinio già prima che si compisse. Uno dei capi dei servizi segreti, tal Emanuele, in una sua missiva, aveva ordinato la “soppressione” dei Rosselli. La Cagoule fu processata, ma i suoi membri, anche se non tutti, si ritrovarono nel castello di Sigmaringen anni dopo, a banchettare insieme ai piú feroci nazisti, attendendo l’ora X, l’ora degli sgozzamenti dei nemici politici.

Ne Il cono d’ombra Bandini descrive dettagliatamente sia gli appartenenti alla Cagoule che le modalità dei due omicidi, diverse volte rimandati. Racconta anche di personaggi strani che stazionavano nella pensione dei Rosselli, soffermandosi sul viaggio in Svizzera di Nello, che aveva prelevato in una banca un’ingente somma di denaro, sfatando la teoria del passaporto ottenuto con troppa celerità a Firenze. È il capitolo del libro di Bandini piú convincente. È invece meno convincente quando sospetta la presenza della mano dei servizi segreti di Stalin, che allora iniziava a processare e uccidere gli oppositori politici trotskisti, immaginando un Rosselli che nella guerra di Spagna, infatuato dei comunisti come unici oppositori del regime, avrebbe avuto innamoramenti fatali per Trotskij. In realtà la soddisfazione di Ciano e Mussolini per quell’omicidio, riferita nei processi del 1944 a Mario Roatta e Filippo Anfuso, che poi furono scagionati, rimane indelebile.

Ne Il conformista di Moravia, si riconoscono i doppiogiochisti Natale ed Emanuele, e si fa cenno al beneplacito di Ciano per l’impresa. Moravia però dipinge il professore Edmondo Quadri, esule a Parigi, come uno dei capi dell’antifascismo, «forse il piú abile, il piú preparato, il piú aggressivo», ma anche come un illuso ottocentesco, predicatore di un’azione che avrebbe voluto eseguita da altri, in fondo un parolaio; e sua moglie Lina come una alto-borghese, bisessuale, che finirà uccisa con il marito.

Nei suoi primi viaggi a Parigi, Alberto Moravia deve aver visto trotterellare per casa Amelia bambina, forse proprio mentre Carlo Rosselli cercava abilmente di usarlo come tramite per gli affiliati romani di Giustizia e Libertà. Convinto durante una visita parigina, Moravia spedí infatti, da Torino a Roma, una lettera che il cugino gli aveva consegnato. Era indirizzata a un tal Meloni. La spia de Il conformista sembra quindi assomigliare all’autore del romanzo, e la lettera che Quadri (alias Carlo) avrebbe voluto consegnargli perché la inviasse al suo ritorno in Italia, non può che essere quella spedita veramente.

Ma la spia del romanzo di Moravia rifiutò quella lettera, ricordando la fedeltà a Ciano, che quando lo incontrò in una stanza del ministero aveva appena amoreggiato con una donna che gli aveva lasciato sulla pelle il suo rossetto. Anche questo episodio è autobiografico. Moravia si era cosí tanto immedesimato nel suo protagonista da imprestargli le sue esperienze di vita.

Il conformista è zeppo di sensi di colpa, di cui la critica, stroncandolo, non si accorse. Moravia alludeva alla possibilità di essere stato usato, inconsapevolmente, dalle spie italiane per riconoscere il suo parente fuoriuscito? Naturalmente i Rosselli non vollero commentare quel romanzo, che gettava una luce a dir poco ambigua su quella famiglia disastrata.

«Fu mia madre a farcelo sapere che era stato assassinato e ha chiamato mio fratello minore e me in camera sua. Stava molto male di cuore e credo già da molto e ci ha semplicemente chiesto se sapevamo cosa voleva dire la parola “assassinio”. E abbiamo risposto di sí. E credo io avevo sette anni e mio fratello Andrea sei, poi mi ricordo con le vestagliette siamo tornati in camera. Poi non ricordo niente».

Cosí riferí Amelia, molti anni piú tardi. Possiamo immaginare i sensi di colpa, le paure di Marion Cave, che era scampata per miracolo a quella mattanza. Ed era come se fosse stato Mirtillino a salvarla, il suo amore per un figlio che (nonostante non fosse stato lasciato solo) volle rivedere per festeggiare il suo compleanno, come gli aveva promesso. Quella parola “assassinio” deve aver scardinato la mente di Amelia bambina, che per sopravvivere cercò di cancellare quei brutti ricordi senza riuscirvi. Quel padre che aveva visto poco era scomparso ancora una volta, ma in maniera definitiva e atroce. Non poteva rispondere alla domanda, che pure insorse dentro di lei, sul perché lo avessero assassinato. Il mondo fuori di casa sua era privo di ragione, infernale. Né Marion, presa da atroci sensi di colpa, volle spiegare ai figli attoniti i fatti, che erano incomprensibili.

Al solito fu la nonna Amelia a occuparsi della piccola Melina e di Andrea, e a portarli con sé in Svizzera a Villars-sur-Ollon. Marion resterà a Parigi con il figlio prediletto. La bambina, come del resto Marion e tutta la famiglia, non si riprenderà piú da quella tragedia. La paura scatenava nevrosi a catena in Marion e nella nonna, per un possibile nuovo agguato a tutta la famiglia. Quelli della Cagoule, i cui capi provenivano dall’Action Française di Maurras, avevano fama di essere feroci assassini. I Rosselli si sentirono braccati dovunque andassero.

Melina sviluppò fin da allora una specie di complesso di persecuzione che non la lasciò fino alla morte. Non si fidava di nessuno. A parte la nonna e i cugini, tutti gli altri, anche le governanti, erano potenziali nemici. La famiglia Rosselli non era poliglotta, come si scrive oggi e tantomeno globe-trotter, ma lo diventò per necessità. Non scelsero loro di migrare a Londra e poi in Canada, per approdare infine in un sobborgo di New York. Erano fuoriusciti dall’Europa nazista in quanto ebrei antifascisti.

Due anni dopo l’orribile carneficina, Mussolini promulgò le leggi razziali che colpivano le famiglie ebree. Alla paura si aggiunse il terrore. Colpí il silenzio di Moravia che nel 1938 fece un viaggio in Grecia con Indro Montanelli e il fratello del gerarca Anfuso, il quale andò ad abitare un piano sotto al suo, in via dell’Oca, nelle vicinanze di piazza del Popolo. Su quei muri, durante il processo a Roatta, figuravano scritte come «Anfuso assassino». Moravia giustificò piú tardi il suo silenzio con la paura che dopo i fratelli Rosselli toccasse alla sua famiglia. Poi giunse un romanzo, Il conformista, che invece di appianarle complicò le cose.

Saltai dalla sedia quando verso la fine del romanzo di Louis-Ferdinand Céline Da un castello all’altro vidi comparire i giovanotti della Cagoule. Si calavano sul volto il cappuccio con i fori negli occhi, quando uccidevano. Il cappuccio assomigliava a quello della cocolla dei frati. Quel romanzo, pubblicato nel 1957, racconta l’umor nero dell’autore, quando si accorge che ormai nessuno piú si occupa di Céline, considerato uno sporco collaborazionista, uno che ha trafficato con i nazisti e ha addirittura, ma non è stato provato, denunciato diversi ebrei ai nazisti che occupavano Parigi. Se la prende in ogni pagina con Mauriac, Sartre e Proust, sostenendo che il suo romanzo piú fortunato, recensito positivamente sia dalla destra che dalla sinistra, il Viaggio, gli aveva portato sfortuna. Soprattutto ci tiene a sottolineare di essere rimasto il medico dei poveri, citando i suoi sacrifici, il nessun guadagno per le sue idee, come invece accadde ad altri. Il fiele di Céline sgorga a fiumi sui personaggi del castello di Sigmaringen, quello degli Hohenzollern, dove si era rifugiato con la sua donna e il gatto Bébert. Faceva il medico, curava i nazisti rinchiusi in quella che aveva tutte le caratteristiche di una prigione. Da un castello all’altro è un romanzo di memoria, pieno di dettagli e allusioni politiche, a volte oscure, a volte chiarissime. Céline era stato in prigione in Danimarca prima della fuga al castello, dove contò piú di mille rifugiati. I cagoulards, a differenza che nel libro di Bandini, vengono dipinti come intellettuali freddi, colti e feroci. La Cagoule si era sciolta dopo qualche anno di attività, ma i suoi animatori dovettero fuggire per sottrarsi alla guerra che stava volgendo contro di loro.

L’atroce assassinio di suo marito prostrò Marion, che si ammalò di nuovo. Nell’ultimo appartamento parigino si susseguirono giorni angosciosi. Bisognava fuggire al piú presto con tutta la famiglia, nascondere le loro tracce, se non si voleva perdere la vita. La nonna, che non fu informata se non di uno scontro automobilistico, abbracciò la piccola Melina e Andrea e se li portò, come ho detto, a Villars-sur-Ollon. Marion si trattenne a Parigi con il figlio John in uno stato di tremenda frustrazione. La nonna, rimasta sconvolta dal silenzio di Alberto Moravia, scriverà piú tardi nelle sue Memorie: «Non ne so piú nulla da anni, essendosi egli iscritto nel fascismo, o almeno non avendolo piú contrastato, mentre prima era, o pareva, un fervido antifascista. E lo ha fatto per opportunismo o, nell’ipotesi piú benigna, per debolezza».

Non era soltanto debolezza, come sappiamo, c’era di mezzo anche il contrasto ideologico. Per Moravia i veri antifascisti erano i comunisti, mentre quelli di Giustizia e Libertà gli parevano degli illusi ottocenteschi, come precisò anche nella sua Vita di Moravia. E le sue lettere alla madre dalla Grecia tentavano inutilmente di rassicurarla. Era con Montanelli e Anfuso, loro li avrebbero protetti. E anche in quell’occasione l’amicizia si era infoltita di conoscenze femminili, che allietarono quella “vitarella” greca.

Le leggi razziali resero impossibile il rientro in Italia dei Rosselli e Marion fece la spola tra Parigi e casa della sorella a Londra, sempre piú malata.