Mentre pigiava il pulsante dell’ascensore, Gabriel Mørk si rese conto che da tempo non sentiva quel formicolio in corpo. Dislocato temporaneamente alla polizia finanziaria. Non male, ma niente a che vedere con quello.
Mariboes gate 13.
L’unità era tornata.
Sorrise alla propria immagine riflessa nello specchio della porta dell’ascensore e rifletté su quanto fosse cambiata la sua vita. In così breve tempo. Ribaltata. Era un’altra persona. Nel giro di un anno, da quando Holger Munch l’aveva strappato alla sua esistenza di hacker, solo, incollato davanti ai monitor in cantina, per portarlo alla polizia. Adesso abitava in un appartamento nuovo a Torshov, si era abituato ad alzarsi al mattino per andare al lavoro. E per di più aveva una bambina.
Emilie.
Sotto shock lo era ancora. Papà lui? Gabriel Mørk non sapeva esattamente che cosa si fosse aspettato dalla vita, ma certamente non quello. La quiete. La sensazione di avere una direzione. Qualcosa che era più grande di lui. Capitava che di notte si alzasse soltanto per stare a guardarla. Le minuscole dita che si ripiegavano lentamente sui soffici palmi. La sua mano posata sul ventre soltanto per sentire che respirava.
Che stai facendo?
Devo solo controllare.
Oddio, Gabriel, sta dormendo, sta bene.
Sì, ma...
Sorrise tra sé mentre si riaprivano le porte dell’ascensore.
L’autunno precedente avevano lavorato a un caso che aveva visto coinvolta la figlia di Munch, Miriam, che l’aveva scampata per un pelo: correndo alla cieca in un precipizio era caduta ed era quasi morta, ma per fortuna ce l’aveva fatta. Munch aveva preso un’aspettativa per occuparsi di lei e l’unità si era sciolta disperdendo i suoi membri ai quattro venti. Curry era finito alla Narcotici, Ylva alla Buoncostume, lui alla polizia finanziaria, Anette Goli e Ludvig Grønlie a quanto pare avevano tenuto debolmente in vita l’unità e Mia... no, non aveva idea di dove fosse stata Mia, ma era felice di rivederla.
Tornati.
Finalmente.
Uscì dall’ascensore e fu accolto da un volto conosciuto.
«No, ma questo non è papà Mørk?»
Curry il bulldog uscì dalla sala caffè per andare a dargli una pacca sulla spalla.
«Si chiama Mia?»
«Chi?» rispose Gabriel.
«Lascialo stare» disse Ludvig Grønlie. «Ehi, Gabriel, bello rivederti.»
«Ho solo chiesto...» ridacchiò Curry. «Abbiamo fatto una scommessa, no?»
«Che vuoi dire?»
«Ti sta prendendo in giro» disse Grønlie svanendo in corridoio.
«Eh?»
«Ci chiedevamo se l’avessi chiamata Mia» ridacchiò il bulldog.
«No» rispose Gabriel, che finalmente aveva colto l’ironia. «Si chiama Emilie.»
«Porca miseria, i miei soldi!» ammiccò Curry dandogli un’altra pacca sulla spalla.
Non era un gran segreto che Gabriel Mørk avesse un debole per Mia Krüger. E sì, in realtà ci aveva pensato a quel nome, ma la sua fidanzata, Tove, si era imbizzarrita. Bello che avesse trovato lavoro in mezzo a persone così in gamba, ma era proprio necessario parlare così tanto di quella collega? Quindi no, non aveva chiamato la figlia Mia.
Emilie.
Sorrise rivolgendo alla figlioletta un altro dolce pensiero. Si era appena seduto alla scrivania e aveva connesso il pc alla rete quando squillò il suo cellulare.
«Sì?»
«Ciao, sono Mia. Hai tempo di fare una ricerca per noi?»
«Certo, di che si tratta?»
«La Scientifica ci ha restituito il suo pc e il suo telefono?»
«Non lo so, ma posso controllare. Cosa devo cercare?»
«Pare che avesse un fidanzato, ma abbiamo solo il nome di battesimo.»
«Ok, qual è?»
«Sebastian. Provi a cercare di capire chi è?»
«Certo.»
Gabriel strinse il telefono tra l’orecchio e la spalla per poter digitare sulla tastiera. Cercò la pagina Facebook di Vivian.
«Qui ho un Sebastian Falk. Sono amici su Facebook, in ogni caso, vediamo se...»
«Anche lui è un ballerino?»
Ora poteva sentire in sottofondo il mormorio di Munch.
«No, non mi pare» rispose Gabriel osservando rapidamente la pagina su cui era approdato. «Mi pare più un tipo da sport estremi. C’è scritto che fa l’istruttore su percorsi fuoristrada, qualsiasi cosa possa voler dire.»
Un giovane sulla cima di una montagna. Su una parete di una palestra d’arrampicata. Tre uomini al pub, ciascuno con la sua birra. Un elicottero con appeso sotto qualcosa. Un kajak in mezzo alle rapide. Gabriel Mørk riusciva sempre a meravigliarsi di quanta gente condividesse la propria vita privata su Facebook.
«Foto di... sì, come si può dire, attività all’aria aperta, un link a Ekstremsportveko qui a Voss, immagini di paracadutismo, arrampicata, roba del genere, non si fa cenno a una relazione, ma questo non significa nulla.»
«Abbiamo un indirizzo?»
Gabriel aprì un’altra pagina e consultò l’elenco telefonico.
«C’è un solo Sebastian Falk, se è la stessa persona abita a Tøyen, ecco il numero.»
«Dallo a Ludvig, digli di andarci immediatamente, ok?»
«Certo.»
Silenzio al telefono per un istante. Gabriel sentì di nuovo Munch che biascicava qualcosa in sottofondo, ma non riuscì a capire che cosa dicesse.
«C’è dell’altro, ma siamo molto sul vago. Crediamo che in famiglia qualcuno possa avere combinato qualcosa di strano.»
«Tipo?»
«No, non lo sappiamo. Puoi controllare se abbiamo qualcosa su qualcuno della famiglia?»
«Sarà fatto.»
«Bene» concluse Mia. «Chiama, se hai novità.»
«Naturalmente. State tornando?»
«No, andiamo all’Opera» rispose Mia.
«Ok, telefono se...» continuò il giovane hacker, ma Mia aveva già riagganciato.
Gabriel si tolse la giacca, tirò fuori una Coca-Cola dallo zaino e si autenticò nel sistema.
Gabriel Mørk era rimasto quasi scioccato quando durante l’apprendistato aveva scoperto quante informazioni lo stato abbia su qualsiasi comunissimo cittadino. Poco più di un anno prima aveva utilizzato la rete in cerca di vie traverse per consultare quelle banche dati, ma adesso vi aveva l’accesso pieno, bastava pigiare un tasto, all’inizio gli era sembrato fin troppo semplice.
Dieci diversi database, incluso il registro del DNA, foto e impronte digitali, registro anagrafico e soprattutto Indicia, il Registro criminale in cui la polizia immagazzinava informazioni non soltanto su persone che avevano compiuto qualche crimine, ma anche su quelle che erano state sospettate, inclusi i membri della famiglia, la cerchia dei conoscenti e i colleghi.
Big data.
Big Brother is watching.
Ai vecchi colleghi internauti anarchici si sarebbero fulminati i microchip se avessero saputo che cosa aveva in mano lui adesso, ma a essere sinceri non gli interessava più molto. Per cominciare, già aveva ricevuto qualche messaggio sarcastico da qualcuno delle chat room dell’IRC che ancora bazzicava.
Siamo passati dall’altra parte, eh?
Tutto questo lo infastidiva?
No, cazzo, non più.
Bambine di sei anni impiccate agli alberi con una targhetta sul collo. Una teenager nuda su un letto di piume in mezzo a un cerchio di luce. Vivian Berg, ventidue anni, trovata in un lago di montagna, uccisa con un’iniezione di antigelo nel cuore.
Che pensassero pure ciò che volevano.
Lui era nella polizia adesso.
Gabriel ebbe un moto d’orgoglio, bevve un sorso di Coca-Cola e si autenticò nel primo database.