Mia ordinò un caffè e un’acqua Farris e cercò un tavolo tranquillo in un angolo del Justisen. Qualche mese prima sarebbe andata diritta a prendere una birra e uno Jägermeister. Sembrava un’altra vita, adesso. Le venne quasi la nausea al solo pensiero. Munch era in ritardo e nell’attesa Mia rimase seduta a giocherellare con il braccialetto che aveva al polso. Per un istante aveva pensato di metterlo negli scatoloni insieme alle altre cose, ma poi aveva lasciato perdere. Ciascuna aveva ricevuto il proprio alla Cresima. Un braccialetto d’argento con un cuore, un’ancora e una lettera. M la sua, S quella di Sigrid. Le gemelle le avevano osservate insieme alla luce della finestra nella loro cameretta, alla fine della giornata. Era stata una proposta di Sigrid.
Facciamo a cambio? Io prendo il tuo e tu il mio?
Da allora Mia non se l’era più tolto. La data sul display del suo telefono mostrava il 10 aprile. Di lì a otto giorni sarebbero stati undici anni esatti. Overdose. Era il motivo per cui aveva scelto proprio quella data per partire. Non aveva il coraggio di andare a visitare la tomba. Aveva paura di quello che sarebbe potuto succedere nella sua testa. Quattro mesi senza sostanze per stordirsi. Quasi ogni giorno, esercizio fisico. Non si era mai sentita meglio. La vista della lapide avrebbe potuto gettarla di nuovo in quell’oscurità: perché correre il rischio?
Sigrid Krüger.
Sorella, amica e figlia.
11 novembre 1979 – 18 aprile 2002.
Amatissima. Ci manchi.
No, non era pronta per chiudere per sempre nello scatolone anche il braccialetto. Le fotografie e tutto il resto erano sufficienti.
S di Sigrid.
M di Mia.
Bevve un sorso di Farris e gettò uno sguardo verso il bar, dove un anziano signore aveva appena ordinato una birra ghiacciata. No. Nessun problema. Non ne aveva affatto voglia.
Munch arrivò con mezz’ora di ritardo. Si tolse il montgomery beige, la abbracciò prima di sedersi e posò una cartelletta in mezzo a loro sul tavolo.
«Hai ordinato qualcosa da mangiare?» domandò, gettando uno sguardo al banco del bar.
«No, non ho fame» rispose Mia.
Munch fece cenno al cameriere al banco e ordinò una tartina ai gamberetti e un succo di mela.
«Ascolta, Mia» disse poi sporgendosi un po’ verso di lei. «Ho parlato con Mikkelson e siamo d’accordissimo. È un idiota. La sospensione è finita. È stato un errore da parte sua. Abbiamo bisogno di te al lavoro. Ok?»
Mia accennò un sorriso.
«Parto tra una settimana, Holger.»
«Hai deciso?»
«Sì.»
«Sicura sicura?»
«Sì.»
Munch fece un sospiro e si grattò un po’ la barba.
«Capisco. Ok, mi sarebbe piaciuto averti tra i nostri, ma dovrò rinunciare a te. Non ti seccherò oltre. È solo che dovevo chiedertelo.»
«L’unità è di nuovo in piedi?»
«Già.»
«Si tratta della ragazza che hanno trovato lassù, nel lago?»
Munch annuì mentre arrivava il cameriere con l’ordinazione.
«Vivian Berg. Ballerina. L’hanno trovata con indosso il costume di scena. Un ragazzino e suo padre che erano a pesca.»
«Dove?»
«Si chiama Svarttjønn. Sul Vassfaret. Il lago sta in cima alla montagna, uno strano scenario.»
«Cosa c’è di strano?»
Munch addentò la tartina con i gamberetti e prese a parlare con la bocca piena.
«È scomparsa dal suo appartamento giovedì ed è stata ritrovata sabato, vestita di tutto punto, sulla cima di una montagna: che cosa non c’è di strano, vorrai dire.»
Puntò il dito sulla cartelletta tra loro.
«È tutto qui dentro.»
«Lo so cosa stai cercando di fare, Holger, ma io ho già deciso.»
«Capisco» disse Munch.
«Cosa intendi per ’vestita di tutto punto’?»
«I capelli acconciati. Il costume di scena con quella gonna da ballerina, il tutù. La calzamaglia bianca. E le scarpette con le punte.»
«Le scarpette con le punte? Le aveva indosso?»
«Sì.»
«Strano.»
«Già, non trovi?»
«Quanto dista il lago dalla strada?»
«Bah, circa tre quarti d’ora di cammino, attraverso un terreno scosceso.»
«L’ha portata lassù?»
«Dimmelo tu» ribatté Munch scrollando le spalle.
La guardò da sopra la tartina e lei lo vide nel suo sguardo.
«Cosa?» domandò reclinando la testa.
«Spiegati» ribatté Munch.
«Che cos’è che non mi stai dicendo?»
Munch la guardò serio e si pulì la bocca con un tovagliolino.
«Credo ci sia andata da sola» disse infine.
«Come fai a dirlo?»
«Le scarpette con le punte sono piene di strappi, di buchi. Le suole. Intendo dire che è evidente che ha camminato da sola fin lassù.»
«Stai dicendo che si è suicidata?»
«No, assolutamente no. È stata uccisa con un ago infilato nel cuore.»
«Un’iniezione?»
«Proprio così.»
«Di che cosa?»
«Glicole etilenico.»
«Vale a dire?»
«Antigelo.»
«Ma che cazz...»
«Appunto. È letale, e lo può acquistare chiunque in una qualsiasi stazione di servizio.»
«Quindi che cosa ti fa pensare che non sia andata da sola a piedi fino al lago per farsi l’iniezione?»
«Sei pazza?» esclamò Munch appoggiandosi allo schienale della sedia. «Ma hai idea di quanto può essere doloroso? Tu ti faresti mai una cosa simile?»
La sconsideratezza di un istante e l’avrebbe scoperto da solo.
Esattamente un anno prima.
Una tavola piena di pasticche di tutti i colori.
Su un’isola della costa del Trøndelag.
Vieni, Mia, vieni.
«Mi dispiace» disse Munch tornando a sporgersi verso di lei. «Ovviamente non intendevo...»
«Va tutto bene, Holger» disse Mia alzando la mano.
«Come stai tu, piuttosto?» proseguì Munch, mortificato. «Non te l’ho chiesto. Scusami. Sai com’è...»
«Certo, Holger. Capisco. E sto bene. Molto bene, in realtà.»
Alzò la bottiglietta di Farris, la agitò un po’ e fece finta di bere un sorso.
«Bene» disse Munch. «Hai un bell’aspetto, un ottimo aspetto anzi, se devo essere sincero. Era da tanto che non ti vedevo così, come posso dire...»
«Sobria?» sorrise Mia.
Munch sogghignò.
«Non volevo dire questo, massì, perché no? Da quanto?»
«Quattro mesi.»
«Accidenti, congratulazioni.»
«Figurati» sospirò Mia. «Sono stata una pessima poliziotta l’ultima volta, mi dispiace davvero.»
«Non dirlo nemmeno» ridacchiò Munch scuotendo la testa. «Senza di te chissà che sarebbe accaduto. Mio Dio, non oso nemmeno pensarlo. Hai risolto il caso. Me ne fotto di quello che ti serve per farlo; comunque, detto ciò, adesso mi fa piacere vederti così... sveglia.»
Mia sorrise. Sentì che lui diceva sul serio.
«Lei come sta?»
«Miriam? Sempre meglio. È forte. Se la caverà. Tra l’altro, ti saluta. Dovresti venire a trovarla uno di questi giorni.»
«Cercherò di farlo prima di partire» rispose Mia.
«Bene. Ne sarebbe felice.»
Munch sorrise con gentilezza e infilò la mano nella tasca del montgomery.
«Mi fai compagnia mentre mi fumo una sigaretta?»
Mia annuì e lo seguì fuori sotto le lampade, nel giardino. Primavera a Oslo, ma ancora non molto caldo, ovvio. Lei si strinse nelle braccia mentre Munch accendeva la sigaretta e tornava serio in volto.
«E se ti chiedessi sette giorni?» azzardò cauto.
«Non lo so, Holger.»
«Una settimana? Non un giorno di più. Voglio solo che tu dia un’occhiata. Che mi dici che cosa ne pensi.»
Mia strinse le labbra e se le toccò leggermente.
Una ragazza con un costume da ballo.
Nel mezzo di un lago di montagna.
Un’iniezione di antigelo?
«Abbiamo trovato diverse cose strane sulla scena del crimine» tossicchiò Munch guardandola con quello sguardo che lei gli aveva già visto innumerevoli volte.
C’è qualcosa di strano qui, Mia.
«Che avete trovato?»
«Mi concedi una settimana?»
Il suo sguardo adesso era quasi implorante.
«Ok» sospirò Mia infine.
«Fantastico» sorrise Munch dandole una leggera pacca sulla spalla.
«Allora, che avete trovato?»
«Non so bene da dove cominciare» riprese Munch esitando. «Il tipo aveva posizionato una macchina fotografica.»
«Che vuoi dire?»
«Una macchina fotografica su un cavalletto.»
«Puntata sul cadavere?»
«Sì.»
«C’erano foto all’interno?»
«No, vuota. C’era lo spazio per una scheda di memoria, ma lui se l’era portata via.»
«Perché lui? Sai già che si tratta di un uomo?»
«Le impronte sul fango. Numero 43.»
«Lei era sulla riva?»
«Sì.»
«E la macchina fotografica era rivolta verso di lei?»
«Sì.»
«Strano» mormorò Mia.
«Lo so.»
«C’era altro?»
«Non so se sia rilevante, ma abbiamo trovato una pagina da un libro per bambini poco distante.»
«Quale libro?»
«Astrid Lindgren. I fratelli Cuordileone. Me lo fai un favore? Ci dai un’occhiata? È importante.»
Munch spense la sigaretta.
«Mi sembra di averla già vista questa scena. Tu che spunti dal nulla con un po’ di fotografie che mi chiedi di guardare.»
«Solo un’occhiata.»
«Ok, Holger, solo perché sei tu» sospirò Mia, e lo seguì al tavolo.