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Il parroco Paul Malley sedeva all’interno del confessionale della cattedrale di Sankt Olav riflettendo sul fatto che forse stava solo perdendo tempo. La funzione del mattino era terminata, ma sembrava che tutti i fedeli fossero subito andati al lavoro. C’era un silenzio assoluto. Il suono del nulla lo colpiva da quel maestoso luogo dello spirito che per lui significava così tanto. Il duomo di Sankt Olav, per lui non c’era alcun dubbio, era in assoluto la chiesa più bella della città. Era lì che era stato consacrato diacono poco più di cinque anni prima, e prete soltanto sei mesi più tardi. Dopo un breve vicariato come amministratore della parrocchia a Lillehammer era stato richiamato e adesso era sia parroco sia rettore della comunità della cattedrale. Paul Malley non avrebbe potuto essere stato più soddisfatto della strada che Dio aveva scelto per lui. Da un punto di vista storico la comunità cattolica in Norvegia non poteva reggere il confronto con quella protestante, ma negli ultimi dieci anni le cose erano lievemente cambiate. In gran parte grazie agli immigrati, ora avevano messe settimanali sia in polacco sia in vietnamita, ma anche lo stuolo di fedeli norvegesi era significativamente aumentato. Ora, con l’aiuto di diaconi e cappellani, lui teneva tre messe ogni giorno feriale, alle otto, alle undici e alle diciotto. Ed era a questo programma che la settimana precedente aveva pensato di apportare un cambiamento. Non nelle messe, no, quelle erano distribuite in tempi perfetti. Messa del mattino, messa prima dell’ora di pranzo e messa del dopolavoro. Così i suoi discepoli potevano scegliere da soli quando, nel corso della loro affannata giornata lavorativa, poter andare a trovare il Signore.

I discepoli... no, ovviamente era una definizione inappropriata. Paul Malley sorrise lievemente tra sé. Soltanto Gesù aveva dei discepoli, eppure a volte sembrava fosse così, che il gregge fosse proprio il suo. Non capitava più spesso, adesso, che non fosse in grado di riconoscere un volto? Se vedeva una faccia sconosciuta andava sempre a presentarsi al nuovo venuto. Lui era dopotutto un eletto di Dio, la porta verso il Signore, era importante che svolgesse la sua missione da vicino, non da lontano. Dunque, ancora, era proprio per questo che aveva deciso di attuare quella modifica nel programma quotidiano.

Soprattutto nella disponibilità del confessionale. Nel vecchio ordine del giorno il confessionale restava aperto mezz’ora al giorno, dalle 17.15 alle 17.45. Non c’era mai stata questa grande richiesta e la sua impressione era che ciò dipendesse dall’orario sbagliato. Confessare i propri peccati nel pomeriggio. No, non sembrava del tutto corretto. Dopo una lunga giornata di lavoro, li capiva bene, davvero. Tutto quel che si desiderava era tornarsene a casa, trovare la cena in tavola e magari venerare lì il Signore. E poi un giorno gli era venuta l’idea: perché non aprire il confessionale dopo la messa del mattino? La notte non era forse il momento più buio, quando l’anima giaceva in solitudine? Al mattino non era forse forte il bisogno di confessare i propri peccati?

Non gli andava di arrendersi, ma mancava poco, ora che si ritrovava lì seduto da solo in silenzio e cominciava anche ad avere appetito. Sollevò l’abito talare e si allacciò la scarpa. Sentì il profumo di pavimento appena lavato e di rami di abete in quel piccolo spazio. Era una nota di limone quella che sentiva oggi? Dovette sorridere lievemente a quel profumo delizioso, ma era anche un po’ deluso per la sua valutazione errata. Confessione al mattino presto? Era evidente che non c’era nessuno che avesse tempo o bisogno di farla. Decise di aspettare ancora qualche minuto. Ma poi no, aveva fatto un errore ed era giunto il momento di ammetterlo. Paul Malley fece un sospiro e si sollevò leggermente l’abito per alzarsi quando all’improvviso sentì echeggiare fuori dei passi.

C’era qualcuno che...?

La Vergine gli aveva fatto la grazia?

Tornò a sedersi rapido e si fece il segno della croce.

Passi leggeri, cauti sul pavimento rigido, proprio accanto al confessionale. Paul Malley sorrise, mentre qualcuno apriva la porta, e vide una figura scivolare nella minuscola cabina.

Attese qualche secondo affinché il nuovo venuto prendesse posto, poi aprì la porticina.

«Ave o Maria, piena di grazia. Il Signore è con te, tu sei benedetta fra le donne, benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.»

Si fece di nuovo il segno della croce sentendo la persona che si univa alla sua preghiera.

«Amen.»

Tutto avvenne con lentezza. Un giovane. Riusciva a distinguerlo dietro la grata, ma non a capire chi fosse, ovvio, era proprio quello lo scopo del confessionale. Vicinanza, eppure una distanza sufficiente a sentirsi sicuri nel confessarsi.

«Mi perdoni, padre, perché ho peccato. È la... questa è la prima volta che vengo al confessionale.»

«La prima volta?»

Malley sentì che gli batteva il cuore sotto l’abito, nulla era come un nuovo membro del gregge.

«Ho... non so esattamente» continuò il giovane, lottando per trovare una porta nella sua anima.

«Prenditi il tempo che ti serve, figlio mio» disse Malley, tranquillo. «Qui dentro ci siete solo tu e il Signore, Lui non giudica nessuno, vuole ascoltarti, qualsiasi cosa tu desideri raccontargli.»

«Grazie» mormorò il fedele, poi tacque un istante, infine sembrò prendere lo slancio. «Non so se sia un peccato, oppure no, non riguarda me, ma è una cosa di cui sono stato testimone.»

«Ah, sì?» ribatté Malley. «Posso chiederti allora di chi si tratta?»

«Mio fratello» disse infine la voce.

Il giovane parlava così piano che Malley dovette chinarsi per avvicinarsi alla grata.

«Tuo fratello? Intendi tuo fratello di sangue o un fratello nel gregge?»

Il giovane sembrò sorpreso di quella domanda, ma la sua risposta fu diretta.

«No, no. Mio fratello. Mio fratello maggiore. Abitiamo insieme. Siamo solo noi due. I nostri genitori non ci sono più.»

«Mi dispiace» rispose Malley, affabile. «E di che cosa sei stato testimone? C’è qualcosa di cui vuoi rendere partecipe il Signore?»

Dietro la grata tornò il silenzio.

«Posso chiederle una cosa?» domandò il giovane a bassa voce.

«Ma certo, figlio mio.»

«Non so neanche perché sono qui. Avevo solo bisogno di parlare con qualcuno. Forse sarei dovuto andare da uno psicologo o qualcosa del genere, non so come funziona qui dentro, non volevo rubare il posto a qualcuno o...»

Malley non interrompeva mai nessuno che si stesse confessando, ma sentì che in quel caso era giusto farlo.

«Figlio mio, cose grandi o piccole, non conta. Sei venuto qui per parlare e sei il benvenuto. Non devi vergognarti o sentirti in colpa, qui dentro tu sei puro e io ti ascolto.»

«Grazie» rispose il giovane, apparentemente sollevato.

«Dunque, tuo fratello? Di che cosa sei stato testimone?»

«Ho paura per lui» disse lo sconosciuto.

«In che senso, paura?»

«Non è più lui. Ho paura che... faccia cose.»

«Che genere di cose?»

Malley stava cominciando a incuriosirsi.

«Non mi parla più. Scompare nel pieno della notte. Si chiude nella sua stanza quando torna a casa. Non vuole lasciarmi entrare. Credo stia nascondendo qualcosa là dentro.»

«Tu credi? Posso chiederti quanti anni ha tuo fratello?»

«Ventotto.»

«E che lavoro fa?»

«Ah, no, lui non lavora. Sa, è stato malato.»

Lo sconosciuto tacque di nuovo. Malley lo sentiva agitarsi sulla panca di legno. Era evidente che il giovane non era a suo agio.

«Malato? Di che cosa?»

«Forse non dovrei dirle tutto questo, padre. Mi sembra di tradirlo. Mi sembra di...»

«È una cosa tra te e il Signore» lo interruppe Malley. «Non stai tradendo nessuno. Il Signore è padre di noi tutti.»

«No, non va bene. È stato un errore. Ho troppa paura.»

Malley cominciava ad avere difficoltà a starsene seduto in silenzio adesso.

«Di che cosa hai paura, figlio mio?»

«Lui è pericoloso.»

«Che vuoi dire...?»

«Mio fratello. È pericoloso.»

«Hai paura che possa... farti del male?»

Silenzio. A Malley parve di sentire piangere.

«Figlio mio, ascolta...»

«No» disse il giovane alzandosi di scatto. «Non ce la faccio. È troppo difficile. Mi dispiace averla disturbata, padre.»

Malley udì la mano che girava la piccola maniglia e prese rapidamente una decisione.

«Figlio» disse con un tono più deciso. «Ho una proposta, la vuoi sentire?»

Funzionò.

Lo sconosciuto tornò penosamente a sedersi.

«Credo tu debba tornare a casa, d’accordo, ma non prima che tu e il Signore abbiate fatto un patto...»

«Che significa?» chiese la voce affranta.

«È evidente che stai portando un fardello e capisco che per te sia difficile. Ma ora sei stato qui e sai chi sono. Va’ a casa e riflettici, tornerai quando sentirai che è la cosa giusta da fare. Domani, tra qualche giorno, questo non conta, ma voglio che noi ci facciamo una promessa, che ci rivedremo, siamo d’accordo?»

Passò un lungo istante. Malley riusciva a sentire quanto il giovane fosse tormentato, come se si sentisse lacerato, ma alla fine aprì la bocca.

«Va bene, padre. Tornerò. La trovo qui?»

«Certo» rispose Malley, calorosamente. «Ogni mattino sarò qui per te, sappilo. Verrai quando te la sentirai.»

«Grazie» rispose il giovane sollevato. «Lo apprezzo molto. Mille grazie.»

«Ci vediamo, allora» disse Malley.

«Certo, padre, mille grazie.»

Malley sorrise tra sé mentre i passi fuori si allontanavano sul pavimento della chiesa fino a svanire.

Allora aveva fatto bene.

L’idea della confessione al mattino.

Rivolse un pensiero di ringraziamento alla Vergine, poi uscì dal confessionale, intrecciò le mani sul petto e si diresse calmo verso la sacrestia.