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Mattino presto. Non ancora le sei. Forse la strada più noiosa del mondo, ma il trentaduenne Jonas Olsen sedeva comunque dietro al volante con un gran sorriso sulle labbra. Già la sera prima era in brodo di giuggiole. Quasi non riusciva a credere che fosse vero. Che fosse andata così bene.

Quasi irreale.

Aprile. La primavera si era davvero destata, fuori era ancora buio, ma si riuscivano comunque a intravedere le foglie verdi sugli alberi. Normalmente l’avrebbe affranto. La solitudine. Sembrava sempre rafforzarsi in quel periodo dell’anno. Strano, no? Non avrebbe dovuto essere il contrario? Che fossero i mesi privi di luce quelli difficili? Ma no, a quanto pareva non era così. L’aveva letto in un articolo in internet. La Norvegia contava oltre seicento suicidi l’anno e la maggior parte avveniva in primavera. Non aveva capito bene, aveva a che vedere con il fatto che in inverno tutti erano depressi, ma quando arrivava il sole allora ci si sentiva diversi. Quando splendeva il sole diventava più evidente il buio che si aveva dentro, qualcosa del genere, non aveva compreso bene quel che c’era scritto.

Jonas Olsen si chinò per accendere la radio mentre intorno a lui cominciava a rischiarare. La strada dei pensionati. Kjelsås, Grefsen e Maridalen. Ottima se eri un tipo indolente, generalmente tranquillo, non troppe fermate, e c’era una certa distanza tra quei luoghi. In ogni caso era lontano il posto che lui doveva raggiungere. Il Campo militare di Skar. La caserma dismessa che al momento era utilizzata come scuola. Sembrava sempre un viaggio inutile. Fuori città. Lontano dalla strada principale. Non riusciva a immaginare qualcuno che potesse prendersi la briga di andare fin là per rubare un paio di vecchi pc. Ma faceva parte del lavoro e comunque ora non contava. Trovò una stazione radio che trasmetteva una bella canzone e si mise a canticchiare tamburellando felice con le dita sul volante.

Da tempo non ci pensava più. Trovare una fidanzata. Lui era un tipo troppo strano. Troppo timido, impacciato. Ricordava con orrore gli anni della scuola. I suoi deboli tentativi di approccio con l’altro sesso in genere erano finiti male. Stava per lo più a casa. Con il naso tra i libri. Ma poi? No, quasi non poteva crederci. Linda. La receptionist abituale era in congedo per maternità, lei la sostituiva. Linda. C’era qualcosa di particolare in lei. Non era in grado di dire esattamente che cosa. Ma sapeva che presto quel tempo sarebbe finito. L’altra receptionist presto sarebbe tornata. Avrebbe voluto fermare il calendario in sala caffè. Il tempo fuggiva.

Ma poi, all’improvviso, lei gli aveva detto:

Magari una volta potremmo prenderci una tazza di caffè insieme?

Era rimasto così stordito che non era quasi riuscito ad aprire bocca.

Sì... magari...

O potremmo pranzare insieme, se hai voglia. Sabato? Va bene? O sei occupato, forse?

Occupato? No, no, no, no, sabato va benissimo.

E poi quegli occhi sorridenti che lo guardavano mentre un biglietto veniva spinto sul bancone. Il numero di telefono.

In macchina non era quasi riuscito a infilare la chiave nel foro d’accensione. La gioia che aveva provato, immediatamente cancellata dalla solita angoscia. Il buio che aveva dentro, come la sensazione di affondare lentamente, nell’acqua nera, ghiacciata. No no no. A che cosa aveva detto sì? Non sarebbe andata bene. Avrebbe dovuto cancellare l’appuntamento. Cosa le avrebbe detto? Lei avrebbe cominciato a sbuffare non appena si fosse accorta di quanto era stupido. Nervoso. Impaurito. Non sarebbe riuscito a dire una parola. Dalla sua bocca sarebbero uscite solo sciocchezze. Gli era già successo tante volte. Le risate. Il bisbigliare alle sue spalle quando passava per il corridoio a scuola.

Ma a lei era piaciuto.

«Mi piaci molto, Jonas.»

Linda.

«Ti va di fare qualcosa anche domani?»

Quasi non poteva credere che fosse vero.

Come se il mondo avesse deciso di concedergli ancora un piccolo barlume di gioia, ecco che il sole all’improvviso alto in cielo scacciava l’oscurità dalle nubi sul lago Maridalsvannet. Un nuovo mattino nel regno della primavera. Colori vividi e magnifici intorno a lui in ogni angolo. Che differenza, pensò mentre dirigeva l’auto al parcheggio di Skar. La natura al buio. La natura alla luce. La vita senza nessuno. La vita con... Non osò neppure completare l’ultimo pensiero. Erano usciti una sera soltanto. C’erano ancora molte possibilità per fare brutte figure. Ma non aveva senso mettere le mani avanti. Doveva godere di quel momento. Quella magnifica sensazione che aveva in corpo.

Il parcheggio di Skar. Da dove potevi incamminarti attraverso il bosco fino al lago Øyungen. Dare da mangiare alle anatre. Magari piantare una piccola tenda per la notte e vedere i pesci affiorare. C’era una macchina con il motore acceso sul parcheggio e lui si irritò. Era proprio necessario? Perché la gente non rifletteva? Jonas Olsen spense il motore della propria auto e scese per andare a controllare il cancello. La catena c’era ancora, il lucchetto sembrava intatto. Uno sguardo rapido verso l’area del campo militare. Sembrava tutto tranquillo. Stava per tornare in auto quando notò qualcosa che lo fece fermare. La macchina con il motore acceso. Non c’era... qualcosa di strano? Fece qualche passo sul piazzale. Dopotutto era una guardia giurata. Era compito suo controllare che tutto fosse in ordine. Che cos’era che...?

Non lo vide bene se non quando fu a pochi metri. Il fumo che filtrava dal finestrino aperto sul lato passeggero. Non molto, soltanto una strisciolina grigia, eppure...?

«C’è nessuno?»

Jonas Olsen batté sul finestrino, ma non ottenne risposta.

Strano. Batté sul finestrino ancora una volta.

«C’è nessuno?»

Niente. Era una guardia giurata. Doveva intervenire, no? Olsen batté sul finestrino una terza volta, poi aprì lo sportello e vide due sedili vuoti, solo quel fumo grigio.

«C’è nessuno?»

Fu allora che lo vide.

Qualcosa stava bruciando.

Sul sedile posteriore.

Una casetta delle bambole?

«C’è nessuno?»

Jonas Olsen la sentì arrivare in quel momento. L’angoscia. L’acqua scura. Tolse rapido la testa dall’auto, fece qualche passo indietro, le dita sulla tastiera della radio che teneva attaccata al taschino sul petto.

«Centrale, qui è JO, strada KGM, sono a Skar, mi sentite? Chiudo.»

Si allontanò ancora dall’auto, sentì battere forte il cuore sotto la camicia.

«Centrale? Qui è JO... Mi sentite? Chiudo...»

Prima non se n’era accorto, ma ora la vide. La fessura. Il bagagliaio. Non era completamente chiuso.

Non avrebbe voluto, ma non poteva evitarlo.

No.

Jonas Olsen era in preda a una sorta di straniamento, quasi non fosse lui, in quel momento, ad aprire il bagagliaio.

«Centrale? Avete...?»

Nel bagagliaio c’era un ragazzino.

«Centrale?»

Con gli occhi spalancati.

«Ehi?»

E poi fu troppo.

Quando alla fine una voce rispose alla radio, Jonas Olsen non c’era già più.