Mia Krüger si svegliò al suono del telefono, non si era accorta di essersi addormentata. Si era girata e rigirata sul materasso tutta la notte, alzandosi diverse volte. Le immagini di Vivian Berg sulla retina. Il delicato corpo bianco semicoperto dall’acqua scura. Gli occhi disperati di Karoline Berg, un mare di dolore che non aveva ancora completamente raggiunto la superficie. La scritta sulla parete. La paura nello sguardo di Kurt Wang.
Vieni, Mia, vieni.
Le immagini della sorella nel campo.
Di nuovo.
Svanite da tempo, ma ecco che adesso erano tornate. Era entrata nella stanza degli scatoloni. Aveva pensato di aprirne uno.
Album di Mia.
Guardare un po’ la nonna.
Aiutava sempre.
La nonna che la notte parlava alla luna e che i vicini chiamavano strega, ma che per Mia era la sola persona che sembrava equilibrata in quel mondo confuso.
Non ascolti, vero?
Te stessa?
Non dovevi partire per le vacanze?
Lo sai che non stai bene, Mia...
Pensieri bui di notte e un corpo che non voleva smettere di tremare. Alla fine si era chiesta se il Lorry fosse ancora aperto alle tre del mattino.
Due birre e uno Jäger, soltanto per addormentarsi...
La bettola per travestiti di Charlie Brun a Tøyen era sempre aperta...
Qualche pillola, solo per riposare?
A quanto pareva alla fine ce l’aveva fatta, senza sapere esattamente come. Il telefono sul comodino mostrava le sette e mezzo passate da poco.
«Pronto?»
«Sveglia?»
Anette Goli all’altro capo.
Il diligente avvocato della polizia sembrava avere un motore senza pari, funzionava come se non avesse bisogno né di cibo né di sonno.
«Adesso sì» sbadigliò Mia. «Che succede?»
«Ne abbiamo un altro» disse la Goli secca.
«Dove?» disse Mia alzandosi dal letto e accorgendosi di essere vestita.
Si era vestita, no?
Per andare da Charlie a Tøyen...
Cazzo.
«Maridalen» disse Anette. «In un bagagliaio, a quanto pare di un’altra auto rubata.»
«Ragazza?» domandò Mia entrando in bagno.
«No» rispose la Goli. «Un ragazzino.»
Ma ci era poi andata da Charlie?
No, era pulita adesso.
A quanto pareva, ce l’aveva fatta.
«Segni di un’iniezione sul petto.»
Mia si sciacquò il viso velocemente con l’acqua fredda. Sentì che tornava lentamente in vita.
«Quattordici anni. Ruben Iversen.»
«Sappiamo già chi è...»
«Sì. I suoi vestiti sono stati trovati in un sacchetto davanti all’auto. Telefono e bancomat. Era svestito nel bagagliaio, con indosso soltanto un... sì...»
«Cosa?»
«Un costume da bagno.»
«Ripeti...?»
Mia strappò il giubbotto dall’appendiabiti.
«Era quasi nudo nel bagagliaio, indossava solo il costume da bagno e nell’auto qualcosa stava bruciando.»
«Che cosa stava bruciando?» incalzò Mia infilandosi le scarpe.
«Una casa per le bambole. Ci sei...?»
«Dove siete?» domandò Mia.
«Maridalen. Il parcheggio della Caserma di Skar.»
«La famiglia è stata informata?»
«La madre ha denunciato la scomparsa ieri sera tardi. Ora provo a contattarla. Stai arrivando?»
«Vengo subito» disse Mia e riagganciò.