Erik Rønning non aveva pagato un solo drink in tutta la serata e adesso ne arrivò un altro ancora sul tavolo, seguito da un nuovo volto dalla stessa espressione di tutti gli altri. Cinquanta per cento invidia, cinquanta per cento curiosità. Un altro collega trasandato si fece largo e prese posto accanto a lui nella speranza di estorcergli le ultime notizie. Giornali online. Com’è che si chiamava? Rønning non lo ricordava. Ma chi se ne importava, era lo stesso. Sollevò il suo gin tonic con un sorrisino e si voltò verso Veronica Mossberg, che adesso era ancora più bella... Quanti ne aveva bevuti? Sei? Non ricordava.
Stopp Pressen. Non frequentava spesso quel posto, un po’ troppo terra terra per i suoi gusti. Un ambiente plebeo. I direttori di testata ci andavano di rado, quindi non c’era ragione di bazzicarvi, ma l’aveva proposto la Mossberg.
«Allora, com’è che siete davvero entrati in possesso di quel video?» domandò la Mossberg con gli occhi annebbiati.
Non aveva aperto un altro bottone della camicetta? Prima era chiuso, no? Si era voltato solo un istante per salutare qualcuno con la mano. Ammiccò e sorrise mellifluo da sopra il drink, si avvicinò un po’ di più.
«Be’, sai» disse, posando il braccio sul bordo del divanetto. «Buon fiuto. Duro lavoro.»
La Mossberg ridacchiò scrollando il capo.
«No. Dico sul serio, Erik, sono curiosa. Dimmelo, dai.»
«Le mie labbra sono cucite» si schermì lui portandosi un dito alla bocca.
«Dai, su, siamo solo noi due» insistette la Mossberg.
«Appunto» disse Erik esibendo il sorriso smagliante.
Si era fatto sbiancare i denti solo qualche giorno prima. Dal dentista in Rådhusplassen. In realtà aveva pensato di incapsularli. Un impegno enorme dover mantenere quel bianco scintillante, perché dunque non renderlo permanente? Se doveva presenziare con una certa frequenza in tv, cosa che al momento si verificava, be’ allora tanto valeva mantenere il sorriso splendente. Per il momento aveva accantonato l’idea. Qualche settimana prima era stato a pranzo con degli investitori per una questione che aveva a che fare con un hotel a Dubai e la moglie di uno dei ricconi, o era la sua amante, difficile a dirsi, gli era sembrata un cavallo con i suoi nuovi denti, quindi aveva pensato che forse non era poi una cattiva idea tenersi i vecchi.
Si spostò ancora un po’ verso la Mossberg, le avvicinò la bocca alla guancia soffice. Poteva sentire il suo profumo adesso.
«Conosco un posto più tranquillo» sussurrò.
«Ah, sì?» ridacchiò lei infilando in bocca la cannuccia.
Spuntò un’altra persona sullo sfondo. Un altro drink, sicuro. Altre incuriosite congratulazioni. Era stato così tutto il giorno. Nani bastardi. Credevano davvero che avrebbe rivelato come aveva avuto il filmato dell’omicidio? Pazzesco.
«Ehi, ciao» esclamò la Mossberg alzandosi.
Diede un bacio al nuovo arrivato.
«Erik, questo è mio marito, Konrad. Vi siete già incontrati?»
Marito?
Rønning deglutì e soffocò un rutto. Si alzò malvolentieri per dare la mano al tizio.
«Konrad Larsen» disse l’uomo.
Giacca elegante, camicia aperta. Baffi folti sotto un paio di occhiali.
«Piacere» mormorò Rønning mentre l’uomo si sedeva.
Merda.
Ora cominciava a sentirli, i drink.
Erano sei o sette?
Ebbe quasi difficoltà a ritrovare la sedia.
«Alla faccia dello scoop» disse Larsen accarezzando la Mossberg sulla spalla. «È stato un caso o che altro?»
Da dove veniva fuori quel tizio?
Ma che cazzo!
Sfoderò il suo sorriso migliore, biascicò qualche risposta e si scusò. Trovò la strada per la toilette e vi rimase a guardarsi allo specchio. Che maledetto spreco di tempo. Star lì seduti a flirtare. A saperlo, avrebbe rinunciato a qualcuno di quei drink. Per farsene uno come si deve. Girò la manopola del rubinetto e si bagnò il viso. Al bar del Grand magari? Dello champagne?
Si trascinò di nuovo nel locale e si chiese se non fosse il caso di andarsene direttamente, quando si accorse di un paio di occhi che lo fissavano dal bar. Una bocca rossa sopra un cocktail. Capelli biondi. Un vestito attillato che in realtà non nascondeva nulla. Avrà avuto la sua età, forse un po’ più giovane. A che cosa le servisse il cappellino verde non riusciva proprio a capirlo, ma poi, perché no? Un look sportivo, no?
Si raddrizzò il nodo della cravatta e si avviò verso il bar.
«Che cosa bevi?» le domandò accennando al suo bicchiere.
«Sono rimasta a secco» ridacchiò la giovane.
«Ahia» osservò Rønning. «Non se ne parla proprio.»
Fece segno al barista, ma non ottenne attenzione.
Non sapeva chi aveva nel suo locale?
«Si sta un po’ stretti qui, no?»
«Scusa?» ribatté Rønning voltandosi.
«C’è un po’ troppa gente» ammiccò la giovane.
«Assolutamente.» Rønning sorrise avvicinandosi. «Hai qualche proposta alternativa?»
«Peccato abitare così lontano. E tu?»
Fatta.
«Proprio qui in fondo alla strada» rispose lui posando cauto le dita sul braccio nudo.
«Da te che cosa servono?»
«Ah, sai, secondo me, sarà tutto di tuo gradimento.»
«Mi dai due minuti?» fece la ragazza afferrando la borsetta.
«Certo» concesse sorridendo Rønning.
«Torno subito.»
La ragazza con il cappellino verde gli sfiorò una mano, poi ammiccò di nuovo e avanzò graziosamente verso la toilette.