Gabriel sedeva nella piccola sala riunioni insieme a Ylva e a Ludvig, che in breve tempo aveva attaccato alla parete un sacco di fotografie. Tutte provviste di un foglietto con il nome sotto. Appese, almeno nelle intenzioni, in base al collegamento che avrebbero potuto avere le une con le altre. Era proprio quello il problema ed era ciò su cui avevano lavorato fino al pomeriggio precedente, ancora senza andare molto lontano.
Il collegamento.
In realtà sembrava non ve ne fosse nessuno.
«Deve essere semplicemente un caso» sospirò Ylva togliendosi gli occhiali.
Si strofinò gli occhi e accennò uno sbadiglio.
«Nemmeno io riesco a vedere altro» mormorò Grønlie gettando un altro sguardo alla parete variopinta. «Questo è ancora tutto quello che abbiamo, giusto?»
Indicò la linea rossa che collegava Vivian Berg a Raymond Greger.
«Chi hai detto che sono quelli intorno a Kurt Wang?» domandò Ylva.
«La sua band» rispose Grønlie. «La cantante, Nina Wilkins. E il trombettista, un portoghese, Danilo Costa.»
«Scusa» disse Ylva, strofinandosi di nuovo gli occhi. «Ho guardato tutto così a lungo che mi sento il cervello come un buco pieno di polvere.»
Nessuno di loro era andato a casa. Ylva aveva dormito sulla sedia davanti al computer. Anche Gabriel aveva sonnecchiato un po’ sul divano nella sala comune. Non l’avrebbe definito propriamente sonno. Soltanto irrequieti pensieri sognanti, fotografie e azioni che non volevano connettersi gli uni con gli altri.
Entrò Munch con una tazza di caffè, i capelli scompigliati; sembrava che non avesse dormito granché nemmeno lui.
«Come va?» domandò lasciandosi cadere sulla sedia di legno. «Collegamenti? Qualche luogo? Nulla?»
«Stiamo ancora cercando» rispose Grønlie mordendosi leggermente il labbro. «Ma è difficile trovare qualcosa.»
«Ok» disse Munch grattandosi la barba. «Fatemi vedere che cosa avete trovato finora.»
«Omicidi, scene del crimine, coinvolti in relazioni con le vittime» indicò Grønlie. «Poi là abbiamo la linea temporale. Qui, su questa parete abbiamo i movimenti elettronici di tutti quanti. Telefoni, pc, luoghi in cui sono stati coloro su cui abbiamo qualcosa.»
«Qualcuno ha visto Mia, tra l’altro?» sbadigliò Munch. «O Curry?»
«Da ieri no» rispose Grønlie.
«Scusate. Andiamo avanti» disse Munch, bevendo un sorso di caffè.
«Nessun movimento, né su telefoni né sui social» indicò Ylva. «Vivian Berg, abbiamo trovato tutto quanto a casa sua, quindi non ci sono stati più segnali dal pomeriggio in cui è uscita dal suo appartamento. Il telefono di Kurt Wang si era collegato alla cella di Grünerløkka e poi giù a Gamlebyen, orari che corrispondono a quando è scomparso e a quando è stato ritrovato.»
«Veniva da una sessione di prove con la band, no?» disse Munch soffocando un nuovo sbadiglio.
«Sì.»
«Ma niente telefonate?»
«Non dall’ultima volta che il ragazzo è stato visto, no.»
«E Iversen?» chiese Munch.
«Le registrazioni del centro commerciale Storo indeboliscono l’ipotesi che sia stato lì, almeno, quel che siamo riusciti a controllare finora. I messaggi al suo telefono confermano che aveva programmato di fermarsi a dormire dal suo amico, ma poi è svanito da qualche parte strada facendo.»
«E sappiamo dove?» domandò Munch.
Grønlie si spostò alla grande mappa accanto alla porta.
«L’ultimo segnale rilevato del telefono viene da qui. Grefsen.»
«Quindi non lontano da casa?»
«Qui c’è casa sua. Qui abita il suo amico, non ricordo come si chiama...»
«Martin» intervenne Gabriel.
«Ok, quindi la teoria che avevamo regge?»
«A quel che ci è dato di vedere, sì» disse Ludvig. «Pare che dovesse andare a dormire da un amico, lo vediamo sullo scooter alla stazione di servizio della Statoil, ma poi, sì, sembra che sia stato bloccato sulla strada.»
«Questo non lo vediamo in qualche telecamera?»
«Zona residenziale» rispose Grønlie scuotendo il capo. «Dubito che troveremo qualcosa.»
«Quindi la Berg è stata beccata a casa. Wang durante le prove. Iversen è stato fermato e preso per strada. Non c’è niente in comune.»
«No» sospirò Ludvig.
In realtà erano già arrivati a quella conclusione da un po’, ma sembrava che Munch non riuscisse ancora a rassegnarsi. Gabriel non lavorava nella polizia da molto, ma naturalmente capiva il perché. Vittime casuali? L’incubo di ogni indagine.
«Social? Ancora niente?» domandò Munch bevendo un altro sorso di caffè.
«Vivian Berg: non particolarmente attiva sui social» rispose Gabriel. «Pochi amici. Pochi post. Kurt Wang, un po’ di più, tra l’altro era l’amministratore di una pagina della band che ha molti follower.»
«E il ragazzino?»
«Come la maggior parte degli adolescenti, molto attivo, per lo più su Snapchat, non molto su Facebook né su Instagram, che è per un target più adulto» disse Gabriel.
«Snap...?» ripeté Munch.
«Si scatta una foto e la si invia a qualcuno che la può vedere solo per un breve periodo, poi sparisce» spiegò Ylva.
«Sparisce?» domandò Munch.
«Sì...»
«E che senso ha, quindi, fare una foto?»
Gabriel mascherò un sorriso mentre Ylva prese a spiegare, ma Munch le fece cenno di lasciar perdere.
«Va bene, quindi Snap...?»
«Snapchat. Era veramente attivissimo, ha un sacco di streaks con moltissime persone.»
Sembrò che Munch stesse per porre un’altra domanda, ma lasciò stare.
«Ma ancora nessun segno che qualcuno di loro si conoscesse? Mai incontrati da nessuna parte? Non in rete? Non nella realtà?»
«A quanto pare no, purtroppo» rispose Grønlie.
«Sport? Hobby? Impegno politico? Shopping negli stessi negozi online? Cronologia di ricerca nei pc?»
«Ho controllato molto attentamente i browser di tutti e tre» insisté Gabriel. «E tutte le ricerche su Google delle ultime settimane, ma l’unica cosa in comune che trovo è il sito della NRK.»
«Sì?» lo incalzò Munch ottimista.
«Le notizie, per Berg e Wang. Un programma per ragazzi nel caso di Iversen. Niente di più, mi dispiace.»
«Comunque» disse Ludvig, «ho ricevuto una telefonata dello zio di Ruben Iversen stamattina.»
«Ah, sì? E?»
«Ha chiesto se possiamo fare qualcosa per aiutarli. Hanno la casa assediata dai giornalisti. Telefonate a tutte le ore del giorno e della notte. Lo stesso a scuola, i ragazzi non hanno pace.»
Munch fece un sospiro.
«Purtroppo non possiamo farci niente.»
«Lo so» disse Grønlie. «È quello che gli ho detto.»
«Poveracci» commentò Munch scuotendo il capo, quando all’improvviso si aprì la porta e fece irruzione trafelata Anette Goli.
«Non rispondi al telefono?»
L’avvocato della polizia, solitamente così composta, aveva occhi spalancati ed era bianca in volto.
«È nella giacca» rispose Munch. «Che succede?»
La Goli gettò uno sguardo rapido sugli altri tre.
«Nel tuo ufficio. Adesso.»
«Ma stiamo...»
«No. Adesso. Immediatamente» disse la Goli, severa, precedendolo a passi veloci in corridoio.