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Munch si sentiva un idiota, ma adesso non c’era più niente da fare. Scosse lievemente il capo e accostò l’Audi al bordo del marciapiede. Una pimpante Mia si sedette in auto e allacciò la cintura.

«Dove siamo diretti?»

Munch fece un sospiro e pensò che tanto valeva dirlo subito.

«Che c’è?» disse Mia, storcendo il naso.

Aveva intuito qualcosa già solo guardandolo negli occhi. Lavoravano insieme da troppo tempo.

«Hai ancora voglia di andare in ferie?»

«Scusami?» disse Mia.

«Non te la prendere» mormorò Munch stropicciandosi il viso con la mano. «Ordini dall’alto.»

«Su che cosa?»

«La FST ha preso il caso. Hanno loro il timone.»

«Preso? Che vuoi dire?»

«Non è più nostro» sbottò, ma fu interrotto.

«Eh? Ma, cazzo, Holger!»

«Lo so» disse Munch. «Io...»

«Non può essere possibile, per la miseria» tentò Mia. «Mi stai prendendo in giro? Che c’entrano loro?»

«È una storia lunga» mormorò Munch grattandosi la barba. «È successo qualcosa stanotte. Ascolta, ho provato per quanto possibile, ma sì, è come ti ho detto.»

Si accorse che ora lei aveva capito che cosa stava cercando di dirle. Il suo sguardo, da interrogativo divenne incandescente, e aggressivo in meno di un secondo.

«Io sono... fuori

«Solo per il momento» rispose Munch sulla difensiva. «Finché non ci rimettiamo in piedi.»

«Checcavolo» tuonò Mia. «E a chi diavolo ti stai riferendo con questo ’noi’?»

«Stanno mettendo in piedi una squadra di emergenza. FST, PST.»

«Nessuno di noi? Che sta succedendo, Holger?»

«Anette e io siamo dentro» disse Munch tutto d’un fiato. «Come ti ho detto, momentaneamente, fino a che...»

«Checcavolo, Holger» ripeté Mia scuotendo la testa, rassegnata. «Quanto è passato da quando mi hai trascinata al Justitsen? Supplicandomi di dare un’occhiata al caso? Avevo i biglietti aerei... una barca a vela che mi aspettava...»

«Sono ancora validi?» provò Munch, ma se ne pentì immediatamente.

Mia distolse lo sguardo, aveva quasi la schiuma alla bocca.

«Scusa» ripeté Munch. «Volevo soltanto...»

«E perché io no?»

Di nuovo lo sguardo tagliente su di lui, una domanda di cui lei stessa conosceva la risposta, ma voleva costringerlo a dirlo ad alta voce.

«Provvedimento di sicurezza» si schiarì la voce Munch.

«Perché sono un’instabile idiota?»

«Mia...»

«Che si può usare quando fa comodo, ma non quando i giochi si fanno seri, è questo che vuoi dire?»

«Ascolta, Mia... se fosse dipeso da me... lo sai questo, vero?»

«Maledetti bastardi» mormorò Mia; slacciò la cintura di sicurezza e afferrò la portiera irritata.

«Hanno trovato una lista» disse rapido Munch prima che potesse aprirla.

«Che lista?»

Ordini dall’alto o meno, Munch se ne fregava. Lui era responsabile soprattutto dei suoi. Il dipartimento poteva andarsene in quel posto, lui era stanco. Lo era da parecchio in realtà. Stanco del trattamento che aveva riservato a Mia negli ultimi anni. Ammonizioni, sospensioni, solo per andare a ripescarla quando la situazione si complicava, quando faceva comodo a loro, no, cazzo.

«Rønning ha ricevuto una visita questa mattina.»

«Il giornalista?»

«Sì. Da un ex militare. Pensano si tratti di un veterano dell’Afghanistan.»

«Dove?»

«A casa sua. Non conosco tutti i dettagli, ma se l’è vista brutta, credo. Gli è stata consegnata una lista. Delle vittime. Stanno lavorando all’ipotesi che si tratti di una forma di vendetta.»

«Per che cosa?»

«Questo non lo sappiamo, dev’essere successo qualcosa laggiù, alla base c’è odio nei confronti dello stato norvegese, non lo so, ma ascolta...»

«Lista?»

«Una lista di omicidi. Di vittime casuali.»

«Cosa? Quante?» domandò Mia, scioccata.

«Cinquanta» mormorò Munch.

«Merda!»

«Quindi ci hanno messo sopra un coperchio, capisci?»

«Corrisponde al profilo?»

Si voltò verso di lui, sembrava meno irritata adesso. Un viso più dolce, con quello sguardo volto verso l’interno.

«L’età sembra corrispondere» disse Munch.

«I numeri?»

«Vivian Berg era il numero quattro della lista» soggiunse Munch. «È tutto quello che so per ora, tengono le carte strette al petto.»

«Quindi le vittime sono casuali?» domandò Mia guardando fuori dal finestrino.

«Scelte casualmente da una lista di cinquanta, così pare.»

«Miseria...» mormorò Mia assorta in calcoli mentali.

Lui aveva fatto lo stesso.

Il profilo. I numeri. Le vittime casuali.

«Tu l’hai vista? La lista?»

Munch scosse il capo.

«Sto aspettando ora una telefonata. Anette è in contatto con loro. Sembra ci sia lo stato di emergenza. Si parla di mettere in sicurezza il governo, forse anche la famiglia reale.»

«Dici sul serio?»

«Come ti ho detto, sono parchi di dettagli, ma così mi ha riferito Anette.»

«Ma non possono farlo... Come possono giustificare una cosa simile? Davanti ai cittadini? Il re è stato messo al sicuro, ma non preoccupatevi, voi proseguite normalmente la vostra vita? Idioti...»

«Non credo si arrivi a tanto, comunque scommetto che metteranno tutte le forze armate in campo, adesso, il più silenziosamente possibile, è per questo che...»

«Tengono fuori solo i matti, no?» mormorò Mia con evidente disgusto.

«Ascolta, Mia» riprese Munch, ma lei lo zittì. «Posso accompagnarti da qualche parte?»

Mia scrollò il capo e afferrò risoluta la maniglia.

«Ti tengo aggiornata, d’accordo?» le gridò dietro quando lei fu uscita.

Mia gli rivolse un ultimo sguardo rassegnato prima di sbattere la portiera e svanire lungo il marciapiede senza guardarsi indietro.

Maledizione.

In realtà avrebbe voluto seguirla, ma gli squillò il telefono.

«Sì?»

«Siamo partiti» disse Anette.

«Dove?»

«Bankplassen, tra dieci minuti.»

«Sto arrivando» disse Munch, e mise in moto.