Mia era davanti all’edificio color crema in Storgata, si sentiva un po’ spaventata all’idea di entrare. Era già stata in quel luogo prima, ma era passato molto tempo. Un’altra vita. La vista dell’edificio destava in lei ricordi che in realtà non avrebbe voluto rivivere. Il centro di accoglienza di Prindsen. Una struttura di ausilio ai tossicodipendenti gestita dal comune di Oslo. Rifugio di emergenza. Centro iniezioni. Medici che potevano offrire assistenza. Psicologi, infermieri, dentisti. Supporto per il reinserimento in famiglia. Era per quello che lo conosceva. Era andata a prendere Sigrid.
Così non andava bene.
Aveva trovato la sorella seduta sul pavimento in un angolo con le braccia strette intorno al corpo, le era sembrata incredibilmente minuscola.
Scusa, Mia.
Buon Dio, Siri, ovvio che potevi telefonare.
Non volevo disturbarti.
Non mi disturbi, Sigrid, io ti posso aiutare. Che cosa è successo?
Volti gentili, ma compassati. Dentro e fuori da diverse stanze fredde. Carte da firmare.
Non sto bene, Mia.
Vuoi venire a casa da me?
Posso?
Ma certo, Sigrid.
Non ti starò tra i piedi, te lo prometto.
Tu non sei mai tra i piedi, Sigrid.
Altre persone. Altri schemi. Il corpo quasi trasparente della sorella sul sedile posteriore avvolto in una coperta.
Mia fu distolta dai suoi pensieri dal suono del tram che passava dietro le sue spalle. Sobbalzò. Oltrepassò il cancello in ferro battuto e cercò la reception.
«Salve, come posso aiutarla?»
Un volto mite ma stanco dietro la vetrata.
«Mia Krüger, devo vedere Mildrid Lind.»
«Si sieda laggiù, arriva subito.»
«Grazie.»
Mia aveva appena fatto in tempo a sedersi che si aprì la porta e apparve l’assistente sociale di mezza età.
«Ciao, Mia, quanto tempo, è bello rivederti.»
«Grazie, anche per me.»
«Andiamo nel mio ufficio? È meglio che restare qui, credo.»
Mia la seguì nel corridoio e attraverso il cortile coperto di ghiaia. Un piccolo ufficio con una scrivania e dei volantini alle pareti. Offerte di aiuto.
Mildrid Lind spinse gli occhiali sul naso e si sedette.
«Sono un po’ sospettosi nei confronti della polizia qui dentro, lo sai, ma ho parlato con qualcuno di loro. Era un’informazione un po’ vaga...»
«Lo so» disse Mia a mo’ di scusa. «Ma era tutto ciò che avevo. Cecilie. Cisse. Un piumino rosso. Vicina ai quaranta.»
«Ho fatto velocemente qualche domanda in giro e penso di aver trovato qualcuno che ti può aiutare.»
«Sì?» domandò Mia, sorpresa. «Questa donna esiste?»
«Che vuoi dire?»
«No, niente, solo...»
«Come ti ho detto, qui sono un po’ restii nei confronti della polizia» proseguì la Lind. «È comprensibile.»
«È una faccenda privata» disse Mia, rapida. «Non ufficiale. Nessuna indagine. Nessuno è accusato di nulla. Sono io che la sto cercando.»
«In qualche modo ti capisco. Anch’io non sono molto contenta della polizia, se devo essere del tutto sincera, ma ti conosco personalmente.»
«Grazie. Lo apprezzo molto.»
Sollevò il ricevitore.
«Cia, sono Mildrid, c’è Synne lì? Bene, puoi chiederle di venire un istante da me? Ne abbiamo parlato poco fa. Ok, grazie.»
Rimasero un momento in silenzio nel piccolo ufficio, infine sentirono bussare alla porta.
«Ciao...»
Una giovane, forse sui diciotto-diciannove anni, magra e dinoccolata, dallo sguardo mobile e nervoso, fece capolino sulla soglia.
«Ciao, Synne, vieni. Tutto bene?»
«Ehm, sì» rispose la ragazza guardando subito Mia.
«Questa è Mia Krüger» disse la Lind.
Una mano sottile attraversò la stanza.
«Ciao, Synne» disse Mia, alzandosi. «Piacere.»
«Ehm, sì, bene» disse la ragazza sottile restando in piedi impalata, incerta su dove posizionarsi.
«Siediti qui» disse Mildrid, alzandosi. «Io ho una commissione da fare. Va bene? Vi arrangiate senza di me?»
«D’accordo» sorrise Mia. «Sì, se va bene per te...»
«Non ha fatto nulla, vero?» domandò la giovane.
«Chi?» ribatté Mia.
«Cisse?» rispose la ragazza.
«Assolutamente no. Tutto questo non ha niente a che vedere con la polizia. È solo, sì, è importante per me. Capisci?»
Mildrid Lind sorrise e uscì.
«Non lo so» disse la ragazza smilza. «Perché è importante per te?»
«Pare abbia una cosa che è mia.»
La ragazza si sedette, ancora non del tutto convinta di potersi fidare.
«Cosa?»
«Questo» disse Mia allungando il braccio. «O meglio, uno che gli somiglia.»
Synne guardò brevemente il braccialetto d’argento e sorrise.
«Ne avevo uno così.»
«Tu?»
«Sì, o meglio, non proprio così, ma con tre barchette. A vela. Me lo regalò mio fratello prima di partire per la guerra.»
«Tuo fratello è stato in guerra?»
La ragazza si strinse nella lisa giacca di lana e annuì guardinga. Girò leggermente sulla sedia da ufficio. Gettò uno sguardo nervoso fuori dalla finestra che dava sul cortile.
«Tanto tempo fa.»
«Quale guerra?»
«Boh, che ne so, è partito con quella, come si chiama, la Legione straniera?»
Mia le fece cenno di continuare.
«Voleva fare il duro, penso, ma poi non abbiamo più avuto notizie. Mamma ha provato a fare qualche telefonata in cerca di aiuto, ma a quanto pareva non era tanto facile, se ti eri arruolato volontariamente, capisci? Sei mai stata alle Lofoten?»
«Purtroppo no» rispose Mia.
«A casa le montagne si tuffano dal cielo dritte nel mare» disse la ragazza sorridendo appena.
«Sembra meraviglioso.»
«Lo è.»
«Quindi tu la conosci, Cisse?»
«Sì» rispose lei infine. «Ma ora a quanto pare è lontana.»
«Lontana in che senso?»
«Morta. È questo che dicono» rispose la ragazza. «Ma io non lo so. Dicono tutti un sacco di cose. Non si sa mai chi dice la verità in questa città.»
«Non la vedi da un po’?»
«No, da... forse prima di Natale...»
«La conoscevi bene?»
«Benissimo, cioè, per un po’ siamo andate in giro insieme. Era gentile, ti offriva sempre un tiro, non era una tirchia. Ti prestava anche i soldi, se ne aveva.»
«Solo Cisse? Non sai altro su di lei? Come si chiamava? O dove abitava?»
«Non credo che abitasse da qualche parte» rispose Synne. «E non so se si chiamasse in qualche altro modo, no. Hai parlato con Kevin?»
«Chi?» domandò Mia.
«Kevin. Stavano sempre insieme. All’inizio pensavo che lei fosse sua madre, ma a quanto pare mi sbagliavo, erano solo buoni amici. Voglio dire, se trovi Kevin lui ne sa sicuramente di più.»
Synne tossicchiò e si strinse ancora di più nella giacca.
«E dove si trova questo Kevin?» domandò Mia.
«Boh, chi lo sa? È un po’ dappertutto e da nessuna parte. Come tutti noi, in realtà.»
«Sai almeno dove trascorre la maggior parte del tempo? O se ha un telefono?»
«Non ne ho idea» rispose la ragazza.
«Quanti anni avrà? Che aspetto ha?»
«Non è così vecchio» rispose Synne. «Un po’ più vecchio di me, forse? L’ultima volta che l’ho visto aveva ancora quel berretto giallo, gira sempre col berretto giallo, ma magari non serve che te lo dica, potrebbe anche averlo perso, che ne so?»
«Sì, certo, comunque sia, un berretto giallo, lo cercherò» disse Mia mentre si apriva la porta alle loro spalle e faceva capolino Mildrid.
«Synne, il dottore può vederti adesso, va bene?»
«Sì, va bene» disse la ragazza, alzandosi. La Lind guardò Mia che le fece un cenno di assenso.
«Sì, comunque» disse Synne una volta giunta alla porta, «ha delle sopracciglia strane.»
«Chi? Kevin?»
«Sì. È un po’ come se non ci fossero, credo sia un difetto.»
«Non ha le sopracciglia?»
«Non è che non le abbia, ma sì, quasi.»
«Adesso dobbiamo andare, oggi ha una fila che non finisce più, il dottore» si intromise gentile Mildrid.
«Certo» disse Mia alzandosi.
«Spero tu riesca a trovare quello che stai cercando allora.»
«Grazie per l’aiuto, Synne.»
La ragazza sorrise brevemente e alzò la mano per un timido saluto, poi si strinse di nuovo nella giacca e seguì la Lind per il corridoio.