61

Munch passò oltre lo sbarramento e salì le scale che portavano al duomo di Sankt Olav, dove gli andò incontro il capo della squadra sul posto, un poliziotto che conosceva, Torgeir Bekk. Avevano giocato a scacchi insieme qualche volta. Dopo un paio di partite Munch aveva dovuto ammettere che poteva ancora imparare qualcosa.

«Il medico legale è già arrivato» disse Bekk.

«La Scientifica?»

«È per strada. Hai qualche idea di quello che sta davvero succedendo?»

«In che senso?» domandò Munch spegnendo la sigaretta.

«È il caos totale, siete riusciti a individuare qualcuno?» disse Bekk grattandosi il capo.

«Ivan Horowitz» disse Munch.

«Sì, ma come stanno le cose?»

Munch ignorò l’ultima domanda ed entrò nel grande portone. La chiesa era scarsamente illuminata. I suoi passi echeggiavano nello spazio imponente. Riuscì a vedere Lillian e la sua squadra già al lavoro dietro il confessionale marrone.

«Chi l’ha trovato?»

«Una signora italiana» rispose Bekk.

«Dov’è ora?»

«Si trova nell’ufficio del prete. È completamente sconvolta. Non smette di piangere. C’è con lei un attaché dell’ambasciata adesso. A quanto pare è la moglie dell’ambasciatore italiano» disse Bekk.

«Addirittura...» commentò Munch.

«La dobbiamo trattenere?»

«L’hai interrogata?»

«Per quanto possibile. Era venuta per confessarsi. Credeva che il prete fosse nel confessionale. E in effetti non si sbagliava» rispose Bekk alzando le sopracciglia.

«Prendete le generalità e lasciatela pure andare» disse Munch dirigendosi verso Lillian Lund.

«Ciao, Holger» sorrise la Lund, poi abbassò gli angoli della bocca.

«Cosa abbiamo?»

Una domanda decisamente superflua, in realtà. Poteva vedere lui stesso all’interno del confessionale, dove il prete giaceva seduto riverso all’indietro in uno dei cubicoli con un’espressione di terrore negli occhi.

«C’è una macchina fotografica all’interno» indicò la Lund.

«Nell’altro cubicolo?»

La Lund annuì.

«Pare che l’assassino abbia confessato i propri peccati. In realtà ha iniettato una dose al prete attraverso la grata, così sembra. Poi ha cambiato lato e, sì, ha concluso ciò che aveva iniziato.»

«Hai dato un’occhiata all’interno della macchina?»

«Non ho potuto farne a meno» rispose Lillian.

«E?»

«Ventinove.»

«Merda» commentò Munch.

«È proprio il caso di dirlo...» fece la Lund senza alcuna ironia nella voce.

«Le ferite intorno alla bocca?»

«A quanto posso vedere no, ma non significa nulla. Le persone hanno reazioni diverse alle sostanze.»

«Ma l’iniezione?»

«Stesso posto» rispose la Lund abbassando di nuovo gli angoli della bocca mentre Anette Goli arrivava trafelata seguita dall’eco dei propri tacchi.

«Che cos’abbiamo?» chiese riprendendo fiato.

«Numero ventinove» disse Munch, calmo.

Tirò fuori la lista dalla tasca del montgomery.

«Paul Malley.»

«Cazzo» mormorò la Goli prendendo il foglio.

«Sempre contraria?» le chiese Munch guardandola.

«A cosa?»

«Paul? Malley? Forse è il caso di cominciare ad avvertire le persone...»

Anette Goli si morse il labbro, ma non rispose. Munch scrollò irritato il capo, infilò le mani in tasca e si avviò verso la moltitudine di persone che si erano radunate accanto all’altare.