Un rovescio di pioggia ghiacciata aveva inondato il parcheggio, ma Mia non ci badò mentre si precipitava verso il grande cancello del carcere nazionale di Ullersmo. Jon Ivar Salem. Erano andati a prenderlo dal P, reparto Pericolosi, per via di un’aggressione a un altro detenuto, Mia non aveva capito bene i dettagli. Maledizione. Che si era aspettata? Non era stato così fin dall’inizio? False piste ovunque? Raymond Greger. Klaus Heming. Si era precipitata all’interno della cella di Salem sulla scia dell’emozione, in modo non professionale, pompata di adrenalina. Hai pagato qualcuno? Per uccidere? Perché ti ho beccato io? È stato per questo? Le mie fotografie? Il mio album? Chi è entrato nel mio appartamento? Lui l’aveva guardata con gli occhi sgranati. Come se fosse stata lei la paziente, e lui quello sano.
Cazzo!
Il piromane più famoso della Norvegia. Jon Ivar Salem. Quell’uomo disgustoso aveva terrorizzato liberamente per quasi quindici anni tutto l’Østlandet. Edificio dopo edificio. Apparentemente a caso. Appiccava il fuoco di notte. Ma non con la benzina, bensì in modo molto più cinico e folle. Faceva l’idraulico, ma se ne intendeva pure di impianti elettrici. Aveva fatto lavori in tutte le case che poi erano state incendiate. Un tubo che perdeva. Un wc rotto. Un nuovo scaldabagno da installare. E poi Salem restava in paziente attesa. Finché era certo che nessuno avrebbe più nutrito alcun sospetto su di lui. Un’irruzione notturna. Un corto circuito, una scintilla, le fiamme, con l’aiuto di vecchi abiti o stracci che trovava nelle cantine delle abitazioni. E poi si sedeva nella sua auto a godersi lo spettacolo. Ventiquattro villette. Ventiquattro famiglie. Tredici morti. E nessuno aveva intuito alcun collegamento finché la giovane e inesperta Mia Krüger era stata assegnata al caso.
L’aveva visto negli occhi di lui in tribunale. C’era più curiosità che odio, in realtà, in quegli occhi, mentre durante il processo si girava in continuazione verso di lei. Chi diavolo era quella donna che l’aveva preso dopo ben quindici anni?
Jon Ivar Salem.
L’incendiario.
Ovvio.
Eppure non...?
Le cose non tornavano...?
Jon Ivar Salem cadeva dalle nuvole.
«Mi hanno spedito un anello» aveva mormorato. «Dovevo ricevere una ricompensa...» aveva detto sfoderando un sorriso untuoso.
«Da parte di chi?»
«E che ne so io? Non sapevo nemmeno che l’avrei ricevuto. Perché tu lo sapevi?»
Un anello d’oro.
Si era limitata a infilarselo in tasca, con grandi proteste di lui, che era stato subito riportato al reparto P da una guardia.
Un anello d’oro?
Il sole pomeridiano sgusciò fuori da una nuvola e si specchiò nelle pozze d’acqua del parcheggio. Mia infilò la mano in tasca e prese una pasticca, cercò di schiarirsi le idee.
Ok. Adesso respira, Mia.
Le foto. Nell’album. Tutti gli omicidi sono lì dentro. Ricostruzioni.
Congratulazioni!
Come sei brava!
Salem.
Mia era così assorta nei suoi pensieri che non si accorse che qualcuno stava arrivando alle sue spalle. Lo vide con la coda dell’occhio, una guardia, certo. Il carcere nazionale di Ullersmo. C’erano i criminali più pericolosi del paese, misure di sicurezza severissime, all’interno come all’esterno.
«Scusi?» disse la voce avvicinandosi.
Si sentiva il tintinnio di un mazzo di chiavi. Una grossa torcia non ancora accesa, mancava qualche ora al crepuscolo.
«Sono un poliziotto» mormorò Mia, tirò fuori il distintivo dalla tasca interna del giubbotto e lo esibì.
Salem?
Jon Ivar Salem.
Che diavolo poteva significare?
La guardia prese il suo distintivo, lo osservò e glielo restituì.
«Come sei brava.»
«Cosa...?»
Si voltò, ancora assorta nei suoi pensieri e all’improvviso fu sferzata dalla pioggia in pieno viso.
«Come sei brava, Mia.»
Che diavolo...?
Spalancò gli occhi e vide un giovane con un gran sorriso. Un braccio proteso verso di lei, e quella non era una torcia, ma una canna dell’acqua.
I piedi che volevano correre, le dita che si ripiegavano contro il palmo della mano mentre d’un tratto la mente capiva da dove provenisse quell’acqua, ma era troppo tardi.
«Prendiamo la tua auto. È così elegante.»
Il freddo del metallo sulla tempia e le sue braccia lontane, un ultimo tentativo di controllare i propri movimenti, ma l’unica cosa che vide fu che era tornata la pioggia.
Dolci e morbide gocce che scendevano lente sul parabrezza. Mentre l’auto piano piano usciva dal parcheggio.