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Munch aveva appena parcheggiato nel seminterrato di Mariboes gate quando il suo telefono squillò. Sperò comparisse il nome di Mia sul display, aveva ripetutamente cercato di contattarla, ma lei continuava a rifiutarsi di rispondere.

«Ciao, sono Anette» disse la Goli. «Ce l’abbiamo.»

«Chi?» domandò Munch.

«Ivan Horowitz.»

«Dici sul serio?»

«Tre diverse segnalazioni della stessa persona» disse la Goli, affannata. «Le ho passate. Edvardsen. Sono già per strada.»

«Per strada? Chi? Dove?»

«Ha un capanno» proseguì la Goli. «Non molto lontano da dove abbiamo trovato Vivian Berg. A un’ora di cammino nel bosco, nella direzione opposta.»

«Horowitz?»

«Sì, come ti ho detto, abbiamo ricevuto la telefonata di tre persone che hanno fatto la stessa segnalazione. Si era ritirato lì molto tempo fa» spiegò la Goli. «Ha detto che era stanco dell’umanità. Voleva vivere da solo nella natura. E da allora è sparito.»

«Maledizione...» sbottò Munch correndo verso l’auto. «Chi sta andando là?»

«I militari» rispose Anette. «Mandano gli Alfa. Edvardsen vuole che scendiamo.»

«Nella sala emergenze?»

«Sì...»

«Perché?»

«Non me lo chiedere» sospirò Anette. «Per dimostrarci che sono più bravi di noi? Non ne ho idea. Comunque, tra poco sarà finita. Per fortuna.Tu cosa fai?»

«Arrivo.»