Munch era seduto in fondo al tavolo ovale e poteva sentire la tensione quasi elettrica nella stanza. Il generale aveva cercato di nasconderlo, ma Munch aveva notato quel suo sorrisino permanente. La Goli aveva ragione. Erano invitati solo come spettatori. Se n’era accorto già la prima volta che erano venuti. Polizia. Civili. Ora avrebbero visto chi comandava davvero quel paese. Chi si assumeva realmente la responsabilità quando in gioco c’era la sicurezza nazionale.
«Ciascuna delle immagini mostra il video ripreso direttamente dal casco di un soldato.»
Edvardsen sembrava un bambino, con il telecomando in mano.
«Li spostiamo sullo schermo principale in modo da avere una visuale migliore.»
Un bambinetto con un videogioco. Da miliardi di corone, probabilmente. Munch ebbe una vertigine. Ivan Horowitz. Il serial killer. In un capanno nel bosco, presto quella storia sarebbe finita.
Avrebbero potuto inviare i Delta. La squadra di emergenza. Ma ovviamente Edvardsen aveva scelto i suoi uomini. Per mostrare ai politici nella stanza che il denaro dei contribuenti era impiegato bene. Magari avrebbero potuto racimolare qualche miliardo in più per il budget dell’anno successivo. Ok, stava per finire. L’importante era che quello psicopatico fosse acciuffato una volta per tutte. Munch era stato a lungo scettico, ma l’omicidio del prete l’aveva convinto. Paul Malley. Il numero ventinove della lista.
Un suono gracchiante dallo schermo.
«Uno, tre, obiettivo nel mirino, chiudo.»
Le telecamere che si muovevano nel bosco come in un videogioco, erano quasi arrivati. Soldato uno. Una leggera nebbia tra i fitti fusti degli alberi. Soldato due. Si intravedeva una baita, una specie di capanno in lontananza. Corsa di un uomo col fucile automatico. Soldato tre. Corsa sull’erica, dietro un ceppo, il capanno non era più così lontano.
«Uno, due, pronti a irrompere, chiudo.»
«Quattro, uno, aspettare il GO, chiudo.»
Guerra digitale. Direttamente dal profondo dei boschi. Munch si accorse di essere incollato allo schermo mentre i soldati si avvicinavano alla porta grigia.
«Squadra, qui è uno, silenzio radio, aspettate il GO.»
All’improvviso nella stanza calò il silenzio. Altre canne di fucile sull’erica. Un pollice alto davanti a una delle telecamere vicinissimo alla porta grigia.
Altri movimenti delle braccia.
Un soldato dal volto coperto si scambiò di posto con un altro.
Due uomini accanto alla porta, gli altri, ciascuno davanti a una finestra.
Una capanna.
In mezzo al bosco.
Ivan Horowitz.
Presto sarebbe finita.
Finalmente.
«GO!»
Poi all’improvviso la scena esplose davanti ai suoi occhi. Granate fumogene. Schegge da una porta. Vetro che si infrangeva. Il primo soldato corse alla piccola baita, la telecamera, che in quel momento proiettava un fascio di luce, cercava disperatamente tutto intorno. Un altro uomo entrò dalla finestra. Fumo. Caos. Non riuscivano più a distinguere che cosa stesse succedendo. Poi d’un tratto fu rotto il silenzio radio e il fumo scese.
«Ce l’abbiamo.»
«Ah, cazzo.»
Un guanto che si avvicinava a un corpo senza vita che pendeva dal soffitto.
«Uno, tre, ce l’abbiamo. Ma è qui da parecchio.»
«Tre, uno, ID?»
Lo stesso guanto sulla gola del cadavere quasi putrefatto. Si vide il collo di un militare.
«Uno, tre, è il nostro uomo. Horowitz. Ma come vedete è da un pezzo che se n’è andato.»
Telecamera improvvisamente puntata sul pavimento, quel corpo appeso aveva provocato un conato di vomito al militare.»
«Qui Eagle» disse Edvardsen serio.
«Eagle, è andato.»
«Siamo sicuri?»
«Ripeti, Eagle?»
«Siamo sicuri che sia Horowitz?» domandò Edvardsen evidentemente teso.
«Due, uno, duplice controllo dell’ID.»
Un altro soldato con la mano davanti al naso si avvicinò al cadavere e controllò il segno intorno al collo.
«Horowitz» disse il soldato.
«Eagle, uno, abbiamo trovato l’uomo giusto. Ma non può essere quello che state cercando.»
«Dannazione!» esclamò Edvardsen paonazzo, poi si voltò lentamente verso l’assemblea.
«Andiamo a riprendere i nostri telefoni» brontolò Munch, irritato, poi si alzò e lasciò la stanza.