Mia si risvegliò di nuovo. Aveva davanti uno specchio. Lui l’aveva spostata. Una sedia. In salotto. Aveva le manette ai polsi. Le gambe libere.
«Guarda come ti sta bene, cara...»
Un sorriso allo specchio, sentiva qualcosa tra i capelli.
Una spazzola.
La stava pettinando.
Il viso di lei.
L’aveva truccata.
Qualcosa intorno al dito.
L’anello d’oro.
E qualcosa di strano le fasciava il corpo.
L’abito da sposa.
L’aveva vestita.
Agghindata.
Merda.
Mia avrebbe voluto strapparsi quella roba di dosso, ma non riusciva a muoversi. Il volto di lui sempre più nitido allo specchio mentre la sua testa si tendeva lentamente all’indietro.
«Come li vuoi, cara?»
Sentì le sue dita disgustose sotto i capelli.
«Raccolti?»
Il ragazzo sorrise e avvicinò il suo viso a quello di lei davanti allo specchio.
«O vuoi che li lasciamo sciolti? Io ti trovo più bella con i capelli sciolti, massì, però magari li raccogliamo visto che è un giorno speciale? Tu che ne pensi?»
Guadagnare tempo.
Riuscì a raccogliere i pensieri.
«Raccolti, direi» mormorò cercando di abbozzare un sorriso.
«Infatti, sono d’accordo, fantastico» convenne il ragazzo indietreggiando di un passo.
Farlo parlare di qualcosa.
«Come...» riuscì a dire con la bocca secca.
«Cosa, cara?»
Un dito sulla guancia.
«Cosa, cara?»
Un dito di nuovo sulla guancia.
«Il braccialetto... Perché ce l’hai tu?»
«Ah, per puro caso. Era destinato a te. Un’amica di tua sorella. Cisse. L’aveva appeso sulla porta del nostro condominio, ma tu non l’hai trovato. L’ho preso io. Stava sempre là fuori, sai? Ti spiava.»
Ridacchiò e le passò di nuovo la spazzola tra i capelli.
«Avevi ragione, comunque.»
La sua voce d’un tratto fu vicina all’orecchio.
«Markus Skog. Quello a cui hai sparato. È stato lui a uccidere Sigrid. Me l’ha raccontato Cisse. L’ho invitata a casa mia. Sai come sono i tossici. Le ho dato del denaro. Mi ha raccontato tutto.»
«Perché...?»
Mia si sentì di nuovo svenire.
«Ah, tutto molto triviale» disse il ragazzo continuando a pettinarla. «Sigrid faceva il corriere, importava eroina, ma poi si era data una ripulita e non voleva più farlo.»
Mia non era più in grado di interloquire.
«Sì, era tornata in città, sana come un pesce. Pronta per una nuova vita. Ma a quel punto c’era il rischio che spifferasse tutto. Markus Skog e gli altri non potevano ignorare la cosa, ti pare?»
Dentro di lei il buio.
«Quella tossica era là, Cisse. Stramazzata su qualche divano, ma aveva sentito tutto lo stesso. Una dose in un braccio e Sigrid se n’è andata. L’hanno portata in una cantina non molto distante, l’ennesima tossica in overdose, niente di strano, no?»
Alexander sorrise e avvicinò la sua guancia a quella di Mia.
«Sicura che li vuoi raccolti? Non li lasciamo cadere? Il più possibile naturali?»
Mia stava per collassare.
No.
No.
Si riprese.
«Cosa c’entra...» mormorò. «Ivan Horowitz?»
Sollevò la testa, riuscì a sostenere il suo sguardo allo specchio.
«Ah, sì, bella trovata, non credi? Stava con me all’ospedale psichiatrico di Blakstad. Sei mesi. Ci siamo conosciuti molto bene in realtà. Un reduce di guerra. Era un relitto. E io ero... già, io ero io, no?»
Ridacchiò.
«Non potevo lasciare che si intromettessero tutti. Soltanto tu e io, questo era il piano. Geniale. Depistarli tutti. La lista degli omicidi... Cinquanta persone prese a caso.»
Alexander scoppiò a ridere, inclinò il capo e riprese la spazzola.
«No, li tiriamo su i capelli, che ne pensi? Voglio dire, è una giornata importante.»
La piccola Mia, che era riuscita a riprendere un po’ di forze, se ne andò di nuovo. Non era più in grado di tenere la testa dritta.
Sigrid?
No...
Non ce la faceva più.
Partire.
Perché no.
Tutto quel male.
La sorella che si allontanava attraverso il campo.
Quell’immagine che non l’abbandonava mai.
Vieni, Mia, vieni.
La morte.
A Nangijala.
«O li lasciamo sciolti?»
Fanculo tutto quanto.
Non contava più nulla ormai.
«Fa’ come ti pare» rispose Mia.
E chiuse lentamente gli occhi davanti allo specchio.