I

Un giorno di settembre, Leonardo Barini lasciò Roma, ove dirigeva la rivista letteraria «Campoformio», e fece ritorno a Natàca, città del Mediterraneo e sua città natale.

A Roma, aveva sofferto di vertigini e capogiri, la salute s’era guastata. Ma sarebbero bastati venti giorni di riposo e di dieta in seno alla famiglia, per guarirsi completamente. Senza dubbio, si trattava di una cosa da nulla. Fra venti giorni, sarebbe ripartito per Roma.

Così almeno egli diceva, mentre si tirava le coperte fin sopra gli occhi, e la madre chiudeva gli scuri.

«Adesso lasciami dormire per una ventina di minuti.»

Il padre, la madre, il fratello uscirono dalla camera e chiusero la porta… Capogiri? Sarebbero passati! Fra venti giorni, di nuovo a Roma…

Ma la salute non era poi così guasta, e i capogiri non erano stati tali da spiegare un ritorno così precipitoso. La verità era un’altra; la verità era questa: che d’un tratto, senza gravi ragioni, la gioia era finita nel cuore di Leonardo. La bella luce, che illuminava tutte le cose, e dava un senso anche alle sedie e al calamaio, s’era spenta. Questa luce lo aveva accompagnato fin dai primi giorni dell’infanzia, era stata nella sua culla, era stata sul banco di scuola, fu dovunque e sempre; e adesso era passata: “Perché?”. Perché era passata? Egli non era capace di vivere senza di lei; senza di lei era uno sciocco, un buono a nulla, un vecchio paralitico. Altro che capogiri e vomiti: queste eran cose puerili. Se non fosse tornata la luce, se non fosse tornata la gioia che stava nel cuore senza ragione, così come adesso era passata senza ragione, egli non si sarebbe mosso da quel letto, da quella casa! Gli altri potevano vivere tranquillamente tutta la vita, in un buio simile; egli, invece, non era capace di fare un passo, e si sentiva morire.

Squillò il telefono nella stanza accanto. S’udì la voce della madre: «Leonardo è tornato, ma dorme».

«Mamma!» gridò egli. «Chi è?»

«La signorina Lisa Careni.»

«Dille che dormo.»

«Sì, dorme. Telefoni fra mezz’ora!»

Il passo della madre s’allontanò per il corridoio oscuro, fra le poltrone in disuso e i piccoli tavoli affollati di statuine di sant’Antonio col Bambino in braccio, santa Rita coperta da un manto nero, san Pietro col vecchio paralitico a lato, e di minuscole lampade rosse, e di fiori vecchi. Si sentì cigolare la porta dello stanzino, in cui stavano ammonticchiati i materassi per gli ospiti, e le valigie che avevano accompagnato madre e padre nel viaggio di nozze da cui era nato lui, Leonardo. Poi non si sentì più nulla se non il rumore, quasi impercettibile, di una stilla che, da anni, cadeva nel cortile, entro la giara per l’acqua.

Ma un quarto d’ora non era passato in tal modo, che il telefono squillò per la seconda volta.

«Non so» diceva la madre. «Non so se sia sveglio.»

«Non mi sono ancora svegliato!» gridò Leonardo, che non aveva chiuso occhio.

«No!» ripeteva la madre con la sua dolce cantilena. «No, dorme ancora.»

Le foglie dell’autunno, portate dal vento caldo, giungevano fin sopra il balcone, strisciando, di là dalle imposte, come i piedi di uno sconosciuto; una persiana sbatteva di tanto in tanto. Era lo scirocco d’autunno. A quest’ora il cielo, si mise a pensare Leonardo, sarà basso; i marciapiedi ingombri di gente che va lentamente con le mani in tasca, aprendo la bocca dinnanzi agli specchi dei negozi, per guardarsi la lingua o soltanto per sbadigliare; l’avvocato De Marchi si sarà seduto a un tavolo della Birreria, dal quale non si alzerà prima di mezzanotte; i caffè saranno pieni di uomini, come caserme; i giovanotti, riuniti in gruppi di dieci e di venti, avranno cominciato a darsi quegli spintoni che fanno sbattere i più magri contro il muro; sugli scranni dei quartieri rionali, illuminati a gas, saranno apparse lunghe file di pesci, freddi come coltelli, e ragazzi scalzi insulteranno i minuscoli passanti dal cappello a cencio che non hanno voluto acquistare quei grandi pesci dal colore metallico. Sì, era il Sud. E questo vento, che faceva sbattere le persiane, veniva dall’Africa.

Leonardo si rivoltò sul letto: “Perché è passata quella luce? Perché sono stato costretto a tornare quaggiù? Cos’è accaduto nella mia vita? Io non ho avuto nulla che si possa chiamare una crisi. Tutto andava bene quando improvvisamente tutto s’è fatto buio”.

Squillò di nuovo il telefono. «No!» ripeteva la madre. «Dorme!»

“Forse tutto questo” pensava ancora Leonardo con la faccia così vicina al muro da sentirne l’odore di carta vecchia, “forse tutto questo è causa della malattia; passerà coi capogiri e le vertigini!…” Ma egli era stato altre volte ammalato, e ben più gravemente, ma tutto questo non era mai avvenuto, quella luce non s’era mai spenta…

«Non so!» diceva la madre, ancora al telefono. «Non so. Riposa.»

… Non s’era dato a stravizi, non aveva commesso grandi peccati, non aveva sostenuto fatiche né di pensiero né fisiche, non aveva avuto dubbi. La sua vita continuava ad essere quella ch’era sempre stata. Perché gli veniva tolta la gioia?

«Dorme. Sì, dorme ancora. Riposa.»

Questa volta, egli non seppe davvero se fosse la madre che rispondeva al telefono, o la sua memoria che ripeteva quelle parole. “Riposa!…” Egli non riposava affatto. Un che di precipitoso era anzi entrato nel suo cervello e girava, a mo’ di ruota, di continuo queste parole: “Fra venti giorni, sarà guarito! Fra venti giorni, rivedrà in tutte le cose quel colore roseo che sempre le ha rivestite e di cui egli nemmeno più s’accorgeva, tanto gli sembrava naturale e consueto! Egli allora ripartirà per Roma, e questa città del Sud si perderà alle sue spalle come una brutta nuvola scura cacciata via dal vento. Adesso bisogna riposare e poi ancora riposare!”.

Le foglie strisciavano sul balcone, e la persiana sbatteva al vento africano.