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Gli schiavoni, ai quali di certo non difettava la fantasia, avevano talvolta immaginato che uno degli organi più emancipati del corpo umano, il cuore per esempio (in realtà non s’era fatto solamente il caso del cuore), ottenesse di vivere per conto proprio, staccandosi dal petto al quale apparteneva e tornandovi di tanto in tanto, come il marinaio sulla nave ormeggiata. Il cuore vede che una bella ragazza sta per entrare nel caffè e sedersi in quella tal sedia? Quatto quatto scivola giù dal petto, striscia sul pavimento, s’arrampica in quella sedia e vi rimane, confuso col cuscino. La ragazza viene a sedere, e il cuore se la tiene sopra, attuando, per il proprio padrone, il tanto sospirato momento di tenersi quella ragazza sul cuore. La notte, quando il corpo è stanco ma il sentimento non ha sonno, il cuore fila via, via per i tetti, nel buio della città, verso le piccole finestre rosse, dietro le quali, di tanto in tanto, passa l’ombra di una ragazza con lo spazzolino dei denti in mano. All’alba, il padrone sente raspare al balcone; beato, di non sa bene quale beatitudine, spalanca le imposte, e il cuore, un pochino spaventato e stanco, come un gatto che ha miagolato per tutta la notte, si ritrae e addossa allo stipite; poi, accortosi ch’è stato perdonato, salta sulle braccia del padrone, si fa togliere, alzando il pelo e gonfiandosi tutto, la rugiada e il freddo che gli son caduti addosso; quindi rientra nel petto e si addormenta tranquillo.

La fantasia è alquanto bislacca, ma non dev’essere del tutto priva di verità, se qualcosa di simile accadde a Buscaino. La volontà del quale, a insaputa di lui, e proprio nei giorni in cui egli si affannava inutilmente a trarre dalla sua gli schiavoni a piede libero, era penetrata nel carcere mandamentale di Natàca e, svolgendo un’opera accanita, aveva convertito e convinto taluni altri schiavoni che, proni sui duri letti, aspettavano ancora di esser condannati per aver meditato un colpo di mano contro la repubblica di San Marino.

Questi giovanotti, che del resto ignoravano in quale punto d’Italia si trovasse San Marino, e che venivano compianti dai loro padri come innocenti sventurati, bambini scambiati per ladri solo perché giocavano ai ladri, scrissero alle loro famiglie che sopporteranno il carcere con animo tranquillo e perfino lieto, se nel lato nord della città, a pochi passi dalla loro cella, sorgerà la torre del professor Buscaino. La quale, secondo loro tutti, era un’idea felicissima; ed era stata una disgrazia che non fosse arrivata a Natàca quando la loro mente cercava un’idea per riempirsi di qualcosa di solido – ed altro allora non trovò che il colpo di mano contro la repubblica di San Marino. Essi pregavano le loro madri di acquistare le azioni della Torre Panoramica Company, pregavano i loro padri, pregavano i fratellini e le care pazienti sorelle.

Una preghiera, che veniva dallo stesso buio, donde, la mattina di capo d’anno, tornavano vuoti i piatti con sopra una lettera: “Mamma, la torta era tanto bella! Tutta la notte, ho pianto e pensato a te!”; una simile preghiera non rimase inascoltata. Francesco Buscaino, al tramonto dello stesso giorno in cui stava per lasciare Natàca, si trovò fra le mani trentamila lire, frutto di un primo versamento. Trentamila lire! Trentamila lire vere!

Per qualche tempo, rimase in preda a un disordine che somigliava ai giri che fa la trottola un po’ prima di fermarsi.

“Trentamila lire! Così, all’ultimo momento! Del denaro contante! Senz’altro, del denaro contante!” Ma presto egli riprese in mano le redini del proprio essere: “Be’? Cosa c’è di strano? Non era pacifico che dovessi vincere io? Poteva accadere altrimenti? E poi, la gran vittoria! Di un uomo come me su gente come quella di Natàca!”.

Comunque, egli non riuscì a impedire, né al proprio cuore né a quello degli amici, quei grandi scatti di felicità per cui l’uomo sente che la fanciullezza gli è ancora a portata di mano.

In una sola notte, Rodolfo disegnò il progetto della torre: che fu realmente una bella cosa.

Leonardo sentì picchiare in alto, molto in alto, alla finestrella da cui, un giorno, irrompeva la luce. E una mattina credette davvero che la felicità fosse tornata: un canto di cardellino gli parve bello, chiaro, pieno di promesse, come una volta, al tempo della luce. S’alzò in tutta fretta, ed uscì a sentire quel canto: sì, egli lo riconosceva; sì, esso aveva tutto lo scintillio di un tempo! Poco dopo, è vero, il canto non era più quello e non faceva più alcuna promessa. Ma che importava? Il servo fedele attende il padrone che è partito per un lungo viaggio. Tutti dicono che il padrone è morto. Ma il servo fedele attende lo stesso. Una notte, sente uno stropiccio di piedi nell’andito; il servo balza su, con in mano la lanterna: no, non è il padrone! Ma con questo? Oggi, non è lui; domani, lo sarà! Quello stropiccio di piedi, il servo lo avrà sognato, ma è un sogno di buon augurio. Questo progetto della torre, finalmente in via di attuarsi, era sicuramente di buon augurio.

Buscaino permise che la letizia scegliesse per esprimersi i modi che le riescono più graditi. Si fanno gite in montagna; si cena nei piccoli ristoranti, insieme a molti schiavoni; si canta, si grida; senti d’un tratto che qualcuno ti ficca un pezzo di ghiaccio entro la camicia; Lello Raveni tira fuori la rivoltella e spara sui bicchieri; è possibile che l’automobile si fermi e dieci mani ti sollevino e ti depongano nella strada, in piena campagna, donde al mattino ritornerai a piedi in città; è anche possibile che uno ti turi il naso e l’altro ti mesca, entro la bocca spalancata, tanto vino da stordirti di colpo il senno, come con un pugno. Ma, in fondo, tutto questo è speranza, contentezza, desiderio appagato di una vita migliore. E Buscaino lascia fare.

Quindici giorni non eran passati e già si eseguivano gli scavi per le fondazioni. Tutta la città venne a guardare gli sterratori che scendevano sempre più giù, entro il fossato da cui spalavano la terra. Con le mani dietro la schiena, Leopoldi e Nereggia guardavano quei piccoli operai, che lentamente s’abbassavano di livello, così come si guarda un gruppo di pionieri in partenza verso il centro della terra. Il Circolo dei Conti aprì un balcone sul lato nord, in modo da poter assistere comodamente ai lavori della torre. Il vecchio duca Robertoni, affacciatosi per primo dal ballatoio, e visto in lontananza Buscaino, gli gridò agitando le braccia: «Salute, salute al più ricco cittadino di domani!».

Buscaino guardava commosso tutti i sassi, i ciottoli, le selci che venivan fuori dal fossato, come chi, dopo aver sofferto dolori atroci, guarda, con un benevolo rimprovero e infine con la simpatia di chi ha perdonato, la pietra che il chirurgo gli ha testé cavato dalla carne. E diceva: «Talvolta, nelle mie ore di sconforto, solevo fare lunghe passeggiate per queste parti. Giunto sotto le mura del carcere, col pensiero della torre sempre fitto in mente, mi fermavo e mi dicevo: “Sì, io non faccio che pensare alla torre! Ma la povera gente che sta chiusa entro queste mura, e ch’è arrivata all’ora, che anche il mio orologio segna, in seguito a una fila interminabile di ore tutte eguali, tutte di silenzio e di solitudine; questa povera gente cosa pensa adesso?”. Io le attribuivo chissà quali pensieri. E invece quella povera gente non pensava che alla torre. Come me!».