Nascondersi è relativamente facile; il problema è come occupare il tempo mentre si sta nascosti. In questo sgabuzzino o monocamera che dir si voglia non ho libri, non ho dischi, non ho radio, non ho televisione, soltanto un giornale che la mia vicina dell’appartamento di sotto mi porta ogni mattina insieme con la spesa quotidiana; così non mi resta che occuparmi di me stesso, che è proprio quello che non vorrei fare. Purtroppo non so fare altro o meglio non c’è altro da fare. Così rifletto, calcolo, medito, speculo, analizzo e così via e così via; ma soprattutto fantastico. Piove da alcuni giorni; il rumore che fa la pioggia tamburellando sul tettino di latta della portafinestra, lì fuori, sulla terrazza, come di persona che chiacchieri a bassa voce, interrompendosi ogni tanto per riprendere fiato, favorisce la mia fantasticheria.
Fantastico stando disteso sul giaciglio cencioso che mi serve da letto e da divano, fantastico appoggiando la fronte contro il vetro della portafinestra e guardando alla piccola terrazza incassata tra vecchi tetti di tegole, comignoli, abbaini e campanili piccoli e grandi; fantastico ritto nella cucinetta nera e angusta, aspettando che bolla l’acqua del tè. E così immagino che uno di questi giorni sentirò l’ascensore fermarsi al mio piano, fatto insolito anzi unico perché la mia monocamera non è che l’anticamera della terrazza dove non ci va nessuno; e un passo leggero, lento, forse zoppicante avvicinarsi alla mia porta.
Quindi un dito, il suo, premerà il bottone del campanello, ci sarà un suono corto e allusivo che riconoscerò, andrò ad aprire, anche se con qualche lentezza e ripugnanza: pure se invocata e aspettata, la sua è una visita poco piacevole. La prima sorpresa sarà nel vederlo apparire in sembianze di bambina biondiccia, con slavati occhi azzurri, naso dalle narici increspate, bocca schifiltosa. Sarà vestita di una pelliccetta gonfia e bianca di falso muflone; sarò colpito dal fatto che questa pelliccia non sia affatto bagnata benché stia piovendo a dirotto: è giusto, il diavolo fa le pellicce ma non spinge la perfezione fino a farle bagnate. Mi dirà subito con voce argentina e petulante: "Sono venuta a trovarti, che stai facendo?" Risponderò: "Lo vedi: niente. Tu piuttosto, da dove vieni?" Farà un gesto vago: "Abito qui accanto, in questo stesso vicolo. La mamma è uscita e allora ho approfittato della sua assenza per farti una visita." Non dirò nulla; penserò che sono tutte bugie: la mamma, il vicolo, la visita; ma intonate con la metamorfosi in bambina. Domanderò poi: "Ma perché zoppichi?" "Mi sono fatta male, sono cascata per le scale, mentre portavo la bottiglia del latte." A questo punto si toglierà la pelliccia dicendo: "Ma fa un gran caldo qui dentro. Tieni sempre la stufa accesa?"; e vedrò che è vestita di un corpetto minimo e di una gonnella cortissima; il resto è tutto gambe; robuste, alte muscolose, gambe di donna. Sul petto, le penderà un ciondolo curioso, un artiglio incapsulato d’oro. Potrebbe essere un artiglio di leone, come se ne vedono dappertutto in Africa; ma il leone ha gli artigli chiari, questo, invece, è nero.
Intanto che la guardo, la bambina si aggirerà per la monocamera, facendo una quantità di domande su questo o quell’oggetto, proprio come fanno i bambini. Questo, cos’è? Questo, a cosa serve? Questo, perché ce l’hai? Questo, chi te l’ha dato? e così via e così via. Saranno oggetti tra i più comuni; ma io starò attento perché sospetterò tutto il tempo che ben presto passerà dagli oggetti insignificanti a quelli significativi. E infatti, ad un tratto, aprirà un cassetto del comodino e andrà con la piccola mano a stringere il calcio della pistola: "E questa a che cosa serve?" "Serve a difendersi." "E cioè?" "A difendersi, sparando." "Sparando?" "Sì, vedi questi buchi? In ciascun buco c’è un proiettile. Quando premi il grilletto, la pallottola esce a gran velocità dalla canna e va a conficcarsi in qualche posto, mettiamo, per esempio, lì nell’armadio e ci fa un bel buco perché ha una potenza di urto molto forte." "E se invece dell’armadio c’è una donna, un uomo o un bambino, che succede allora?" "Qualcuno sarà ferito. Oppure morirà." "Ma tu hai mai sparato a qualcuno?" Starò zitto un momento, dicendomi che ormai la maschera è stata gettata e l’interrogatorio sta prendendo la direzione prevista; poi dirò: "Sì, per difendermi. Una sola volta, però." E lei saltando subito alla più estrema conseguenza: "Così, è morto. Cos’era, una bambina come me?" "No, era un uomo." "Un uomo cattivo?" "Chissà, non lo conoscevo." "Allora gli hai sparato perché non lo conoscevi?" "Diciamo pure così." "E al secondo uomo, perché hai sparato?" "No, niente secondo uomo, non c’è stato un secondo uomo." "Non hai avuto il coraggio di sparargli al secondo uomo?" "Ma che dici? Torno a ripeterlo: non c’è stato e non ci sarà un secondo uomo."
Non dirà nulla: saltellerà ancora un poco per la camera, poi andrà a sedersi al tavolino, di fronte alla macchina da scrivere e dirà: "Cos’è questa?" "Lo vedi, una macchina da scrivere." "E che ci scrivi?" "I miei compiti." "Beh, fammi scrivere qualche cosa anche a me." "Scrivi pure." Si siederà al tavolino e lentamente, con applicazione, battendo i tasti con un dito solo, scriverà qualche cosa sul foglio di carta. Andrò a guardare, al disopra della sua testa chinata; vedrò formarsi la frase seguente: "Non hai coraggio!" Finirà di scrivere poi scenderà giù dalla seggiola e prenderà a saltellare per la camera ripetendo come un ritornello: "Non hai coraggio, non hai coraggio." Le dirò: "Se non la smetti, ti mando via." Ma lei pur sempre saltellando: "Non hai coraggio, non hai coraggio!"
Allora andrò alla portafinestra e appoggerò la fronte al vetro. Vedrò la terrazza incassata tra altre terrazze più basse e più alte, e nella luce bassa e buia della pioggia, proprio davanti a me, un elaborato campanile barocco. Proprio sotto il loggiato delle campane, scorgerò una larga lapide di travertino che, chissà perché, non avevo mai notato prima. Allora leggerò, scolpito a grandi lettere antiche, nella pietra gialla e bucherellata tutta lustra di pioggia: "Errare humanum est, perseverare diabolicum". Sotto questa sentenza, scorgerò altre parole latine, la data, il luogo, il nome del personaggio che pose la lapide.
In quel momento sentirò alle mie spalle la voce della bambina che dirà: "Adesso torno dalla mamma. A quest’ora deve stare in pensiero per me, non mi avrà trovata a casa." Dirò macchinalmente, senza voltarmi: "Ma va’ all’inferno." Immediatamente, sentirò la sua voce, quella vera, rispondermi con calma: "Ci andrò, non dubitare; ma con te." Esclamerò, pur sempre senza voltarmi: "Ti sei svelato finalmente! Una bambina, eh! E come sarà di grazia quest’inferno? Fuoco, stridore di denti, puzzo di carne arrostita?" "La ripetizione di quello che sai." "Ma chi ti dice prima di tutto che io ripeterò; e in secondo luogo che ripetere costituirà per me un tormento infernale?" "Al contrario, nessun tormento. Starai bene e, dentro i limiti della comune umanità, sarai perfino felice." "Ma allora perché dici che sarà l’inferno?
"L’inferno non è soffrire di più; è ripetere il già fatto e, attraverso la ripetizione..." "Restare se stessi?" "No, al contrario, diventare un altro." "Un altro: non capisco." "Eppure è semplice: tu commetti un errore, riconosci di averlo commesso, sei sempre te stesso; non lo riconosci, anzi commetti un altro e identico errore, sei un altro." "Un altro, in che modo?" "Senza neppure il ricordo dell’uomo che eri prima di ripetere l’errore." "Ah, è per questo che poco fa canterellavi: non hai coraggio, non hai coraggio." "Finalmente l’hai capito." "Cosa volevi dire, insomma?" "Volevo dire che tu mi hai invocato, mi hai proposto di vendermi ciò che sai, se io, in cambio ti faccio ricominciare la vita al punto preciso in cui è avvenuto quello che è avvenuto. Io sono venuto e ti rispondo: posso accontentarti ma in un solo modo: facendoti diventare un altro attraverso la ripetizione." "Ma per prima cosa dovresti trovare degli argomenti convincenti per farmi ripetere." "Per questo, non temere: sono maestro nel trovare argomenti." "La ripetizione. Poco fa ho guardato fuori della finestra e ho visto per la prima volta quella lapide lì. In cui si dice appunto che ripetere è diabolico." "Eh già, non c’era bisogno del latino per capirlo. Bastava un momento di riflessione." "Mettiamo che io ripeta. Non potrei forse riconoscere per la seconda volta che mi sono sbagliato?" "Eh no, eh no, troppo comodo. E a me che cosa resterebbe in mano? Un pezzo di carta?"
"Non ci sto a questo patto, vattene pure, ne riparleremo." "Mi avevi invocato dicendo che non ce la facevi più ad essere quello che sei, ti dichiaravi pronto ad essere un altro, chiunque altro; e invece adesso mi dici: riparleremo!" "Vorrei essere un altro, sì, ma con il ricordo di essere stato quello che sono." "Queste cose io non posso farle, oltre tutto che cosa mi verrebbe in tasca?" "E allora, una volta di più, vattene." "Tornerò: a presto."
A questo punto ci sarà un breve silenzio; quindi la voce della bambina dirà: "È tardi, io torno dalla mamma: ciao." Mi volterò e la bambina già infagottata nella sua falsa pelliccia di muflone verrà a buttarmi le braccia al collo, a baciarmi sulle due guance. Non restituirò i baci; le aprirò la porta, la guarderò mentre se ne va sul pianerottolo, noterò una volta di più che zoppica.
Questa fantasticheria mi torna ogni giorno e io, ripetendola, l’approfondisco, l’arricchisco. Adesso, per esempio, mentre mi sto cuocendo due uova sul fornello, immagino che invece della bambina, suoni il campanello della mia porta la studentessa del primo piano, una bella ragazza pallida, dagli occhi verdi. Verrà con un pretesto qualsiasi, chiacchiereremo, lei ci starà, finirà nel modo previsto e prevedibile. Poi, proprio nel momento del massimo abbandono, vedrò penderle sul petto il ciondolo con l’artiglio nero. E come, tutta nuda, andrà dal letto alla finestra ed esclamerà, guardando di fuori: "Che bella terrazza hai, quante belle cassette di fiori, che bel campanile", mi accorgerò che zoppica un poco. Zoppicando girerà per la camera, come fanno qualche volta le donne in casa di un uomo nuovo, quindi aprirà il cassetto...