La moglie disse: "Stringimi il collo con le due mani. Non è strano? Un uomo grande e atletico come te, con mani così piccole? Stringimi in modo da congiungere le dita. Non avere paura di farmi male, voglio vedere se ci riesci."
Timoteo uscì dal soggiorno e andò ad appoggiarsi alla balaustra della terrazza, di fronte al mare. La tettoia di paglia era sorretta da due pali di pino appena sgrossati, con qualche lembo di corteccia qua e là. Avevano a un dipresso il diametro del collo della moglie. Meccanicamente, lui ne circondò uno con le due mani, provò a congiungere le dita e non ci riuscì. Allora appoggiò le mani sulla balaustra e guardò al mare.
Un nembo buio e obliquo, simile ad un sipario sollevato da una parte sola stava sospeso sulla superficie marina che appariva quasi nera, con riflessi verdi e viola screziati qua e là di labili creste di schiuma bianca. Le schiume apparivano, correvano rapidamente sull’acqua, spinte dal vento, scomparivano riassorbite. Timoteo pensò che trappoco ci sarebbe stato un temporale; bisognava sbarazzarsi del corpo prima che cominciasse a piovere. Ma come?
Andare fuori in mare col gommone e buttare il corpo al largo con un peso legato al collo o ai piedi, vista l’imminenza del temporale, era ormai impossibile; restava la fossa. Ma doveva affrettarsi perché scavare una fossa sotto la pioggia non sarebbe stato né facile né piacevole. La fossa si sarebbe riempita d’acqua; le pareti di sabbia fradicia sarebbero franate. E la pioggia gli avrebbe fustigato la faccia, rabbiosa.
Stette ancora a guardare per un momento al mare che si andava sempre più incupendo, quindi riprovò a stringere il palo con le due mani, quasi sperando questa volta di riuscire a congiungere le dita. Ma le dita restarono lontane l’una dall’altra almeno di un centimetro. Timoteo rientrò nel soggiorno, passò nella cucina.
La moglie stava in piedi di fronte al fornello, alta e dinoccolata, con quel suo collo fatto a cono, più largo in basso che in alto, ben visibile sotto la massa indolente e compatta dei folti capelli. Timoteo guardò al collo: era forte, grosso, nervoso, quasi con un accenno di gonfiore davanti, come di gozzo; eppure gli parve bello appunto perché espressivo. Di che cosa, espressivo? Di una volontà di vita, cieca, istintiva, caparbia, proterva.
La camicia da notte della moglie, di velo tutto spiegazzato, era rimasta pizzicata dietro, tra i glutei ridondanti: era venuta in cucina direttamente dal letto; ancora assonnata, non se n’era accorta. Timoteo allungò il pollice e l’indice a pinza e liberò la camicia con gesto leggero e rispettoso, procurando di non toccare il corpo. Poi disse: "Allora lui ti chiedeva di far l’amore sul tavolo e tu l’accontentavi, eh. Mostrami come facevi."
La moglie protestò."È successo tanti anni fa, prima che ti conoscessi. Adesso ti è venuta questa fissazione."
Timoteo insistette: "Dài, fa’ vedere."
La vide alzare le spalle, come a dire: "Visto che ci tieni tanto!" Lasciò il fornello, si girò verso la tavola, si piegò ad angolo retto, fino a schiacciare sul piano di marmo il ventre, il seno e la guancia sinistra. Poi le sue mani andarono dietro a tirar su la camicia, scoprendo le natiche bianche e oblunghe, di forma ovale. In questa posizione, appariva, sotto i glutei, la fessura tra le cosce, oscurata dal pelo bruno. Le gambe erano lunghe, lisce, magre come quelle di un ragazzo. Stava piegata sulla tavola, con le due mani aperte in prossimità delle orecchie, gli occhi aperti, come in attesa. Timoteo disse: "Sembri una rana. E allora lui ti stringeva il collo mentre tu stavi così piegata sulla tavola e ti pesava addosso e facevate l’amore?"
La moglie rispose: "Sì, voleva che mi mettessi così, era proprio fissato, come te," con voce affaticata; quindi soggiunse dopo un momento: "allora se non vuoi far l’amore, siccome questo marmo mi sega la pancia, io mi rialzerei." Timoteo rispose, rabbiosamente: "Rialzati"; e lei ubbidì, tirandosi prima di tutto con cura la camicia sui polpacci e poi ravviandosi con una scossa della testa i capelli disfatti. Timoteo la guardò di nuovo che, ritta in piedi di fronte al fornello, vigilava sulla caffettiera; e constatò ancora una volta che il collo aveva una forma conica, con un leggero rigonfio davanti. Il collo di una donna bella e giovane che qualsiasi uomo sarebbe stato capace di circondare con le due mani. Ma lui non ci riusciva, aveva le mani troppo piccole.
La moglie disse: "Il caffè è pronto. Mangiamo i biscotti oppure vuoi che ti faccia del pane abbrustolito?" Timoteo rispose: "I biscotti. Ma si può sapere dov’è la vanga, quella col manico dipinto di verde?" La moglie rispose che era nel ripostiglio delle scope. Timoteo prese la vanga e uscì nel giardino.
Di fronte alla cucina, c’era un piccolo spiazzo di cemento, sparso di cassette sventrate, di bottiglie vuote e di scatolame aperto. Al di là dello spiazzo, una grande aiuola, nella quale Timoteo aveva intenzione di piantare dei pitosfori. Più in là, si alzava lo scoscendimento sabbioso della duna. Sull’aiuola, a causa della siccità, il terriccio sabbioso appariva grigio e friabile, quasi una polvere.
Il corpo stava lì dove lui l’aveva messo, durante la notte: supino, le gambe e le braccia aperte, la testa rovesciata indietro. In mancanza della vanga, che non era riuscito a trovare, lui aveva raccolto il terriccio con le mani e l’aveva sparso a manciate sul corpo come se avesse voluto non tanto ricoprirlo quanto rivestirlo di terra.
E infatti l’aveva appena velato e, per giunta, molto inegualmente: il volto era coperto ma il collo emergeva con quella parte lievemente gonfia sulla quale le sue dita non riuscivano a congiungersi; i seni spuntavano anch’essi fuori dal terriccio, come da uno strano reggipetto; il grembo era pieno di terra ma la pancia ne sporgeva con la sua convessità. Timoteo impugnò il manico della vanga e, con il taglio, disegnò nel terriccio il contorno della fossa. Bisognava adesso scavare dentro quel contorno fino ad una profondità di mezzo metro almeno. Timoteo prese a scavare di lena.
La moglie si affacciò sulla porta della cucina e disse: "Qualche volta sembri proprio un pazzo. Stanotte per esempio prima mi fai un interrogatorio di terzo grado per sapere in che modo Girolamo ed io facevamo l’amore sul tavolo: e tu come ti mettevi e come ti piegavi e lui come ti stava addosso e come ti stringeva il collo. Poi, proprio come un pazzo, prendi la pistola e corri abbasso a sparare a quel povero cane randagio che si era messo a frugare tra l’immondizia. Va bene, siamo in una villa isolata; ma pensa se tu avessi ucciso un uomo! Adesso smettila di scavare, lo seppellirai più tardi, vieni dentro a bere il caffè. Timoteo rispose: "Voglio finire la fossa prima che venga il temporale."
Nella cucina faceva buio, la moglie sedeva con gli occhi rivolti alla tavola, meditabonda. Timoteo domandò irritato: "Si può sapere a che cosa stai pensando?" "Penso a quello che stavamo facendo nel momento che hai sentito il cane e sei saltato fuori dal letto e hai preso la pistola, proprio come un pazzo." "E cosa stavamo facendo?" "Io ti avevo detto di stringermi il collo, come faceva Girolamo. Mi aveva ad un tratto colpito la piccolezza delle tue mani. Lui poteva fare il giro del mio collo con le dita; volevo vedere se tu ne sei capace. Ma era tutto uno scherzo. E invece tu..." "Io?" "Tu hai fatto una certa faccia terribile... Adesso fammi il piacere: alzati e mettimi le mani in-. tomo il collo. Ma in modo che io possa guardarti negli occhi. Voglio vedere se hai lo stesso sguardo di stanotte."
Timoteo ubbidì, pur dicendo: "Tu, con questa tua fissazione di farti stringere il collo." Si alzò, venne a mettersi in piedi presso la moglie e le circondò il collo con le due mani. Lei rovesciò indietro la testa e lo guardò negli occhi: "No, non hai quello sguardo così terribile..." si interruppe, staccò una delle mani di Timoteo dal collo e la baciò con fervore: "...e così bello!"
Timoteo afferrò la mano sinistra e il piede sinistro e tirò a sé il corpo. Era molto pesante ma si mosse; al movimento, il terriccio che lo velava, ebbe come un terremoto: le parti più ridondanti già mezzo scoperte emersero del tutto; il terriccio ne colò giù in minime frane. Timoteo tirò ancora una volta, il corpo scivolò nella fossa e lì giacque di fianco con la testa reclinata da una parte, il volto mezzo nascosto dai capelli e le braccia e le gambe ripiegate: pareva che dormisse.
Timoteo riprese la vanga e cominciò a gettare la terra nella fossa prima sulle gambe e poi su su fino alla testa. Voleva lasciare scoperto fino all’ultimo il collo che adesso si poteva vedere di lato, dall’orecchio fino al petto: era la parte del corpo di lei che l’attirava di più, per quella sua forza e nervosità proterve, animalesche.
La moglie disse: "Su, non stare a riflettere così con gli occhi sbarrati. A che pensi? Al cane? Poveretto, non dovevamo mettere il bidone della spazzatura fuori durante la notte. Si sa, questa spiaggia è piena di cani randagi, abbandonati dai padroni quando, a vacanze finite, se ne vanno a Roma. Su, bevi il caffè che andiamo a fare una passeggiata lungo il mare prima che venga il temporale. È così bello camminare lungo il mare, sulla sabbia, sotto la pioggia."
Adesso la fossa era piena di terra; ma era terra molle e scura è formava un mucchio visibile sia perché si ergeva dal terreno piatto, sia perché era di un colore diverso. Timoteo esitò poi salì sul mucchio e lo calpestò con cura, fınché la terra fu pareggiata. Quindi, prese con la vanga una palata di terriccio grigio e lo distribuì con scrupolo sulla fossa in modo da velare il colore più scuro della terra smossa.
La moglie disse: "Andiamo." Timoteo domandò: "Ma non vai a cambiarti? Sei ancora in camicia da notte." La vide alzare le spalle: "E con questo? La camicia è un abito come un altro." Timoteo non disse nulla e la seguì fuori della casa, verso la scaletta che, attraverso la macchia, portava dalla duna al mare.
La fossa, pareggiata e impolverata a dovere proprio non si vedeva. Un brutto cane randagio, giallo e bruno, sbucò dalla duna e andò direttamente alla fossa. L’annusò, e poi, con sollievo di Timoteo, andò ad alzare la gamba molto più in là. Dunque era sicuro, ormai: la fossa non soltanto non si vedeva ma anche non si "sentiva".
La moglie gli camminava davanti, lungo il mare sulla sabbia ancora grigia e asciutta. Le prime gocce di pioggia cominciarono a bucherellare la sabbia, sempre più fitte. Poi un tuono rotolò come una enorme palla di ferro sulla superficie vitrea e rimbombante del mare. Adèsso le gocce, come radunate dal vento freddo e violento, investivano a folate la moglie. Dove la colpivano il velo della camicia aderiva al corpo, lasciava trasparire il colore pallido della pelle. La moglie teneva la testa inclinata verso la spalla; tutto un lato del collo era visibile fino all’orecchio.
La moglie disse: "Stringimi il collo, con le due mani. Non è strano, un uomo grande e atletico come te, con mani così piccole! Stringimi in modo da congiungere le dita. Non avere paura di farmi male, voglio vedere se ci riesci."