II
Pezzi di ragione

I

Guidando nemici ormai ciechi

contengo un giorno che essi ricordano,

unione verde dove nessuno prenderà

questa benda sfuggita in mano,

quando la natura potente sopra la pioggia

scambia una vita con un’altra vita.

II

Dietro i vetri non c’è nessun agguato

e soltanto la mente, durante l’esilio,

cerca in qualsiasi paese colui che

inseguiva con i passi barcollanti

di un santo, la sua estrema incognita,

i suoi stessi chilometri nell’uomo.

III

Da lontano frasi raggiungono qui la testa

di un vecchio imparato perfettamente:

cinque dita unite da quello spago,

solisti che in accordo fissano

il minuto per diventare sonno e poi

città, lavandino profondo, ora.

IV

In mezzo ai fischi dello stadio

avete ricevuto con attenzione e panico

la storia… ma c’erano solamente

fazzoletti rossi per il sangue

di voi ciechi… non so perché vi aspettavo

porgendo l’altra guancia.

V

Poi le strade ci hanno condotto

in un colloquio straniero, mendicanti

di campagna. Non farina ma noi,

con l’idea a perpendicolo e uno straccio:

dentro la cantina rimarremo,

fino a quando vorrai, nulla.

VI

Qualcosa che senza rumore prosegue

lascia tuttavia un criterio

nei campi trascurati del dopoguerra,

con l’intelligenza di un qualsiasi vetro,

quando gli uomini tornano verso

quel punto e solo una vita lo urla dopo.

VII

Sopra i cappotti la sostanza preme.

Cadono a straccio le nostre vite

otto volte quattro sedici volte due

in mezzo alle tempie tramanderanno,

originario dolore, quel termometro

che si fa incandescente e scoppia.

VIII

Due braccia prive di decimali, corpo vinto

dalla bugia della statua cattolica

che travasò nelle corde vocali un tutto.

Eppure i millenni, loro sì, per dovere

ai morti, lo troncano cadendo insieme.

IX

L’universo che vacillava e i cani

con il buio contro i propri occhi:

soltanto una linea qualche volta

sotto lo strato sonoro del torrente.

Forme geniali o erbe che si spolpavano

al confine con le rotaie

più certe di allora e fissità

non portano via prima di capire:

così la storia perpetua tregua

o questi contadini che restano nella nebbia

adirandosi a ciascun tramonto,

materia del viso, bacche insanguinate.

X

Marciapiede in cui scorre una mestruazione

tra l’abitudine e l’anarchia di un fatto,

questa bicicletta schiacciata, gocce

sui documenti, gettoni che precisamente

si infilano: non dove la ragione

divagava, ma dove essa trova

un argomento stretto

che rimane senza voltare pagina.

XI

Brancolante nell’uomo e, più tardi,

nel dormitorio senza finestre e nella luce

della ferrovia che si alza sul tempo

rispose nascendo. La vita, spogliata

di ogni cosa, la vita che è solo vita,

ha gettato il suo ciclo sulla massa

di azoto che una lampadina trae,

e anche il dubbio, dove si annullerà,

dopo la tovaglia e la cena calda.

XII

Gli occhi che urtavano contro il neon

custodi ormai della loro stessa ringhiera

sono sempre più vicini, sono la caduta

del ginnasta nel punto euclideo.

XIII

Tutto in quella ruota, fine del samurai.

XIV

Contrasto sommato nel piede destro fermo

con il suo sangue di sacrilegio perderlo;

un altro orologio la legherà alla terra

che ha condotto qui restando, come una goccia

o un’altra furono lunghezze

e segreto di una volta soltanto e gancio

della Russia: sia visto così, oggi entrambi.

XV

Oppure, rivestendo panni logori,

toccano lentamente la porta

da cui per fare l’amore uscirono,

christus deambulans super aquas.

XVI

Abbiamo camminato verso un perfetto nulla

ed era troppo muto l’oriente, nel filo, nel

pensiero: ciò che tocchiamo adesso

è una fabbrica di cui non capisco i mutilati

per più di una vita.