Cresce l’ansia nei bicchieri
dal tuo turbine segreto alla luce
verde del reparto, ai corridoi,
al vetro sbarrato, all’addio
con le ciglia asciutte, questa morte
che non ha più tempo.
*
È follia di tutti, l’estate, traffico
di cantieri nella città lasciata. Ognuno
è lo stadio terminale, ognuno è l’estate, questa
estate vissuta in una sillaba, in un tremito
della sostanza, in una scala mobile,
in un filo di mani. Ognuno chiede dov’è
la vena, presto, la vena.
*
Nessun gloria in excelsis, ma un groviglio
nervoso, un raschiare di suoni e occhi
fissi all’ingiù, quel niente
che tiene freddo il pensiero, quel tremito
di lampadine e aghi, qualcosa
che s’incarcera dove grida. Il viso
toccava già la sua terra, vedeva lo scorrere
pallido dei fenomeni
oh dormi, dissi, dormi
eppure io ero con te
e tu non eri con me.
*
Poi ci fu l’esplorazione atterrita del tuo
seno, il rifiuto delle cose consegnate
al tempo, la richiesta di antiche
concordanze: ogni istante della mano
sulla pelle, ogni respiro, era quell’assoluto
fragile, quello scandalo
che una frazione imprime al tutto
e la tavolozza delle cellule si spargeva
sui vestiti, sulle lenzuola, sulle lampadine
e sul quaderno, sulle dita
di chi ha già varcato la sua immagine.
*
Sei un lontano passo di danza
mentre saluti tra i corridoi,
un ventaglio di grazia che il male
non ha ucciso, diagonale
tra i quattro cantoni, silenzio
di fate e di foglie, finché il giallo
si fa scuro, si fa minaccia nel cielo,
il sorriso fragile e la gola
resta lì, sospesa e selvaggia.
*
Un suono di ninna nanna chiama la morte
per sentirla più viva, chiama il seno
che si spezzò in un agosto, l’intero creato
di una poesia. In ogni stanza un appello.
L’ora non è paga di se stessa, domanda l’età vera,
un altro sangue che morbido si accese, una parola
una parola che fu intera assedia la testa,
fruga tra le macerie, fissa incredula
quella luce sovrumana.
*
Potenza del minuto contato, culmine
della sete nelle visite serali:
ogni parola era battuta dal vento, ogni
gesto sulle rive di un oceano, tutto
era immenso e smarrito tra i corridoi, tutto
cedeva di schianto, centimetro
in cui non si entra, preciso mistero
della febbre alta.
*
I battiti carnali si stringono a una doccia,
chiedono una tregua, una posizione
per il sangue, a strappi, a morsi, gli aghi
entrano in te che cerchi
di stare con le cose.
Ci deve essere un’alba
terrena, dicevi, un seme intatto,
una fiammella, un preludio che esce
dagli ospedali, suonato da una piccola mano,
una corona di spighe regalata al guaritore.
*
Come un fiore che non ha prodigio, come un passo
che si arresta nel suo globulo,
ossa che il male restringe, nodi
che strozzano l’anima, finché una creazione
comincia e le finestre di Roserio
cantano l’assoluto stretto a un momento
solo, a un’alba di tram e di ciminiere.
Non andartene, abisso, dal mio fianco.
*
Toccandoti la fronte sentivi il mare,
parlavi di un mattino aperto come in guerra
nel buio dell’ora smarrita parlavi
senza domani e senza libri, parlavi
alla presenza assoluta di una lacrima,
una rapida memoria di ulivi e di luce,
una gloria dell’uno e di ogni altro, ma
non si trova la via per la sorgente, ma
non si trova la vena, dio mio, non si trova.