Sante
Beghine e begardi
Il nome “beghina” oggi indica una donna mentalmente ottusa e totalmente dedita a seguire i rituali della religione, una donna che ostenta la propria devozione puramente esteriore e formale.
Questo significato è molto diverso da quello che il termine aveva quando fece la sua comparsa.
Ci sono, nella storia, quelle che gli studiosi chiamano “nicchie di conoscenza”, certi ambienti e certi gruppi di persone caratterizzati da un tipo di cultura molto particolare e che hanno un modo rivoluzionario di agire e interpretare la realtà, che però riescono a concretizzare solo in modo circoscritto.
Le beghine originariamente erano questo.
Il Medioevo fu epoca di grandi sconvolgimenti intellettuali e di movimenti rivoluzionari: le beghine lo stanno a dimostrare.
Ci vengono in mente gli anni ‘70 in America e in Europa, quando nacquero le comunità autogestite e i movimenti femministi fecero sentire la propria voce, parlando di libera aggregazione e di contesti comunitari basati sulla suddivisione dei proventi del lavoro. Allora sembrarono idee rivoluzionarie.
Erano tali nel senso che stavano cambiando importanti valori sociali e tentavano di scardinare vecchi equilibri fossilizzati. Però non erano affatto un’assoluta novità. Nel XII secolo, in Europa, esistevano già delle comuni femminili che si autogestivano.
Quello delle beghine è tra i primi movimenti nella storia in cui le donne sono libere e autonome nel pensare e nell’agire e sono persino promotrici di un movimento religioso.
La storia delle beghine è strettamente collegata alla situazione politico-sociale e culturale del tempo. L’Europa di allora era una terra dilaniata da guerre, epidemie e carestie. La mortalità era altissima e non esistevano medicine in grado di arginare alcuna forma di patologia. Le guerre, locali o peggio ancora nazionali, coinvolgevano le forze giovani della popolazione.
Centinaia se non migliaia di donne erano vedove o orfane e sovente impossibilitate a costruirsi una nuova famiglia per la difficoltà di presentare una dote.
Avere la dote significava per una donna essere in grado di comprarsi un marito e un cognome. Nessuna donna che ne fosse priva poteva sposarsi. La dote era indispensabile anche per entrare in convento, luogo di reclusione per un verso, ma anche occasione e garanzia di una particolare libertà, la possibilità di studiare, di ottenere prestigio e addirittura di assumere posizioni di potere politico.
I conventi erano pochi e poche erano le donne di famiglia umile che potevano esservi ammesse. Così, tutte quelle vedove che avevano perso il marito in guerra o per una malattia, tutte le donne non protette socialmente, cominciarono a riunirsi in comunità libere.
La struttura di queste organizzazioni era semplice. Le donne che ne facevano parte conducevano una vita di tipo comunitario. Non facevano voto di castità, né di povertà. Non rinunciavano alla proprietà, ma mettevano i loro beni a disposizione della comunità, rimanendo comunque libere di rientrarne in possesso in qualsiasi momento. Potevano uscire dal gruppo quando volevano, per sposarsi o per andare a convivere more-uxorio con l’uomo amato, cosa permessa dalle regole comunitarie. Non chiedevano la carità, ma vivevano del loro lavoro; e tutti i proventi dell’attività di ognuna venivano distribuiti fra le appartenenti al gruppo8.
A partire dai primi sporadici casi dell’XI secolo, il numero delle donne che entrarono nei beghinaggi continuò a crescere: si calcola che alla fine del XII secolo fossero migliaia9.
Il potere religioso, la Chiesa di Roma, in un primo momento sottovalutò l’importanza di queste organizzazioni, per lo meno fino al caso di Margherita da Porete: il Vaticano offrì loro un ambiguo appoggio, ma queste comunità senza regole erano sostanzialmente sgradite alla logica del cattolicesimo ortodosso e si attirarono molte accuse di eresia, con i conseguenti processi della Santa Inquisizione. Centinaia di beghine furono bruciate sul rogo. Non come streghe, ma come eretiche. La differenza è importante, perché essere bruciate come eretiche dava a queste donne un riconoscimento intellettuale e politico che le streghe, medichesse e mammane, non ebbero mai.
Controparte maschile furono i begardi, le cui comunità si posero da subito in aperto contrasto con la politica del papato: predicavano infatti la povertà assoluta e la necessità della condivisione della proprietà che, anticipando le idee comuniste, era considerata un “furto ai deboli”.
Il movimento dei begardi subì una repressione spietata e totale. Furono bruciati tutti sul rogo.
Le beghine vennero ovviamente coinvolte nella repressione, ma ne uscirono meglio, come accade spesso alle donne.
Ancora oggi sopravvivono, sconosciute ai più, undici beghinaggi (begijnhof) in Belgio e due in Olanda, questi ultimi protetti dalla regina in persona.
8 I beghinaggi potevano essere molto diversi uno dall’altro: a volte erano costituiti da una sola casa, a volte si trattava di un insieme di case o anche di una vera e propria “città nella città”, come i grandi beghinaggi fiamminghi. Le attività delle beghine erano l’espressione pratica della loro religiosità: si trattava sempre di attività assistenziali, come prendersi cura di malati o dare un’istruzione alle bambine povere. Spesso queste donne avevano la particolare funzione di “mediatrici della morte”: in tutta Europa, le beghine ricevevano delle donazioni affinché svolgessero una serie di compiti connessi alla morte e al passaggio dell’anima all’Aldilà. Pregavano per la salvezza del donante, avevano cura del corpo del moribondo, lo vegliavano e, a morte avvenuta, lo avvolgevano nel lenzuolo funebre, poi partecipavano al funerale e non lasciavano il defunto finché non era nella tomba. Questa mediazione nella morte fu una delle principali attività delle beghine e conferì loro una funzione sociale che le rendeva indispensabili.
9 Si sa che la loro presenza continuò a essere significativa anche per tutto il secolo seguente, periodo in cui grandi tensioni spirituali produssero il massimo fiorire della vita monastica, sia nel ramo maschile (francescani, domenicani, agostiniani...) che in quello femminile.