Sant’Orsola

La principessa bretone

Nel Museo Nazionale di San Matteo, a Pisa, c’è un’insolita raffigurazione di Sant’Orsola.

In questo dipinto del 1375, di scuola pisana, la santa, con una corona sul capo e nella mano sinistra il vessillo della città di Pisa, porge la mano destra a una personificazione della città (riconoscibile dall’abito).

Sant’Orsola aiuta la donna che rappresenta Pisa a uscire dalle acque. L’immagine è un chiaro riferimento a un’inondazione devastante del fiume Arno, di cui la santa avrebbe scongiurato i danni.

Oltre al pregevole dipinto su tavola, Pisa possiede altre quattro raffigurazioni di Orsola, tutte di proprietà della Venerabile Arciconfraternita di Misericordia11, della quale la santa è patrona.

Fra il 1200 e il 1500, si diffusero in Italia delle confraternite chiamate “navicelle di Sant’Orsola” e una di queste fu appunto l’attuale Misericordia di Pisa. Gli iscritti alle “navicelle” si impegnavano ad aiutare e sostenere i più deboli, oltre che a soccorrerli in caso di bisogno.

Sant’Orsola è anche patrona delle insegnanti, in quanto nel 1535 fu fondato a Brescia un nuovo Ordine religioso dedicato alla santa e chiamato appunto Ordine delle Orsoline che si occupava anche dell’educazione e dell’istruzione delle fanciulle.

La ricorrenza celebrata dalla Chiesa per questa santa è il 21 ottobre. Chi è, perché la si ricorda e come mai si celebra Orsola come santa?

La storia di questa donna è un affascinante intrecciarsi di realtà e leggenda. Orsola vive probabilmente nel IV secolo d.C. ed è una principessa bretone.

Nei giorni difficili che segnano la fine del grande impero romano e il passaggio all’età di mezzo, Orsola è una barbara (“barbaro”, che in greco significa straniero, è il termine che i romani usavano per definire coloro che vivevano fuori dai confini dell’impero o al loro limitare).

Il padre di Orsola è un valoroso guerriero che combatte attivamente contro le legioni romane dislocate nel territorio bretone, cercando di conservare l’autonomia al suo popolo.

Come tutte le principesse di sangue reale, anche Orsola viene promessa in sposa, per alleanze di potere, a un principe: il barbaro Ereo.

Il matrimonio si sarebbe potuto fare e la bella Orsola avrebbe partorito al suo Ereo una sfilza di eredi, se il messaggio rivoluzionario del Cristo e le sue parole di speranza e di evangelizzazione non fossero giunte anche ai confini dell’Impero.

Questo fattore è determinante nella relazione dei due promessi sposi, perché Orsola si è segretamente convertita alla nuova religione e non può quindi sposare un principe pagano.

Giovane donna intelligente ed educata ai giochi della politica, Orsola però sa che un suo netto rifiuto potrebbe scatenare una guerra fra i due regni bretoni. Decide quindi per una strada diplomatica di attesa.

Consigliata dall’Arcangelo Gabriele che le appare in sogno, secondo la leggenda, chiede di rimandare le nozze di tre anni. L’intento è quello di convertire il principe barbaro e partire poi con lui per i luoghi della nascente cristianità.

Sempre secondo la leggenda, passati i tre anni, Orsola si imbarca con il futuro marito, ormai convertito alla parola di Cristo, e un seguito di undicimila vergini (questo particolare è probabilmente simbolico e sta a indicare la grandezza della purezza d’animo di Orsola).

La futura regina, Ereo e il gruppo di convertiti al loro seguito, attraversano la Manica, risalgono il corso del fiume Reno fino alla città di Colonia e poi giungono in Svizzera, a Basilea. Da lì, il nutrito pellegrinaggio prende, a piedi, la via per Roma.

Probabilmente passarono il valico del San Bernardo e seguirono poi la via Francigena, la famosa via medioevale che da Canterbury portava a Roma, strada percorsa per tutta l’età di mezzo da milioni di pellegrini che si recavano nell’Urbe. Tuttora è possibile passeggiare su questa via.

Il viaggio durò probabilmente anni e venne funestato da malattie e morti di viandanti bretoni, oltreché da scorrerie di briganti che vivevano lungo le vie maestre dei pellegrinaggi, nella speranza di saccheggiare qualche benestante viaggiatore della fede.

Con grande probabilità era nell’enorme difficoltà di questi interminabili, oggi impensabili, viaggi a piedi, nella neve o sotto il sole cocente, che consisteva la possibilità di espiazione e salvezza dell’anima.

Giungono a Roma e vengono accolti da un papa che rimase sconosciuto alla storia poiché la sua storicità non è ancora stata provata: Ciriaco.

Una volta sciolta la promessa e il voto del pellegrinaggio, i bretoni con alla testa la coraggiosa Orsola riprendono il cammino per tornare in patria. Ripercorrono, com’è usanza del tempo, la stessa via dell’andata.

Quando giungono a Colonia, la trovano conquistata dal fiero e crudele Attila, re degli Unni, colui che (la storia a volte è ingiusta) è ricordato con il sopranome di “flagello di Dio”. Pur non essendo un effeminato e diplomatico principe bizantino, Attila fu un grande re per il suo popolo e un grande stratega militare. Il soprannome è senza dubbio esagerato, però bisogna riconoscere che non nutriva particolari simpatie per i cristiani o i pellegrini in genere e non era tenero con loro.

Secondo la leggenda, le undicimila vergini vengono invitate all’abiura e a darsi ai piaceri della carne con i virili guerrieri. Rifiutano con sdegno, e Attila furioso ordina di trucidarle tutte.

Solo Orsola viene risparmiata, in un primo momento, poiché Attila si è invaghito di lei. Le propone il matrimonio, provocando l’indignazione della principessa.

Al secondo rifiuto, Attila abbandonando ogni velleità erotica, non perde tempo in discorsi e la fa trafiggere da una freccia.

Niente dice la leggenda di quello sciagurato di Ereo che, per andar dietro alla promessa sposa, si era messo in un guaio dopo l’altro e aveva perso anche il regno.

I dati storici, invece, sono altri e abbastanza frammentari.

Un dato certo è il ritrovamento, in una chiesa di Colonia, di reliquie accompagnate da un’iscrizione in cui si dice che un certo Clematius ha edificato quel luogo di culto in memoria del martirio di alcune giovani donne uccise per la loro fede cristiana sotto l’imperatore Diocleziano. Vengono nominate le vergini e, fra i nomi, compare quello di Orsola.

Per quanto riguarda la presenza, nella leggenda, delle undicimila vergini, ci sono studi che propongono altre ipotesi di spiegazione oltre a quella della personificazione della purezza di Orsola. Si parla di un errore di trascrizione del numero romano indicante la probabile età della giovane effigiata sulla tavola dell’iscrizione o di un altro nome di martire compagna di Orsola, “Undecimilla”, anch’essa bretone, che sarebbe stato trascritto come “undecim milia”.

Dobbiamo ristabilire la verità storica su un’ultima questione: questa volta Attila non c’entrava per niente.

11 Oggi è un’importante organizzazione no-profit che opera nel settore del trasporto sanitario e dell’emergenza medica.