Benvegnuda

La saga

Ancora si discute, fra gli storici, su quale sia l’etimologia della parola “strega.”

Secondo alcuni, il termine deriva dal latino strix (plurale striges), che significa civetta, e passa facilmente a indicare una fattucchiera capace di trasformarsi in uccello notturno e che può quindi volare. Secondo altri, che adottano la tesi di alcuni grandi inquisitori spagnoli, deriverebbe da Stige, uno dei cinque fiumi degli Inferi.

In diverse zone d’Italia troviamo, per denominare le streghe, altri termini. Si parla di “lamie” (da Lamia, amante del libertino Giove, che era capace di trasformarsi a piacimento) o di “masche”, termine usato soprattutto in Piemonte e in Val Padana, che sta a indicare una donna che è qualcosa che non appare; in Liguria le streghe vengono dette “baggiure”; in alcune vallate del Trentino e della Valle d’Aosta, ma anche in molte zone del sud Italia, il termine è “saga” (dal latino sagire che significa avere buon fiuto, comprendere intuitivamente). È forse quest’ultima la denominazione che rimanda in maniera più precisa ai contenuti sociali e culturali del fenomeno della stregoneria.

Esaminando molte storie di streghe in Italia, scopriamo che le informazioni su queste donne spesso non sono sufficienti a permetterci di comprendere la loro vita. In genere gli unici dati a cui possiamo accedere sono quelli forniti dagli atti dei processi intentati a costoro della Santa Inquisizione. Da questi verbali ricaviamo facilmente che una cosa accomuna un numero impressionante di streghe arse sul rogo: erano donne che “capivano”, che comprendevano la realtà al di là delle apparenze, che avevano un rapporto col “profondo” della vita umana e di tutta la natura. Erano medichesse, guaritrici e, in buona percentuale, levatrici. Donne che conoscevano le capacità terapeutiche delle erbe e, talvolta, anche l’arte di praticare incisioni e amputazioni.

Questo sapere forniva loro una forma di potere difficilmente tollerabile da chi, nella cultura maschilista del tempo, pretendeva un severo controllo sulle donne e la loro emarginazione. Quelle “streghe” erano pericolose. Erano anche fuori dagli schemi e dalle regole che la Chiesa Romana aveva definito dogmi per incutere timore e dominare le coscienze in forma pressoché assoluta. Parliamo qui soltanto della situazione dell’Europa continentale, dei Paesi a matrice cattolico- romana, perché fu molto diverso, nel nord Europa, il ruolo della strega.

Uno dei casi più eclatanti e vergognosi di ingiusta accusa e persecuzione è quello di Benvegnuda.

Nasce a Nave, in provincia di Brescia, in Valcamonica, nella seconda metà del 1440.

Sin da bambina Benvegnuda è detta Pincinella, perché assai minuta e piccola di statura. È però alquanto bellina e soprattutto sveglia e intelligente.

Figlia di pastori, comincia subito, appena riesce a tenere un bastone in mano, a portare le pecore al pascolo. Si annoia a stare tutto il giorno a osservare le bestie che brucano, perciò inizia a raccogliere erbe, ad assaggiarle, a studiarle e poi, una volta a casa e riportato il gregge, va dalla medichessa del paese a farsi insegnare l’uso di ciascun ciuffo d’erba e di ogni germoglio. Impara presto e bene. Comincia a usare le proprie conoscenze rispondendo alle richieste dei compaesani per piccoli e grandi malanni, e la sua fama di brava medichessa si diffonde in tutta la vallata.

Non porterà più le pecore al pascolo, ma si dedicherà a tempo pieno al nuovo lavoro, con impegno, passione e dedizione.

Tanta fama, ma soprattutto tanta perizia medica, non passano inosservate all’Inquisizione che, in quel periodo, è molto attiva in tutta la zona del bresciano.

Pincinella viene arrestata, senza delazione, su ordine del Grande Inquisitore in persona.

Al processo sfilano moltissimi testimoni convocati dagli inquirenti. Nessuno, naturalmente, si poteva nemmeno sognare di rifiutarsi di testimoniare, ma dagli atti rimasti emergono i particolari di una situazione nuova e strana per i tempi: la Pincinella non ha testimoni “a carico”.

Tutti coloro che sono convocati parlano benissimo di lei, della sua umanità e gentilezza e della sua grande perizia.

Donna Pasquina è una delle testimoni più importanti e le sue parole, accuratamente trascritte, si possono leggere ancora adesso. Parla di numerosi infermi curati e guariti da Pincinella. Sua madre stessa aveva ricevuto le cure della medichessa e si era rimessa da “un dolor del corpo” in breve tempo. Racconta di una compaesana che aveva ricevuto sollievo dai disturbi “d’età avanzata” (menopausa), bevendo ogni sera tisana di menta piperita e lavanda, dopodiché il suo corpo “non era più stato bruciato dalle fiamme”.

Donna Pasquina dice anche con quale metodo la Pincinella era in grado di individuare il disturbo di cui soffrivano i malati: “Metteva o stringa o laccio al braccio dell’infermo e guardando la stringa diceva la malattia”.

Il processo dura poco e Pincinella non viene neppure sottoposta a tortura perché confessi. Sono proprio le testimonianze di guarigioni e buone cure a fornire, paradossalmente, il motivo della condanna: Pincinella è una Saga, una strige delle più pericolose.

Il rogo viene preparato a Brescia perché in molti possano assistere alla punizione che la Santa Inquisizione dà alle streghe. Benvegnuda muore bruciata in Piazza della Loggia nel 1518.