Regine
Il matrimonio nel Medioevo
Parlando di donne (e con questo è poi inevitabile parlare di uomini), non si può non affrontare l’analisi della condizione, dello status in cui nel Medioevo si strutturava la loro vita sociale: il matrimonio.
Affrontando lo studio della situazione femminile nel Medioevo, si rileva che la forma prevalente di sopravvivenza sociale per una donna era l’unione con un uomo.
L’alternativa di vita era il convento, ma accedere a un simile luogo spesso comportava un notevole investimento economico. I conventi, tranne nei casi in cui le suore e le novizie erano vere e proprie schiave, esigevano che chi vi entrava portasse con sé una dote.
Analoga richiesta valeva anche per il matrimonio, ma in questo caso la donna e la sua famiglia ricavavano dall’investimento significativi vantaggi: a volte era semplice prestigio sociale, a volte un qualche incremento finanziario, a volte anche acquisizione di potere politico, in virtù di un’utile alleanza.
Troppo lungo e fuorviante, rispetto al tema trattato, sarebbe affrontare la questione delle origini e della storia dell’istituto del matrimonio, ma un breve accenno è d’obbligo.
Al di là del riferimento al problema della trasmissione del patrimonio da una generazione all’altra, necessità che nasce col passaggio dal nomadismo alla stanzialità delle prime comunità agricole, l’etimologia stessa della parola può offrire delle indicazioni: il termine deriva dal latino mater-munus, che significa “compito della madre”, con chiaro riferimento alle cure per la prole.
Il matrimonio, che nell’antica Roma non era basato su alcun rito ed era una semplice convivenza “con affetti”, trovò una vera regolamentazione all’interno del Diritto Romano, che introdusse un rito e precise formule. La cristianizzazione dell’impero mutò tali pratiche che si ridussero a una semplice cerimonia privata e alla scrittura e firma di un mutuo contratto.
Solo nell’Alto Medioevo la presenza di un sacerdote, che semplicemente benediceva la coppia, fa sì che l’evento inizi ad assumere la forma di rituale religioso.
Il matrimonio rimane prevalentemente un contratto civile, anche se a partire dal secolo IX si afferma la consuetudine di redigere l’atto davanti a una chiesa o a un’abbazia. Quando ciò avveniva, seguiva all’atto notarile una breve cerimonia religiosa con formule e preghiere specifiche. Tutto ciò non implicava affatto l’indissolubilità del matrimonio e non era nemmeno visto come un atto squisitamente di carattere religioso.
Il divorzio, o la rottura del contratto, era una pratica molto frequente e non creava né scandalo né allontanamento dalla Chiesa: sia creare che sciogliere il legame erano atti civili, considerati come separati dall’ambito religioso.
Il passaggio del matrimonio da atto civile regolato da leggi dello Stato e dalla volontà dei contraenti a evento religioso (di sacralità si parlerà soltanto molti secoli dopo) è legato alle vicende sia politiche che personali che segnarono il regno di Filippo I di Francia (dal 1060 al 1108): in seguito a tali avvenimenti, che avevano creato problematiche dinastiche, al matrimonio viene data una prima organizzazione canonica. Di lì a pochi anni, papa Alessandro III lo inserisce a pieno titolo nella liturgia ecclesiastica, definendo il matrimonio un contratto in cui gli sposi contraenti sono i ministri e la sessualità, completamento necessario dell’atto, è finalizzata alla procreazione.
Nelle campagne, e soprattutto tra le persone più povere, il matrimonio rimarrà a lungo unicamente un atto civile e, anche se si tendeva a volerlo svolgere presso un luogo sacro, il posto per celebrarlo veniva scelto su base esclusivamente economica, con ovvio prevalere della sede civile, essendo la tariffa notarile notevolmente più bassa di quella ecclesiastica1.
1 Con il concilio Lateranense del 1215, la Chiesa cattolica regolamentò ufficialmente il matrimonio per la prima volta: imponendo l’uso delle pubblicazioni (per evitare i matrimoni clandestini); proclamando che il matrimonio tra cristiani è un sacramento rendendolo indissolubile anche agli effetti civili, salvo per morte di uno dei due coniugi; richiedendo il consenso libero e pubblico degli sposi (contro i rapimenti e le unioni combinate); imponendo un’età minima per gli sposi (per evitare il matrimonio di bambini, e in particolare di ragazze molto giovani); regolamentando l’annullamento (per violenze sulla persona, rapimento, non consumazione, ecc).