Ginevra di Camelot
Una regina tra storia e leggenda
La figura della regina Ginevra di Camelot appartiene alla terra di confine che si colloca fra storia e leggenda.
Nel gran numero di racconti che costituiscono il “ciclo arturiano”2 sono poche le notizie che la riguardano. Di Ginevra si conosce la condizione di regina e di sposa di Artù.
Si sa che fu amata con passione non solo dal re, ma anche dal primo cavaliere della Tavola Rotonda, Lancillotto, l’uomo senza macchia, devoto più di ogni altro cavaliere al proprio sovrano e alla propria missione: ritrovare il Graal, la coppa nella quale Cristo bevve durante l’ultima cena3.
Si sa che l’amore clandestino tra la Regina e il Primo Cavaliere macchia costui, immacolato fino a quel momento, del peccato più grande, il tradimento verso il suo signore e verso Dio, che causa la distruzione degli ideali cavallereschi di coraggio e lealtà che avevano dato vita alla Tavola e al pacifico regno di Camelot.
Ginevra appare quindi come una donna frivola e civetta, che non esita, per la propria vanità e lussuria, a rovinare non uno ma due eroi e a lasciare il suo regno nello sfacelo e in preda alle aggressioni del nemico.
Ancora una volta, la figura della donna viene collocata nel ruolo della tentatrice demoniaca, portatrice di rovina per gli uomini. Ma chiunque abbia dimestichezza con la storia sa che, per tutti i personaggi che appartengono da una parte alle ipotesi storiche e dall’altra al mito, quante più sono le controversie e i dibattiti su di essi, quanto più grandi sono le distorsioni del racconto, tanto più probabile è la loro importanza nella cultura presso il popolo d’origine. Ciò vale, a maggior ragione, per le figure femminili.
Tutto un alone di leggenda, dunque, avvolge la figura di questa donna che sembra veramente frutto della fantasia popolare. I personaggi che le gravitano intorno non sono meno complessi e ricchi: possiamo trovarci di fronte a qualche riscontro nella realtà e considerarli personaggi storici, ma dobbiamo anche cogliere in essi, come in Ginevra, il condensarsi di un pensiero antico.
Il marito sovrano, il grande Artù, è probabilmente vissuto nel V o nel VI secolo d.C. in Britannia.
È interessante notare che, negli antichi racconti, Artù non viene mai definito con il termine celtico di “sovrano”, bensì con quello di “re della guerra”. Questo ci fa supporre che Artù agli esordi della sua ascesa fosse un mercenario che veniva di volta in volta assoldato da re di tribù o clan per guerre intestine, allora frequenti in quelle terre divise.
Questa lettura del personaggio andrebbe anche a dare un senso alla sua gloria successiva di unificatore delle varie tribù bretoni.
In molti si sono occupati di stabilire quali fossero le origini di Artù4.
Se condividiamo l’ipotesi secondo cui fosse un romano britannico, rimasto nell’isola dopo che l’esercito dell’Impero aveva abbandonato quei territori, spieghiamo facilmente la sua abilità militare.
Acquisisce la sua competenza alla grande scuola di Roma e diviene “re della guerra”. È dunque un guerriero mercenario così abile e forte da riuscire in seguito ad avere un proprio esercito e diventare addirittura sovrano di vasti territori.
Questa ipotesi spiegherebbe anche la raffinatezza di cui Artù dà prova nella splendida vita di corte nel castello di Camelot, una raffinatezza che certo non apparteneva ai rudi guerrieri celti o britanni. E spiegherebbe anche l’incontro con Ginevra.
Artù è chiamato ad aiutare Re Leodagan (e chi se non un capo di truppe mercenarie poteva essere chiamato a sostegno di un assedio senza che ci fosse alcun legame di parentela o alleanza in corso?). Costui, attaccato da tempo dai suoi nemici di clan, sta per soccombere. Artù arriva a sorpresa e sbaraglia senza difficoltà gli assedianti.
In questo momento è ancora un mercenario.
Leodagan offre ai liberatori un sontuoso banchetto ed è durante la festa che Artù vede per la prima volta Ginevra.
Se c’è un dato su cui tutti i successivi narratori sono in accordo, è che Ginevra è bellissima ed è inevitabile che Artù se ne innamori alla follia fin da subito. Quando il forte guerriero chiede a Leodagan di dargli in sposa la figlia Ginevra, il re, ormai avanti negli anni, acconsente con gioia.
Leodagan aveva degli ottimi motivi per accettare la proposta di Artù: il primo era che con un genero di un tale valore militare nessun clan vicino si sarebbe sognato di guerreggiare con lui; il secondo era che si sarebbe liberato di una figlia con un buon matrimonio, forse insperato.
Non dobbiamo scordarci che le prospettive di vita per una donna nel Medioevo erano o il matrimonio o la clausura religiosa e spesso quest’ultima costava economicamente di più alla famiglia, senza offrire neppure il tornaconto delle alleanze.
Il matrimonio è deciso, ma prima che l’evento si realizzi entra nella storia un’altra figura amata e nota della saga di Artù: Merlino.
Merlino è stato inserito nella leggenda come mago, ma questa è una definizione riduttiva della sua figura. Probabilmente è un druido, tutte le descrizioni che abbiamo di lui lo confermano.
I sacerdoti druidi non erano maghi, certamente non nell’accezione oggi comune del termine; erano uomini di sapere in un mondo, quello celtico e britannico, che non aveva ancora una cultura della scrittura. Disponendo della conoscenza in un mondo di ignoranti, avevano un enorme potere.
Merlino è il druido di Artù, il suo capo spirituale, il suo consigliere; e sarà proprio lui a sostenere che il matrimonio con Ginevra è un’ottima cosa, ma si farà solo dopo che Artù avrà sconfitto i Sassoni che stanno mettendo a ferro e fuoco la Britannia.
Merlino, come consigliere, fa probabilmente un’ottima proposta strategica: se Artù è al momento solo “re delle guerre”, vincendo gli invasori sassoni potrà arrogarsi il titolo di sovrano e di unificatore delle tribù. A quel punto, il matrimonio con Ginevra, figlia di re e di pura stirpe britannica, sarà utile per rafforzare la sua corona.
Artù parte con il suo esercito e in pochi giorni sbaraglia quello sassone, torna da Leodagan e sposa Ginevra. Comincia il mito, si entra nell’epopea.
Nonostante non sia in evidenza, Ginevra è colei che infonde forza e coraggio al sovrano. Se Merlino rappresenta il saggio e scaltro consigliere, Ginevra, attraverso amore e dedizione, dona ad Artù la serenità che gli permette di governare e rendere forte il suo popolo.
La regina è sempre al suo fianco, è con lui nella creazione di Camelot e della corte, e anche nella fondazione della Tavola Rotonda.
Questo particolare è assai importante per comprendere la figura di Ginevra: la tavola è rotonda perché tutti i nobili cavalieri, e il re fra loro, sono alla pari e ugualmente uniti nell’ideale cavalleresco e Ginevra, eccezionale per una donna, siede a quel tavolo.
È lì non solo per nobiltà di stirpe, ma perché viene riconosciuta pura e nobile nell’animo, come un uomo (nel Medioevo non era affatto frequente) e perché le sue parole sono ascoltate con attenzione dal sovrano e dai cavalieri.
Il suo stesso nome celtico, Gwena, ricorda la parola greca (gyne) che sta per donna e regina, ma significa prima di tutto “bianca”, a farcela immaginare come un’eterea Venere.
L’ombra della colpa è però in agguato e tocca Ginevra, nel mito, per il tradimento compiuto con il più puro dei cavalieri, il più giovane e valoroso, Lancillotto.
Se leggiamo attentamente il racconto fatto a posteriori dai narratori del ciclo della Tavola, lo possiamo inscrivere in un’antichissima tradizione celtica, ancora presente in alcune zone rurali del nord d’Inghilterra.
Nel mito, si parla di una donna bellissima, personificazione della Dea Terra, che si trova a essere amata da due uomini i quali si sfidano per il suo amore. Uno è un uomo più anziano con cui la Dea ha avuto un lungo rapporto e a cui è legata da glorie passate, l’altro è più giovane, vigoroso e irruente e arriva improvvisamente da terre lontane.
Questo mito rappresenta il ciclo delle stagioni, con l’uomo anziano che simboleggia l’inverno e il giovane che è invece la primavera, che arriva improvvisa e tutto rallegra con la sua colorata energia. La Dea Terra è, nel ciclo continuo, preda successiva del vecchio inverno o della giovane primavera. Nell’equivalenza simbolica, il ritorno dell’amore per Artù, dopo la passionalità per Lancillotto, è quindi il riproporsi fatale della natura nelle sue successioni.
Ginevra, nella sua nobiltà d’animo, è nel mito della Tavola non solo la donna che infonde fiducia e speranza, ma anche Madre Terra, colei cioè che porta equilibrio nel ciclo della vita.
Non darà figli ad Artù: la sua verginità, probabilmente non un attributo fisico ma d’animo, fa sì che divenga simbolicamente madre di tutti, “Madre Terra” appunto.
Questa figura di donna ha forse rappresentato nella tradizione celtica un’immagine più incisiva di quella del marito Artù. L’immagine di quest’ultimo è stata trasfigurata e ingigantita nel romanzo d’amor cortese in epoca più tarda, quando gli antichi miti della Dea Terra erano stati dimenticati e le donne avevano assunto una posizione d’inferiorità sociale, quando la cultura cristiana aveva riversato sul femminino l’ipotesi a priori del peccato sessuale.
2 Il ciclo bretone (o ciclo arturiano):
a) Fa parte di quella letteratura dei cicli, di carattere epico-cavalleresco, che si sviluppò immediatamente dopo l’anno Mille e che celebrava, nelle sue composizioni in versi, i valori più alti della società aristocratica.
b) Indica l’insieme delle leggende sui celti e la storia mitologica delle isole britanniche, in particolar modo quelle riguardanti Re Artù e i suoi cavalieri della Tavola rotonda.
Le loro vicende furono elaborate attraverso i secoli in una vasta ed eterogenea serie di testi scritti in numerose lingue (latino, francese, inglese, tedesco, italiano) a partire dal Basso Medioevo. Alcuni dei temi del ciclo arturiano hanno origine nella leggenda; altri sono stati aggiunti nel tempo dalla creatività dei numerosi autori che si sono succeduti nei secoli.
3 Utilizzata successivamente da Giuseppe d’Arimatea per raccogliervi il sangue del Cristo.
4 Sulla storicità di Artù non c’è affatto accordo tra gli studiosi dell’argomento, dato che lo si può identificare con diversi personaggi (una decina), appartenuti a vari periodi. È facile affermare che la figura letteraria di Artù sia una fusione delle caratteristiche di persone reali e note alla tradizione, ma è anche importante riconoscere nel personaggio aspetti appartenenti alla cultura celtica, senza ignorare che Artù impersona certamente anche i valori dell’ideologia medievale.