Capitolo terzo.
Allearsi con la circoncisione

Ekpolokazi, ekpolokazi ngbongbo

(Dove sono le liane, le liane sono qui)

Canto della circoncisione

1. Consanguineità e alleanza

Appartenere a una determinata famiglia (némava) significa rientrare in uno specifico gruppo di discendenza patrilineare, alla cui base c’è una comunanza di sangue (nálíkpo). La procreazione, così come ne parlano i Medje-Mangbetu, è strettamente connessa con l’idea della trasmissione del sangue del padre (e di conseguenza degli antenati) nel feto (néiho). La centralità del sangue nel definire la procreazione e la discendenza patrilineare, è evidente nel termine andrálíkpo (lett. «il mio sangue») usato per denominare un individuo della propria parentela patrilineare.

Benché la consanguineità necessiti di una procreazione fisica, è possibile fra i Medje-Mangbetu estenderla a individui che non rientrano nel gruppo patrilineare creando una parentela fittizia con lo scambio o l’unione del sangue. La creazione di una fratellanza di sangue (noutu) può avvenire in due modi differenti: a) due individui maschi adulti diventano fratelli di sangue attraverso lo scambio del sangue fuoriuscito da un taglio sulle rispettive braccia: questo procedimento prende il nome di noutu tekpo (tekpo = braccio); b) un gruppo di bambini o adolescenti diventano fratelli di sangue se vengono circoncisi insieme e il loro sangue raccolto in un unico recipiente: in questo caso si parla di noutu eipopoi (néipopó = prepuzio).

Il noutu così presentato è indubbiamente una «relazione più o meno assimilabile a quelle della parentela patrilineare» (McKee 1995: 91) realizzabile in due modi differenti a seconda dell’età e delle situazioni. Tuttavia l’analisi delle due forme di fratellanza ha evidenziato in primo luogo forti differenze nei significati, nelle motivazioni, nelle pratiche rituali e nelle conseguenze sociali. Se il noutu ricorda in termini strutturali le relazioni patrilineari (si crea consanguineità fittizia), in termini funzionali ciò che prende forma non è vissuto dagli interessati come un’incorporazione nel gruppo patrilineare ma come un’alleanza, un’importante estensione della propria rete di alleanze (in qualche misura simili alle relazioni cognatiche e matrimoniali).

Per tali motivi occorre tenere innanzitutto separati i due casi di noutu e concentrarsi per il momento sulla forma più significativa e importante che – a detta dei Medje-Mangbetu con cui ho dialogato – è il noutu eipopoi. Inoltre, è bene svincolare tale «fratellanza attraverso la circoncisione» dall’idea di consanguineità e condurre l’analisi nella direzione dell’alleanza, anche in ragione del forte accento posto dai locali sul fatto che attraverso il noutu eipopoi si costruiscono nuovi legami al di là della parentela, i quali coinvolgono interi gruppi di persone. Questa «estraneità» dei fratelli di sangue rispetto ai legami di parentela «naturali» viene attentamente preservata e maggiormente sottolineata rispetto al­l’idea dell’incorporazione fittizia di un fratello di sangue nella propria famiglia.

La fratellanza che si viene a creare fra due circoncisi si esprime principalmente attraverso una forte alleanza fra i gruppi di discendenza a cui appartengono. Ad essere coinvolti sono soprattutto gli individui inclusi nei patrilignaggi esogamici dei circoncisi e in particolare coloro che appartengono agli aggregati domestici che costituiscono uno stesso villaggio.

Oggigiorno la pratica tradizionale sta lentamente scomparendo, in quanto l’operazione si svolge generalmente negli ospedali e nei dispensari di foresta. Alcune parti della sequenza rituale (la danza iniziale e la festa finale in una forma ormai contratta) sembrano ancora avere luogo nei villaggi più distanti dai presidi medici. Tuttavia, ciò che permane quasi ovunque è il duplice motivo che sta alla base del noutu: fornire al bambino una condizione fisica indispensabile per essere accettato in futuro dalle donne e costruire alleanze con altre famiglie genealogicamente e territorialmente lontane. Questa centralità dell’alleanza al di là della parentela attivata con la circoncisione, è una delle caratteristiche fondamentali del noutu e uno dei motivi per cui valga la pena ricostruire le sequenze e analizzare i significati di un rituale che sta scomparendo, e di cui non ho rintracciato alcun resoconto etnografico.

In questo capitolo ricostruisco, attraverso le interviste condotte sul campo, il rituale tradizionale del noutu1 così come raccontano di svolgerlo gli abitanti dei villaggi appartenenti alle collectivités Ndei, Mongomasi e Medje-Mango. Sono molte le voci narranti che mi permettono di raccontare le sequenze del noutu e che volutamente ho cercato di mantenere in brevi frammenti di interviste. In effetti nelle pagine seguenti emerge il mio debito più grande nei confronti di tutti coloro che ebbero la bontà di farmi accomodare all’ombra del négbámú, ed è soprattutto in riferimento alla ricostruzione del noutu che il mio pensiero non può non andare a Roberto Mopay (un caro amico e collaboratore) e a suo zio Odianzuda Victor le cui informazioni sono risultate assai preziose.

Quando lasciai Neisu, molte persone ebbero la gentilezza di venirmi a salutare non tanto dicendomi addio oppure arrivederci ma semplicemente amekenge! (lett. «fratello di sangue»). Roberto non venne a salutarmi e ciò fu paradossalmente un sollievo considerando il nodo che mi stringeva in gola e il fatto che davvero potevamo quasi chiamarci amekenge. Di Victor mi resta una foto, frammenti di dialoghi, uno scacciamosche come regalo e un grande sentimento di rispetto e di affetto.

2. La scelta

A differenza di molti casi etnografici in cui il rituale della circoncisione si svolge a intervalli più o meno regolari e ogni decisione sui tempi e sulle modalità è rimandata al gruppo (villaggio, clan) per tramite dei capi, degli anziani o di specifici ritualisti, fra i Medje-Mangbetu tutto nasce da un’iniziativa di un padre di famiglia il quale reputa che sia giunto il momento di circoncidere uno o più figli. Tradizionalmente l’età più appropriata per subire l’operazione della circoncisione era quella dell’adolescenza; oggi, la progressiva sostituzione della pratica rituale con l’ospedalizzazione ha causato l’abbassamento dell’età dei circoncisi.

Prendere l’iniziativa significa organizzare la cerimonia del noutu e necessariamente coinvolgere molti aggregati domestici del proprio villaggio, in quanto la maggior parte delle fasi del rituale si svolgono nella nébha (compound) e non in foresta o in un luogo appartato, così come invece accade in altri contesti etnografici. Non è raro che differenti individui, appartenenti allo stesso lignaggio di colui che ha preso l’iniziativa, decidano di approfittare dell’occasione e quindi di affidare uno o più dei loro bambini non ancora circoncisi all’organizzatore. In ogni caso – come precisa Ongoro Neibese, chef de localité a Magbengi – «è meglio avere i bambini della stessa famiglia o di un gruppo di famiglie dello stesso émava per farli circoncidere con altri». Quando un individuo decide di organizzare il noutu per i suoi figli e di conseguenza per i figli di altri parenti, di solito ha ben chiaro quali saranno gli altri compagni di circoncisione. Lui stesso si sarà preventivamente accordato con un altro individuo appartenente a un’altra famiglia, concorde nel far circoncidere uno o più bambini insieme a quelli dell’organizzatore creando attraverso la fratellanza di sangue fra i figli una forte alleanza fra le due famiglie e più in generale fra i due patrilignaggi.

Una caratteristica emersa con chiarezza dalle interviste condotte sul campo è la dualità e la simmetria insita nel noutu: due individui appartenenti a due famiglie differenti mettono insieme in un unico evento rituale un numero quasi uguale di bambini presi dalle rispettive famiglie al fine di circonciderli insieme e farli diventare fratelli di sangue (amekenge2).

Noutu fra due fratelli è difficile che ci sia, perché un amekenge può cambiare idea fino all’ultimo momento, i fratelli no perché sono già fratelli. È impossibile che ci sia noutu fra i figli di due fratelli. Si prendono i fratelli e si va a farli circoncidere con altre persone. Bisogna andare fuori [dalla parentela]. Il noutu non è solo fra due bambini. Noi eravamo tanti. Si possono avere a volte quaranta o cinquanta bambini. È sempre però questione di due famiglie. Uno da una parte prenderà i suoi figli e i figli dei suoi fratelli, l’altro farà la stessa cosa. Tutti i bambini saranno circoncisi a nome di colui che li riunisce [nel senso che in ogni famiglia c’è un responsabile]. La circoncisione è fra due grandi famiglie che in mangbetu si chiamano émava. Ci sono sempre due émava e non tre (Emalongo).

Le parole di Emalongo, oltre a ribadire il dualismo del noutu, introducono un criterio importante che sta alla base dello stesso: la famiglia che si sceglie come partner nel rituale di fratellanza deve essere preferibilmente fuori dalla parentela, al di là della cerchia di parenti. Spesso le due famiglie che si accordano per il noutu appartengono a due differenti gruppi etnici; anzi, i casi che ho potuto registrare su tutto il territorio dei Medje-Mangbetu del sud (collectivités di Ndei e Mongomasi) suggeriscono una forte tendenza, da parte di questi ultimi, ad allearsi attraverso il noutu con famiglie mayogo, lika, pigmee e budu i cui territori si trovano lungo i confini orientali e meridionali dei domini medje-mangbetu.

I Babudu hanno il coraggio della circoncisione, anche i Balika e i Mayogo utilizzano la circoncisione, gli Zande non hanno tendenza alla circoncisione, non si sono dati per fare la circoncisione con i Medje, può darsi fra di loro, laggiù. Ciò è quello che vedo perché gli Yogo, i Budu e i Lika arrivano fin qui da noi e hanno il coraggio di darsi, hanno bisogno della circoncisione. Alcuni Medje possono aver fatto la circoncisione là fra gli Zande ma è raro, sono casi un po’ speciali (Odianzuda Victor).

Fra tutti i gruppi i cui territori confinano con quelli dei Medje-Mangbetu, soltanto gli Zande (a nord) non sembrano condividere la pratica dell’alleanza con la circoncisione. Sendebuka, una donna zande della famiglia Avungara, è molto chiara al riguardo: «da noi è meglio fare la circoncisione fra quelli della famiglia senza andare fuori».

Esistono tuttavia casi in cui anche il noutu medje-mangbetu si fa all’interno della famiglia. Ciò avviene quando «si ha problemi con un fratello, allora si fa la circoncisione per risolverli» (Makilingbo) o semplicemente per il fatto che si è abbandonata la pratica tradizionale e si portano i propri figli al dispensario per farli circoncidere. Emalongo denomina quest’ultimo caso nébaioutu, letteralmente il noutu degli stranieri (nébaí), cioè «alla maniera dei bianchi». In molti casi, questa connessione fra l’ospedalizzazione della circoncisione e la perdita della tradizionale fratellanza al di là della parentela non viene confermata. Molti infermieri dei dispensari sparsi in foresta e la totalità dei Babudu intervistati nei pressi di Wamba (un grande villaggio collocato in territorio budu in cui è ubicato un importante ospedale) sostengono che la fratellanza di sangue continua a essere una delle condizioni della circoncisione anche fra le mura di un presidio medico. Ecco il racconto di Adobange, un Mubudu di Wamba che ha deciso di fare l’égonye (l’equivalente in kibudu di noutu) fra suo figlio e il figlio di un altro Mubudu residente in un villaggio distante trenta chilometri da Wamba:

Oggi i bambini vengono portati all’ospedale ma generalmente non da soli, ci sono famiglie che si uniscono. Per esempio mio figlio con un altro bambino hanno fatto l’égonye qui all’ospedale. Siamo andati all’ospedale, abbiamo avuto i moduli da riempire perché bisogna seguire le norme dell’ospedale. Si sono fatti entrare i bambini nella chirurgia e poi si è iniziato. L’infermiere ha iniziato a circoncidere il primo bambino e poi il secondo. Il sangue è colato nello stesso recipiente così i bambini sono diventati bamoia [è l’equivalente kibudu di ame­kenge, fratelli di sangue].

Attraverso quali criteri l’individuo che prende l’iniziativa di organizzare la circoncisione sceglie la famiglia con cui allearsi? Dalle testimonianze raccolte i motivi che stanno alla base della scelta sono i più disparati, benché in tutti i casi si cerchi di giustificare l’unione delle due famiglie principalmente per una questione di amicizia e di fratellanza. Volendo suddividere la casistica raccolta sul campo, si possono individuare tre motivi particolarmente ricorrenti che stanno alla base di una alleanza con la circoncisione: 1) la scelta può cadere su una determinata famiglia per riconoscere un servizio o un aiuto ricevuto e formalizzare il proseguimento in futuro di questa cooperazione e dell’amicizia che si è venuta a creare; 2) due famiglie possono avere l’esigenza di scambiarsi beni e prodotti. In questo caso è facile che le famiglie siano molto distanti fra loro e che quindi si differenzino nell’accesso a determinate risorse. Emblematica al riguardo è l’alleanza tramite la circoncisione che i Medje-Mangbetu (così come gli altri gruppi) instaurano con specifiche bande di Pigmei; 3) un terzo caso è rappresentato dall’esigenza di avere un punto di appoggio in un’area in cui non è possibile fare affidamento su parenti e che per questioni di lavoro (es. piantagioni, miniere d’oro), di commercio (es. mercati) o di servizi (es. ospedali) bisogna frequentare regolarmente.

Le due famiglie, raggiunta un’intesa preliminare, iniziano a farsi visita reciprocamente per sondare la bontà e la generosità dei futuri alleati. Fin tanto che non si sia instaurato un clima di forte fiducia, il noutu potrebbe essere annullato e addirittura si dice che «fino all’ultimo momento gli amekenge possono tornare indietro», cioè l’accordo può saltare. La scelta dei propri amekenge è una questione delicata da affrontare con discernimento e prudenza in quanto la fratellanza implica una teorica comunanza dei beni; ci si può recare dai propri fratelli di circoncisione e «prendere quello che si vuole senza limite». Ambemane Eugène, un Mubudu direttore di una scuola primaria, esprime in modo efficace i motivi e i rischi di un’alleanza con la circoncisione:

Noi Babudu la facciamo [la circoncisione] sovente con i Balika oppure fra di noi, basta andare a cercare una famiglia un po’ lontana. Basta andare lontano per fare delle relazioni. Sovente si cercano famiglie nobili. È questione di amicizia ma soprattutto di rapporti economici, politici e sociali. Si cerca di guadagnarci qualcosa. Si fa anche con i Pigmei ma bisogna stare attenti perché quando verranno loro da te porteranno tutto il villaggio e allora c’è il rischio di avere problemi con le proprie famiglie vicine. Qualcuno dei vicini può dire: – io non ho fatto la circoncisione con i Pigmei e perché essi devono venire ad attaccare [a prendere prodotti da] i nostri campi?

Occorre verificare le abitudini e le condizioni economiche della famiglia dei futuri fratelli di sangue: difficilmente si sceglie una famiglia povera. Una volta appurata la reciproca bontà della scelta si stabilisce la data, solitamente durante una stagione di relativa abbondanza di risorse. Il luogo del rituale corrisponde generalmente al compound in cui vive colui che ha avuto l’iniziativa. I componenti dell’aggregato domestico dell’organizzatore e i vicini (come si è visto precedentemente si tratta di famiglie riconducibili allo stesso patrilignaggio) sono coloro che si accollano lo sforzo maggiore: devono predisporre l’accoglienza dei partner di circoncisione, accordarsi con un circoncisore (nesamba) stabilendone il compenso e preparare l’abitazione in cui i circoncisi trascorreranno il periodo di guarigione (tale edificio viene costruito nelle vicinanze del compound). I membri della famiglia che organizza parteciperanno più numerosi al noutu rispetto alla famiglia ospitata.

Quando arrivano gli si va incontro ad accoglierli. Gli viene dato il posto, bevande e cibo. Nel mentre l’infermiere è già stato avvertito. I bambini non vengono circoncisi lo stesso giorno dell’arrivo, bisogna restare lì a danzare un po’ (Makilingbo).

3. Le danze

La danza precede la circoncisione. Un tempo il periodo dedicato alle danze poteva prolungarsi per alcune settimane o – come qualcuno ricorda – per due o tre mesi. Non è stato semplice ricostruire attraverso le interviste l’ipotetica sequenza di danze che occupano la scena nei giorni precedenti la circoncisione. La sensazione è che dal vasto repertorio composto da danze popolari e da versioni popolari delle danze di corte si attinga abbastanza liberamente mantenendo costanti due elementi: 1) la danza che precede la circoncisione è essenzialmente quella denominata nebopo, una danza tipica delle donne; 2) nelle ore serali e nelle prime ore della notte la danza nebopo viene sostituita dai ritmi delle danze namuro (una danza per i ragazzi giovani) e mabolo (i cui specialisti sono uomini).

La danza nebopo, una delle più popolari e conosciute, viene eseguita dalle donne in onore di persone importanti, mentre gli uomini stanno a guardare. Lo strumento musicale principale connesso al ritmo nebopo è il doppio tamburo conico in pelle denominato nabita e ricavato da un tronco di mango (Demolin 1990: 207). Durante la danza il suono di questo tamburo «chiama» (invita) una alla volta le donne a esibirsi di fronte al percussionista per poi ritornare al proprio posto. Teresa Amanzibandro Sani, una valida informatrice di Neisu, ribadisce l’importanza e la caratterizzazione di genere della danza pur sottolineando il fatto che chiunque può danzare nebopo (così come chiunque danza mabolo, pur essendo tipica degli uomini).

Nebopo è una danza riservata a momenti importanti. Si usa per il noutu e per altre occasioni. Non sono solo le donne che la fanno anche se è una danza per le donne. Queste danze possono iniziare anche uno o due mesi prima della circoncisione. Il giorno della circoncisione queste danze si fanno ancora. Dopo la circoncisione non si danza più (Teresa Amanzibandro Sani).

La danza delle donne viene sostituita al calare della sera con una danza aperta a tutti, tipica dei giovani (indipendentemente dal sesso), denominata namuro. Mi sono stati riportati diversi sinonimi (neniongo, nemira, nepalaba) e in ogni caso sembrerebbe una danza di intrattenimento e di divertimento diffusa un po’ ovunque con nomi diversi. Al namuro si affianca nelle ore notturne il mabolo, una tipica danza maschile la cui versione di corte è particolarmente famosa. Quando alla fine del secolo scorso l’esploratore Schweinfurth assistette alla esibizione del re Mbunza in un assolo di danza di fronte alle sue mogli e ai suoi sudditi, si trattava proprio del mabolo, una delle più famose danze alla corte mangbetu. Tale danza, eseguita sulle note di una vera orchestra incentrata sui corni in avorio, era la più evidente manifestazione dell’abilità e intelligenza (nakira) del re (Demolin 1990: 205). La versione popolare del mabolo è caratterizzata da un ritmo più rapido e dall’impiego di un minor numero di strumenti: nella maggior parte dei casi si tratta di un tamburo cilindrico (nabita), di un tamburo a fessura (nekpokpo) e di sonagli (nangbara).

La sequenza nebopo-namuro-mabolo è doppiamente significativa. In primo luogo, nella maggior parte delle interviste che ho condotto sulle sequenze del rituale noutu, la danza nebopo è indiscutibilmente posta all’inizio del racconto e considerata il punto di partenza dell’azione rituale. Questo elemento che dà inizio all’intero rito è connesso con il genere femminile e ciò rimanda a numerosi miti e leggende concernenti l’origine e la scoperta della circoncisione solitamente attribuita alle donne (Bettelheim 1996: 111). Fra i Medje-Mangbetu non sembrano esistere miti sull’origine della circoncisione, ma in altri contesti etnografici africani (Turner 1976, Muller 1993) e nei due maggiori resoconti etnologici di pratiche di circoncisione nel Congo nord-orientale (Droogers 1980 fra i Genya, De Mahieu 1985 fra i Komo) si pone l’attenzione su questa costante relazione fra l’inizio, la scoperta, l’origine della circoncisione e il genere femminile.

In secondo luogo, la successione delle danze anticipa il tema centrale del noutu inteso come rito di passaggio puberale: il bambino, inizialmente legato all’universo femminile della madre, partecipa a un evento rituale durante il quale vive un periodo di liminarità insieme ad altri compagni per poi diventare un vero uomo. Il passaggio da una danza femminile (nebopo), a una tipica dei ragazzi e sessualmente indistinta (namuro), fino a giungere alla danza tipica degli uomini e connessa con i valori dell’abilità e del talento rispecchia la trasformazione del circonciso e il cambiamento dell’ambiente sociale al quale deve fare riferimento e a cui appartiene.

Emasiombe Anselme, chef de localité a Mbongyi, ha fatto circoncidere suo figlio con un ragazzo pigmeo e ricorda chiaramente le fasi iniziali del noutu:

Il giorno prima della circoncisione si è danzato nebopo nel pomeriggio, tutti insieme noi e i Pigmei. Verso sera namuro. Verso mezzanotte ci fu la distribuzione di agwa [distillato di vino di palma]. Dopo aver bevuto ogni gruppo si è messo da parte a danzare quello che voleva. I Medje dopo mezzanotte danzavano mabolo, i Pigmei nekpu. Si va avanti così fino alle cinque quando è ora di prendere i bambini per la circoncisione. C’erano due bambini pigmei e tre medje. Una volta era obbligatorio far danzare i bambini e subito dopo l’operazione gli si dava da bere per farli continuare a danzare. Oggi dipende dai casi.

Le danze vengono eseguite principalmente dai componenti delle due famiglie coinvolte nel noutu ma anche dai futuri fratelli di circoncisione. I bambini che di lì a poco dovranno subire l’operazione non sembrano oggigiorno obbligati a danzare, sebbene la partecipazione alla performance collettiva venga auspicata e venga considerata una dimostrazione di coraggio e un aiuto psicologico per superare e dimenticare il dolore a cui stanno andando incontro. Questa lotta contro l’idea del dolore e questa dimostrazione del coraggio richiamano l’analisi compiuta dall’antropologa Suzette Heald sul rituale di circoncisione dei Gisu dell’Uganda denominato imbalu (Heald 1982, 1986), in cui si pone particolarmente l’accento sui risvolti psicologici di alcune fasi rituali, prima fra tutte la danza che precede l’operazione. In questo caso, il coraggio e la forza dei ragazzi da circoncidere vengono valutati in primo luogo dal modo in cui danzano nella fase preparatoria; il vigore che dimostrano nella danza è il segno più evidente della loro determinazione e della loro maturità fisica e psicologica.

Fra i Medje-Mangbetu del nord (coloro che risiedono nella collectivité Azanga il cui territorio si trova a nord-est della città di Isiro, a più di 100 chilometri dai domini del sud terreno principale della mia ricerca) i futuri circoncisi non solo devono danzare nelle fasi iniziali del noutu, ma devono dimostrare di saper eseguire alla perfezione una difficile danza denominata appunto noutu totalmente sconosciuta e ignorata nei territori del sud. Nel capitolo successivo si tornerà su questa significativa divergenza e più in generale sul diverso significato che ha assunto il noutu nei vari domini medje-mangbetu. Tuttavia pare rilevante sottolineare fin da ora il fatto che eseguire una specifica danza venga considerato da una parte una conditio sine qua non e dall’altra venga addirittura ignorato. In un caso, diventare uomini implica la conoscenza di ritmi e movenze tipiche di un gruppo e la trasformazione dell’individuo in un vero uomo è necessariamente correlata all’esercitazione del corpo su un codice predeterminato dal proprio gruppo (dalla propria cultura). Nell’altro caso si ignora l’elemento iniziatico della danza e nell’eventualità che ci sia – o ci sia stato storicamente – l’invito o l’obbligo a danzare, sarebbe un’indicazione del tutto generica e per nulla connessa a una specifica danza.

È importante riflettere sul fatto che, mentre ai gruppi del sud manca una danza iniziatica considerata indispensabile per diventare un vero uomo, nei territori del nord i Medje-Mangbetu sembrano ignorare tutta l’ideologia dell’alleanza connessa con il noutu e la forte apertura nei confronti dei gruppi vicini. Accettare di diventare uomini con altri implica l’abbandono di un progetto esclusivo e interno a un gruppo culturale specifico, progetto simbolicamente rappresentato da una danza che scaturisce da una tradizione culturale tipica e specifica. Per quale motivo i Pigmei, i Babudu, i Balika dovrebbero imparare una danza medje-mangbetu per diventare uomini pigmei, budu, lika? Fra i vari elementi che si mescolano, le sequenze che si negoziano, le terminologie che si influenzano, sono le danze tipiche di ogni specifico gruppo che paiono resistere maggiormente nella loro diversità. Se i rituali puberali connessi alla circoncisione sono momenti fondamentali nella costruzione dell’essere umano e se si sceglie di con-dividere questi eventi rituali con altri gruppi, allora le diverse umanità che entrano in gioco preservano la loro specificità soprattutto nel momento della danza.

Se un Medje va dai Babudu per la circoncisione, saranno sempre uniti come fratelli ma ognuno farà le proprie danze pur essendo legati dalla stessa alleanza. Da una parte fanno un canto e si guarda come danzano fra loro e dall’altra parte fanno i canti secondo loro e si vede come cantano e danzano fra loro. Ognuno danza la propria danza. Si danza insieme nella stessa nébha ma un po’ divisi in modo che i Budu danzano alla loro maniera e i Medje guardano e viceversa (Emalongo).

Malgrado ogni gruppo si esprima attraverso i propri ritmi e le proprie figure, traspare – dalle interviste condotte – una certa curiosità nei confronti della performance dell’altro gruppo. Sembrerebbe che durante un noutu interetnico ci sia dopotutto il tentativo di imitare quello che fanno gli altri.

Se ci sono due gruppi che fanno la circoncisione insieme, un gruppo resterà da una parte e l’altro dall’altra. Ognuno farà le sue danze e voi non potete cantare i loro canti perché non conoscete la lingua. Quando si fermano allora potete iniziare. Ci si sforza di conoscere le danze e le canzoni dell’altro gruppo, anche se non si riesce a fare i canti si prova, ci si esercita per cercare di raggiungere lo scopo di quello che volevano fare (Guamonzine Jourdain).

Le idee dell’alleanza e dell’apertura pervadono il rituale e la necessità dell’incontro e della mescolanza prevale sul bisogno di conservare e trasmettere un’identità di gruppo. Tutto ciò è particolarmente significativo proprio per il fatto che si tratta di un rito di passaggio alla vita adulta di solito connesso nelle analisi antropologiche a un percorso iniziatico teso a comunicare e a preservare i valori e l’identità di un singolo gruppo. Ciò che si perde è l’esclusività di un progetto dell’uomo sull’uomo e ciò che si acquista è l’apertura verso gli altri e la mescolanza con gli altri. È ovvio che anche questa apertura è un progetto, meno esclusivo e più condiviso, per costruire l’uomo. L’idea del mescolare e del mettere insieme sangue, bambini, sequenze rituali, terminologie e quant’altro, congiuntamente alla mancanza di un processo iniziatico ed esclusivo, è soltanto un altro modo per fare e pensare l’umanità.

4. Il giorno della circoncisione

Le danze continuano anche il giorno fissato per l’operazione vera e propria. Il nesamba arriva alla nébha il mattino presto e si affretta a nascondere il coltello neiki (utilizzato solo per la circoncisione) sotto un tronco d’albero collocato all’ombra di un banano o di una palma di rafia. I bambini candidati attendono in una abitazione il momento dell’operazione in un crescendo di timore e paura; c’è una canzone che i futuri amekenge devono cantare nell’attesa: «sambee neyko awoda» («nesamba circoncidimi perché il sole sta calando»). Fino a non molto tempo fa, essi venivano abbigliati con vestiti nuovi confezionati in modo tradizionale con la corteccia battuta e sui loro corpi venivano impressi disegni ornamentali con il succo nero ricavato dalla spremitura del frutto di una pianta di foresta (nemokwali). I bambini immediatamente prima della circoncisione venivano spogliati dei propri abiti e invitati a indossare un gonnellino fatto con foglie di banano e denominato emadangba; per tutto il periodo della guarigione non avrebbero potuto utilizzare altri vestiti. Oggigiorno i candidati, una volta spogliati degli abiti nuovi, vengono abbigliati con la stoffa variopinta indossata quotidianamente dalle donne.

Nelle vicinanze del tronco su cui opera il nesamba viene scavata una buca in cui sono sistemate con cura foglie di banano in modo che l’acqua in essa versata possa restare pulita e per più tempo. In questa buca d’acqua ogni bambino dopo l’operazione deve immergere il pene ferito al fine di alleviare il dolore e sancire la fratellanza con i suoi amekenge. Se nelle vicinanze del villaggio esiste un corso d’acqua, allora la circoncisione può svolgersi sulla riva del fiume e la fratellanza di sangue sarà suggellata direttamente nelle sue acque.

Quando tutto è pronto, un adulto si avvicina danzando all’edificio in cui attendono i candidati, preleva il primo bambino e innalzandolo sulle spalle lo accompagna, sempre danzando, dal nesamba. Colui che porta sulle spalle il bambino è di solito un membro della sua famiglia oppure può trattarsi dell’amekenge di suo padre. Il bambino si siede a cavallo del tronco e un aiutante del circoncisore, seduto dietro di lui, fa passare le sue gambe all’interno di quelle del candidato divaricandogliele e, tenendole ferme, prende la testa mettendogli una mano sugli occhi e la fa ruotare un po’ all’insù appoggiandola a una spalla. Dopo che il nesamba ha tagliato il prepuzio (néipopó), il bambino viene portato alla buca d’acqua per il lavaggio della ferita che immediatamente verrà bendata con una foglia di una pianta denominata esongonabi. L’intera sequenza si ripete per ogni bambino con l’accortezza di alternare i candidati secondo l’appartenenza famigliare.

Alcuni informatori sostengono che il bambino dopo l’operazione debba intonare un canto per dimostrare il proprio valore. Il risultato di questa prova di coraggio darà adito a uno scontro verbale fra le zie paterne e le zie materne: se il bambino non canta e si limita a piangere allora saranno le prime a recriminare contro la famiglia della madre colpevole di aver dato alla luce un bambino pauroso; se al contrario il circonciso dimostra valore con il canto saranno le zie materne a far pesare il fatto di aver dato a un altro némava un bambino coraggioso che farà la fortuna della sua famiglia d’appartenenza (quella paterna). Questa disputa riecheggia lo scontro tra la famiglia di appartenenza e gli edjadja (parenti matrilineari) successivo alla morte di un individuo, sebbene in quest’ultimo caso i toni e le conseguenze della disputa siano ben più rilevanti e pesanti (McKee 1995).

Alla sera e al mattino seguente viene gettata un po’ d’acqua sulle bende indurite per ammorbidirle e poterle togliere allo scopo di effettuare le prime medicazioni: il nesamba si mette in bocca il sale tradizionale (nemunana) per poter sputare saliva salata sulla ferita. Questo provoca forti dolori ed è necessaria l’assistenza della madre del circonciso o di qualche parente. Nei giorni successivi all’operazione occorre quotidianamente medicare il pene con un medicinale appositamente preparato: si prende la polvere che si trova sotto la corteccia dell’albero nekokoroki e si mescola con il succo di una specie di frutto (nebudu), il tutto viene racchiuso nelle foglie denominate nabugabu e messo vicino al fuoco; con il liquido che si forma si medica la ferita. Se il taglio non si cicatrizza velocemente si prende allora la parte marcia del tronco di banano che si trova sotto il terreno denominata néngámádi3; dopo averla resa malleabile la si scalda sul fuoco per poi tamponare il pene ferito. La parte del tronco di banano che si trova sottoterra viene utilizzata, nella medicina tradizionale locale, anche nel caso in cui un bambino nei primi anni di vita non riesca a reggersi bene sulle gambe. È evidente come in entrambi i casi il medicamento sia connesso all’idea del recupero della rigidità e dell’erezione.

L’abilità del nesamba viene valutata in base alla destrezza e alla rapidità con cui recide il prepuzio. Alcuni anziani circoncisori raccontano che un tempo lo stesso nesamba, al fine di mostrare la sua abilità, lanciava in aria una pietra prima di iniziare l’incisione e concludeva l’operazione prima che essa toccasse terra.

Nel contesto della circoncisione medje-mangbetu, il termine nesamba4 viene riferito per estensione a tutti coloro che aiutano il circoncisore e che svolgono un ruolo attivo nella cura dei circoncisi. Gli informatori medje-mangbetu riportano i seguenti significati del termine: amico, circoncisore, qualcuno che ti ha guarito, qualcuno che ti ha tolto dai guai.

Per diventare nesamba (nel senso stretto di circoncisore) non occorre appartenere a un gruppo o a una discendenza particolare, ma seguire una carriera professionale con tanto di apprendistato.

Per diventare nesamba bisogna restare a fianco di chi già circoncide per fare pratica; quando si possiede qualche nozione allora si può provare e se si riesce allora si migliora e si continua. Così era nel modo tradizionale e così è oggigiorno, basta restare al fianco di un infermiere. Io ho imparato da un infermiere, adesso lavoro qui ma vado a circoncidere anche lontano. Prima della circoncisione si cerca già di avere rapporti con le famiglie dei bambini. L’infermiere circoncide, poi se ne va e torna ogni tanto per medicare le ferite (Guamonzine Jourdain).

Tornando alla sequenza rituale del noutu, un particolare su cui la quasi totalità degli informatori ha voluto fare precisazioni è il destino riservato al prepuzio tagliato. Eccetto che in molti casi di ospedalizzazione dove il personale si occupa della distruzione (interramento), la famiglia del circonciso pretende la restituzione del prepuzio e la gestione della sua distruzione. Per fare ciò occorre negoziare con il nesamba e proporgli uno scambio vantaggioso. Il prezzo da pagare per la restituzione va a sommarsi alla somma stabilita per la prestazione professionale (se non è denaro, si tratterà di un pollo o poco più). Di solito la contropartita è strettamente legata al destino del prepuzio; i casi che vengono elencati dall’anziano circoncisore Abodiambo Baserene sono emblematici ed esemplificativi:

Per ogni circonciso il prepuzio viene restituito alla famiglia ma a condizioni precise e tramite pagamento. Se nella nébha della famiglia del circonciso c’è una pianta di kongolo [palma di rafia] allora il prepuzio potrà essere sotterrato ai piedi della pianta e il vino che darà sarà del nesamba. Ai piedi del banano, allora le banane saranno del nesamba. Se viene gettato nell’acqua del nedome [il tratto di fiume riservato a una singola famiglia], il nedome diventa del nesamba.

Per i Babudu e per alcuni informatori medje-mangbetu i cui villaggi si trovano vicino ai territori budu, i prepuzi devono essere bruciati e gettati sotto un banano o una pianta di kongolo e i frutti che verranno apparterranno al fratello di circoncisione e non al circoncisore.

Se si tiene conto che è cosa gradita che il nesamba incominci a frequentare la nébha del circonciso ancor prima del noutu e che in futuro il circoncisore continuerà a esigere crediti (in vino, banane ecc.) dalla famiglia, allora si può dedurre che il frammento di rete sociale tessuto durante il noutu include a pieno titolo anche il nesamba. A conferma del ruolo non puramente chirurgico del nesamba si può riportare un’eventualità considerata da Guamonzine Jourdain, un infermiere circoncisore di Mbongo Mboka:

Se un padre non trova nessuno [una famiglia a cui associarsi] per fare la circoncisione, allora farà circoncidere suo figlio da solo, che avrà ugualmente il suo fratello di circoncisione che sarà l’infermiere stesso. Anche in questo caso sono in due e l’infermiere sarà trattato come l’amekenge.

5. Il periodo di guarigione

In molti resoconti etnografici di rituali di circoncisione il periodo che segue l’operazione viene definito periodo di reclusione. Generalmente si tratta di un lungo lasso di tempo in cui i circoncisi vengono isolati, sottoposti a prove, iniziati ai segreti, istruiti sui valori del gruppo. Fra i Medje-Mangbetu non c’è nulla di tutto ciò e non si ricorda neppure di un tempo in cui esistesse una reclusione iniziatica.

I bambini dopo il noutu restano a vivere nel villaggio dell’organizzatore o nei pressi di esso per il periodo necessario alla guarigione delle ferite. Questo lasso di tempo ha normalmente la durata di un paio di settimane, ma può essere prolungato se le due famiglie avessero problemi nel raccogliere i cibi e le bevande per la festa finale. Ai circoncisi viene destinata un’abitazione al cui interno vengono sistemati degli appositi spazi per dormire. Nei pressi di tale edificio deve restare acceso un fuoco per tutto il periodo, senza mai spegnersi in quanto «non si dovrà mai andare a prendere fuori il fuoco per cuocere il cibo perché se succede il fuoco darà solo fumo» (Anyabose).

Le prime notti il circonciso dorme su due o quattro tronchi di banano al fine di tenere le gambe divaricate; in un secondo tempo, potendo cambiare posizione, dormirà su un letto particolare (denominato ekpongbolo) costruito con il legno dell’albero nepambala. Questo tipo di letto viene utilizzato in determinati momenti della vita di un uomo: durante il noutu, alla vigilia di una importante battuta di caccia e nel periodo del lutto in caso restasse vedovo. Dormire sull’ekpongbolo è di buon auspicio per superare un momento problematico della vita o semplicemente un compito importante e impegnativo.

Per accudire i circoncisi durante tutto il periodo di guarigione veniva scelta una giovane ragazza ancora vergine e non sposata oppure una persona anziana, un vedovo o una vedova: in ogni caso doveva trattarsi di una persona (generalmente una donna) senza doveri coniugali o meglio senza una vita sessuale tale da impedirle di restare in totale astinenza durante tutto il periodo. Per ciò che riguarda il termine con cui viene denominato tale sorvegliante non ho riscontrato omogeneità (mi sono stati riferiti principalmente due termini: nariariombyi e makpega – questo secondo termine sembrerebbe di origine yogo). In molti casi i sorveglianti possono essere due, soprattutto quando le famiglie coinvolte nel noutu appartengono a diversi gruppi etnici e linguistici in modo da permettere a ogni gruppo di lasciare una persona fidata al fianco dei circoncisi.

La scelta dei sorveglianti non sembrerebbe una questione di primaria importanza. Questo è dovuto al ruolo discreto che svolgono, un ruolo ben lontano per importanza da quello descritto in molti resoconti etnografici su rituali di pubertà in cui emergono potenti personaggi (eminenti figure del clan o del villaggio) con il compito di «iniziare» i circoncisi. In effetti il ruolo principale dei sorveglianti è quello di preparare il cibo per i bambini, di accudire il fuoco che mai deve spegnersi e di vegliare sulla fragile chiusura che si instaura nei confronti del vicinato; i circoncisi non possono andare ovunque, ma soprattutto non possono «mangiare fuori» in quanto sono soggetti a rigidi divieti alimentari.

Nel tentativo di redigere – con l’aiuto delle interviste condotte su tutto il territorio medje-mangbetu del sud – un elenco dei vari cibi considerati tabu per i circoncisi, mi sono imbattuto in un forte disaccordo fra i vari informatori. Malgrado ciò tutti concordano nel considerare come animali tabu (per i circoncisi nel periodo di guarigione) il maiale selvatico (neego), il pollo (naale), un tipo di pesce privo di squame e armato di aculei velenosi (nemundo), una piccola antilope di dimensioni simili a quelle di una capra (nemosuma), e l’elefante (noko). Alle carni di questi animali si unisce il divieto di mangiare le arachidi (netu) e le banane che si trovano all’estremità di una «mano di banane» (ebuguabe).

I motivi che stanno alla base di questi divieti possono essere tutti ricondotti all’idea di una «pericolosa connessione analogica»5 che si instaura fra il pene circonciso in fase di guarigione e qualche caratteristica del cibo vietato. Tali peculiarità si ritrovano anche in molti cibi tabu riportati da singoli informatori e non confermati dagli altri; anzi, sono state proprio le divergenze fra gli informatori ad aiutarmi nel rintracciare le caratteristiche comuni ai cibi più disparati e quindi risalire alla connessione analogica in questione.

L’analogia più evidente è quella fra il pene ferito e il divieto di mangiare carne di elefante, in quanto la proboscide ricorda il prepuzio appena tagliato:

Se si mangia l’elefante il prepuzio che è stato tolto ricrescerà nuovamente. È pericoloso soprattutto per la proboscide, è la proboscide che rende vietata tutta la carne dell’elefante (Odianzuda Victor).

Si è di fronte evidentemente a una connessione analogica spesso utilizzata per interpretare le azioni magiche basate sull’assunto secondo cui «il simile attrae il simile» e i legami fra cose simili possono essere cause concrete di influenza reciproca (Tambiah 1995: 87-121).

Nel noutu certi animali vengono vietati perché la loro carne o la loro pelle rimandano alle manifestazioni esteriori di alcune malattie: così, se si mangia la carne grassa del maiale selvatico può sopraggiungere la lebbra, mentre mangiare la carne del pollo provoca eruzioni cutanee rendendo la pelle simile a quella del pennuto. In base a tale ragionamento analogico è ovvio il divieto nei confronti degli animali forniti di aculei e pungiglioni che idealmente «pungono» la ferita. I circoncisi infatti non possono mangiare i pesci con aculei come il già citato nemundo, il nakukula e il nabundu. Con la stessa logica si esclude il consumo delle termiti-soldato (emangele) e – secondo il parere di Anyabose – una specie di riccio (noulia). Anche il pesce noodimi, pur non avendo aculei, è considerato tabu da alcuni informatori in quanto capace, a suo modo, di «pungere» la ferita del circonciso con scariche elettriche.

Al fine di non favorire deprecabili comportamenti, il consumo della carne di alcuni animali può essere vietato ai circoncisi per via della condotta degli stessi animali. Nel periodo di guarigione non si può mangiare la carne della piccola antilope nemosuma, in quanto «dorme sempre e non è un ottimo esempio per i bambini» (Neti); anche la tartaruga (nako) secondo alcuni deve essere evitata in quanto la sua lentezza non deve essere imitata dai circoncisi.

Secondo Maimbo e Bala del villaggio di Nyakpu, non possono essere mangiati tutti i cibi bianchi, come per esempio le arachidi e la manioca, in quanto il bianco è il colore delle piaghe; tutti gli animali molto rossi (con molto sangue), in quanto il rosso rimanda alla ferita non ancora cicatrizzata; e tutti gli alimenti di forma ricurva (così si spiegherebbe l’esclusione delle banane esterne alla mano, effettivamente più ricurve), considerati un cattivo auspicio per l’erezione del pene.

I cibi consentiti possono giungere dall’esterno del compound ma solo crudi, e la cottura deve avvenire sul fuoco dei circoncisi per opera del sorvegliante. Anche nell’ambito delle proibizioni alimentari il contatto interetnico sembra aver scardinato ogni tentativo di chiusura come testimonia Abodiambo Baserene, uno dei più anziani circoncisori con cui ho avuto la possibilità di dialogare:

Durante il periodo non si possono mangiare cibi provenienti da fuori. Le cose sono cambiate all’arrivo [con i contatti] dei Babudu e dei Bayogo che hanno portato le foglie tradizionali da mettere nel netonyo [il pasto comune dei circoncisi]. Con queste foglie è permesso mangiare fuori. Ai miei tempi, quando sono stato circonciso io, non si mangiava fuori, ma poi tramite i Babudu e i Bayogo si venne a conoscere queste foglie. I Medje hanno dovuto pagare per sapere il segreto.

In attesa che le ferite guariscano completamente, i circoncisi del noutu possono occupare la loro giornata andando a caccia con la fionda o con l’arco nei paraggi dell’abitazione a loro destinata. La motivazione che sta alla base della loro attività quotidiana deve essere principalmente quella di procurare cibo per la festa finale, durante la quale tutti gli animali tabu della circoncisione verranno consumati. Quel poco che riescono quindi a cacciare (topi commestibili e uccelli) è messo sopra il fuoco a essiccare per poterlo in seguito consumare nella festa conclusiva.

Durante il periodo che va dall’operazione fino al lavaggio nel fiume degli amekenge nelle giornate conclusive del noutu, i circoncisi vengono considerati éigwa, impuri, sporchi. Nella società medje-mangbetu neigwa è sia il bambino nel periodo liminare del noutu sia il vedovo durante il lutto (cap. V, § 3); in entrambi i casi l’igiene personale non deve essere curata, le unghie e i capelli non devono essere tagliati e occorre evitare di lavare accuratamente il proprio corpo. Essere neigwa significa vivere un periodo estremamente precario della propria vita, un periodo in cui il potere decisionale e la libertà di movimento e di scelta (es. i tabu alimentari) sono limitati e condizionati da altri. I giorni che seguono il taglio del prepuzio o la morte del coniuge sono giorni segnati da una forte precarietà, in quanto lo status che si è abbandonato è irrimediabilmente alle spalle e quello successivo non lo si è ancora raggiunto. È una fase di passaggio e di trasformazione, in cui si è particolarmente vulnerabili e deboli nel fisico e nella psiche.

6. Le fasi finali

Quando le ferite sono ormai guarite e quando le due famiglie sono riuscite a procurarsi cibo e bevande sufficienti per la festa finale, allora si procede al lavaggio dei circoncisi.

A un certo punto si dirà: «domani c’è il lavaggio». L’indomani molto presto si parte per andare al fiume e da là si deve tornare. I sorveglianti e gli adulti delle due famiglie sceglieranno un vecchio che dovrà lavarli (Odianzuda Victor).

Ai circoncisi condotti sulla riva del fiume verranno tolti i vestiti (che dovranno essere bruciati sul posto) e prima di essere lavati verrà loro tagliata l’unghia di un mignolo. Subito dopo, indossati nuovi abiti, dovranno tornare correndo singolarmente al villaggio e lungo la strada, nascosto nella vegetazione, un anziano (normalmente un vedovo) ha il compito di frustare le gambe dei circoncisi senza essere visto. Lo scopo è quello di inculcare il coraggio nel giovane in modo che impari ad affrontare i pericoli improvvisi che gli riserverà la vita. Giunti nuovamente nel compound si provvederà al taglio dei capelli e a concludere il taglio delle unghie.

Il lavaggio al fiume segna l’abbandono dello status di neigwa, benché il processo di pulizia e «purificazione» duri in realtà l’intera giornata6, la quale deve essere trascorsa senza svolgere alcuna attività e senza eccedere nel cibo (per alcuni si tratta di un vero digiuno spezzato da un po’ di canna da zucchero).

La sera, i circoncisi devono lanciare una freccia con la punta infuocata verso zebu (ponente) con l’intento di allontanare da sé la malasorte e le sventure future. Alcuni informatori affermano che la freccia deve essere lanciata verso una stella particolare che appare a ponente poco sopra l’orizzonte.

Terminati i lanci, tutti gli archi utilizzati vengono bruciati (come i vestiti al fiume) e i circoncisi, dopo un pasto fugace, devono ritirarsi per la notte ospitati in diversi compounds, rigorosamente collocati a ponente rispetto alla nébha in cui si svolge il noutu. Dormire a zebu è importante «per lasciare ancora durante il sonno la malasorte e le cose malvagie e l’indomani ritornare nella nébha della circoncisione [a zebo, levante] con la buona sorte» (Odianzuda Victor).

Come si può constatare, l’intera giornata dedicata all’uscita dallo stato di neigwa è orientata sull’asse zebu-zebo, alla cui importanza si è già accennato precedentemente (cap. I, § 3). L’abbandono di una condizione caratterizzata da debolezza e da vulnerabilità (periodo di guarigione) richiede un’immersione nel flusso di un fiume (lavaggio), così da «portare via» tutti gli aspetti negativi connessi al precedente status (di neigwa). Tuttavia, il circonciso vestito con abiti nuovi non solo abbandona passivamente la condizione precedente (lo lavano, lo rivestono, gli tagliano capelli e unghie, bruciano abiti e archi usati), ma si erge a paladino del proprio processo di fortificazione instaurando una lotta contro le sventure che potranno capitargli in avvenire.

Infatti, il lancio della freccia a ponente diventa doppiamente significativo. In primo luogo, rappresenta un ulteriore sforzo al fine di eliminare gli aspetti negativi del periodo appena trascorso; in secondo luogo, contiene una forza propositiva per la vita futura dei circoncisi. Essi non si limitano a «scaricare» passivamente la condizione di éigwa nell’inarrestabile flusso del fiume ma concentrano la malasorte in una freccia e, dandogli fuoco, la lanciano in segno di sfida nella direzione del tempo che non torna più, nella direzione in cui – come viene espresso nel proverbio riportato nel primo capitolo – la piroga (l’uomo) inesorabilmente invecchia.

Se il lancio della freccia è una sfida lanciata da un individuo – finalmente in possesso di un progetto di vita, essendo diventato uomo tramite la circoncisione – contro il tempo che passa, ancor più significativa è la notte trascorsa a zebu. Il nemico contro cui si sta combattendo non lo si sfida a distanza, ma lo si affronta direttamente; ci si immerge simbolicamente nel flusso per restarci una notte intera e soprattutto per risalire la corrente il giorno dopo (il ritorno verso zebo nella nébha della circoncisione).

Significativamente, quando si va a dormire a zebu si è soli (a ogni circonciso è affidata una casa diversa), così come si viene singolarmente lavati nel fiume. Sebbene la direzione della corrente (del tempo che passa, della vita) venga affrontata in solitudine, in quanto la lotta contro di essa è evidentemente una questione privata, tutto ciò avviene in un contesto (quello del noutu) in cui il «restare soli» non è un valore, anzi, è antitetico a un noutu ben riuscito. In effetti, il fine ultimo del noutu non è certo solo quello di uscire dalla condizione di neigwa, ma soprattutto realizzare un’alleanza che comporti il «mettere insieme» individui; il progetto che sta alla base del noutu è quello di far diventare uomini degli individui e la strada per realizzare questo progetto è quella dell’alleanza, del «mettersi insieme». La giornata conclusiva del noutu è l’immagine più efficace di questo percorso.

La mattina dell’ultimo giorno, dopo aver ricevuto regali dalla famiglia ospitante si lascia zebu e si risale verso zebo. Il punto di arrivo è nuovamente la nébha della circoncisione in cui avverrà la consumazione del netonyo, un pasto in cui si afferma con forza lo spirito di comunità e di fratellanza tra gli amekenge.

Con il sostantivo netonyo (termine connesso con il cibo, náa­nyo) si intende il pasto consumato in comune dagli amekenge il giorno conclusivo del noutu. Netonyo in particolare è il cibo, appositamente preparato e consumato per l’occasione, composto da tutti gli alimenti vietati durate il periodo di guarigione, a cui si aggiunge la carne dei topi e degli uccelli cacciati dai circoncisi e in ultimo alcune foglie speciali. Nella sua accezione più ristretta, netonyo è quel particolare tipo di foglia che occorre aggiungere al cibo consumato ritualmente. «Netonyo aiuta a mangiare quelle cose che ti erano state vietate» (Banda Charles). Esiste il netonyo per il nobu, la cerimonia di nascita (cap. V, § 2), quello per il noutu, quello per il lutto e quello per il nebeli (cap. VI).

Questo non vuol dire che è lo stesso tipo di foglia. Tutte sono chiamate netonyo ma sono foglie diverse. Per la circoncisione si usa il netonyo nakatotobo [da intendersi come «la foglia chiamata nakatotobo»], per il lutto il netonyo nebelebe (Mopoto Mapabuadi).

La cottura del netonyo avviene al mattino presto. Anche in questo caso emerge il carattere binario del noutu: una famiglia ha l’incarico di mettere il recipiente sul fuoco, mentre l’altra deve toglierla quando il cibo-netonyo è pronto. A questo punto, i circoncisi si siedono di fronte o intorno a un anziano appositamente scelto, il quale prende una banana nébugo (la specie non dolce maggiormente consumata), la taglia in due parti e, dopo averla immersa nel recipiente del netonyo, la porge al primo bambino per poi darla all’ultimo momento all’amekenge seduto a fianco. Tutti i circoncisi a turno devono subire «la finta della banana», interpretata dagli informatori come il segno più evidente della fratellanza e della comunione instaurata fra gli amekenge.

L’alleanza sancita attraverso il noutu può essere ribadita con un discorso («le parole della circoncisione») da rivolgere ai circoncisi durante quest’ultima giornata. Gli si dirà di non essere ladri, di comportarsi correttamente soprattutto fra di loro, di non parlare male del proprio amekenge e di riferirgli ogni complotto tramato contro di lui. Ai circoncisi viene ricordato il divieto di avere in un futuro rapporti sessuali con la moglie del proprio amekenge e il dovere di permettere al proprio fratello di circoncisione di prendere qualunque oggetto o prodotto dal proprio compound. Queste parole pronunciate durante il noutu eipopoi non hanno il significato di un vero giuramento ma funzionano da promemoria, mentre durante il noutu tekpo (cap. VI, § 1) acquistano maggiore solennità.

Nel modo in cui mi sono state raccontate le fasi conclusive del noutu si esprime l’esigenza di riequilibrare lo sforzo compiuto dalla famiglia organizzatrice. Non mi è stato chiarito esattamente come tale riequilibro si verifichi, ma ci si è limitati a sottolineare il fatto che alcune fasi della festa finale debbano svolgersi nel compound dell’altra famiglia. Per alcuni, l’intera sequenza dal lavaggio alle «parole della circoncisione» si svolge nella nébha dei propri amekenge; per altri (la maggior parte), soltanto il discorso finale diventa il pretesto per trasferirsi nel villaggio dell’altra famiglia i cui componenti devono organizzare una festa e fornire cibi, bevande e regali. In quest’ultimo caso il discorso finale non riguarda direttamente solo i circoncisi (ai quali comunque vengono ricordati i diritti e i doveri della fratellanza dopo il netonyo) ma la totalità delle due famiglie.

Il discorso dipenderà dagli altri, dai padroni di casa che dovranno ben prepararsi, procurando cibo e bevande. Della famiglia che si sposta vanno gli uomini, i circoncisi, le sorelle dei padri e le madri dei bambini. Il discorso si fa tra le due famiglie riunite e solo due rappresentanti hanno la parola. Si prendono le foglie del banano nabira e gli si leva il nervo centrale per fare un frustino. Con questo il rappresentante picchia al suolo e dice «quando sentirai parlare male di me e non lo dici, che il noutu vada contro di te», frusta in terra e dice «quando tu prenderai mia moglie, che il noutu vada contro di te», frusta nuovamente e dice «quando vi chiederò qualcosa e voi non me lo date, che il noutu vada contro di te». Finito, incomincia l’altra persona nello stesso modo (Odianzuda Victor).

Questi tre fattori – l’amicizia, il divieto sessuale e l’aiuto materiale – ritornano in tutte le interviste condotte e rappresentano i temi centrali intorno a cui orbitano le conseguenze positive e negative del rispetto o meno dell’alleanza.

Anche nel momento del discorso finale si ripropone il carattere binario del noutu, in quanto fra i due gruppi che rappresentano le due famiglie si creano delle coppie in modo tale che ogni componente di una famiglia abbia un referente del noutu (una sorta di amekenge) nell’altra. Le coppie vengono formate generalmente in base all’età e al ruolo occupato dai singoli nel proprio aggregato domestico (anziani con anziani, giovani con giovani), mentre le donne sono escluse.

7. La rete di alleanze

Nel rituale del noutu entrano in scena determinati attori sociali riconducibili in gran parte a due differenti famiglie appartenenti a due differenti patrilignaggi esogamici e in moltissimi casi a due gruppi etnici diversi. La funzionalità sociale del noutu è connessa all’alleanza che si crea fra individui che non condividono fra loro legami di parentela. Il rituale della circoncisione rappresenta il fulcro attorno a cui viene tessuta una rete di alleanze: due o più bambini mescolano il proprio sangue e diventano come fratelli. Partendo dal presupposto che il legame fra amekenge è il frammento centrale di una rete di alleanze, occorre verificare quanto sia grande questa rete e quali individui coinvolga, in che modo e perché si sviluppi in determinate direzioni e infine quali differenze esistano fra il centro e la periferia di questo reticolo che orbita intorno a due o più fratelli di sangue.

Optando per una specie di scomposizione morfologica della rete è possibile identificare alcuni livelli della rete stessa, in quanto non tutti gli attori sociali coinvolti in essa la vivono in modo ­simile.

a) Il primo livello è rappresentato dai veri amekenge, cioè da coloro che hanno condiviso l’operazione durante lo stesso evento rituale. Essi percepiscono l’alleanza del noutu come una reale estensione dei rapporti tra sibling più che una generica estensione dei rapporti patrilineari: non devono avere rapporti sessuali con le sorelle dirette e le future mogli dei propri fratelli di circoncisione; possono liberamente sottrarre beni e prodotti dell’aggregato domestico degli amekenge ai quali fanno visita regolarmente; soggiornano nei loro villaggi per periodi più o meno lunghi.

Un individuo deve partecipare attivamente all’organizzazione del matrimonio e del lutto in onore del proprio fratello di circoncisione deceduto. Nel primo caso si tratterà di un contributo finanziario o di un dono particolare, come per esempio una capra o il vestito per la cerimonia. Nel secondo caso, l’amekenge deve partecipare al lutto senza far trasparire il dolore attraverso il pianto e la disperazione: si presenterà al villaggio del defunto con il viso e le caviglie segnate dall’argilla bianca (nekpondoubu) e resterà in disparte durante la disputa fra la famiglia del morto e gli edjadja (zii materni). Non è raro che il fratello di circoncisione contribuisca al pagamento degli edjadja, come può succedere che lui stesso riceva un compenso (per esempio un pollo) per la perdita subita.

Nella gestione del lutto la posizione e il ruolo dell’amekenge del morto è significativa in quanto non riconducibile chiaramente a una delle due fazioni in lotta. La fratellanza di sangue è concettualmente in bilico fra la consanguineità e l’affinità (nell’accezione ampia di alleanza fra gruppi di consanguinei) e ciò emerge con evidenza nella partecipazione al lutto del proprio amekenge. Per certi aspetti il fratello di sangue è ovviamente incluso dalla parte della famiglia del morto in quanto è come se fosse suo fratello e quindi rientra nel gruppo famigliare del morto. Tuttavia, l’amekenge subisce una perdita importante e le relazioni e le alleanze fra le famiglie dovrebbero essere ridisegnate o ribadite esattamente come succede nei confronti degli zii materni.

b) Il secondo livello coinvolge gli aggregati domestici degli amekenge e in particolare i più stretti famigliari. In questo caso rimane forte il divieto matrimoniale, mentre si indebolisce la possibilità della sottrazione di beni e diventano rare le visite. La funzionalità del noutu di un proprio famigliare si esprime soprattutto con la possibilità di avere un punto di appoggio in un territorio «straniero» ed eventualmente accedere a risorse tipiche di quella regione.

c) Il terzo livello riguarda l’intero segmento clanico esogamico (di solito un intero villaggio) di ogni singolo amekenge. Generalmente la partecipazione al noutu si limita a individui inclusi in un segmento clanico esogamico, come spiega Emasiombe Anselme raccontando il noutu di suo figlio con i Pigmei:

La forza della circoncisione si limita a un neikuku, qui per esempio siamo a Mbongyi e tutti quei Pigmei sono rispettati in questa parte ma al di là, cioè dove ci si può sposare perde un po’ il senso, la circoncisione incomincia a perdere valore. I Pigmei erano in trenta e della mia famiglia eravamo numerosi perché da qui a Makpulu non ci sposiamo fra di noi, allora tutti erano qui a danzare e a guardare. Tutti quelli di Mbongyi sono amekenge di quei Pigmei, come a Mbongo Mboka che si sono circoncisi con i Balika.

L’aspetto più rilevante è che il divieto matrimoniale vigente fra le famiglie coinvolte nel noutu incomincia a venire meno già all’interno del gruppo esogamico. Gli informatori non considerano questi matrimoni fra individui appartenenti ai due gruppi che orbitano intorno a un noutu come casuali eccezioni a una regola, ma come una normale e auspicabile conseguenza dell’alleanza. Le sorelle «un po’ lontane» (nelle linee collaterali della discendenza) di un ragazzo possono sposarsi nella famiglia del suo fratello di circoncisione. «Prendere come sposa la sorella un po’ in là del vostro amekenge è una cosa molto positiva, è una cosa che vi fa onore perché non è un matrimonio come un altro» (Odruepa). Quanto debbano «essere lontane» mi è stato impossibile determinarlo con esattezza (nel senso che a nessun informatore è parsa una questione alla quale è possibile rispondere con precisione).

d) Il quarto livello include coloro che vivono vicino al villaggio in questione e che condividono con l’émava degli amekenge una lontana discendenza comune. Anche in questo caso l’alleanza viene vissuta come opportunità di essere bene accolti in territori «stranieri» e come possibilità per organizzare matrimoni. Sempre dal racconto di Emasiombe Anselme si può notare come le varie alleanze con la circoncisione si incrocino fra di loro: oltre al noutu di suo figlio con i Pigmei, è importante anche quello dei vicini abitanti di Mbongo Mboka (un villaggio appartenente allo stesso nebasadjo di Mbongyi) alleati con il noutu ai Balika:

Gli abitanti di Mbongo Mboka quando vanno a fare il mercato dell’oro a Bunzunzu [in territorio lika] chiamano tutti i Balika amekenge. Anche noi di Mbongy ci appoggiamo a questo noutu quando andiamo a Bunzunzu. Non siamo veri amekenge ma ne approfittiamo.

Quasi tutti gli individui hanno partecipato a un noutu collettivo, quindi quasi tutti hanno dei propri amekenge; in più si può fare affidamento sugli amekenge dei propri famigliari e più in generale dei propri parenti. L’immagine del bambino portato dal nesamba sulle spalle del fratello di circoncisione del padre è emblematica nell’inquadrare il significato del noutu: così come non ha alcun senso e alcun valore fare noutu in solitudine, analogamente non ha senso che il proprio noutu resti isolato senza inserirsi in una rete di alleanze su cui un aggregato domestico possa fare affidamento. Inoltre la rete di alleanze che si viene a creare non è pensata come esclusiva di una cerchia di parenti, ma coinvolge e si aggroviglia con altri frammenti di reti riconducibili al vicinato. Ad «approfittare» di un noutu possono essere infine individui, non riconducibili alla discendenza e alla vicinanza, che occasionalmente si inseriscono nella rete di alleanza orbitante intorno al noutu in questione. È il caso per esempio di quando, durante un accordo per un matrimonio fra due famiglie con una conoscenza reciproca minima, si cerca di rintracciare nella rete degli amekenge qualcuno in grado di fare da intermediario e da garante.

In una visione d’insieme sembra che il noutu «getti un ponte rigido» (la rigidità sarebbe garantita dalla finzione biologica della consanguineità e della fratellanza) su cui avvengono scambi di donne, di ospitalità, di beni ecc. Questo ponte rigido crea una relazione estremamente rassicurante e refrattaria alle dispute sociali (in quanto a differenza del rapporto con gli affini non c’è ovviamente nessun prezzo della sposa e prole che possano essere fonte di recriminazioni) e alle distinzioni di rango (escluse già nel momento della scelta iniziale che inevitabilmente cadrà su una famiglia in ricchezza e potenza analoga o superiore alla propria).

Da un punto di vista antropologico, uno degli aspetti più rilevanti dei risvolti sociali del noutu è la vicinanza (la «con-fusione») fra consanguineità e alleanza7 e fra divieto matrimoniale e matrimonio preferenziale (anche se quest’ultimo termine risulta improprio nel caso in questione), vicinanza che rimanda per esempio alle classiche riflessioni sul matrimonio con la cugina incrociata o parallela. Nel noutu si costruisce consanguineità per avere alleanze e parallelamente si impone un divieto matrimoniale per avere matrimoni: non c’è una chiara frattura, ma c’è continuità. Per comprendere il senso di tale continuità nella pratica del noutu è illuminante la precisazione fatta da Claude Lévi-Strauss alla fine de Le strutture elementari della parentela (1984) riguardo agli strumenti utili per ottenere affinità (o alleanza).

L’antropologo francese pur riconoscendo la fratellanza di sangue come un modo per ottenere affinità al pari dello scambio di donne (1984: 619) colloca le due pratiche su differenti livelli di interesse antropologico sottolineando la «pregnanza culturale» dell’esogamia in opposizione a una insignificante imitazione della natura (la fratellanza di sangue) che nulla aggiunge ai modelli forniti dalla natura stessa (1984: 620).

Alla luce di queste riflessioni, l’importanza etnografica del caso in questione (il noutu) risiede nel fatto che gli informatori non considerano l’alleanza con il sangue e la sua funzionalità sociale come l’imitazione della fratellanza naturale – o come dice Robert McKee «un’estensione dei legami patrilineari» (1995: 71) –, ma paragonano ciò che si fa nel noutu con ciò che si fa nel matrimonio, dove le parti coinvolte «si completano tra loro» accrescendosi. Inoltre, lo scambio di donne e la fratellanza di sangue finiscono per coesistere in un unico legame di relazione fra due famiglie. Infatti la possibilità di organizzare matrimoni fra i membri dei due gruppi coinvolti nel noutu sembra – dalle parole di Victor Maimbo, un anziano informatore di Nyakpu – uno dei fini principali dell’alleanza con il sangue:

Non c’è differenza fra noutu mangbolu [circoncisione in solitudine] e noutu eipopoi, solo che nel secondo caso ci sarà molta gente che vi amerà e ci saranno matrimoni fra chi verrà.

Il centro della rete occupato dai circoncisi, dal divieto matrimoniale, dall’affetto fraterno si oppone alla periferia del reticolato occupato da «approfittatori», possibili matrimoni e lucido calcolo economico. Questa opposizione non crea paradosso, ma attribuisce un significato sociale e un senso alla stessa pratica del noutu attraverso la quale si aumentano in modo considerevole le proprie possibilità (di matrimonio, di accesso alle risorse, di incremento del peso sociale della propria famiglia). È in questa ottica che si chiarisce il significato semantico di noutu connesso con il verbo nóóutwóotu che significa «arricchirsi», «aumentare di numero» (cap. V, § 4). In base a ciò, l’accento che viene di solito posto sul risvolto economico del noutu va inteso in senso lato e cioè non strettamente legato a un bene mobile ma a un potenziale arricchimento che può esplicitarsi nel momento opportuno e nei modi più variegati e che in ogni caso è contenuto nella rete che si costruisce e a cui si partecipa.

8. Il «noutu» e gli altri

La descrizione dell’azione rituale ha permesso di focalizzare l’attenzione sui rapporti sociali fra gruppi famigliari estranei. La creazione di tali rapporti sembra essere una condizione necessaria affinché si verifichi un noutu «di valore» e in ogni caso è una conseguenza importante della stessa circoncisione. I dati etnografici sul noutu portano ad analizzare le relazioni fra i gruppi coinvolti: l’azione rituale rimanda all’interazione sociale che in molti casi riguarda famiglie appartenenti a diversi gruppi etnici8. Alla luce di ciò è inevitabile che gli stessi processi di interazione fra gruppi differenti vadano a influenzare l’azione del rito, in quanto si presume che differenti tradizioni si incontrino nello stesso evento rituale.

Quando si fa la circoncisione con un’altra tribù, magari con i riti diversi, allora sono le famiglie che si mettono d’accordo prima del­l’operazione. Se per esempio io faccio la circoncisione con un Mulika lui mi spiega il suo rito, io gli spiego quello budu. Allora ci si accorda per mettere insieme le parti. Se per esempio si fa la circoncisione con i Babali, loro frustano molto i circoncisi, io posso accettare e quindi mio figlio subirà tutto questo perché diventa membro di quella famiglia (Adobange Benoît).

Adobange Benoît, un Mubudu di Wamba, parla espressamente del «mettere insieme» frammenti ed elementi delle sequenze rituali e infatti, mettere insieme uomini attraverso l’alleanza con la circoncisione significa mescolare pratiche e significati culturali. L’azione rituale viene sottoposta a una negoziazione che ovviamente non riguarda soltanto gli aspetti formali ma anche i significati e i contenuti che stanno alla base di tale pratica. La difficoltà e il fascino dell’incontro lo si è già verificato parlando delle danze e dell’ambigua oscillazione fra conservazione e assimilazione nei confronti dei propri e altrui ritmi: le due famiglie sentono l’esigenza di separarsi per danzare, ma inevitabilmente ci si guarda e ci si imita vicendevolmente.

L’idea centrale del mettere insieme (riti, uomini, case, beni e prodotti) influenza anche il discorso sugli altri inerente alla pratica della circoncisione. Quando ponevo domande sull’esistenza della circoncisione nelle popolazioni confinanti, inevitabilmente gli informatori elencavano i gruppi con i quali si era soliti stringere alleanze con la circoncisione. Nelle risposte, le forme di umanità confinanti non erano divise fra circoncisi e non-circoncisi, ma fra coloro con cui si faceva la circoncisione e coloro con cui non si condividevano eventi rituali della circoncisione. Lo status ontologico della pratica rituale (l’esistenza della circoncisione) viene determinato su un piano relazionale in modo da identificare alcuni gruppi «con cui si fa» e non quelli «in cui si fa». Generalmente si tratta dei gruppi confinanti, che per i Medje-Mangbetu di Ndei e Mongomasi sono i Babudu, i Balika e i Pigmei. Nei territori occidentali dei domini si includono nell’elenco i Bali, i Makere, i Malele, mentre in quelli orientali (verso Isiro) i Mayogo. Significativa è l’assenza di riferimenti ai gruppi zande e abarambo, benché i loro insediamenti si snodino lungo il confine settentrionale dell’area medje-mangbetu.

Sebbene ogni evento rituale contribuisca alla continua negoziazione di un rito estremamente malleabile, occorre rilevare che una sorta di canovaccio rituale viene ormai condiviso nei vari gruppi. Mantenendo come punto di riferimento il noutu fra i Medje-Mangbetu del sud (così come è stato ricostruito nei paragrafi precedenti) occorre mettere in evidenza quali siano gli elementi, i significati e le sequenze comuni a ogni gruppo e quali siano le differenze non soltanto in rapporto al presente ma anche in relazione al passato. Il confronto regionale fra le etnografie inerenti alla circoncisione e i racconti sui mutamenti storici che la pratica rituale ha subìto possono aiutare a rintracciare i motivi per cui si è affermato un determinato stile della circoncisione basato sull’alleanza. L’impiego di una prospettiva storico-comparativa applicata allo studio dei riti di circoncisione si oppone alla concezione classica del rituale inteso – e quindi studiato – come una pratica concettualmente definita e formalmente invariabile di una determinata cultura9.

Rare eccezioni – almeno in ambito africanista – alla prospettiva classica sono gli studi comparativi di Win Van Binsbergen (1993) sulla storia dei riti di circoncisione (denominati mukanda) fra diversi gruppi etnici dello Zambia occidentale e il lavoro di Maurice Bloch (1986) sul ruolo degli eventi storici nella pratica della circoncisione fra i Merina del Madagascar. Van Binsbergen giustifica il carattere frammentario e difettoso della sua analisi con il fatto che le fonti consultate non trattano i riti di circoncisione come oggetti storici aventi una propria evoluzione delle forme e dei significati, ma appunto come espressioni immutabili e invariabili di una determinata cultura (1993: 97).

Una comparazione regionale attenta ai mutamenti storici rappresenta un metodo estremamente proficuo al fine di rintracciare – per quel che riguarda un’azione rituale – ciò che scompare, ciò che rimane, ciò che si trasforma e ciò che ci si scambia con gli altri. D’altro canto sono le stesse peculiarità del noutu a imporre l’analisi comparativa, in quanto la costruzione di un’alleanza al di là della parentela e del gruppo etnico coinvolge i gruppi vicini, il loro modo di pensare e di agire.

L’attenzione posta sull’alleanza e l’assenza di un percorso iniziatico interno al gruppo porta inevitabilmente a prediligere uno sguardo verso l’esterno, piuttosto che un ripiegarsi sui valori interni ed esclusivi10; ciò vale sia per gli attori sociali coinvolti nella cerimonia della circoncisione sia per coloro che vogliono compiere un’analisi antropologica del rito. Fu così che decisi di non limitare le mie peregrinazioni ai soli villaggi dei Medje-Mangbetu, ma di percorrere alcuni tratti della foresta che si distendeva verso sud, quella foresta occupata da Balika, Babudu e Pigmei, quella foresta che oramai immaginavo intrecciata da alleanze di sangue.

1 D’ora in poi quando si parlerà genericamente di noutu si intenderà il noutu eipopoi.

2 Il termine amekenge non appare in alcuna fonte bibliografica consultata e gli stessi informatori non hanno saputo precisarne il significato semantico. L’unico dato linguistico che ho rintracciato – dal quale tuttavia è difficile trarre ipotesi e supposizioni – è contenuto in un dizionario ngbandi (lingua parlata da gruppi ubangiani del Congo) in cui si riporta il termine kenge tradotto con «circoncisione» (Lekens 1952: 231).

3 Letteralmente «gli escrementi (nedi) del nengama». Il nengama è un animale simile al pangolino che si trova sovente nei pressi dei termitai in quanto si nutre di insetti; i suoi peli, se ingeriti, provocano la morte agli esseri umani e per tale motivo il nengama ha una fama sinistra ed è sovente connesso alla magia.

4 «Nesamba» è termine di origine bantu che si ritrova in molte lingue della parte orientale del bacino del Congo; fra i Bakomo (De Mahieu 1985: 120) il radicale samba è connesso al patto di sangue (konsamba) e alcuni informatori bapere mi hanno riferito che pure in kipere samba è la fratellanza di sangue fra due individui (ciò che fra i Medje-Mangbetu e fra gli altri gruppi di lingua mangbetu prende il nome di noutu tekpo). Per i Babudu, musamba è il circoncisore mentre aluamba è l’infermiere. Per i Banande del Kivu (Remotti 1996b: 184) omu-samba è colui che assiste e protegge il ragazzo durante l’intero rito di circoncisione (olusumba).

5 Un’idea non lontana dal concetto di «simbolismo imitativo» rintracciato da Evans-Pritchard nello studio sulla magia zande (1976).

6 Il termine neigwa (il cui significato letterale è «vedovo, vedova») veniva tradotto dai miei collaboratori anche con i termini «sporcizia» e «impurità» per farmi meglio comprendere la condizione in cui versa un individuo denominato neigwa. Pertanto utilizzo il termine «purificazione» nell’accezione di «uscita dallo status di neigwa» in quanto aiuta a rendere l’idea di ciò che sta accadendo. Tuttavia «purificazione» non è la traduzione corretta di alcuna parola locale con il significato contrario a neigwa (si veda anche il cap. V, § 3).

7 Il termine alleanza occorre qui intenderlo nel suo classico uso etno-antropologico e quindi connesso alle norme matrimoniali generate dai principi della reciprocità e dello scambio.

8 L’idea che la ritualizzazione sia essenzialmente una messa in scena di una certa forma relazionale (Severi e Houseman 1994) si muove nella stessa direzione qui proposta, in cui l’azione rituale si connette (rimanda) alle modalità delle interazioni sociali e queste ultime penetrano e si definiscono nel rito.

9 Il rapporto fra il rituale e il mutamento (sociale e storico) è stato oggetto di specifiche analisi etno-antropologiche. Sul rituale come pratica sperimentale e azione trasformativa capace di incanalare gli eventi e i mutamenti storici e di rappresentare spesso «un veicolo per la costruzione della storia» si veda la raccolta di saggi curata da Jean e John Comaroff (1993) e per certi aspetti anche il classico studio di Clyde Mitchell sulla danza della Kalela (1956). Nella stessa direzione si muove l’analisi di un rituale funerario giavanese compiuta da Clifford Geertz (1987: 185-218), sebbene in questo caso si metta in evidenza esattamente il contrario e cioè l’inadeguatezza di un determinato rituale di fronte ai mutamenti storici e sociali di un gruppo. Per ciò che concerne la facoltà del rito di esprimere la coscienza storica e di tramandare le dinamiche storiche del gruppo si veda il lavoro di Carlo Severi (1993) incentrato sull’immagine del bianco contenuta nei canti rituali dei Cuna del Panama.

10 L’attuale riflessione antropologica sui rituali di iniziazione sembra più prudente nell’accettare le conclusioni degli studi classici, in base ai quali tali ­ri­ti confermerebbero le chiusure tribali ribadendo in modo definitivo i confini e l’esclusività dei valori culturali di un gruppo. Questa prudenza è dettata dal fatto che i contesti etnografici hanno subìto notevoli mutamenti e che non sempre la chiusura, la segretezza e la separazione dagli altri risultano centrali nei percorsi iniziatici (Heald 1982, Muller 1986, 1993).