Capitolo quarto.
Somiglianze di famiglia

Al fine di distinguere fra loro tali stili occorre quindi guardare anche caratteristiche di ordine diverso, e soprattutto modi diversi di combinare gli elementi nella ricerca di un effetto nuovo o della soluzione di un problema nuovo.

Meyer Shapiro

Lo stile

1. Patti di sangue

L’analisi comparativa concernente le forme e i significati delle pratiche rituali connesse alla circoncisione, prima di estendersi ai gruppi confinanti, porta a indagare sulle varie forme e significati del noutu medje-mangbetu. Come si è già accennato precedentemente, fra i Medje-Mangbetu esistono due tipi di noutu: l’alleanza attraverso la circoncisione (noutu eipopoi) e il patto di sangue fra due adulti maschi (noutu tekpo). In entrambi i casi si costruisce un’alleanza attraverso lo scambio e la mescolanza del sangue.

Fra le due istituzioni la più interessante per ciò che riguarda gli aspetti e le implicazioni sociali, la ricchezza rituale e la diffusione fra i locali è senza dubbio l’alleanza attraverso la circoncisione. Tuttavia, prendendo in esame la letteratura concernente i Medje-Mangbetu pare curioso il fatto che sia il patto di sangue a essere la forma di alleanza maggiormente trattata1. In particolare, nei resoconti dei primi viaggiatori appare più volte la descrizione dello scambio rituale del sangue e non è raro che il racconto si riferisca a un accordo di non belligeranza che lo stesso viaggiatore ha dovuto sancire mescolando il proprio sangue con quello di un importante capo indigeno2.

La rotta, ampiamente utilizzata nella seconda metà del secolo scorso, che da Khartum conduce nei territori zande e mangbetu, era percorsa da commercianti musulmani (Keim 1983), avven­turieri e militari assoldati nelle file anglo-egiziane. Schweinfurth accenna al patto di sangue che univa il commerciante nubiano Abd-es-Samate con il re mangbetu Munza; Romolo Gessi accetta di scambiare il proprio sangue con un capo lur; Gaetano Casati stringe nello stesso modo alleanza con un capo zande (Pirovano 1988: 65-66); Emin Pasha conclude un patto di sangue con il re dei Baganda (Tegnaeus 1954: 119); lo stesso Stanley sembra essere diventato fratello di sangue del principe nkore Buchunku (Doornbos 1966) e di altre decine di autorità dei territori che ha attraversato. Non solo gli europei scambiarono il loro sangue con quello degli indigeni, ma anche viaggiatori e commercianti musulmani; al riguardo Dennis Cordell (1979) attribuisce all’istituzione del patto di sangue un’importanza notevole per l’espansione politica ed economica delle popolazioni musulmane verso le regioni equatoriali dell’Africa.

Il patto di sangue rappresentava un’eccellente arma politica, un lasciapassare che garantiva maggiore sicurezza rispetto a una dichiarazione fatta con le parole. L’utilità politica del noutu tekpo è ancora presente nella memoria dei locali, quando rammentano importanti alleanze sancite in tale modo fra capi mangbetu e zande. I casi di noutu tekpo fra gente comune che mi sono stati riportati non sembrano basarsi su particolari motivi o strategie. Lo scambio di sangue sembra essere dettato dal desiderio di istituzionalizzare un rapporto o un’amicizia che altrimenti rischierebbe di indebolirsi. La scelta di realizzare uno scambio di sangue è per lo più una decisione personale in cui la famiglia non viene necessariamente coinvolta; lo stesso rapporto di alleanza verrà vissuto dai due contraenti come una questione privata diversamente dall’apertura e dal coinvolgimento connessi al noutu eipopoi.

Anche l’azione rituale attraverso cui si effettua lo scambio non ha la rilevanza sociale della circoncisione: i due contraenti si siedono l’uno di fronte all’altro e si fanno vicendevolmente un taglio sull’avambraccio; con l’ausilio di due pezzi di canna da zucchero entrambi raccolgono alcune gocce del proprio sangue e dopo averli scambiati li succhiano ingerendo il sangue dell’altro. Successivamente ognuno pronuncia un breve discorso:

A partire da oggi se conoscerai [sessualmente] mia moglie che tu possa morire, se vorrò prendere moglie nella tua famiglia e ti rifiuti che tu possa morire, se qualcuno parla male di me e non me lo dici che tu possa morire, se qualcuno vuole avvelenarmi e tu non fai niente per fermarlo che tu possa morire. Se invece non rifiuti di darmi moglie, se mi avverti in caso di pericoli che la tua nébha sia fortunata e protetta (Abodiambo Baserene).

Rispetto all’area considerata in questo lavoro, e cioè la regione inclusa fra il Bomokandi e il Nepoko e in particolare i territori medje-mangbetu, l’istituzione del patto di sangue rimanda soprattutto a gruppi insediati a nord-ovest e a nord-est. Il sangue viene ritualmente scambiato nei territori zande (Evans-Pritchard 1933), nell’Ubangi-Shari e nella savana a nord della foresta equatoriale (Cordell 1979), nel Bahr el Ghazal (De Giorgi 1956) e nelle alte terre dell’Africa interlacustre (Beattie 1958, Bamukoba 1964, Roscoe 1911). Ciò non vuol dire che la pratica sia esclusiva delle popolazioni insediate a nord e a est del bacino del Congo; infatti, come si evince dall’ambizioso lavoro dell’antropologo svedese Tegnaeus (1954), il patto di sangue è diffuso in gran parte dell’Africa sub-sahariana. Tuttavia, procedendo da nord a sud, la rilevanza culturale e sociale dell’istituzione in esame pare diminuire nella foresta equatoriale per poi aumentare di nuovo ai confini meridionali della stessa. Ne sono una testimonianza i lavori di De Sousberghe (1954, 1957, 1960) sui Pende, Lunda, Tshokwe, Suku ecc.

Al di là delle variazioni e delle particolarità è possibile generalizzare affermando che il patto di sangue è un’alleanza fra due individui o gruppi non legati genealogicamente per sancire una cooperazione (economica, sociale, militare) ed evitare o risolvere i conflitti attraverso la creazione di una parentela fittizia. Questa pratica risulta provvidenziale soprattutto in società con una debole centralizzazione politica e una forte segmentazione (Tibenderana 1980), con un’elevata dispersione territoriale di aggregati domestici isolati e con esigenze di approvvigionamento che obbligano a estendere la rete di scambi ai gruppi vicini. Emblematico è il caso degli Zande i quali, organizzati in aggregati domestici dispersi su una vasta area di savana a nord dei Mangbetu, si legavano a questi ultimi con lo scambio del sangue per poter accedere alla pianta denominata benge, abbondante nei domini dei nemici Mangbetu e utilizzata per le divinazioni (Evans-Pritchard 1933: 372).

La riflessione antropologica ha elaborato differenti interpretazioni sul patto di sangue. Molti studiosi, fra cui William Robertson Smith e Georges Davy, hanno considerato tale pratica semplicemente come un meccanismo per la creazione di nuovi legami di fratellanza reale o fittizia. Per Evans-Pritchard (1933), come per Maurice Hocart (1935), tale istituzione è un contratto sottoscritto con la forza di una sostanza «magica» (il sangue) capace di danneggiare e uccidere in caso di violazioni del patto, mentre da un punto di vista sociale si creerebbe non tanto fratellanza fittizia quanto parentela scherzosa (joking relationship) in cui si sottolineano l’uguaglianza e la propensione all’insulto scherzoso fra i contraenti3.

Alcuni antropologi hanno preferito concentrarsi sulla comparazione formale dei rituali in diversi contesti etnografici limitandosi, come nel caso di Tegnaeus, a resoconti descrittivi. Altri hanno invece cercato di fare emergere i significati connessi alla parte del corpo (braccio, pube, testa, mano) da incidere per far fuoriuscire il sangue (White 1994). Infine, esistono studi che mettono in evidenza i risvolti sociali della pratica sia in uno stile puramente funzionalista (Beattie 1958, Mokaka Mwa Bomunga 1979) sia dimostrando un’attenzione particolare a come il rituale si connette all’organizzazione sociale e alla storia locale (Tibenderana 1980, Cordell 1979).

Lo studio di Dennis Cordell sul rapporto fra il patto di sangue e l’espansione del potere islamico nel Dar al-Kuti fornisce uno spunto interessante e funzionale al discorso che si sta cercando di sviluppare. Cordell sottolinea lo stretto rapporto fra l’esistenza della pratica dello scambio di sangue fra i Banda dell’Ubangi-Chari e la loro organizzazione socio-politica. Fra gruppi come i Banda, organizzati in insediamenti dispersi e privi di strutture di coesione centralizzate, è facile che istituzioni come il patto di sangue diventino molto importanti per organizzare reti commerciali e alleanze politiche (Cordell 1979: 384). Anche in presenza di strutture centralizzate come nell’antico regno del Bunyoro l’istituzione del patto di sangue crea relazioni fra aggregati domestici territorialmente dispersi e appartenenti a clan differenti (Beattie 1958).

L’ipotesi che si vuole avanzare riguarda lo stretto rapporto fra l’esistenza di insediamenti dispersi e strutturati in singoli «case» e la rilevanza sociale dello scambio di sangue. Di contro, dove la popolazione è organizzata in villaggi non riconducibili a un’unica «casa» (da intendersi – si ricorderà – come un ampio aggregato domestico), l’importanza del patto di sangue diminuirebbe a vantaggio di istituzioni finalizzate al mantenimento e al rafforzamento dell’identità e della coesione di gruppo, come per esempio i riti di iniziazione.

Ora se si confronta la letteratura etnologica sulla diffusione dei patti di sangue in una vasta area intorno ai domini medje-mangbetu con l’ipotesi concernente la creazione di una nuova tradizione fra il Bomokandi e il Nepoko (cap. II, § 3), risulta fondata la sensazione che il patto di sangue venga valorizzato in relazione a una particolare struttura insediativa. Infatti, la letteratura etnologica sui patti di sangue fa volgere lo sguardo ai territori settentrionali e orientali rispetto ai domini medje-mangbetu e – in relazione alla nuova tradizione definita sinteticamente da Vansina «one village, one house» – l’immagine della «casa» è riconducibile ai gruppi giunti nella regione dalla stessa direzione.

Nel mosaico culturale medje-mangbetu si incontrano elementi provenienti dalla foresta ed elementi tipici delle savane sudanesi: la struttura insediativa a singola «casa» e l’istituzione del patto di sangue rimandano alle popolazioni del nord, mentre la struttura a villaggio e – come si mostrerà successivamente – i riti di iniziazione rimandano alle culture della foresta.

Quello che Vansina denomina «nuova tradizione» non deve essere ridotto all’incontro fra la struttura a singola «casa» e il villaggio, ma coinvolge differenti aspetti della cultura. Inoltre, benché Vansina si riferisca a una particolare fase dell’evoluzione storica, sarei più propenso a intendere la «nuova tradizione» come qualcosa di mai concluso. Le popolazioni insediate fra il Bomokandi e il Nepoko continuano a essere in bilico fra differenti universi culturali e linguistici, e questa situazione comporta una forte propensione a ripensare e riformulare elementi e tratti culturali. L’incontro e la fusione del villaggio di foresta e della «casa» di savana è un esempio di come solide strutture pensate e agite dagli attori sociali possano essere coinvolte in determinati momenti storici nel vorticoso flusso del mutamento. Qualcosa di analogo ha probabilmente coinvolto l’agire rituale connesso allo scambio del sangue e alla iniziazione-circoncisione, due diversi eventi rituali che in una determinata regione e in una specifica fase storica si sono incontrati subendo una riformulazione il cui risultato è particolarmente evidente in ciò che i Medje-Mangbetu chiamano noutu.

Oggigiorno per i Medje-Mangbetu noutu è soprattutto noutu eipopoi: in altre parole, lo scambio di sangue è soprattutto la circoncisione. Tuttavia quest’ultima pratica non rimanda a un percorso iniziatico ma a una alleanza che, a sua volta, ricorda il patto di sangue. Come si vedrà in seguito, l’agire rituale orbitante intorno al concetto di noutu si è imposto nell’area occupata dai Balika, dai Babudu e ovviamente dai Medje-Mangbetu, sostituendo precedenti percorsi iniziatici.

Dopo aver descritto il noutu e verificato la stretta connessione con l’istituzione del patto di sangue, la cui importanza sociale sembra maggiore nei territori verso nord e verso est, occorre volgere lo sguardo a sud verso la foresta per verificare la plausibilità dell’ipotesi secondo cui alcuni gruppi bantu (in particolare i Balika e i Babudu) avrebbero optato nel tempo per lo stile di circoncisione sorretta dall’idea di alleanza piuttosto che dall’idea di iniziazione4.

2. I Balika e l’«imuuso»

I Balika sono gruppi di lingua bantu-buan migrati dalle regioni del basso Uele verso est. La tradizione orale (Bouccin 1935) e la comparazione linguistica documentano una forte vicinanza dei Balika ai Baboa (attualmente insediati a sud di Buta nel basso Uele) e ai Babali con i quali probabilmente migrarono prima verso est e successivamente verso sud. Attualmente i Bali occupano i territori intorno a Bafwasende e confinano a nord con gli insediamenti lika più consistenti e a sud con i Bakomo e i Lombi. Durante lo spostamento verso sud, i Lika si frammentarono in tre gruppi: il primo rimase nei territori medje-mangbetu (ancora oggi esistono villaggi lika ai confini meridionali della collectivité Mongomasi dove ho potuto soggiornare e raccogliere la maggior parte delle informazioni qui riportate, non essendo stato scritto quasi nulla in proposito); il secondo gruppo risiede nei domini budu e confina con i territori di Medje; il terzo, il più numeroso, occupa i territori intorno a Bafwabaka.

In riferimento all’ipotesi avanzata precedentemente, occorre sottolineare che gli informatori lika concordano nel ritenere il patto di sangue estraneo alla loro cultura. Philippe Odio, un Mulika appartenente al clan dei Bavasamba, afferma: «lo scambio di sangue sul braccio non l’ho mai visto fare né sentito dire che si fa fra noi. Ma so che da altre parti si fa». L’estraneità del patto di sangue si evince anche da come i Balika introducono il tema della circoncisione: infatti, pur considerando l’alleanza tra famiglie diverse lo scopo centrale dell’imuuso o simuuso (circoncisione in kilika), non affiancano a tale pratica rituale nessun’altra forma di alleanza (come il noutu tekpo per i Medje-Mangbetu).

Il patto di sangue con il braccio non è tipico dei Balika. La vera circoncisione è sul pene, l’altro non è veramente liganza [altro nome con cui i Lika denominano la circoncisione]. Per il semplice mescolamento del sangue non si fanno danze e non c’è il problema del tonyo [il pasto finale della circoncisione denominato netonyo dai Medje-Mangbetu] (Madjombe Aluamba).

Lo svolgimento dell’imuuso (si tratta in realtà dell’operazione, mentre l’alleanza che segue si chiama liganza) è molto simile al noutu, così come è stato descritto nel capitolo precedente. Il carattere binario del rituale (due bambini, due famiglie) viene fortemente sottolineato, come d’altronde l’estraneità genealogica dei due gruppi di partecipanti, i quali dopo la circoncisione diventano «veramente come la gente che abita nello stesso villaggio e non si possono più sposare». L’operazione viene eseguita dal samba e per tutto il periodo di guarigione i circoncisi devono restare in un edificio preparato nel villaggio dell’organizzatore e osservare precisi divieti alimentari. Una volta guariti, vengono portati al fiume per il lavaggio e per prepararli alla festa finale, durante la quale dovranno consumare un ricco pasto chiamato tonyo non senza aver prima lanciato la freccia verso kusili (ponente in kilika).

I villaggi lika in cui ho svolto le interviste si trovano fra i domini medje e quelli budu. Tale posizione, oltre ad aver creato forti mescolanze linguistiche e culturali, ha storicamente determinato una notevole pressione sui Balika trattati – soprattutto dai capi mangbetu – come schiavi. La debolezza politica e militare dei Balika traspare anche dai motivi che adducono per esprimere l’importanza del liganza, considerato molto utile per evitare conflitti, concludere guerre e mantenere buoni rapporti con tutti i vicini. Negli stessi dialoghi che ho avuto con loro ho percepito come il denso reticolo di liganza che ogni individuo ostenta (a parole) venga vissuto come uno scudo protettivo o meglio come un bozzolo dalle mille possibilità.

Si può fare simuuso da soli, ma i nostri antenati hanno insistito affinché si facesse il liganza. Io Mulika posso fare il liganza con i Toriko, i Bangbetu, i Bayogo, i Babudu, anche con i Bazande, ma non conosco casi di liganza a Bazande. Il mio fratello maggiore ha fatto il liganza al di là di Makpulu con i Bangbetu, laggiù. Si è scelto di fare questo liganza perché laggiù hanno piume di pappagallo, qui è difficile trovarle. Laggiù non possedevano le reti per la caccia così noi abbiamo chiesto piume di uccelli e loro le reti. L’economia è ciò che conta ma anche l’amicizia. Qui è difficile che si scelga una famiglia povera per fare liganza, se si va da loro cosa si mangia? Il mio muganza è dei Badjo [gruppo medje molto potente insediato a ovest di Isiro]. Mio figlio non è ancora circonciso ma io ho proposto di fare liganza a Babudu. Mando già persone a indagare e dall’altra parte vengono qui a vedere. Un mio fratello minore ha fatto l’imuuso con i Pigmei. È sempre questione di intendersi e di ottenere qualcosa. Uno ha tantissimi liganza ma ognuno si dedica al suo. Per esempio, quello con Makpulu è un po’ debole, a me neanche mi conoscono, bisognerebbe rinnovarlo con altri bambini anche se il liganza è eterno quindi è la stessa cosa (Gaga Gabriel).

Non c’è dubbio che la circoncisione lika si connette a quella dei Medje-Mangbetu oltre che per gli aspetti formali anche per l’ideologia dell’alleanza. Tuttavia nelle prime parole di Gaga traspare un elemento nuovo e probabilmente non insignificante: la divisione terminologica fra la circoncisione (imuuso o simuuso) e l’alleanza (liganza). Questa suddivisione (assente nel noutu) è stata sottolineata da altri Balika soprattutto per evidenziare il fatto che l’operazione ha un ruolo indipendente dall’alleanza: «la forza la si ottiene dalla circoncisione, non importa che si faccia soli o insieme ad altri». Nei discorsi l’imuuso viene isolato dalle conseguenze sociali per soffermarsi sull’importanza del dolore al fine di dimostrare di essere diventati uomini. Tutto ciò è raccontato in termini di passaggio epocale nella vita di un individuo:

Si fa imuuso perché si è capito che bisogna fare un periodo della vita, un momento della vita in cui si esce dall’infanzia per diventare adulti, è un passaggio. Allora come se fosse un grande avvenimento della vita di qualcuno occorre che quella tappa venga riconosciuta da tutti e soprattutto per il fatto di essere in due allora ci si imprime nello spirito che in quel momento si è passati da essere bambini a essere uomini. Al di là della circoncisione si crea una relazione speciale fra le famiglie, si diventa più che parenti, allora i due [circoncisi] si chiamano muganja (Philippe Odio).

I due livelli vengono tenuti separati; la centralità dell’operazione è tale che il fatto di essere in due viene ricondotto al grande valore dell’evento trasformativo che dovrà essere ricordato vicendevolmente. Il ricordo del passaggio sembra imporsi sulla pratica dell’alleanza e il racconto del rituale si sofferma sugli aspetti iniziatici legati all’esperienza fisica e psichica del singolo circonciso:

Dopo averci circoncisi si viveva là in quella casa e non si usciva quasi mai salvo, ricordo, nei giorni di pioggia per avere l’iniziazione alla vita, si verifica la capacità di resistere, di non avere paura di soffrire. Allora sotto la pioggia bisognava uscire vestiti di sole foglie di banano e con un frustino e iniziare a correre sotto la pioggia finché non si incontrava qualcuno da frustare. La gente non reagiva perché sapeva che si trattava dei circoncisi. Questo si faceva per apprendere in qualche modo la guerra, per non avere paura, allora si cercava di resistere (Philippe Odio).

L’intento non è quello di ricostruire l’eventuale evoluzione dell’imuuso lika (non avrei dati sufficienti e le interviste raccolte non sono paragonabili a quelle con informatori medje-mangbetu), ma piuttosto di sottolineare alcune particolarità emerse nei discorsi con i Balika e assenti nei dialoghi sul noutu. La prova di resistenza, la dimostrazione del coraggio, il saper sopportare le sofferenze, l’educazione alla guerra, cioè a un’attività tipica dei maschi adulti, caratterizzano il periodo trasformativo del circonciso, il quale vive questa fase di passaggio come un compito individuale che nessuna rete di alleanze o fratello di circoncisione può risolvere o compiere al suo posto. Philippe Odio ricorda in questi termini la sua circoncisione e così facendo racconta lo sforzo di un bambino nel dimostrare di essere diventato adulto, riportando un frammento sbiadito della costruzione di un uomo. Parlando invece con persone più giovani come Gaga Gabriel, l’attenzione si sposta dalla costruzione di sé, in quanto uomo adulto, alla costruzione di un reticolo di alleanze orbitante intorno a ego; l’idea dell’alleanza si impone su quella dell’iniziazione alla vita adulta.

A ben vedere, il passaggio da un’ideologia all’altra non è solo una sfumatura fatta emergere da ciò che mi è stato raccontato, ma viene più volte esplicitato attraverso il ricordo di un precedente stile di circoncisione caratterizzato da un impegnativo periodo di iniziazione in foresta che coinvolgeva bambini appartenenti a uno stesso gruppo.

Oggi la circoncisione è sempre questione di due bava [lignaggi, gruppi di discendenza] diversi. Nel modo tradizionale, una volta, la circoncisione era un problema di un mava e si faceva in foresta, dopo si è evoluta verso gli altri, anche quelli non lika (Asobee Bigiabase Thomas).

Il liganza fatto in una sola famiglia non esiste più, oggigiorno esiste solo il liganza fra tribù diverse e fra famiglie diverse. Una volta era differente, si faceva di solito in una sola famiglia, oggi sono più i casi in cui si cerca fuori (Madjombe Aluamba).

Mentre i Medje-Mangbetu affiancano due modalità per fare noutu (sul braccio e sul pene) senza mai accennare a precedenti stili rituali, i Balika ricostruiscono una certa evoluzione nella pratica della circoncisione. Tale evoluzione è inequivocabilmente un passaggio dalla centralità dell’iniziazione alla centralità dell’alleanza. Questo va a sostegno dell’ipotesi secondo la quale l’incontro sul piano rituale dei Balika e dei Medje-Mangbetu ha rappresentato una rielaborazione che ha coinvolto la pratica della circoncisione. L’incontro ha sicuramente mutato l’imuuso lika, mentre pare più difficile da dimostrare che il noutu abbia subìto una riformulazione, anche se non sarebbe assurdo pensare che la circoncisione – tipica dei gruppi di foresta – sia stata incorporata come variante dello scambio di sangue sul braccio. Per il momento è bene continuare il viaggio fra i gruppi che oggi condividono lo stesso stile di circoncisione.

3. I Babudu e l’«égonye»

I Babudu occupano i territori che si estendono su entrambi i lati del medio Nepoko, appartengono al gruppo linguistico budu-nyali e sono originari dell’est (Moeller 1936: 34-35, Van Geluwe 1960: 13-15). Essi stessi narrano di essere migrati dai territori dei Banyali – che si trovano nell’Ituri a nord-ovest di Mambasa – verso il Uele; soltanto in un secondo tempo, a causa della pressione dei gruppi sudanesi e ubangiani, si spostarono verso sud attraversando le acque del Nepoko. La dinamica della migrazione budu, pur sviluppandosi dalla parte opposta, non è dissimile dal movimento migratorio dei Balika; entrambi i gruppi raggiunsero le alte terre del Bomokandi e del Uele per poi ripiegare verso sud (verso la foresta) spinti dalle pressioni dei gruppi sudanesi e ubangiani.

Attualmente i Babudu occupano un’intera unità amministrativa (zone) che si estende a sud di Isiro e di Neisu. La zona – il cui centro è l’ampio villaggio di Wamba – è divisa in varie collectivités corrispondenti grosso modo ai più importanti gruppi di discendenza budu. Per ciò che concerne la pratica della circoncisione (égonye o égone in kibudu), i Babudu con cui ho avuto la possibilità di conversare (principalmente durante i soggiorni a Wamba, Pawa e Isiro) tendono a differenziare le famiglie che occupano i territori della riva destra del Nepoko da quelle insediate sulla riva sinistra.

La gente che abita da questa parte [riva sinistra], soprattutto i Bafwakoye, non sono abituati all’égonye. Anche una volta era così, avevano paura perché ci sono delle condizioni dure da rispettare. Per esempio se io prendo la bicicletta del mio fratello di circoncisione lui non può dire nulla. Dall’altra parte [riva destra] ci sono più Balika. Sono i Balika che amano molto la circoncisione, sono abituati e fieri di ciò (Ngamaneni-Kakea Gabriel).

In effetti, sulla riva destra del Nepoko i territori budu confinano principalmente con i possedimenti lika e in parte minore con quelli medje-mangbetu; il fatto che tale vicinanza venga messa in relazione alla diffusione della circoncisione è una conferma dell’importanza delle relazioni interetniche nell’affermarsi di un particolare stile rituale della circoncisione. Anche i Babudu infatti adottano oggi le sequenze e i significati rintracciati nella pratica del noutu medje-mangbetu e dell’imuuso balika: organizzazione famigliare, debole reclusione, lavaggio al fiume, consumazione del tonye (il netonyo del noutu), carattere binario, ideologia dell’alleanza e legame fraterno fra i bamoia (gli amekenge del noutu).

È interessante che, analogamente ai Balika, i Babudu intervistati affiancano alla circoncisione non tanto un’altra forma di alleanza con il sangue (analoga al noutu tekpo medje-mangbetu), quanto uno stile precedente incentrato sull’iniziazione. Anche in questo caso si percepisce un’evoluzione dell’azione rituale e, ciò che più conta, un mutamento nelle motivazioni e nei significati. Ngamaneni-Kakea Gabriel e Nambeu Mombi Prosper, due giovani insegnanti babudu residenti a Wamba, mi raccontarono con dovizia di particolari l’égonye fra due dei loro figli, circoncisi insieme il 19 novembre del 1995. All’inizio del dialogo tennero a distinguere due tipi di égonye:

Possiamo distinguere due tipi di circoncisione. La circoncisione come quella che abbiamo fatto con i nostri figli è già cambiata in rapporto a quella che si faceva tradizionalmente. Una volta c’era una specie di iniziazione, bisognava prendere i bambini e allontanarli dal villaggio, metterli da qualche parte dove venivano iniziati in differenti tappe. Dopo bisognava organizzare un’altra cerimonia per farli tornare al villaggio quando erano già ben preparati.

Secondo la ricostruzione proposta dal religioso mubudu Anzambise Madu Camille (1992), nell’égonye tradizionale viene posto l’accento sul valore iniziatico del rito di circoncisione, inteso come un processo di umanizzazione dell’individuo (1992: 15-16). Nel processo iniziatico «l’intero clan si mobilita per un’unica causa»: i candidati (baganja) vengono isolati in foresta, e dopo l’operazione devono trascorrere un periodo di reclusione, durante il quale vengono sottoposti a dure prove e a fondamentali insegnamenti. Soltanto alla fine di un impegnativo percorso formativo, i circoncisi possono tornare al villaggio dove consumeranno insieme un ricco pasto (denominato butunye) e ognuno sceglierà un proprio fratello di circoncisione (muganja) fra i suoi compagni di égonye.

Anzambise Madu presenta una sequenza rituale in cui convivono i valori connessi all’iniziazione con quelli connessi all’alleanza, quest’ultima riguarda la coesione interna alle famiglie budu e scaturisce da una comune iniziazione ai valori della società budu. Da un punto di vista storico è impossibile determinare quali elementi dell’égonye siano di provenienza straniera, tuttavia alcune considerazioni possono essere fatte:

1) La prima parte del rituale, quella incentrata sull’iniziazione, sulla reclusione in foresta, sulle prove e sull’educazione è completamente estranea al noutu, mentre ricorda l’iniziazione al mambela dei Babali (Bouccin 1935, Moeller 1936), con i quali i Babudu confinano a sud, e al rito di circoncisione dei Bakomo (denominato ganja), anch’essi insediati nella foresta a sud dei territori budu (De Mahieu 1985). Inoltre alcuni informatori budu sostengono che l’égonye sia in effetti di derivazione bali o comunque sia stato influenzato dai Babali.

2) I termini che emergono nella seconda fase, quella dell’alleanza, non sono propriamente budu: butunye deriva dal termine mangbetu netonyo (mangiare in mangbetu è -onyo) e alcuni in­formatori sostengono che siano stati proprio i gruppi mangbetu a portare la circoncisione fra di loro. Il termine muganja (plur. baganja) è diffuso in una vasta area del bacino del Congo ed è presente soprattutto in diversi gruppi ubangiani e buan (come gli Ngbaka, i Bali, i Bakomo, i Bapere ecc.); tale termine è utilizzato fra i Budu come sinonimo del termine kibudu mumoia (plurale bamoia).

Ancora una volta le dinamiche dei contatti non permettono di interpretare le forme rituali in termini di isolamento ed esclusività. La ricostruzione di Anzambise Madu Camille è incentrata su un valore iniziatico assente nei racconti budu che ho ascoltato sul terreno, mentre l’ideologia dell’alleanza che emerge nell’ultima fase dell’égonye pare per un verso molto simile a come oggi Budu, Lika, Medje-Mangbetu e altri gruppi vivono la circoncisione, sebbene rimanga ancorata alla coesione di un gruppo già costituito e non all’ampliamento della rete sociale. Questo legame fra iniziazione e alleanza può essere tanto il segno dell’influenza medje-mangbetu quanto una normale espressione della coesione di grup­po, anche se le testimonianze indigene sulla maggiore dimestichezza dei Babudu della riva destra nei confronti dell’alleanza tramite la circoncisione faccia propendere per un innesto della logica dell’alleanza nell’égonye attraverso i contatti con i Medje-Mangbetu. In ogni caso, quello che emerge dall’égonye budu così come dall’imuuso lika è il ricordo di uno stile ormai tramontato in cui l’iniziazione ai valori del gruppo era centrale per la crescita dell’individuo. Tale valore iniziatico rimanda maggiormente alle espressioni culturali dei gruppi di foresta organizzati in villaggi (il mambela dei Babali, il ganja dei Bakomo, dei Babira e dei Bapere), piuttosto che alle culture riconducibili ai gruppi di lingua sudanese.

4. Il «noutu» con i Pigmei

Nella regione occupata dai Medje-Mangbetu del sud, dai Babudu e dai Balika esistono in foresta molti insediamenti di Pigmei Asoa, i quali interagiscono con i neri5 per motivi economici e sociali. L’idea dell’autarchia e dell’isolamento dei gruppi pigmei sembra essere stato soltanto un mito, alla cui costruzione hanno contribuito gli studi dei primi europei che si occuparono di loro; attualmente si è più propensi a considerare i gruppi di cacciatori e raccoglitori della foresta equatoriale africana come strettamente legati ai villaggi dei neri (Grinker 1994). Una delle questioni maggiormente dibattute dagli studiosi riguarda la natura di tale relazione: si tratta di uno sfruttamento dei Pigmei da parte dei neri o prevale la reciprocità negli scambi, nelle prestazioni e nel rispetto?

Lo stesso interrogativo si presenta nel momento in cui si cerca di analizzare la diffusa partecipazione dei Pigmei ai rituali di iniziazione e di circoncisione dei neri. Degno di nota è lo scontro fra Colin Turnbull e Paul Schebesta (forse i più famosi studiosi delle bande pigmee) sul significato di tale partecipazione. Secondo l’antropologo britannico, i Pigmei Bambuti partecipano al nkumbi (la circoncisione dei Babira, dei Bandaka e dei Bangwana) non tanto per condividerne il valore iniziatico quanto per collocarsi in modo formale e ufficiale nell’universo dei loro villaggi, pur conservando una notevole indipendenza e un forte ancoraggio alla foresta (Turnbull 1957: 209-210; 1965: 63-64). Per Schebesta tale interpretazione attenua fin troppo l’evidente sfruttamento nei confronti dei Pigmei, in rapporto al quale la condivisione del nkumbi è soltanto un modo per i neri di rafforzare la loro superiorità e il loro dominio sui gruppi pigmei (Schebesta 1958). In ogni caso, permane una certa ambiguità nelle relazioni, evidente anche nel contesto del noutu dei Medje-Mangbetu in cui non di rado si «possiedono» amekenge pigmei.

Quando mi recai nel villaggio di Mbongyi, nei pressi di Makpulu, un figlio di Emasiombe Anselme (il capo della località) era da molti giorni in foresta con il fratello maggiore a cercare lumache (àhì). Approfittando delle vacanze scolastiche si erano recati dai propri amekenge pigmei accampati a una ventina di chilometri in direzione zebu.

Si sono scelti i Pigmei per il noutu non per caso. I Pigmei danno carne e se c’è un lutto nella mia famiglia andranno a caccia per portare carne nei giorni del lutto. È già quattro anni che mio figlio è stato circonciso con i Pigmei. In molti casi loro chiedono abiti, sale, sapone, sigarette, olio ma soprattutto abiti. Anche noi andiamo da loro soprattutto per le lumache perché sono pratici di foresta e non si perdono (Emasiombe Anselme).

Nel caso in cui si scelga un gruppo di Pigmei come partner del noutu, l’operazione e le sequenze rituali successive si svolgono sempre nel villaggio dei neri e mai in foresta. I Medje-Mangbetu sottolineano questo aspetto per evidenziare il grande sforzo economico nel caso di un noutu con i Pigmei: bisogna organizzare la festa, procurarsi cibo e bevande, pagare il circoncisore, comprare i vestiti nuovi sia per i propri figli sia per i bambini pigmei. Tutte le spese sarebbero a carico della famiglia medje-mangbetu, mentre gli Aka (è il nome con cui i locali denominano i Pigmei Asoa) si limiterebbero a procurare carne. Il noutu con i Pigmei viene presentato dai Medje-Mangbetu come costoso e rischioso, in quanto l’alleanza coinvolge un’intera banda i cui componenti, nel nome della fratellanza, possono razziare i campi coltivati e fare incetta di prodotti agricoli. Questa visione sbilanciata del noutu ha una forte componente ideologica, in quanto, se è vero che lo sforzo iniziale (connesso allo svolgimento del rituale) è a carico dei neri, costoro si garantiscono però una fornitura frequente di selvaggina per moltissimo tempo, difficilmente bilanciata da prodotti agricoli o industriali (sigarette).

Anche sul piano della fratellanza che dovrebbe caratterizzare i rapporti fra gli amekenge e fra le rispettive famiglie, esistono forti divergenze fra ciò che si afferma e ciò che si fa e si pensa. In tutte le interviste con Medje-Mangbetu che hanno amekenge pigmei, l’amore, la fratellanza e l’uguaglianza nei rapporti vengono puntualmente presentati come i motivi che stanno alla base del noutu; eppure il termine akasibandrane (il mio Pigmeo) ha un’accezione del tutto diversa dal termine nekweibandrane (il mio Medje; nekwe è il termine con cui gli Asoa chiamano i Medje). La reciprocità, quando esiste, si limita agli scambi economici senza influire sulle distinzioni sociali.

I Pigmei sono proprietà dei Medje ma un Medje non può essere proprietà privata di un Pigmeo. I Pigmei dipendono molto dai Medje, mentre i Medje non dipendono dai Pigmei. Può succedere che un Medje prenda moglie fra i Pigmei ma non sarà nella famiglia dei propri amekenge, bisogna che ci sia un po’ di distanza per potersi sposare. Non è mai successo che un Pigmeo sposi una donna medje, non andrebbe mai a vivere là (Mopoto Mapabuadi).

Per ciò che concerne la dicotomia alleanza/iniziazione emersa nei paragrafi precedenti, ai Pigmei con cui ho avuto occasione di parlare sembra evidente che il noutu sia esclusivamente un meccanismo per creare alleanze privo di alcun significato iniziatico connesso alla crescita dell’individuo. Come sottolineò Colin Turnbull in relazione ai Bambuti, il rito di circoncisione è considerato dagli Asoa una pratica dei neri ai quali viene delegata l’intera gestione della cerimonia: la stessa circoncisione viene presentata come originaria dei neri.

Per noi la circoncisione (kutuii) è importante perché crea fra noi e i neri un clima positivo. Sono i neri che hanno invitato i Pigmei a fare la circoncisione. La circoncisione si può fare anche fra Aka ma è meglio farla in un altro gruppo per avere vantaggi, perché quando ci si unisce con altri ci si scambiano delle cose. Il meglio è farla con i neri perché loro si prendono i bambini [a carico] e gli danno degli abiti e altre cose, sarà un aiuto illimitato (Monsiame).

L’idea che i Pigmei hanno della circoncisione si accorda molto bene con il significato del noutu incentrato sull’alleanza e privo di risvolti iniziatici. Nel caso dei Bambuti studiati da Turnbull, la scelta di intendere la circoncisione come un meccanismo di alleanza sembra ancora più evidente, in quanto contrasta con l’idea dei neri (Babira, Bandaka ecc.) secondo i quali il nkumbi ha un alto valore iniziatico. I Bambuti fanno partecipare i propri bambini al nkumbi, ma denigrano gli aspetti rituali e altamente simbolici considerati di grande importanza per i neri, limitandosi a ufficializzare un’alleanza con gli abitanti dei villaggi. Turnbull sostiene che i Pigmei non considerano il valore iniziatico della circoncisione (nkumbi) perché possiedono un loro esclusivo processo iniziatico: un ragazzo mbuti, dal momento in cui uccide un animale considerato «vera» carne (cioè tanto grande da poter essere diviso fra i membri del gruppo di caccia), può essere chiamato cacciatore e può partecipare alle riunioni dell’assemblea di tutti i cacciatori del gruppo denominata lusumba. Questa «associazione religiosa di uomini» (Turnbull 1957: 206) non contempla nessun rituale di ammissione e nessuna cerimonia particolare incentrata su segreti o elementi esoterici: l’unica condizione per parteciparvi è aver cacciato «vera» carne, essere diventati cacciatori che, nella società bambuti, significa essere diventati veri uomini. All’interno dell’associazione non ci sono gerarchie e distinzioni di status e ruoli, ad eccezione di colui che deve suonare il corno del lusumba intorno al quale orbita l’intera assemblea.

Per un ragazzo mbuti sottoporsi alla circoncisione in un villaggio di neri non determina nessun cambiamento del proprio status in relazione agli altri membri del suo gruppo e non è neppure una condizione per accedere al lusumba; l’unica conseguenza pare essere la formalizzazione di un legame con gli abitanti dei villaggi, un legame che sia per gli Asoa sia per i Bambuti sembra essere vissuto come un’alleanza non sempre caratterizzata da reciprocità.

Come si può notare, oltre che i Balika e i Babudu, anche i Pigmei Asoa interpretano e vivono la pratica della circoncisione come un meccanismo per creare o rafforzare alleanze, mentre, per motivi diversi, il valore iniziatico della circoncisione sembra venir meno.

5. Ai confini dell’alleanza

Nei domini meridionali dei Medje-Mangbetu il noutu sembra essere un importante meccanismo sociale e rituale per tessere reti di alleanze che si estendono al di là dei cosiddetti confini etnici; tale estensione coinvolge preferibilmente i Babudu, i Balika e i Pigmei Asoa, i cui territori si sviluppano in direzione sud, verso il bacino interno del Congo. Al di là delle differenze terminologiche e delle lievi particolarità formali, il canovaccio rituale descritto nel capitolo precedente viene condiviso nell’intera area e – ciò che più conta – i vari gruppi condividono oggigiorno i significati, le motivazioni e gli scopi che stanno alla base dell’alleanza tramite la circoncisione.

Quando ci si trova sul terreno e l’oggetto di studio – inizialmente pensato come un rituale saldamente ancorato a un rassicurante presente etnografico, a un preciso territorio e all’universo culturale dei suoi abitanti – prende le sembianze di una rete sfilacciata difficile da delimitare, si cerca di seguire le diramazioni più densamente intrecciate del reticolo varcando inevitabilmente i confini linguistici e culturali. Per tale motivo, mi resi presto conto dell’importanza di estendere la ricerca almeno nei villaggi budu e lika, oltre ad avvicinare alcune bande di Pigmei. Il lavoro sul campo seguì la stessa direzione del reticolo, verso sud, verso la foresta, e di conseguenza i confini settentrionali (soprattutto quelli con i domini zande) non essendo oltrepassati dal noutu (dal­l’égonye e dall’imuuso) non vennero neppure varcati dal sottoscritto.

Fra Medje e Zande non c’è ancora noutu. Qualcosa come il noutu c’è anche fra gli Zande ma i Medje e gli Zande non hanno confidenza per farlo insieme. Questo perché durante il periodo delle guerre gli Zande venivano per maltrattare i Medje e per mangiarli (Emalongo).

Fra i gruppi medje-mangbetu e quelli zande non corre buon sangue; nella seconda metà del secolo scorso ci fu un aspro conflitto fra le due maggiori dinastie della regione (gli Zande-Avungara e i Mangbetu), terminato soltanto con l’arrivo dei bianchi. Questa inimicizia permane ancora oggi e ha le sembianze di una diffidenza reciproca.

Con gli Zande una volta c’era sempre la guerra. Venivano qui per distruggere e uccidere, quindi ancora oggi c’è questo ricordo. Se si resta qui [sulla strada principale che da Neisu porta a Isiro] tutto il giorno è difficile vedere uno Zande passare, girare fra di noi. Gli Zande hanno paura dei Medje (Odianzuda Victor).

Pochi chilometri a nord rispetto alla strada che porta da Neisu a Isiro iniziano i territori zande. In realtà si tratta di domini abarambo, un gruppo che fu assimilato nel regno zande-avungara. Infatti, analogamente alla mangbetizzazione di molti gruppi, si è assistito nel secolo scorso a un processo di zandizzazione di altri gruppi a nord del Uele in seguito alla formazione di un’entità politica (orbitante intorno alla dinastia Avungara), la cui debole centralizzazione ricorda l’analoga esperienza del cosiddetto regno mangbetu.

Benché gli informatori dell’area in questione facessero raramente riferimento ad alleanze con i gruppi confinanti a nord, non disdegnai di conversare con alcuni Azande e Mayogo e confrontare i loro racconti con la letteratura etnografica esistente. Nel 1921 Adolf De Calonne-Beaufaict scrive che la pratica della circoncisione sta lentamente espandendosi fra gli Zande pur non essendo molto diffusa (1921: 199). Il vescovo Lagae nel 1926 conferma l’introduzione recente della pratica ipotizzando un’origine mangbetu e abarambo della stessa: «la propaganda si svolge da sud verso nord appena da due generazioni» (1926: 180). Secondo Lagae, la diffusione della circoncisione nei territori zande è una conseguenza indiretta dell’arrivo degli europei, in quanto impedirono ai capi avungara – inizialmente contrari alla pratica – di punire coloro che si sottoponevano all’operazione. L’opposizione iniziale dei capi è probabilmente da ricondurre all’origine mangbetu della circoncisione: l’assimilazione di un segno di identità appartenente alla cultura dei nemici non poteva essere valutata positivamente.

Sempre secondo Lagae, l’origine straniera e la diffusione recente della pratica sono motivi sufficienti per considerare la circoncisione zande estranea ai valori del gruppo e priva di quel significato iniziatico tipico dei riti di passaggio all’età adulta. Tuttavia – a riprova della variabilità nel tempo dei contenuti e delle forme del rituale – «la circoncisione potrebbe benissimo, con il tempo, avere un significato che non aveva precedentemente» (Lagae 1926: 187). Forse non è il caso della circoncisione zande, ma in relazione all’égonye budu e all’imuuso lika, si è ipotizzato che una tale trasformazione nel significato del rito (dall’iniziazione all’alleanza) sia effettivamente avvenuta.

Per ciò che concerne la descrizione della sequenza rituale occorre affidarsi ancora agli studi degli anni Venti. De Calonne-Beaufaict in realtà riporta la cerimonia tipica degli Auro-Abarambo, in quanto è a partire da questo gruppo «zandizzato» che la circoncisione si sta in quel periodo diffondendo fra le «nazioni zande». Dal suo breve racconto si può dedurre che l’operazione presenta risvolti simili al patto di sangue, pur avendo conseguenze meno rigorose:

Quelli che hanno vissuto insieme questa cerimonia si considerano come uniti da un legame speciale e si chiamano spesso fra loro fratelli [...]. Bisogna notare che fra gli Auro i non-circoncisi che si vogliono legare con un patto simile allo scambio di sangue (comunque meno rigoroso nelle conseguenze) si fanno circoncidere nello stesso momento (1921: 202-203).

La descrizione che riporta Lagae è leggermente diversa soprattutto nelle conseguenze. Più che all’idea della fratellanza si fa riferimento a una generica amicizia fra il circoncisore, i circoncisi e i loro «padrini» (a ogni bambino viene affiancato un adulto esterno alla parentela con il compito di seguirlo nelle fasi della reclusione e di scegliere per lui un nuovo nome). In entrambi i casi appare completamente assente il valore di apertura verso l’esterno e di creazione di nuovi rapporti, in quanto i bambini vengono scelti nel circondario (Lagae 1926: 181) e le famiglie nella maggior parte dei casi hanno già rapporti reciproci. Il minor valore rispetto al patto di sangue, la debolezza della fratellanza fra circoncisi e l’assenza del valore dell’apertura verso l’esterno mi sono state confermate sul campo:

Da noi è meglio fare la circoncisione in famiglia senza andare fuori. Non c’è un termine zande per dire amekenge, noi utilizziamo il termine aganza fra due uomini che hanno fatto il patto di sangue. Questo patto è molto profondo, molto segreto, non si fa in pubblico. È questione dei due e non delle due famiglie. Il patto di sangue è più forte della circoncisione perché si mangia effettivamente il sangue e quindi è più profondo e ci saranno progetti fra i due, ma fra i bambini circoncisi insieme no, non c’è una vera fratellanza (Sendebuka Marie-José, zande-avungara).

Gli Azande e gli Abarambo appartengono allo stesso ceppo linguistico (ubangiano) dei Mayogo, un gruppo non molto numeroso insediato nel territorio della città di Isiro e nei suoi dintorni. Considerando che i domini mayogo confinano essenzialmente con potenti gruppi (Zande, Medje-Mangbetu e Babudu) e considerando che Isiro è una città multietnica con quartieri budu, zande, mangbetu, logo, mamvu ecc., ci si aspetta che meccanismi di alleanze come la circoncisione fra gruppi diversi sia tenuta in grande valore (come succede ai Balika circondati da Medje-Mangbetu e da Babudu). Invece – come mi venne curiosamente confermato da un amico mulika, Bazanga Itongo – non sembra che oggi i Mayogo facciano particolare affidamento sulle alleanze tramite scambi di sangue. Un giorno Bazanga Itongo venne a Neisu a trovarmi; ricordo di avergli dato la mia pipa per ricambiare un suo precedente regalo, un coltello con il manico lavorato. Parlammo di doni e di scambi e ovviamente si parlò di fratellanze, amicizie e scambi di sangue: «io volevo circoncidere mio figlio con un muyogo – disse Bazanga Itongo – ma suo padre mi ha detto che loro [i Mayogo] non fanno il liganza». In realtà, i Medje-Mangbetu includono i Mayogo fra coloro con cui si fa il noutu, benché nessun caso mi sia stato raccontato; neppure gli informatori mayogo hanno fatto riferimenti a casi specifici, a loro effettivi fratelli di circoncisione o a quelli dei loro famigliari o dei loro conoscenti: come per gli Azande sembrerebbe più una faccenda di circondario e quindi di una alleanza ribadita e non creata. Tutt’al più è in relazione ai conflitti storici di un tempo che i Mayogo sottolineano l’importanza dell’alleanza con il sangue senza però distinguere la circoncisione dal semplice patto di sangue.

6. Altri gruppi mangbetu

La scelta, maturata durante il lavoro sul campo, di ampliare l’analisi ai gruppi confinanti con i Medje-Mangbetu del sud al fine di comprendere meglio il significato e l’evoluzione di un determinato stile di circoncisione orbitante intorno al concetto di alleanza, mi ha portato a volgere lo sguardo soprattutto verso la grande foresta e verso i gruppi bantu e pigmei che la abitano e che condividono le sequenze e il significato del noutu. Tuttavia, in una prospettiva di comparazione regionale, oltre ad accertare differenze e somiglianze anche con gli stili di circoncisione zande e yogo, occorre soffermarsi su ciò che accade negli altri gruppi di lingua mangbetu insediati nell’area.

Per ciò che concerne i Medje Mango, i Malele e i Makere (i cui territori si trovano a ovest rispetto ai domini Ndei e Mongomasi), le informazioni raccolte sul terreno non evidenziano alcuna differenza dal noutu medje-mangbetu descritto nel capitolo precedente. Trattandosi di gruppi non assoggettati dai capi mangbetu, ciò fa supporre che il noutu non sia un’istituzione connessa alla costituzione del regno mangbetu; anzi, l’uguaglianza e la reciprocità dell’alleanza poco si adattano a un progetto di conquista (condotto piuttosto attraverso alleanze matrimoniali) e alla gestione del potere sui sudditi.

Riguardo ai Bapopoi (un gruppo di lingua mangbetu insediato su entrambe le rive dell’Aruwimi, nei pressi dell’attuale villaggio di Panga, e confinanti a nord con i Baboa) non essendomi spinto nei loro territori decisamente lontani dalla zona della ricerca, mi limito a riportare l’unica informazione rintracciata sulla circoncisione. Si tratta di poche righe frutto di una ricognizione etnografica compiuta da Delhaise-Arnould, amministratore territoriale in Congo durante i primi anni della colonia:

Ancora molto piccoli, i bambini vengono circoncisi. Quando due individui fanno lo scambio di sangue, si approfitta per circoncidere i loro bambini. Sono gli anziani che si occupano di questa operazione. Si taglia con un rasoio; il pezzo tagliato viene gettato nel fiume. Si mettono sulla ferita delle erbe con del sale e ben presto il bambino partecipa ai giochi dei suoi compagni (Delhaise-Arnould 1912: 159).

Malgrado si tratti di una osservazione generica e superficiale, è possibile fare emergere alcuni elementi significativi che rimandano al noutu: 1) il legame fra il patto di sangue e la circoncisione; 2) la scarsa solennità del periodo successivo all’operazione in cui il bambino torna al più presto con i compagni di giochi; 3) la conseguente mancanza di una fase iniziatica per altro ribadita dallo stesso autore nelle pagine successive: «non c’è alcuna specie di iniziazione all’età della pubertà. I bambini vengono circoncisi molto piccoli e non si può considerare questa operazione come un punto di partenza di una nuova vita» (Delhaise-Arnould 1912: 162). Questi dati di inizio secolo su una popolazione di lingua mangbetu, la quale ha probabilmente percorso gli stessi tragitti di emigrazione dei Medje, suggeriscono ancora una volta l’estraneità ai gruppi di origine sudanese di processi iniziatici alla vita adulta e confermano la connessione fra la circoncisione e la pratica dello scambio di sangue.

Ovviamente dalle poche righe sopra riportate non si possono trarre conclusioni riguardo a un’ipotetica alleanza al di là della parentela legata alla pratica della circoncisione, tanto meno ipotizzare l’evoluzione dell’azione rituale e dei significati connessi. Tuttavia è lecito pensare che l’incontro fra i Bapopoi e i gruppi della foresta abbia riguardato anche la pratica della circoncisione6. Un curioso indizio è lo stesso nome del gruppo etnico, che nella lingua mangbetu significherebbe più o meno «i prepuzi» (prepuzi = éípópo, ba è il prefisso plurale bantu, non di rado usato anche dai Medje-Mangbetu). Secondo Delhaise-Arnould, sono i vicini Baboa (riva destra dell’Aruwimi) che designano il prepuzio con il termine popoie (1912: 86). Alla luce di ciò e considerando che a molti gruppi è attribuito il nome con cui vengono chiamati dai vicini, un’ipotesi appare non del tutto assurda, pur non potendo essere avvalorata in alcun modo: i Bapopoi penetrano nella foresta equatoriale senza conoscere la circoncisione, entrano in contatto con gruppi bantu che praticavano diversamente da loro la circoncisione e vengono appunto chiamati «prepuzi», «coloro che hanno il prepuzio». Attraverso il contatto con i vicini, i cosiddetti Bapopoi incorporano nella loro cultura l’operazione in questione interpretandola non tanto come un rito di iniziazione alla vita adulta quanto come una versione o un corollario di una pratica importante della propria cultura, il patto di sangue7. Questa ipotesi presenta un quadro non dissimile da quello delineato nei paragrafi precedenti concernente le negoziazioni rituali e l’affermarsi di un certo stile di circoncisione fra Medje-Mangbetu, Babudu, Balika, Asoa ecc. La sensazione che la circoncisione sia stata incorporata nei gruppi della famiglia linguistica sudanese-orientale (penetrati nel bacino del Congo) come variante del patto di sangue condivisibile con i vicini gruppi bantu si fa sempre più forte.

Per rendere la comparazione regionale il più possibile completa e significativa, occorre ancora considerare la pratica della circoncisione fra i Medje-Mangbetu del nord (collectivité Azanga). Dalle interviste che ho condotto durante il soggiorno al villaggio di Nangazizi (del quale non mi resta un bel ricordo a causa di un attacco di malaria che mi costrinse a restare a letto per gran parte del tempo) sono emerse caratteristiche inaspettate e differenze notevoli nel significato e nell’azione rituale connessi al noutu8. Infatti il rito di circoncisione, così come mi è stato raccontato a Nangazizi non orbita intorno al concetto di alleanza e presenta aspetti del tutto particolari:

1) Manca completamente l’idea di creare un’alleanza mirata (alla cui base c’è una scelta di partnership precisa). Si tratta piuttosto dell’iniziativa di un singolo che indirettamente coinvolge i bambini del circondario e altri che possono giungere da lontano semplicemente perché informati dell’avvenimento e non per una strategia di alleanza attentamente programmata dalle famiglie. Di conseguenza, manca del tutto ciò che si è chiamato il «carattere binario» della circoncisione (due gruppi, due famiglie, pari numero di bambini da una parte e dall’altra).

2) Compare al fianco di ogni bambino che partecipa al noutu una specie di tutore, il cui ruolo è simile a quello del «padrino» nella circoncisione zande descritta da Lagae (cap. IV, § 5). Questi tutori, scelti sovente nella famiglia degli zii materni (edjadja), devono accudire il bambino durante l’operazione e nel periodo di guarigione.

3) L’organizzazione di un noutu non è motivata da amicizie, interessi economici, esigenze di scambi e di punti d’appoggio territoriali, ma dal prestigio che ricade su colui che organizza il rituale (di solito una persona ricca e potente in grado di accollarsi tutte le spese). In tal modo, vengono meno altri due aspetti centrali del noutu dei Medje-Mangbetu del sud: l’uguaglianza e la reciprocità.

4) La parte conclusiva del rito, pur presentando notevoli analogie formali (lavaggio al fiume, fustigazione dei bambini lungo il sentiero del ritorno, lancio della freccia a ponente e consumazione del netonyo), orbita intorno a un elemento del tutto nuovo: l’abbinamento di ogni bambino a una bambina considerata simbolicamente la propria moglie. Questo accoppiamento viene deciso prima della circoncisione e la bambina viene effettivamente scelta in una famiglia in cui sarebbe lecito prendere moglie, quindi fuori dalla cerchia della parentela.

Alla fine della circoncisione ai bambini gli si danno delle mogli ed è con loro che mangiano il netonyo. La sera dopo il lavaggio non si va a dormire nella propria casa ma ognuno va in una nébha apposi­tamente scelta a zebu. È là che c’è l’incontro con la giovane ragazza, i due bambini non si siedono sopra le sedie ma su un pezzo di legno che verrà conservato per fare il fuoco del netonyo. Il bambino e la bambina mangiano qualcosa e ciò che avanza lo portano il mattino seguente al nesamba. Netonyo è una specie di bollito, si prendono le banane e si tagliano in due, poi l’organizzatore ne dà alla bambina ma all’ultimo momento lo dà al bambino e viceversa. Fra il bambino e la bambina non ci sono durante la notte rapporti sessuali ma dormono insieme. Dopo si potrà chiedere alla famiglia della bambina se in futuro si potrà concludere il matrimonio fra i due. Se accettano gli si dà la dote (Mayele Amansibandrodjo).

La sequenza è esattamente la stessa del noutu dei domini meridionali, ma ciò che si mette insieme non sono bambini di differenti gruppi, bensì un ragazzo e una ragazza dello stesso gruppo. La circoncisione non segna la nascita di una nuova relazione sociale, ma è simbolicamente connessa con la trasformazione del bambino in un adulto pronto a prendere moglie9.

Quest’ultimo aspetto, congiuntamente al fatto che dopo il lancio della freccia venga dato al bambino un nuovo nome e all’importanza della danza denominata noutu – una danza che il candidato all’operazione deve saper eseguire molto bene per potersi sottoporre alla circoncisione (cap. III, § 3) –, fanno presupporre una maggiore propensione nei territori del nord a considerare il noutu un momento di trasformazione dell’individuo tipico dei riti di iniziazione.

Come si è già accennato nel capitolo precedente in riferimento alle danze, il confronto fra le diverse concezioni del noutu dei Medje-Mangbetu del sud e del nord evidenzia il diverso significato che lo stesso rito di circoncisione ha assunto in relazione alle vicende storiche e sociali di differenti aree, pur essendo occupate dallo stesso gruppo etnico. I domini del nord erano storicamente caratterizzati dalla forte presenza dei capi mangbetu (Nangazizi era un centro politico importante durante il regno) e dalla forte contrapposizione con gli Zande insediati lungo gran parte del confine del dominio. La pregnanza del potere politico mangbetu e la vicinanza dei nemici zande ha favorito una notevole chiusura nei confronti dei gruppi confinanti e un’attenzione particolare nel mantenere un’identità esclusiva del gruppo di lingua mangbetu. Nel sud la situazione era nettamente diversa: in primo luogo si trattava della periferia di un regno il cui punto debole era la scarsa centralizzazione e quindi si avvertiva una minore esigenza di insistere sulla comune identità mangbetu; in secondo luogo, le frequenti interazioni con i Balika, i Babudu e i Pigmei Asoa portarono a notevoli aperture verso l’esterno rispetto ai confini politici e culturali del dominio medje-mangbetu. Il rito di circoncisione – il quale è pur sempre un rito di passaggio caratterizzato da una specifica progettualità su come debba essere o debba agire un uomo – viene influenzato nell’azione e nei suoi significati dalla forza del potere politico collocato al centro della società, nonché dalla natura delle interazioni e dei contatti con coloro che stanno oltre ai confini del gruppo.

Quando il centro è debole e i vicini propensi al contatto, allora il terreno diventa favorevole alle alleanze e all’imporsi di riti incentrati sull’alleanza: le alterità penetrano nei progetti esclusivi di costruzione degli esseri umani (come i riti puberali) scardinandoli e mutandone il senso e la morfologia.

7. La circoncisione e la colonia

Viaggiare nella foresta di alleanze ha permesso di verificare come anche il rituale – comportamento ripetitivo e standardizzato in cui la rigidità formale e concettuale sono considerate costitutive del rituale stesso – sia in realtà inserito nel flusso del mutamento, adattandosi e modellandosi nelle forme e nei significati. Nel rito, come più in generale nella cultura, ci sono elementi, azioni, significati che scompaiono, altri che permangono e si impongono, altri ancora che emergono, si mescolano e si trasformano. Da questo punto di vista, il rituale della circoncisione – interpretato di solito come un rito che trasforma l’individuo in un essere adulto – diventa ancora più interessante, in quanto, se è vero che il rituale in questione è un meccanismo relativamente rigido che con il passare delle generazioni viene utilizzato per «formare» e per «trasformare» gli individui secondo una determinata idea di umanità, è altrettanto vero che gli individui trasformano i rituali (di circoncisione) in conseguenza dell’emergere di nuove idee di umanità o dell’impossibilità di preservare e ribadire la propria concezione dell’uomo. È in questi termini che occorre interpretare l’incremento della pratica del noutu (intesa come alleanza tramite la circoncisione) fra i Medje-Mangbetu del sud e l’influenza che ha esercitato sui riti di iniziazione budu e lika.

In altre parole, dopo aver visto che un determinato stile di circoncisione incentrato sull’alleanza si è imposto in un’area a causa dei contatti fra gruppi differenti, occorre riflettere sul perché l’incontro fra l’iniziazione di foresta e l’alleanza con il sangue dei gruppi di lingua sudanese abbia portato alla scomparsa dell’iniziazione e all’imporsi dell’alleanza.

Gran parte degli informatori sottolineano che con l’arrivo dei bianchi si conclusero i conflitti fra gruppi differenti, e gli scambi e i contatti aumentarono sensibilmente. Lo stesso rituale di circoncisione – sia esso il noutu, l’égonye o l’imuuso – risentì della nuova situazione. Alcune caratteristiche dei percorsi iniziatici inseriti in determinati rituali, fra i quali i riti di passaggio all’età adulta, furono considerate dai nuovi amministratori non conformi al progetto coloniale. In primo luogo, la segretezza con cui veniva insegnato il sapere iniziatico dava adito a dubbi sui contenuti e sugli scopi di tali riti, interpretati se non come atti sovversivi almeno come pratiche inutili e immorali. In secondo luogo, il tentativo di civilizzare anche attraverso il sistema educativo e scolastico occidentale trasformava le «scuole di villaggio» connesse ai riti di iniziazione in istituzioni selvagge finalizzate alla trasmissione di un sapere spesso neppure considerato come tale. La colonia, piuttosto che opporsi con forza al proseguimento di tali rituali, impose l’obbligo di frequentare le proprie scuole, impedendo in tal modo che i bambini potessero trascorrere il lungo periodo di reclusione in foresta. La mancanza di tempo libero dagli obblighi imposti dalla colonia (il lavoro nelle piantagioni per gli adulti e la frequenza scolastica per i bambini) sono i motivi maggiormente addotti dai Balika e dai Babudu intervistati per spiegare la scomparsa dell’iniziazione tradizionale.

Un altro fattore che contribuì a determinare il progressivo abbandono dei riti di iniziazione fu la riorganizzazione territoriale e amministrativa (Ndaywel È Nziem 1997: 369-78), la quale stravolse gli antichi domini indebolendo notevolmente i centri politico-culturali tradizionali (i capi, i clan, le gerarchie fra villaggi ecc.). Nel 1931, il governatore della Provincia Orientale esprime tutti i suoi dubbi sulla capacità delle società indigene di adattarsi ai nuovi raggruppamenti territoriali che i responsabili amministrativi stanno faticosamente ideando. In quegli anni la riorganizzazione del territorio si complica notevolmente e dopo una prima frammentazione in chefferies, attenta a preservare le divisioni tradizionali, si opta per la creazione di ampi «settori» che, pur estendendosi al di là delle unità territoriali indigene, sembrano più appropriati a essere amministrati (Moeller 1931: 54-55). Le identità collettive non avevano più riferimenti territoriali e politici attorno a cui far orbitare e organizzare la formazione dei giovani in conformità ai valori e all’esclusività del gruppo.

Oltre alla riorganizzazione territoriale, occorre tenere conto dell’impatto sulla popolazione dei programmi agricoli per lo sviluppo economico e sociale della colonia (Ministère des Colonies 1949), nell’ambito dei quali una grande quantità della popolazione della Provincia Orientale del Congo Belga fu soggetta a spostamenti o assistette passiva alla riorganizzazione dei propri insediamenti rurali. Per favorire la produzione agricola e le estrazioni minerarie, già a partire dai primi anni della colonia fu emanata una legge-ordinanza sul «lavoro di ordine educativo» attraverso cui si obbligavano gli uomini adulti e validi a lavorare per incrementare la produzione e in tal modo familiarizzarsi con l’economia di mercato (Drachossoff et al. 1991: 653). Ci fu una vera propaganda per la massimizzazione della produzione agricola, in particolare nei territori medje-mangbetu adatti allo sviluppo di piantagioni di caffè, cacao, cotone e palme da olio (Lacomblez 1918), a dispetto degli indigeni da sempre dediti alla caccia e che ancora oggi si considerano coltivatori poco entusiasti. Molti villaggi furono creati ex novo o spostati lungo le vie di comunicazione (strade e fiumi) per esigenze essenzialmente commerciali, mentre una grande quantità di manodopera fu invitata a trasferirsi nei pressi delle nuove piantagioni10.

Il rapporto fra i mutamenti sociali connessi alla modernizzazione e il destino dei riti di iniziazione è il tema centrale di un interessante saggio di Shohei Wada sui cambiamenti nella pratica della circoncisione fra gli Iraqw della Tanzania settentrionale (Wada 1992). Pur considerando il fatto che il declino di tali riti iniziò inesorabilmente con l’avvento dell’amministrazione coloniale11, l’analisi si concentra sulle politiche adottate dal governo tanzaniano nei primi anni Settanta. Anche in questo caso, la riorganizzazione della struttura dei villaggi attraverso l’incoraggiamento della coabitazione interetnica e la riforma agricola basata sul sistema denominato Ujamaa portarono inevitabilmente alla scomparsa nel 1974 dei riti iraqw di circoncisione collettiva. L’ope­razione in quanto tale perdurò attraverso l’ospedalizzazione dei singoli bambini, ma ciò che scomparve fu la collettività del rito e l’iniziazione ai valori di un gruppo invitato a formare le nuove generazioni guardando all’identità nazionale piuttosto che all’identità iraqw.

Dinamiche simili possono essere ricondotte alla riorganizzazione del Congo Belga. Le nuove strategie di gestione del territorio e di produzione incisero irrimediabilmente sul senso di appartenenza e quindi sull’identità delle nuove generazioni. In una tale situazione i tradizionali percorsi iniziatici persero il proprio scopo e valore.

Quando i bianchi sono arrivati hanno creato le piantagioni e ci furono persone di altri gruppi che arrivarono per lavorare. Ci furono Balika e Babudu che lasciarono le loro terre per venire a lavorare nelle piantagioni e i bianchi volevano che si andasse tutti d’accordo. Si incominciò a dire: – ecco siamo qui che non è casa nostra e dobbiamo vivere in pace, allora facciamo noutu (Maimbo Victor).

Mentre la logica dell’iniziazione tradizionale crollava sotto la colonia, si andava diffondendo fra la popolazione l’esigenza di creare rapporti fra famiglie che andassero al di là dell’appartenenza clanica o etnica. Il riadattamento della pratica della circoncisione all’interno di una logica di alleanza, che in molti casi diventa urgente e necessaria (si pensi alla riorganizzazione territoriale, allo spostamento di manodopera e al mutuo soccorso nei nuovi campi di lavoro o nei nuovi agglomerati rurali), pare esser stata una ragionevole possibilità per gli abitanti della regione e per la forza lavoro immigrata da altre zone della colonia.

Nel periodo delle piantagioni ci furono molti nékutu [noutu in mangbetu] con stranieri. Ricordo di un Muboa che è venuto qui a lavorare e ha fatto nékutu nella piantagione; anche i Lokele [un gruppo etnico i cui territori si trovano nei pressi di Kisangani] sono venuti qui a lavorare nelle piantagioni e hanno fatto nékutu con la gente del posto (Ongoro Neibese, chef de localité a Magbengi).

I Balika e i Babudu con i quali ho conversato sono concordi nel porre in relazione l’arrivo dei bianchi con il passaggio dalla logica dell’iniziazione tradizionale a quella dell’alleanza. Meno dimostrabile è il fatto che i Medje-Mangbetu abbiano «metabolizzato» la circoncisione nell’ambito dello scambio di sangue proprio in seguito ai contatti con i gruppi di foresta; infatti solo alcuni informatori sostengono che, risalendo soltanto di poche generazioni, la circoncisione non era affatto una pratica generalizzata fra i Medje-Mangbetu. Questo può essere spiegato dal fatto che la circoncisione – se fosse una pratica diffusasi fra i Medje-Mangbetu solo dopo la penetrazione nella foresta congolese – sarebbe diventata un’altra forma di patto di sangue, cioè sarebbe appunto stata assorbita in una pratica già esistente e probabilmente già denominata noutu: la circoncisione sarebbe una versione più recente di una pratica tradizionale (di cui non si è tramandata l’eventuale origine straniera).

In ogni caso, ciò che si verificò nei primi anni della colonia furono l’ampia diffusione dell’alleanza tramite la circoncisione e il declino di percorsi iniziatici. La situazione coloniale, con gli stravolgimenti psicologici e sociali che creò, non favorì la trasmissione di generazione in generazione delle locali e specifiche idee su cosa e come debba essere l’uomo. Tali idee di umanità contenute e veicolate attraverso elaborati rituali di iniziazione furono travolte da altre idee di umanità che, pur essendo anch’esse locali (figlie della rivoluzione industriale dell’Occidente), venivano esportate con forza e convinzione nel nome di un progresso unilineare e universale.

In questa turbolenza sociale, politica e culturale, il noutu – presentandosi come una pratica caratterizzata dalla mancanza di segreti e di saperi iniziatici, che coinvolgeva singole famiglie e non interi villaggi, non poneva questioni di identità «tribali» e bene si adattava alle nuove esigenze di una popolazione sradicata – si impose come meccanismo di alleanza capace di coinvolgere individui appartenenti a gruppi eterogenei.

Nel capitolo successivo si cercherà di dimostrare che il passaggio dall’iniziazione all’alleanza o, in altre parole, il diffondersi del noutu come alleanza tramite la circoncisione non è un completo abbandono di ogni idea su cosa e come debba essere l’uomo. Anche il noutu, pur non potendo essere considerato a pieno titolo un rito di iniziazione alla vita adulta in cui l’individuo viene trasformato in base a un determinato progetto di umanità, esprime un disegno antropo-poietico peculiare e particolare di una determinata cultura in una specifica fase storica.

1 Armand Hutereau, nel volume del 1909 che contiene le prime note etnografiche sui gruppi mangbetu, considera il patto di sangue un’istituzione diffusa e importante mentre dedica solo un accenno all’esistenza della circoncisione (1909: 67-68).

2 Si veda la monografia sui Mangbetu di Van Overbergh e De Jonghe (1909) che è in realtà una raccolta di brani tratti dai diari e dai resoconti dei primi viaggiatori: Junker, Casati, Burrows, Christiaens, Emin Pasha, Schweinfurth e altri.

3 Lobho Lwa Djugudjugu, analizzando il patto di sangue (omukago) presso i Bahema e i Walendu del Congo nord-orientale, sostiene che l’istituzione della fratellanza di sangue non è riconducibile neppure alla parentela ma all’affinità. L’omukago sarebbe una forma di alleanza impiegata in sostituzione ai rapporti cognatizi (Djugudjugu 1980: 132).

4 Per ciò che concerne l’Africa sub-sahariana si possono annoverare eccellenti lavori antropologici sui rituali di iniziazione (es. Turner 1976: 187-327; Vidal 1976; Droogers 1980; De Mahieu 1985; Muller 1989). Il libro magistrale di Audrey Richards (1956) sull’iniziazione femminile presso i Bemba «resta, ancora oggi, un modello di genere, malgrado, paradossalmente, si occupi dell’iniziazione femminile in un continente dove si accorda più importanza all’iniziazione dei ragazzi che a quella delle ragazze» (Muller 1989: 9).

5 Sono gli stessi Pigmei a denominare «neri» (nombibari) gli abitanti dei villaggi bantu, sudanesi e ubangiani con cui interagiscono e con i quali spesso condividono determinate aree forestali.

6 Oltre ai Bapopoi, i gruppi di lingua mangbetu (famiglia sudanese centro-orientale) che si sono maggiormente spinti all’interno del bacino del Congo sono gli Abelu e i Lombi. Per ciò che concerne i riti di circoncisione, sui primi non sono in possesso di alcun dato, mentre riguardo ai secondi sembra che abbiano assimilato i riti di iniziazione dei Bakomo con alcune influenze di origine bali (Van Geluwe 1956: 90-91).

7 Delhaise-Arnould riporta un breve dizionario francese-kipopoi (1912: 177-82) in cui si cita solo il patto di sangue (o-ê) e non il termine «circoncisione».

8 La divergenza fra i Medje-Mangbetu del nord e quelli del sud per ciò che concerne il significato e la pratica del noutu non è l’unico caso in cui gruppi definiti a partire da una presunta uniformità etnica presentano differenze sostanziali nelle proprie istituzioni legate alla circoncisione. Pur restando nella regione delle alte terre del nord-est del bacino congolese, è possibile riportare alcuni casi significativi, come per esempio la differenza fra i Babira della pianura, i quali non praticano la circoncisione, e i Babira della foresta, le cui donne rifiutano di sposare un non-circonciso; oppure il caso dei Bakomo di Kisangani e i Bakomo di Lubutu, i cui rispettivi riti di circoncisione si differenziano notevolmente (Van Geluwe 1956: 82-90).

9 In relazione al rapporto fra noutu e matrimonio, il Padre comboniano Giuseppe Di Gennaro descrive il patto di sangue fra i Mangbetu nella zona di Rungu (villaggio sulle rive del Bomokandi) denominato nékutu (noutu in mangbetu). Si tratterebbe di uno scambio di sangue fra marito e moglie per promettersi fedeltà e per impedire un’ipotetica separazione futura (Di Gennaro 1980: 80-83). Questa versione del patto di sangue non è conosciuta fra i Medje-Mangbetu del sud: solo alcuni informatori affermano di averne sentito parlare pur considerandola una pratica inesistente nei loro villaggi.

10 Sulle modalità con cui i colonizzatori imposero fra i nativi una nuova idea di lavoro e di produzione, si vedano Samarin (1989) e Likaka (1995).

11 Il declino dei riti di circoncisione nel periodo coloniale comporta spesso una rielaborazione delle proprie tradizioni e della propria identità. Karen Middleton (1997), per esempio, mostra come fra i Karembola del Madagascar meridionale, l’essere incirconcisi assume importanti significati culturali connessi alla storia del gruppo.