Gli uomini subiscono l’eredità del passato e [...] l’adattano in un progetto per il futuro. Così Poma percepisce il mondo coloniale attraverso le tradizionali categorie indigene e legittima il ritorno a un ordine primordiale.
Nathan Wachtel, La visione dei vinti
Non di rado mi sono chiesto perché mai a partire da un certo momento del mio soggiorno sul campo iniziai insistentemente a fare domande sul nebeli, la società segreta della regione. Per tranquillizzare il lettore sull’attendibilità e validità delle mie connessioni e dei miei percorsi di ricerca dovrei fornire una risposta chiara, logica e razionale, tuttavia, mi capita – soprattutto nelle vesti di antropologo – di maneggiare i pensieri e le riflessioni come fossero fili e corde: li stendo, li tiro, li annodo, li raggomitolo, li raccolgo e spesso, molto spesso, li aggroviglio. Poi succede che davanti a incredibili grovigli, prima di innervosirmi, rimango meravigliato e mi chiedo appunto in che modo si siano velocemente creati nodi così complessi e inestricabili.
La ricerca sul campo vuol dire anche fare i conti con i grovigli e con la meraviglia, e nei giorni in cui si è entusiasti e fiduciosi i grovigli diventano reticoli e la meraviglia la si intende nel senso fornito da Platone nel Teeteto: l’atto che suscita l’amor di sapienza.
Tornando alle società segrete e considerato che per gli antropologi i dialoghi con gli indigeni sono più importanti dei dialoghi platonici sono convinto che furono i miei collaboratori e gli informatori, durante le nostre chiacchierate sulla foresta, sui termitai e sulle alleanze, a condurmi lentamente e più o meno involontariamente verso le società segrete. Come si vedrà in questo capitolo è in foresta che si radunano i membri del nebeli, è verso un termitaio che l’adepto alla società segreta deve strisciare durante l’iniziazione ed è proprio un’alleanza al di là della parentela ciò che si crea.
Quando Banda Charles, un informatore del villaggio di Egbunda, incominciò a parlarmi di società segrete e di circoncisioni, la meraviglia nei confronti di quel nodo inestricabile aumentò sensibilmente:
Il nebeli è una specie di alleanza come il noutu. Se c’è uno Zande o un Budu del nebeli che viene qui deve necessariamente avere contatti con colui che qui è del nebeli. Trascorrerà la notte nella casa di chi come lui fa parte del nebeli. È un’alleanza che non tiene conto delle tribù.
Ancora una volta, l’idea dell’alleanza «al di là della parentela» si impone nella descrizione delle relazioni sociali medje-mangbetu. Infatti, prima ancora di apparire come un’unità sociale chiusa, il nebeli viene presentato dagli stessi indigeni come un meccanismo di apertura al di là dei confini della parentela, come un modo particolare per «mettere insieme» individui non parenti. Alla luce di ciò pare importante connettere il noutu al nebeli evidenziando le analogie e le differenze, consapevoli di ampliare ulteriormente gli orizzonti di una riflessione indigena sul concetto di alleanza, in cui i processi antropo-poietici si intrecciano a tentativi koino-poietici.
La connessione fra riti di circoncisione e società segrete risulta evidente proprio in relazione ai processi antropo-poietici messi in atto in determinate culture. Infatti in alcuni contesti etnografici dopo essere diventati uomini attraverso i riti di iniziazione alla vita adulta è possibile diventare uomini perfetti o comunque rientrare in una categoria di individui dotata di poteri, capacità e prestigio particolari come è il caso dei membri delle società segrete1.
L’appartenenza a una associazione segreta può essere interpretata come il raggiungimento di un ulteriore stadio del proprio processo antropo-genetico. Un caso emblematico è l’adesione alla società koro fra i Minyanka dell’Africa occidentale (Colleyn 1975): appartenere a tale «confraternita» vuol dire raggiungere il limite ultimo della perfettibilità umana e l’iniziazione al koro è inseparabile dall’accesso allo status di maschio adulto: infatti solo i circoncisi possono farne parte e nei villaggi dove esiste il koro tutti i maschi adulti non iniziati sono considerati donne.
Come giustamente sottolinea Edouard De Jonghe, «le società segrete indigene [dell’Africa] sono società chiuse, piuttosto che società realmente segrete. I profani conoscono gli adepti; sanno dove e quando questi si radunano, ma ignorano ciò che si dicono e ciò che fanno durante le riunioni» (De Jonghe 1923: 388). Di solito queste associazioni si presentano come unità sociali all’interno di gruppi umani più ampi; anzi, l’esistenza e la forza di una società segreta dipende dal fatto che molti membri della popolazione in cui è inserita non vi aderiscono.
Nei primi decenni dell’occupazione belga in Congo, le cosiddette società segrete (molte di esse costituite da poco o addirittura in concomitanza all’arrivo dei bianchi) furono oggetto di interesse per molti amministratori coloniali e studiosi, in quanto apparivano e non di rado agivano come associazioni sovversive e xenofobe oppure come movimenti profetici ispirati da interpretazioni fantasiose dell’Antico Testamento e incentrati sulla rivincita dei neri oppressi (De Jonghe 1936, Comhaire 1955). Fin dai primi resoconti etnografici apparve estremamente difficile racchiudere le differenti società segrete del Congo in un’unica tipologia; tali istituzioni infatti si differenziavano per struttura, scopi e funzioni. Alcune associazioni potevano essere assimilate a sette religiose: è il caso delle società segrete kimba e kimpasi, la prima diffusa nella regione del Mayombe, la seconda originaria dell’Angola settentrionale e diffusasi soprattutto fra i Bakongo (Duysters 1924). La società segreta dei Lega e dei Bembe, denominata bwami, e l’associazione degli uomini leopardo (aniota) dei Babali (Bouccin 1936) avevano uno scopo prettamente politico2, mentre appartenere alla società segreta di origine zande denominata mani (Evans-Pritchard 1931, Windels 1940) significava incrementare la propria forza e ricchezza. Quando gli europei arrivarono nel bacino del Congo, alcune associazioni segrete erano in pieno declino – come la società babende presso i Bakuba (De Jonghe 1923: 395) – mentre altre stavano emergendo e imponendosi su ampi territori (è il caso della società indongo della regione dell’Equatore).
Rispetto alla prospettiva adottata in queste pagine, tendente a evidenziare congiuntamente l’antropo-poiesi e la koino-poiesi, risulta particolarmente interessante suddividere le associazioni segrete o chiuse in due categorie:
a) esistono società segrete che si connettono ai rituali di iniziazione alla vita adulta, in quanto rappresentano un’ulteriore specificazione nel processo antropo-genetico di ogni singolo individuo. L’appartenenza a una società segreta è riservata a coloro che sono già stati iniziati come uomini e che desiderano – attraverso un’iniziazione supplementare – specificare ulteriormente una personale ed esclusiva identità. In tali società è facile che siano ammessi soltanto individui con particolari caratteristiche (es. maschi adulti e circoncisi) e che la società stessa si diffonda solo su un territorio circoscritto e abitato da un unico gruppo etnico o da più gruppi aventi forti analogie culturali. Rientrerebbero in questo raggruppamento la già citata società koro dei Minyanka e in un certo senso l’associazione degli uomini leopardo (aniota) probabilmente connessa al mambela (il rito di iniziazione dei Babali);
b) altre società segrete sembrano invece svincolate dai riti di iniziazione alla vita adulta e l’appartenenza ad esse non è il raggiungimento di un’ulteriore tappa nel processo antropo-genetico. Le associazioni che rientrano in questo raggruppamento non sono solitamente riservate a una categoria specifica di persone determinata dal sesso, dall’età o dallo status sociale. Inoltre è raro che tali società segrete si diffondano soltanto entro i confini etnici di un gruppo. In questa categoria si possono annoverare la società di origine zande denominata mani, la società butwa diffusa in tutto il Katanga e nello Zambia settentrionale (Anon 1948, Musambachime 1994) e il nebeli, l’associazione segreta diffusasi nei domini mangbetu.
Le società mani, butwa e nebeli, oltre a essersi diffuse ovunque a partire dalle alte terre dell’est (rispetto al bacino interno del fiume Congo), sono accomunate dal fatto di avere adepti di entrambi i sessi e di tutte le età, di essere svincolate da ogni altra forma di iniziazione «tribale», di orbitare intorno ai valori della forza e della ricchezza personale, di intrattenere rapporti di mutuo soccorso che trascendono la famiglia, i vincoli clanici e i confini etnici, favorendo così un’ampia diffusione della stessa istituzione.
Nei territori occupati dai Medje-Mangbetu del sud sembrerebbe che la società segreta nebeli sia ancora diffusa fra la popolazione indigena, la quale – in considerazione delle caratteristiche sopra espresse – considera tale istituzione una forma particolare di alleanza per alcuni aspetti simile al noutu.
Le interviste che ho svolto sotto il négbámú con i locali non erano tutte uguali; quando le domande passavano dal noutu al nebeli era palpabile la paura e l’attenzione nel rispondere in modo appropriato. La prima volta che mi recai da Banda Charles, un notabile del villaggio di Egbunda e grande conoscitore del nebeli, rischiai quasi di essere cacciato in malo modo; non era facile parlare del nebeli, molti informatori, nel farlo esigevano la massima discrezione e l’anonimato. In tale situazione è inevitabile che i dati raccolti direttamente sul campo risultino parziali, frammentari e particolarmente «filtrati» e contribuiscano solo in parte a ricostruire un fragile mosaico. Malgrado ciò, diversamente dalle tematiche concernenti il noutu, è stato possibile arricchire il mosaico con preziose informazioni inerenti il nebeli contenute in alcune fonti scritte e basate su dati raccolti in differenti aree in un arco di tempo abbastanza ampio. Il fatto di disporre di informazioni raccolte in territori distanti fra loro e occupati da differenti gruppi etnici e di poter confrontare tali notizie con i dati raccolti sul terreno permette di evidenziare alcuni elementi che significativamente ritornano nelle varie ricostruzioni e nelle interviste effettuate durante i miei soggiorni, in modo tale da fornire un quadro il più possibile corrispondente a ciò che presumibilmente avveniva e ancora avviene nelle riunioni segrete degli appartenenti al nebeli.
La maggior parte delle società segrete del Congo (fra le quali il nebeli) nascono attorno a un potente ritrovato capace di soddisfare i desideri dei membri dell’associazione conferendo salute, fortuna, potere, vendetta ecc.
Uno stregone pretende di avere scoperto un rimedio nuovo, molto più potente di tutti gli altri [...]. Questo si propaga con una rapidità straordinaria. Tutti i villaggi che l’adottano pagando, cercano di passarlo al villaggio vicino facendosi pagare (De Jonghe 1936: 56).
La società segreta sembrerebbe nascere soltanto in un secondo momento, quando gli adepti, sempre più numerosi, sentono l’esigenza di organizzarsi.
Il nebeli appare inizialmente connesso ai ritrovati «magici» dei pescatori che vivono lungo il Uele e in particolare alla lotta di tali popolazioni contro gli spiriti che abitano i corsi d’acqua; il legame fra il nebeli e i fiumi è confermato da una breve ed esplicita allusione al «nebeli delle acque» contenuta nel racconto di viaggio dell’esploratore italiano Gaetano Casati (1891: 96). I primi riferimenti al nebeli riportati dalla tradizione orale sono legati alle vicende che videro il re mangbetu Nabiembali fronteggiare la rivolta di schiavi capeggiati da Dakpala, uno schiavo matchaga che riuscì a imporsi nei territori settentrionali del regno mangbetu fondando una propria dinastia (Denis 1961). I Matchaga sconfissero i Mangbetu con l’aiuto del ritrovato magico denominato nenzula (il più importante del nebeli) che una donna bangba-baya riuscì a somministrare a Nabiembali riducendone la forza (Schildkrout e Keim 1990: 190). Anche Yangala (figlio dello schiavo fondatore della dinastia matchaga) utilizzò il nebeli contro il re Munza nel 1873 e per difendersi dai primi soldati inviati dal sovrano Leopoldo nel 1890. I successi militari dei Matchaga spinsero i capi mangbetu a introdurre nelle loro corti la pratica del nebeli; soltanto in un secondo tempo – durante gli anni della conquista coloniale – tale istituzione si diffuse in modo capillare fra la popolazione.
Gli studiosi che si sono occupati del nebeli sono concordi nell’identificarne la zona di origine nei territori settentrionali rispetto agli insediamenti medje-mangbetu: per Delhaise-Arnould (1919: 284) sono stati i capi abarambo, mangbetu e baboa ad aver creato la società segreta per opporsi all’invasione zande; secondo Lagae (1926: 123), il nebeli è apparso inizialmente fra i Mayogo per poi diffondersi fra gli Abarambo e gli Amadi, mentre è fra i domini di questi ultimi che sarebbe sorto secondo Philippe (1962: 98). Le interviste condotte direttamente sul terreno hanno confermato l’origine nei territori settentrionali e la lenta diffusione verso sud.
Un aspetto che accomuna l’evoluzione storica di molte società segrete è che la loro diffusione fra la popolazione avviene di pari passo con l’affermarsi del sistema coloniale. Infatti, indipendentemente dalla reale ricostruzione della diffusione del nebeli (e dei ritrovati magici abbinati ad esso), è particolarmente interessante notare che il diffondersi capillare della società segreta coincide con l’arrivo degli europei. Se il punto di partenza è la credenza nella forza di una determinata sostanza dotata di poteri particolari, il punto di arrivo è un’organizzazione chiusa e diffusa in modo capillare sul territorio (in alcuni casi affiancata dai capi indigeni, in altri contrapposta al potere politico), la quale si trasforma in associazione «segreta» nel momento in cui viene osteggiata dai nuovi amministratori coloniali e vista come una risposta sovversiva al nuovo sistema imposto.
L’ipotesi di questa evoluzione – comune a molte delle cosiddette società segrete – che conduce dal ritrovato magico all’associazione chiusa e in ultimo alla società segreta in risposta al potere coloniale è condivisa, oltre che da Edouard De Jonghe (1936), anche da Evans-Pritchard, il quale considera l’affermarsi della società segreta mani fra gli Azande una reazione al colonialismo che ha origine nella «detribalizzazione dei nativi» (1931: 107). Le dinastie che regnavano nella regione, prime fra tutte quelle degli Avungara e dei Mangbetu, furono inizialmente contrarie all’affermarsi di associazioni chiuse e presunte potenti, in quanto si inserivano nel tessuto sociale come possibili forme di contropotere. Con l’affermarsi dell’amministrazione coloniale i capi riabilitarono e utilizzarono le società segrete per mantenere e perpetuare il loro potere irrimediabilmente compromesso e reso sterile dai nuovi dominatori; ciò sembra essere accaduto in particolare nei domini dei Medje-Mangbetu del sud (Schildkrout e Keim 1990: 191). Riguardo al rapporto fra potere politico e società segrete, Lanciné Sylla (1980: 95) sostiene che, in assenza di veri e autorevoli capi politici capaci di mantenere l’ordine sociale attraverso una struttura centralizzata del potere, possono essere le stesse società segrete a colmare il vuoto politico, a mantenere la pace e comporre le dispute. Probabilmente anche durante gli stravolgimenti del periodo coloniale i capi e le popolazioni indigene hanno percepito il nuovo assetto politico-amministrativo come un annullamento del tradizionale ordine politico e in tal modo si spiegherebbe il massiccio ricorso a nuovi meccanismi di controllo sociale autoctoni come le società segrete. Le strutture socio-politiche tradizionali (il potere dei clan, i tentativi di centralizzazione delle singole Case) e la contrapposizione più o meno conflittuale fra differenti domini inibivano alternative koino-poietiche, mentre la nuova pax belgica e l’imposizione dall’alto di un nuovo ordine sociale favoriva lo sviluppo di forme associative indigene interetniche, che diventavano segrete nel momento in cui assumevano un atteggiamento xenofobo e anti-coloniale. La forza politica del nebeli come nuova forma di alleanza traspare chiaramente dalle parole di De Calonne-Beaufaict:
[il nebeli] ingloba non soltanto tutti i guaritori e i capi delle popolazioni del distretto del Uele, dell’alto Ituri e di una parte dell’Aruwimi, ma interessa già attualmente i distretti dei Bangala e dell’Ubangi. La maggioranza del personale indigeno in servizio nelle postazioni degli Europei di questa regione è iniziata. Tutto ciò spiega come alcuni capi Baboa siano in relazione continua con certi capi Abarambo, Mangbetu e Azande, a distanze sovente superiori ai seicento chilometri e che un tempo consideravano nemici, o ignoravano completamente (1909: 395).
Quello che preme sottolineare è che – analogamente all’evoluzione del noutu, in cui si assiste alla «metabolizzazione» dell’iniziazione in una forma di alleanza i cui confini trascendono le appartenenze claniche ed etniche svuotate e rese sterili dal nuovo ordine coloniale – anche nell’evoluzione del nebeli si osserva l’affermarsi di un meccanismo di alleanza, un nuovo modello per mettere insieme e tenere uniti una pluralità di individui. Il noutu e il nebeli sono risposte collettive, plurali, che emergono da uno scenario in cui le antiche appartenenze sono svuotate di ogni senso e di ogni effettiva pregnanza.
I racconti sul nebeli conducono in foresta, lontano dagli insediamenti e da sguardi indiscreti. Nascosto nella vegetazione c’è il recinto, denominato nébasa, dove si radunano gli adepti della società. Secondo Banda Charles, ogni groupement ha il suo nébasa e in ogni zona della regione i nebelisti3 hanno un proprio luogo per le riunioni. L’abbinamento di ogni unità amministrativa (il groupement) con un nébasa – benché non mi sia stato confermato da altri – appare un’informazione interessante al fine di comprendere come il nebeli venga percepito alla stregua di una società parallela all’interno dell’organizzazione socio-politica ufficiale.
Dai dati raccolti non esisterebbe una gerarchia o una sorta di coordinamento fra le varie ébasa, e i contatti fra gli aderenti al nebeli di zone diverse sarebbero lasciati alle iniziative dei singoli, mentre esisterebbe una gerarchia interna a ogni singolo nébasa. De Calonne-Beaufaict (1909: 394) suddivide gli appartenenti al nebeli fra i Baboa in due categorie: i capi «completamente iniziati» (amenzia) e il resto degli adepti (madzogo), mentre tutti coloro che si trovano fuori dalla società sarebbero denominati mambambu. Delhaise-Arnould (1919: 285) riporta una suddivisione più articolata comprendente cinque categorie di nebelisti fra cui i capi (lubasa), i soli che possono costruire un nuovo nébasa, che possono accendere il fuoco sacro, indire riunioni, dirigere i rituali. Abule Abuotubodio (1994: 32), riporta la gerarchia del nebeli secondo Mazambula Toto, Chef de groupement Ambuma, intervistato a Mopina nel 1993: i responsabili del nébasa e delle cerimonie sono chiamati lubasa, i neofiti djakangbele e i finalisti dimando. Ad eccezione del termine lubasa, connesso in quasi tutte le fonti ai capi e ai più alti dignitari del nebeli, non c’è accordo fra le diverse fonti per ciò che concerne il resto della gerarchia, la quale sembrerebbe – escludendo la ricostruzione di Delhaise-Arnould, per altro non confermata in altre fonti e interviste – una diversificazione fra i differenti gradi di iniziazione alla società più che una vera gerarchia.
L’idea della società chiusa incentrata su un potente ritrovato (denominato di solito nzula) viaggia nel tempo e nello spazio adattandosi alle differenti società in cui trova fortuna. In modo analogo, l’organizzazione interna al nébasa e tutto il percorso iniziatico al nebeli non si presenta uguale nei vari gruppi: tutt’al più – come si è già visto analizzando il noutu – emergono elementi ricorrenti e una sorta di canovaccio rituale comune. Consapevoli del limite di un procedere comparativo teso a definire esclusivamente il «nocciolo strutturale» (Scarduelli 1992: 83-92) senza valorizzare le differenze, si ritiene comunque opportuno ricostruire un quadro (forse più ideale che reale) di ciò che avveniva nelle varie ébasa nascoste in foresta al fine di permettere un successivo confronto con il noutu. In altre parole, se la scarsità di informazioni non consente di valorizzare le differenze regionali del nebeli, si ritiene proficuo introdurre una sufficiente quantità di elementi in modo da fare emergere successivamente somiglianze e differenze fra le due forme di alleanza (noutu e nebeli).
In un volume di inizio secolo della rivista «Onze Kongo» è riportata una foto che ritrae parzialmente un luogo di riunione del nebeli (Bauwens 1913-14); ciò che si vede è soltanto una parte del recinto che separa lo spiazzo per le danze dalla foresta circostante. Nel centro del recinto si dovrebbe trovare un grande edificio rettangolare nel quale, durante le riunioni prendono posto, in posizione elevata, i più alti dignitari del nebeli denominati in molte fonti lubasa o semplicemente «costruttori» e gli altri membri della società (De Calonne-Beaufaict 1909: 394; Philippe 1962: 98). Nell’edificio è collocato un fuoco sacro mantenuto sempre acceso dalla sola coppia che vive stabilmente nel nébasa. I due addetti al fuoco (diriane) restano in carica per alcuni anni prima di venire sostituiti da altri (Lagae 1926: 124). Delhaise-Arnould sostiene che il nebeli in realtà è il fuoco sacro situato nel mezzo del nébasa:
Il nebeli è un fuoco sacro. Non può avere origine da un fuoco profano, ma solo da un altro. Si può ottenere solo sfregando due bastoni di nakase, a meno di prenderlo da un altro fuoco sacro. Non può mai spegnersi, se succede il costruttore del tempio morirà. Non lo si può utilizzare per alcuno scopo profano (1919: 289).
Nei pressi della grande costruzione è riservato uno spazio ai musicisti e ai limiti del recinto vengono costruiti dei ripari destinati ai novizi. In alcune fonti si parla di una piccola capanna collocata nei pressi del grande edificio, secondo Delhaise-Arnould (1919: 287) contenente non precisati feticci, secondo Abule Abuotubodio (1994: 32) e un informatore di Egbunda che desidera mantenere l’anonimato, un corpo umano mummificato. In una zona non precisata del recinto – probabilmente in corrispondenza di una apertura verso la foresta – si trova una breve galleria costruita con materiale vegetale e utilizzata per l’iniziazione dei nuovi adepti. Non è dato sapere la cadenza con cui si tenevano le riunioni, sicuramente ogni qual volta venivano iniziati al nebeli nuovi individui.
Al di fuori di tutte le cerimonie di ammissione, gli adepti si riuniscono frequentemente alla basa per danzare. Nell’occasione delle danze che si fanno sempre di notte, c’è solitamente una distribuzione di birra. Durante le danze non si percuote il gong come nelle danze ordinarie, ma ci si serve di cinque tamburi di diverse dimensioni (Lagae 1926: 124-25).
Tutte le fonti, comprese le interviste condotte sul campo, concordano nell’affermare che il reclutamento nella società nebeli avviene il più delle volte con la forza. Il candidato viene condotto in foresta nei pressi del recinto segreto e introdotto nella bassa galleria di frasche dove è lasciato solo per un po’ di tempo. Al momento opportuno viene immesso del fumo nella galleria e gli adepti incominciano a percuotere e a frustare il novizio costringendolo a percorrere la galleria fino al lato opposto ostruito da un grande termitaio appositamente bucato (Philippe 1962: 98, e fra gli informatori Amekote Evangéliste). Solo a questo punto il candidato può entrare nel grande edificio, dove il capo del nébasa lo attende attorno al fuoco sacro insieme agli altri adepti.
Là il capo stregone lo prende per la nuca e lo avvicina al fuoco, nel quale si è gettato del peperoncino indigeno e la radice nzuda. Dopo averlo stordito, soffocato e accecato, gli si spalma la medicina o dawa del negbo [sinonimo di nebeli], «medicina della forza» composta di sperma, di ngula e di nzuda (De Calonne-Beaufaict 1909: 394-95).
Prima di uscire dal nébasa, «i lubasa esortano il novizio a considerare i membri del nebeli come suoi propri fratelli» (Delhaise-Arnould 1919: 288-89); il capo dei lubasa «gli annuncia i doveri che dovrà mantenere nei confronti dei suoi fratelli, i castighi che lo attendono in caso di tradimento» (De Calonne-Beaufaict 1909: 394-95). La permanenza nel grande edificio può essere considerata la fase centrale dell’iniziazione, durante la quale l’adepto entra in contatto con gli elementi fondamentali della società del nebeli: 1) il fuoco sacro, 2) il ritrovato più importante, la «medicina della forza», 3) i suoi nuovi «fratelli». Come spiega chiaramente Amekote Evangéliste, «l’adepto esce trasformato dall’incontro con il capo del nebeli».
Il novizio, dopo esser stato condotto presso un corso d’acqua per «purificarsi» (Philippe 1962: 98), deve mangiare il cuore crudo di un pollo infilzato su un piccolo bastone conficcato nel terreno (Lagae 1926: 126). In base alle testimonianze disponibili è lecito supporre che i nuovi adepti siano sottoposti – durante le settimane di permanenza al nébasa – a ulteriori prove che variano secondo la regione. In base a ciò che scrive De Calonne-Beaufaict, l’iniziazione si conclude con la danza denominata liando, durante la quale il nuovo adepto deve partecipare a un coito rituale per procurarsi lo sperma necessario al confezionamento della medicina della forza. Malgrado non ci sia un accordo generale fra le fonti e gli informatori su quando avvenga il coito rituale nell’arco della sequenza dell’iniziazione, tutti sottolineano il carattere incestuoso di tale rapporto sessuale4.
Prima di lasciare il luogo dell’iniziazione e tornare alla propria abitazione, il nuovo aderente alla società del nebeli abbandona il suo vecchio nome per assumerne uno nuovo scelto dai lubasa; questi ultimi forniscono inoltre al nuovo adepto gli strumenti tipici del nebelista: il fischietto e un sacchetto contenente una determinata quantità di nenzula (sinonimi: nzula, nendura), la «medicina della forza».
Il fischietto e la medicina nenzula sembrano essere le «armi» più importanti dei nebelisti, benché non siano le uniche. In base a ciò che scrive Delhaise-Arnould (1919: 286), per diventare lubasa – la carica più alta all’interno dell’associazione – occorre conoscere le proprietà di tutte le piante della foresta, e in effetti molte medicine confezionate dagli uomini del nebeli conterrebbero una base vegetale. Tuttavia il fischietto e la strana sostanza rinchiusa in un sacchetto assicurato alla cintola rimangono gli strumenti principali. Il fischietto, «confezionato con il legno di un albero abitato dalle grandi termiti» (Philippe 1962: 98), verrebbe utilizzato per esercitare una vendetta e uccidere chiunque rechi offesa o danno al proprietario: è sufficiente fischiare tre volte e colpire l’avversario sulle braccia per assistere alla sua morte nell’arco di pochi mesi. L’utilizzo del fischietto all’interno del nébasa ne aumenterebbe l’efficacia, e la sola possibilità di salvarsi per la vittima sarebbe quella di entrare a far parte dell’associazione (Lagae 1926: 128).
La medicina nenzula – confezionata non solo durante il rituale di iniziazione ma in qualunque riunione dell’associazione – viene preparata con una serie di piante mescolate con sperma (o sangue mestruale) e olio di palma. La sostanza viene generalmente spalmata sul corpo della persona interessata o su determinati oggetti appartenenti o semplicemente utilizzati da tale individuo. Mentre il fischietto sembra essere un’arma esclusivamente offensiva, la medicina nenzula può essere usata sia contro qualcuno, sia per immunizzarsi e difendersi dai nemici.
All’interno dei villaggi e nelle famiglie si conoscono coloro che appartengono al nebeli e ci si rivolge ad essi per chiedere aiuto o per realizzare una vendetta. Il timore nei confronti degli adepti, e in particolare nei confronti dei ritrovati magici (primo fra tutti il nenzula) che vengono maneggiati e applicati su corpi e oggetti, emerge chiaramente quando un nebelista muore:
Se uno di loro muore è difficile che qualcuno non membro dell’associazione osi lavare il cadavere. Se nella zona non ci sono nebelisti allora verrà sepolto con tutti i suoi beni: pentole, abiti, utensili, sedie e altre cose. Nessuno esterno al nebeli vorrà utilizzare o toccare queste cose, se succede si avranno strane ripercussioni sulla propria vita fino a rischiare di morire. Nel villaggio c’era un vecchio del nebeli; quando è morto tutti i suoi beni sono stati messi sulla tomba e ancora oggi la sua parcelle non viene utilizzata (Anonimo).
Alla morte di un nebeliombie, la famiglia non ha alcun diritto di eredità, a patto che qualcuno nella cerchia dei parenti sostituisca il defunto all’interno del nebeli. In caso contrario, oltre alla mancata eredità occorre pagare un adepto dell’associazione affinché venga a eliminare dalla nébha del defunto tutto ciò che ha un rapporto con il nebeli. Come si può notare, anche dal modo in cui viene gestita la morte di un affiliato, l’appartenenza all’associazione non è un segreto; in ogni villaggio è probabile che i nebelisti siano conosciuti e utilizzino i propri poteri non solo per se stessi ma anche per soddisfare i desideri e le richieste di una vera e propria clientela solitamente alla ricerca di ricchezza, forza, salute e protezione contro i nemici.
Il nebeli è come un ospedale. Quando si hanno dei problemi si può andare da uno del nebeli e lui ti fa certe cose, così si ottiene quello che si vuole. Se sei militare e vuoi dei gradi in più, se sei malato, se non riesci in qualcosa, allora si può andare dagli uomini del nebeli. Mio padre aveva solo delle figlie ma qualche anno dopo essere entrato nel nebeli dalle parti degli Abarambo sono nato io, il primo figlio maschio. Una volta non era tanto diffuso perché non si conoscevano ancora bene i vantaggi e l’importanza del nebeli (Banda Charles).
Banda Charles è famoso nella zona come qualcuno che «conosce le cose del nebeli». Durante gli incontri che ho avuto con lui non ha mai affermato esplicitamente di essere un nebeliombie, ma non ha neppure mai detto nulla che potesse farmi pensare il contrario; anzi, in più di una occasione si è presentato come un grande conoscitore delle piante che utilizzano i nebelisti e inoltre – a differenza di quasi tutti gli altri informatori – non ha mai speso una parola di condanna o di disapprovazione nei confronti dell’associazione, sempre elogiata per gli intenti e l’importanza. Completamente diversi sono i giudizi contenuti nelle fonti scritte consultate, in cui l’immoralità, la violenza e la cupidigia dei nebelisti vengono sottolineate con forza. Sicuramente l’intento di amministratori coloniali come Delhaise-Arnould e di uomini di culto come il vescovo Lagae è quello di sminuire il valore morale e assistenziale dei nebelisti dipingendoli come un’associazione a scopo di lucro. Delhaise-Arnould (1919: 285-86) sostiene che la stessa carriera all’interno del nebeli sia determinata soltanto sulla base delle elargizioni in denaro o altri beni: le cariche verrebbero vendute, tranne che per i lubasa scelti sulla base della loro conoscenza delle piante di foresta. Dalle parole di Lagae parrebbe che anche la durata dell’iniziazione dei nuovi adepti, e quindi la loro permanenza al nébasa, siano determinate sulla base della quantità di denaro donato dagli iniziati ai lubasa, e sarebbe proprio la sete di denaro di questi ultimi a incentivare la ricerca di nuovi aderenti; «ecco, in effetti, uno dei principali scopi dei nebelisti: estorcere più denaro possibile. Se l’adepto non paga, non può lasciare il nébasa» (1926: 128).
La forza del nebeli non si manifesta soltanto attraverso l’uso offensivo e difensivo del fischietto, del nenzula e di altre «medicine», ma anche attraverso il ruolo svolto dall’associazione nella gestione del potere politico e giudiziario. Innanzitutto, chiunque venga sorpreso a divulgare i segreti del nebeli ai non iniziati verrà sottoposto a pene corporali e in alcuni casi, sembrerebbe, alla pena capitale. Secondo Lagae (1926: 129-30), le dispute che coinvolgono due appartenenti al nebeli vengono composte dai lubasa e non dalle autorità territoriali «laiche». Se la disputa coinvolge un nebeliombie e un non adepto, allora il caso rientra nella giurisdizione del capo territoriale; tuttavia, se tale autorità teme notevolmente i nebelisti, può rimandare la decisione ai lubasa, facendo sì che il non adepto venga rappresentato al nébasa da un nebeliombie della propria parentela.
Per ciò che concerne il rapporto fra nebeli e potere politico, dalle interviste fatte ai capi che ancora oggi rimandano a un’autorità tradizionale (in particolare gli Chefs de collectivité), pare che permanga una certa complicità con il nebeli. In effetti, i domini meridionali dei Medje-Mangbetu sono esemplificativi dello stretto legame fra capi e nebelisti (Schildkroud e Keim 1990: 191), a differenza di altre zone nelle quali il potere politico è o era ostile all’associazione. I capi locali utilizzarono infatti i ritrovati del nebeli per indebolire i nemici e sconfiggerli militarmente; «il nebeli è utile per risolvere i problemi degli uomini e per la guerra, anzi, è specifico della guerra affinché le proprie forze siano superiori a quelle dell’avversario» (Banda Charles).
Quando a inizio secolo, in concomitanza con il radicarsi del nuovo sistema politico-amministrativo della colonia, l’associazione chiusa si diffuse ampiamente (si ipotizza che circa la metà della popolazione abbia aderito), i capi fecero ampio affidamento sulla forza del nebeli per conservare un effettivo potere e, in qualche misura, opporsi al dominio dei belgi.
All’epoca coloniale, il nebeli veniva utilizzato contro gli amministratori severi e dispotici attraverso una capra o un pollo che essi potevano mangiare o una bella donna che potevano sposare. Le sedie venivano sovente unte con il nebeli [si intende il nenzula]. Gli amministratori che mangiavano un tale animale, sposavano una tale donna o si sedevano su una di quelle sedie perdevano la loro potenza. Per questo motivo gli amministratori hanno fatto di tutto per distruggere il nebeli e per arrestare gli adepti (Abule Abuotubodio 1994: 33).
Gli appartenenti al nebeli venivano processati pubblicamente, e la stessa sorte toccava alle autorità indigene che non si dimostravano ferme nella lotta contro l’associazione. Il capo Magwongasa della collectivité Azanga (i Medje-Mangbetu insediati a nord di Isiro) fu destituito e sostituito con Danga nel 1952 per «inattitudine e deficienze gravi ai suoi doveri principalmente perché favoriva e proteggeva il nebeli»5.
La maggior parte delle fonti scritte e degli informatori sostengono che tutti i locali che lavoravano negli insediamenti coloniali a stretto contatto con i bianchi venivano appositamente scelti dai capi indigeni fra gli appartenenti al nebeli. Ora, al di là dell’efficacia dei vari ritrovati magici, ciò che preoccupava maggiormente i colonizzatori era questa rete sommersa che si infiltrava fra gli ingranaggi del sistema amministrativo. La forza del nebeli probabilmente non era contenuta in un sacchetto o in un fischietto, ma in questo reticolo le cui ramificazioni penetravano nelle corti dei capi indigeni e nelle residenze degli europei. Come viene più volte ricordato, uno degli scopi fondamentali dell’associazione è ed era il mutuo soccorso e la tessitura di rapporti di alleanza al di là delle appartenenze lignatiche o etniche.
È evidente che nel nebeli, analogamente a ciò che accade nel noutu, si mettono insieme individui appartenenti a gruppi differenti. Tuttavia – malgrado questa rilevante similitudine – le due istituzioni si differenziano in molti aspetti. L’appartenenza al nebeli prevede infatti un percorso iniziatico in cui è possibile evidenziare numerosi tratti che rimandano ai classici rituali di iniziazione alla vita adulta.
In primo luogo, il rito di ammissione e le riunioni si svolgono in foresta lontano dai villaggi. Si esce dagli spazi della vita quotidiana per risiedere in un luogo «altro» (il nébasa in foresta), in cui le normali regole della vita sociale vengono sospese analogamente ai contatti con gli individui inseriti nelle abituali reti di relazioni. Il soggiorno in foresta, durante il quale il nuovo adepto viene iniziato, si protrae per parecchie settimane – per Lagae (1926: 128) diversi mesi – e ricorda i lunghi periodi di reclusione previsti in molti riti di passaggio alla vita adulta.
In secondo luogo, il nuovo adepto viene sottoposto a una serie di prove dolorose che segnano duramente il fisico. Tali prove mutano secondo la regione, pur presentando due caratteristiche ricorrenti: il corpo viene percosso in più occasioni e negli occhi degli iniziati vengono introdotte sostanze che provocano bruciore e temporanea cecità. L’aspetto trasformativo dell’iniziazione è incentrato sull’individuo e non, come nel noutu, sull’ambiente sociale circostante; non si tratta di rendere meno indistinta la moltitudine di individui che si trovano al di là della parentela (cap. V), ma di trasformare il corpo dell’adepto (percosse e unzioni) e di mutare la sua visione del mondo e delle cose (interventi sugli occhi). Come sottolinea esplicitamente Amekote Evangéliste: «il candidato resta dal capo dei lubasa per il trattamento e dopo esce trasformato anche nell’aspetto esteriore, abbellito con dell’olio. Anche l’abito è diverso». A completamento di una siffatta trasformazione, al nuovo adepto viene assegnato un nome nuovo.
In terzo luogo, non solo nel nebeli tutto si svolge nella più ferrea segretezza, ma l’intera associazione orbita intorno alla formula segreta per confezionare la medicina nenzula e alle modalità con cui si deve utilizzare il fischietto, le piante della foresta e quant’altro appartiene al sapere esclusivo degli adepti. Ancora una volta sono evidenti la connessione con i riti di circoncisione dei popoli di foresta e la lontananza dal carattere pubblico del noutu.
Non soltanto alcuni aspetti dell’iniziazione al nebeli (la foresta, gli interventi sul corpo, la segretezza) rimandano ai classici riti di passaggio all’età adulta, ma tale legame emerge anche dalle fonti e dalle interviste condotte sul campo. Lagae (1926: 124), descrivendo il luogo di riunione dei nebelisti denominato nébasa, fa esplicito riferimento a non precisate cerimonie di circoncisione che si svolgono in un luogo denominato anch’esso basa. Inoltre, nel racconto che fornisce sull’iniziazione al nebeli, riporta alcuni elementi che non trovano riscontro nelle altre fonti e nelle interviste, ma che tuttavia sono presenti nella ricostruzione del rito di circoncisione zande (cap. IV, § 5) che lo stesso autore propone alcune pagine dopo. In particolare, nella fase successiva all’uscita dal nébasa, il nuovo adepto non ritorna alla propria abitazione, ma deve trascorrere un periodo presso il suo samba, colui che lo ha introdotto nell’associazione chiusa (Lagae utilizza il termine «padrino» per tradurre samba). Dopo aver lavorato nei campi del suo samba per quattro mesi, continuando a osservare alcuni divieti alimentari, gli viene preparato un pasto speciale contenente tutti gli alimenti che non poteva mangiare in precedenza. Quest’ultima sequenza è sorprendentemente simile a ciò che accade nella fase finale del noutu.
Asobee Bigiabase Thomas (un informatore mulika) parlando del nebeli, oltre a confermare alcuni dati emersi in altre fonti e interviste (in particolare l’uso del fischietto e di sostanze capaci di fare vincere le guerre e di guarire determinate malattie), pone in relazione la circoncisione con l’associazione chiusa:
Il termine nebeli che avete trovato dai Mangbetu esiste anche fra i Balika. Belia è un gruppo segreto che funzionava soprattutto nella circoncisione di una volta. Sono gli anziani che contribuiscono alla circoncisione e preservano il segreto. Anche quando ritornano dalla foresta non possono dire nulla dei segreti. Il gruppo del belia è formato solo da uomini adulti, dei saggi. I circoncisi non entrano automaticamente nel belia, non ne hanno diritto. In origine il belia non c’era. Si diffuse a partire dalla circoncisione perché nella circoncisione non ci sono limiti e si svelano gratuitamente i segreti. Il belia è lika ma la parola belia non è proprio lika e la circoncisione cambia molto le cose, io penso che il belia sia di origine mangbetu, così come può diffondersi dai Balika adesso verso i Babudu, gli Zande, i Logo a causa della circoncisione. È a causa della circoncisione che il belia esiste fra di noi [balika].
Il belia sembrerebbe essere un gruppo di uomini saggi che gestisce i segreti inerenti alla circoncisione tradizionale lika, la quale – come si è visto precedentemente (cap. IV, § 2) – si svolgeva in foresta e prevedeva un particolare percorso iniziatico. Malgrado la connessione fra il belia e la circoncisione non sia stata confermata in altre interviste, è necessario ancora una volta valorizzare il dato che fornisce l’informatore al di là della veridicità (difficilmente dimostrabile) di ciò che viene affermato. Infatti, dalle parole di Asobee Bigiabase Thomas, il belia viene visto come qualcosa che fonda la circoncisione (un gruppo di saggi che gestisce i segreti del rito) e successivamente come un’istituzione che giunge dall’esterno insieme alla diffusione dell’operazione. In effetti, il nebeli presenta sia gli aspetti iniziatici della circoncisione tradizionale che i gruppi di foresta (fra i quali i Balika) praticavano lontano dai villaggi, sia la peculiarità di funzionare come un’alleanza che trascende i confini etnici e che avrebbe potuto «viaggiare» parallelamente al noutu, l’alleanza con la circoncisione.
In considerazione del fatto che il nebeli è quasi sicuramente di origine abarambo-bangba e che si diffuse dalle regioni settentrionali (rispetto ai domini medje e lika) verso la foresta, si potrebbe ipotizzare che l’associazione chiusa sia andata a sovrapporsi ai tradizionali riti di circoncisione, o meglio, sia andata a occupare i luoghi (la foresta nascosta) e a ereditare un’ideologia (l’iniziazione ai segreti) e forse alcuni tratti dell’azione rituale appartenenti alle cosiddette «scuole di foresta», quei riti di passaggio alla vita adulta che stavano scomparendo investiti dalle nuove idee della colonia (cap. IV, § 7). Qualcosa di analogo sembra emergere nell’evoluzione dell’iniziazione libeli dei Foma, studiata da Robert Bakanga (1991). Il libeli (o lilwa) era in origine una vera scuola di formazione per i giovani, in seguito si sarebbe trasformata in una associazione chiusa ed esclusiva (Bakanga 1991: 99)6.
Ciò che si riesce a trarre da queste brevi considerazioni è un’immagine sbiadita in cui il movimento e le mescolanze non sono soltanto i motivi della mancata nitidezza, ma rappresentano – analogamente a ciò che accade nel noutu – l’essenza delle azioni rituali. Tuttavia, a differenza del noutu attraverso il quale si manipola la società incrementando la rete di relazioni a partire dalle esigenze che emergono in ogni singola nébha, con il nebeli si crea in foresta una società parallela, fisicamente decentrata rispetto alle ébhá e fondata su valori opposti a quelli del villaggio (basti pensare alla pratica dell’incesto). Inoltre, se il noutu favorisce la tessitura della rete sociale a partire dal basso, da ogni singola famiglia, sostenendosi su un’ideologia dell’uguaglianza e della fratellanza che non prevede alcuna gerarchia, il nebeli si presenta altamente gerarchizzato e interagisce con il mondo «profano» soprattutto dall’alto, creando un reticolo in cui i capi hanno un ruolo determinante.
Nonostante queste differenze, le due istituzioni hanno determinati tratti in comune e in particolare entrambe perseguono una forma di mutuo soccorso, creando reti di relazioni che trascendono le appartenenze lignatiche ed etniche: «sia il nebeli sia il noutu non sono altro che mezzi per creare rapporti tra famiglie» (Banda Charles). È opportuno ricordare che le istituzioni del noutu e del nebeli sarebbero emerse – o per lo meno si sarebbero imposte e diffuse – proprio negli anni in cui il potere coloniale stava riorganizzando amministrativamente e politicamente il territorio congolese, e in un certo senso – benché le due istituzioni agiscano su livelli differenti – entrambe rappresentano risposte alla crisi delle identità e dei valori tradizionali. Questa ipotesi interpretativa emerge e acquista credito soltanto se si adotta uno sguardo comparativo attento alle dinamiche regionali e alle variazioni temporali e che tale sguardo possa condurre l’analisi al di là del nesso che esiste fra una pratica sociale e la specifica cultura che l’ha prodotta.
L’affermazione di Enid Schildkrout e Curtis Keim (1990: 190), secondo la quale il nebeli rappresenterebbe la visione del mondo dei Mangbetu sotto le tensioni e le pressioni coloniali, è condivisibile con l’aggiunta di due considerazioni: la prima è che tale visione del mondo non è esclusiva dei Mangbetu, ma attraversa una vasta area occupata da differenti gruppi etnici; la seconda riguarda il fatto che tale visione del mondo orbita intorno all’idea e alla necessità dell’alleanza e del «mettersi insieme» in risposta al disgregamento delle identità e alla dissoluzione dei tradizionali punti di riferimento. In quest’ottica anche il noutu contribuisce a fare in modo che i gruppi locali possano ridisegnare il mondo in cui vivono e la visione che essi hanno di questo mondo. Tuttavia, se l’alleanza con la circoncisione porta a ridisegnare il mondo «aprendosi» verso l’esterno (al di là della parentela), il nebeli costruisce il proprio reticolo sotterraneo a partire da una evidente chiusura. Con il noutu si «incrementa» la propria rete di relazioni attingendo dall’alterità, con il nebeli si «costruisce» una nuova rete segreta e sotterranea (che corre nella fitta e oscura foresta) chiudendosi nel recinto del nébasa. La forza del noutu è nella mescolanza del sangue; la forza del nebeli è contenuta in gran parte nel nenzula preparato per mezzo di un atto incestuoso, un evidente segno di chiusura.
Il nebeli – essendo contemporaneamente un’associazione chiusa (società segreta) e una rete di relazioni sociali che trascende i lignaggi e i gruppi etnici – viene raccontato e può essere effettivamente pensato a partire da due opposte categorie: la chiusura e l’apertura. Prima di verificare attraverso i dati raccolti sul campo questa ambiguità, occorre sottolineare che probabilmente il meccanismo stesso dell’intervista (domanda-risposta) accentua notevolmente la segretezza e l’inviolabilità del nebeli. La sensazione è che «le cose del nebeli» non si possono raccontare, ma non per questo non si possono sapere. In altre parole, molte persone esterne all’associazione sanno cosa succede al nébasa, quali sono i poteri e chi partecipa alle riunioni, ma nessuno osa raccontarle soprattutto nella forma più esplicita e sfacciata dell’intervista. Inoltre, le motivazioni anti-coloniali del nebeli e l’illegalità e l’immoralità sancita dai bianchi non possono facilitare il lavoro di uno strano individuo europeo armato di bloc-notes e registratore.
Nonostante questa precisazione, la contrapposizione fra la chiusura e l’apertura è evidente nei dialoghi avuti con Banda Charles sotto il suo négbámú a Egbunda:
Se non si appartiene ai gruppi [di nebelisti] è impossibile partecipare agli incontri. Loro non possono raccontare nulla. Tu non sei nel nebeli e quindi non posso dire altro. Se hai bisogno di qualche medicina posso dartela ma non sperate di sapere di più!
Con il nebeli si creano rapporti fra famiglie, è come il noutu, ma il nebeli è diffuso ovunque, se da qualche parte non c’è il motivo è che ormai sono tutti morti e nessuno ha ereditato i segreti. Nebeli è estesa in tutta l’Africa, tutti conoscono il nebeli, il nome può essere diverso ma nel Uele [si intendono le terre nord-orientali del Congo] è lo stesso nome [...]. Il nebeli si trova ovunque, anche fra gli Zande che per forza devono avere qualcosa di simile. Qualcuno da fuori può venire qui per diventare nebeliombie.
L’ampia rete del nebeli unisce gruppi di individui che si radunano segretamente e hanno l’obbligo di non svelare all’esterno l’ubicazione del nébasa, i riti che si svolgono di notte dentro il recinto, la composizione delle medicine che confezionano e i poteri nascosti in determinati oggetti. Tutto ciò esprime l’inviolabile segretezza dell’associazione, la quale tuttavia – come si è accennato all’inizio del capitolo – dovrebbe essere considerata non tanto una società segreta quanto un’associazione chiusa. Ora, al di là della chiusura effettiva del gruppo, uno dei segni simbolicamente più importanti di tale chiusura è la pratica dell’incesto: nelle fasi finali dell’iniziazione al nebeli l’adepto deve praticare un atto sessuale incestuoso per procurarsi il seme necessario a confezionare la «medicina della forza», il nenzula, l’arma più potente del nebeliombie.
La pratica dell’incesto si contrappone all’universale regola sociale dell’esogamia (dopo Lévi-Strauss si potrebbe dire «la regola culturale per eccellenza»), che prevede lo scambio di donne con altri gruppi. Malgrado l’universalità di tale regola e la preferenza degli studiosi a riflettere sulla proibizione dell’incesto più che sulla pratica dello stesso, si riportano solitamente un paio di contesti sociali in cui l’incesto rappresentava la regola: l’antico Egitto e l’impero andino degli Incas. In questi casi, erano le dinastie regnanti che si perpetuavano nel tempo senza mescolarsi con il resto della popolazione in segno di superiorità. Come sottolinea efficacemente Leslie White (1978: 283), basti pensare alla figura di Cleopatra (bella, forte, intelligente e prolifica) per verificare non soltanto il desiderio di chiusura di tali dinastie, ma anche la perfezione del frutto delle unioni incestuose. L’ideologia dell’incesto si baserebbe appunto sulla volontà di delimitare inequivocabilmente un’esclusiva identità umana e raggiungere in tal modo la perfezione. Non si tratterebbe ovviamente di un ritorno alla natura, ma di una precisa e consapevole scelta culturale.
Nella letteratura etnografica un caso ben documentato di scelta di praticare (sebbene in modo simbolico) l’incesto concerne l’iniziazione maschile presso i Senufo Nafara della Costa d’Avorio (Zempléni 1993). Presso i Nafara, matrilineari e matrilocali, il rito centrale (tyologo) dell’iniziazione prevede l’accoppiamento dei neofiti con la loro madre simbolica (Kafolo). I Nafara che non fanno il proprio tyologo non sono considerati tali: per essere Nafara occorre essere contemporaneamente figli e partner sessuali di Kafolo. Secondo András Zempléni,
la riproduzione incestuosa è il migliore se non il solo mezzo per realizzare la chiusura biologica di un gruppo umano [...]. L’incesto risulterebbe «buono per pensare» la delimitazione delle società umane [...]. La prescrizione dell’incesto simbolico chiude il campo d’alleanza aperto tramite la proibizione dell’incesto reale (1993: 367).
Anche nel nebeli l’incesto è «buono per pensare» la chiusura del gruppo e soprattutto la forza che scaturisce da tale chiusura. Per confezionare l’intruglio capace di far vincere le guerre e in particolare di indebolire, se non sconfiggere, i nuovi dominatori arrivati da «fuori», occorre ripiegare su se stessi, trovare la forza «dentro», fra sé. A ben vedere, mentre fra i Senufo Nafara la chiusura auspicata è una delimitazione «etnica», nel nebeli la chiusura si limita a coloro che si radunano in foresta nel recinto di un determinato nébasa, i quali mantengono una forte separazione verso la vita dei villaggi (il mondo «profano», i non iniziati), ma condividono fraternamente un’identità collettiva (di tutti i nebelisti) che taglia trasversalmente molti gruppi etnici (secondo Banda Charles l’intera Africa). Il nebeli si presenta come una società parallela che «sta fuori» (nascosta in foresta) dal mondo dei villaggi abitati dalle differenti società e culture (zande, mangbetu, barambo, bangba, yogo, lika, budu ecc.). L’intruglio nenzula, il potente suono del fischietto, l’istituzione dei lubasa e altri elementi del nebeli trascendono le varie culture e, viaggiando idealmente in foresta da nébasa a nébasa, mettono in comunicazione individui appartenenti a diverse società.
Pare assodato che il nebeli (come altre associazioni chiuse o segrete) abbia svolto un ruolo importante nella diffusione di stili artistici e oggetti d’arte, «tagliando confini culturali, linguistici e politici» (Schildkrout e Keim 1990: 239). È significativo notare che gli oggetti d’arte in stile mangbetu tipici del nebeli (statuette e maschere) non appartengono alla cultura dei villaggi mangbetu, come a rimarcare l’estraneità, «l’essere fuori» dell’associazione segreta.
A questo punto si potrebbe affermare che il nebeli non solo «taglia le culture», ma si pone in un certo senso «fuori dalle singole culture». È al di là delle singole culture che trova espressione «il bisogno di solidarietà fra i differenti popoli nativi di fronte alla conquista europea» (Evans-Pritchard 1965: 1), la cui forza – si rammenta – sgretola e frantuma le società autoctone. Dal punto di vista spaziale questo «porsi fuori» viene emblematicamente espresso dalla foresta contrapposta agli spiazzi dei villaggi ritagliati fra il fitto della vegetazione. Dal punto di vista sociale, il nebeli contempla la presenza al nébasa di capi, i lubasa, i quali non sono altro che gli organizzatori dei riti, ma attenua le distinzioni di genere e di età (tutti possono entrare con pari dignità) centrali nella vita dei villaggi. Dal punto di vista simbolico si ritiene particolarmente significativa l’ultima fase dell’iniziazione al nebeli, in cui il nuovo adepto, dopo esser stato trasformato e trasfigurato nel corpo (percosse, violenze agli occhi, contatto con il fuoco e unzioni), deve compiere due atti specifici: mangiare della carne cruda (l’esempio più ricorrente è il cuore crudo di un pollo) e praticare l’atto incestuoso. Il crudo e l’incesto ancor prima di rappresentare un ritorno alla natura, stanno a simbolizzare l’uscita dalla cultura, il porsi fuori dalle regole e dalle consuetudini vigenti al villaggio.
Questa uscita dalle singole culture crea un luogo di incontro e di comunicazione fra individui appartenenti a società diverse fra loro. È in questo «porsi fuori» che occorre rintracciare l’apertura connessa al nebeli, il quale viene visto dagli aderenti come un tentativo molto forte di riscatto nei confronti delle malattie, degli insuccessi e dei bianchi attraverso l’utilizzo di strumenti più potenti di tutti quelli conosciuti. Fra le tensioni e le pressioni del nuovo ordine coloniale, i gruppi indigeni si affidarono a un’istituzione capace di risollevare le sorti del loro mondo e di elargire felicità ai singoli sconfiggendo i problemi. La forza necessaria bisogna generarla fra sé anche attraverso un atto incestuoso, o per lo meno immaginare che così possa essere, analogamente a ciò che racconta quel mito andamano riportato alla fine de Le strutture elementari della parentela in cui la beatitudine della vita futura viene descritta «come un cielo in cui le donne non saranno più scambiate; e cioè respingendo in un futuro [...] la dolcezza, in eterno negata all’uomo sociale, di un mondo in cui si potrebbe vivere tra sé» (Lévi-Strauss 1984: 636).
A ben vedere la pratica dell’incesto durante l’iniziazione al nebeli non è propriamente il frutto di una scelta, ma – si potrebbe sostenere – il frutto possibile di una casualità. Mentre i sovrani dell’antico Egitto o gli Incas dell’America meridionale optarono coscientemente per l’incesto sulla base di una specifica scelta culturale, i nuovi adepti del nebeli vengono invitati a intrattenere rapporti sessuali con chiunque si trovi al proprio fianco durante la riunione al nébasa.
Nel nébasa gli uomini hanno rapporti sessuali con le donne, così a caso. Se un uomo prende sua sorella fa il rapporto con lei, è un caso non è obbligatorio. Bisogna abituarsi ad avere rapporti sessuali con chiunque capiti (Amekote Evangéliste).
I dati raccolti sul campo concordano con ciò che sostiene Lagae: «[il neofita] si ritira con la donna che si trova al suo fianco» (1926: 127), ribadendo la casualità dell’accoppiamento in cui l’incesto sarebbe una possibile eventualità più che una precisa scelta di comportamento. Alla luce di ciò, il fatto che molti informatori sottolineino il carattere incestuoso (avere rapporti con la sorella o la madre) dell’unione sessuale dei neofiti alla fine dell’iniziazione acquista un nuovo significato. La casualità dell’accoppiamento – e quindi del possibile incesto – rappresenta infatti un segno evidente di «uscita dalla cultura», in quanto la casualità è l’annullamento della scelta, la naturalizzazione del comportamento e l’esonero da ogni identità culturale alla cui base c’è una scelta, o meglio, una pluralità di scelte (Remotti 1993: 178). L’assunto, secondo il quale Remotti sostiene che «uno dei meccanismi più efficaci e decisivi per ottenere la naturalizzazione è l’eliminazione o l’occultamento della scelta» (1993: 183), trova la più eclatante realizzazione non tanto nei costumi che risiedono nel villaggio ma nell’istituzione che si pone fuori dal villaggio e dai costumi, il nebeli. Se ci fosse una chiara scelta alla base della pratica dell’incesto, l’uscita dalla cultura non si realizzerebbe, in quanto l’incesto rappresenterebbe una esplicita e ferma scelta culturale; invece nell’associazione chiusa del nebeli si pratica – attraverso l’annullamento della scelta (e quindi la casualità del rapporto) – una chiara uscita dalla cultura. Tutto ciò si contrappone evidentemente all’uscita dalla parentela realizzata attraverso il noutu, un’istituzione che – come si è potuto vedere (cap. III, § 2) – è incentrata su una scelta che viene compiuta all’interno di un ampio ventaglio di possibilità.
Sullo sfondo delle riflessioni di Lévi-Strauss circa la distinzione natura-incesto e cultura-esogamia, si comprende la rilevanza etnografica dell’istituzione del nebeli, in cui all’esogamia intesa come luogo della scelta si contrappone l’eventualità casuale dell’incesto (e non semplicemente l’incesto) come luogo della natura, un luogo che in questa sede si preferisce continuare a definire «luogo di uscita dalla cultura».
Il tema dell’annullamento della scelta emerge non soltanto alla fine dell’iniziazione al nebeli ma anche nelle fasi iniziali, durante le quali il nuovo adepto viene reclutato con la forza e viene introdotto nel nébasa attraverso una galleria di frasche che conduce a un termitaio. Se nella parte finale dell’iniziazione l’annullamento della scelta si traduce nella «casualità», nelle fasi iniziali si esprime attraverso la «costrizione», una costrizione reale, in quanto si prevede un reclutamento forzato, e una costrizione simbolica nel momento in cui il neofita viene introdotto nella galleria di frasche e costretto a percorrerla velocemente sotto le percosse di altri nebelisti.
La costrizione e la casualità hanno in comune l’annullamento della scelta. Tuttavia, mentre la contrapposizione fra scelta e costrizione appare evidente, occorre spendere alcune parole sulla contrapposizione fra scelta e casualità, in quanto concettualmente la scelta si oppone più alla necessità che alla casualità. In termini culturali e sociali, l’uomo – in quanto singolo e in quanto appartenente a un gruppo – organizza la propria vita optando per determinati percorsi all’interno di un ampio ventaglio di possibilità: le differenze culturali nascono proprio dalla divergenza delle scelte compiute dai vari gruppi umani. All’interno di una singola società, l’individuo contribuisce con opzioni specifiche alla conservazione e alla trasformazione della cultura a cui appartiene. Ora, in una società chiusa come il nebeli, «abituarsi ad avere rapporti casuali con chiunque si trovi al proprio fianco» trasforma la scelta casuale in un annullamento di una scelta culturale mirata e dettata in primo luogo dalla libertà del singolo e in secondo luogo dall’assenza di una riflessione su ciò che risulta opportuno all’individuo; in altre parole, la scelta casuale annienta il significato culturale del ventaglio di possibilità eliminando la facoltà di compiere una scelta culturale.
Eliminare la scelta vuole significare in ultima analisi reificare e naturalizzare il Noi che scaturisce dall’appartenere al nebeli, il quale potrebbe essere interpretato come un tentativo estremo di strutturazione. Attraverso l’associazione chiusa non si forma un Noi analogo a quello dei villaggi, un Noi che scaturisce da una pluralità di scelte (come dimostra il ruolo svolto dal noutu basato su scelte e opzioni personali e libere), ma un Noi estremamente rigido e compatto in cui l’istituzione esonera l’individuo dal prendere posizione all’interno e all’esterno del gruppo.
Lo scopo fortemente strutturante del nebeli è evidente nella simbologia del termitaio posto alla fine della galleria che introduce il neofita nel nébasa. Nel primo capitolo si è visto come il termitaio rappresenti l’idea dell’unità e della perfettibilità dell’«edificio sociale»; una perfezione relegata nell’al di là, intendendo con questo il mondo animale delle termiti7. In contrapposizione al mondo ordinato e strutturato del termitaio c’è il mondo degli uomini e dei villaggi caratterizzato da conflitti, strategie e antagonismi. La galleria stretta e bassa che porta verso il termitaio non lascia scelta al neofita, incanalandolo verso un mondo ideale (il termitaio e il nebeli) dove tutto funziona, gli individui collaborano e soprattutto costruiscono il loro edificio (il termitaio) tra sé. Costruire tra sé è proprio ciò che fanno gli insetti e ciò che cercano di fare gli autoctoni nel periodo dell’occupazione belga. Sotto la guida dei lubasa – che significativamente vengono denominati da Delhaise-Arnould (1919: 285) «i costruttori», coloro che detengono il diritto di erigere il nébasa – individui di entrambi i sessi, di tutte le età e gruppi etnici costruiscono la loro utopia (dal greco ou topos, non luogo) in foresta, fuori dai villaggi; un’utopia che si intravede al fondo della galleria di frasche e che ha le sembianze di «un solo meraviglioso edificio [...] inalterabile in eterno» (Dostoevskij 1988: 34) abitato da uomini potenti e capaci di generare una forza superiore a tutte le altre (il nenzula) prodotta all’interno, tra sé.
Mentre Banda Charles racconta di un luogo in foresta dove si pratica l’utopia di un universo ordinato, fatto tra sé, dove le libertà di scelta dell’individuo vengono sospese nel tentativo di un’estrema strutturazione al di là delle culture e del ventaglio di possibilità umane, nel mondo ordinario dei villaggi uomini come Neti e Anyabose (cap. 1) sottolineano l’inevitabile lontananza della perfezione del sociale e dipingono le relazioni umane in termini di conflitti e dispute, ma anche di strategie, come sembrano essere i movimenti del noutu.
1 Termine utilizzato in ambito antropologico per definire in modo elastico e generico associazioni di solito volontarie, incentrate intorno a conoscenze non accessibili agli estranei. I membri delle società segrete agiscono insieme per il raggiungimento di determinati obiettivi in uno spirito di solidarietà e mutuo soccorso. Per ciò che concerne il continente africano esistono due aree in cui tali istituzioni si sono particolarmente sviluppate: parte dell’Africa occidentale e parte del bacino del Congo.
2 Vansina (1990a: 183) sostiene che l’istituzione del mwami – termine con cui viene designato il sovrano in alcune monarchie dell’Africa dei grandi laghi – è il frutto dell’incontro fra l’idea dell’associazione politica lega e bembe (bwami) con la regalità sacra interlacustre.
3 «Nebelista» è il termine utilizzato dai miei collaboratori per tradurre nebeliombie, lett. «l’uomo del nebeli».
4 Gli informatori parlano di un rapporto sessuale con la sorella senza specificare in realtà se la fratellanza che coinvolge i due partner sia una effettiva consanguineità o semplicemente l’essere entrambi membri del nebeli che, come si è visto, è considerata una specie di fratellanza.
5 Sono parole attribuite a Uytterbroeck, commissario del Distretto del Uele negli anni Cinquanta, pronunciate nel Processo verbale della cerimonia di investitura del capo Danga Modeste a Nangazizi il 9 settembre 1952 e riportate in Abule Abuotubodio (1994: 34).
6 I Foma sono un gruppo etnico (assimilabili agli Mbole) insediato nella regione nord-orientale del Congo, più precisamente nella zona di Isangi a ovest di Kisangani. Considerando che l’origine dei Foma potrebbe essere stata la regione del Uele (Bakanga 1991: 97), è probabile che possano esserci connessioni storiche tra il libeli e il nebeli, la cui vicinanza linguistica è evidente.
7 Il termitaio come luogo misterioso dell’al di là emerge in altri contesti etnografici: nella lingua dei vicini Babudu esombe è il nome sia del termitaio sia della tomba, mentre fra i Barundi il termitaio è il luogo per antonomasia delle forze misteriose (Mworoha 1977: 99).