Diciassette

Vincent dice che ha nuovamente bisogno di lasciar raffreddare la videocamera e il microfono viene spento, ma Fife continua a parlare, rivolgendosi a Emma, come se lo stessero ancora filmando e registrando. Dice che il momento in cui si smette di essere bambini non è una soglia che si supera e oltre la quale inizia l’età adulta. Non è un punto nella cronologia di una vita. È impossibile localizzare il momento in cui si smette di essere bambini, le dice, perché in realtà non si smette mai. Lui, ad esempio, non ha ancora smesso. È ancora un bambino. Anche adesso che gli manca poco per compiere ottant’anni, mentre esala gli ultimi respiri.

Non esiste un momento in cui si smette di essere bambini, dice a Emma. Di fatto, solo l’innocenza – la prima infanzia – giunge alla fine. È lí che si comincia a essere bambini, e questa condizione è una superficie, non un punto. Ed è molto vasta, tant’è che si estende fino alla vecchiaia e alla morte. È come una palude costiera tra la terra e il mare, spiega. È una zona di alberi nani e di distese fangose e di estuari, dove le acque fluiscono avanti e indietro in direzioni opposte, seguendo le pendenze e i dislivelli del terreno e le fasi lunari e il mutevole soffiare dei venti.

Bisogna distinguere tra l’essere bambini e quel che chiamiamo innocenza, le dice. Per Fife l’innocenza non esiste, cosí come non si può smettere di essere bambini. Se proprio si vuole, dice, l’innocenza si riduce a quel tempo brevissimo agli albori della vita individuale in cui la conoscenza del mondo non ha un andamento etico e nemmeno una base etica. Se si cerca il significato morale della propria vita, dice, non ha senso cercarlo lí. Non c’è significato morale in ciò che viene solitamente chiamato innocenza. Fife dice che chi è in cerca di redenzione deve tornare non alla fase dell’innocenza, bensí dove ha iniziato a essere bambino, al momento in cui i suoi atti hanno per la prima volta acquisito un significato morale, e da lí partire.

Se si cerca la redenzione dai propri peccati, come Fife sta facendo, almeno a suo dire, bisogna esaminare il continuum della propria vita risalendo fino al momento in cui la base etica individuale è comparsa come un firmamento tra i firmamenti, quando ciò che si sa del mondo e la maniera in cui si acquisisce questo sapere diventano per la prima volta obiettivi consapevolmente perseguiti. È il giorno in cui si è assaggiata la mela dell’albero proibito. E da quel giorno in avanti, per tutto il resto della vita, siamo noi gli unici responsabili della natura e del fine della nostra evoluzione morale. Bisogna tornare a quando la forma della nostra moralità è diventata per la prima volta una nostra creazione, e non una regola concepita e fatta rispettare dai genitori o dagli insegnanti, da un prete o da un dio o da una qualsiasi altra autorità, reale o immaginata. Bisogna tornare al punto in cui si è cominciato a navigare con una mappa autoprodotta, perdendosi ogni tanto e correggendo la rotta a mano a mano che si procedeva.

Emma dice: Ti capisco.

Malcolm dice: Mi fa piacere che qualcuno capisca. Io, forse, capirò piú avanti, quando guarderò le immagini in sala montaggio. Si vedono e si sentono sempre, in fase di montaggio, cose a cui non si è fatto per niente caso durante le riprese. A proposito di innocenza, a Malcolm torna di nuovo in mente un film di Fife, Soffrono gli innocenti, quello su McCann, il vescovo di Antigonish. Lo ha guardato per la quinta volta, se non ha perso il conto, proprio qualche sera fa, per prepararsi all’intervista. Le immagini del processo e della condanna di McCann, a Ottawa, per possesso di oltre seicento foto e di decine di filmati pedopornografici sul suo computer, alcuni dei quali a sfondo sado-masochistico. Avrebbe voluto provare disprezzo e repulsione per McCann, e fino a un certo punto non aveva avuto difficoltà. Quell’uomo era piú che disgustoso: era malvagio. Tuttavia, per la prima volta ci sono stati alcuni momenti in cui Malcolm ha provato anche qualcosa di simile alla pietà per quel vecchio. Non a causa dell’aspetto di McCann: pallido e stropicciato e con le spalle ingobbite, un uomo totalmente e meritatamente umiliato. È stato piuttosto un effetto della voce fuori campo di Fife, di quel sommesso baritono che si sente appena prima della sentenza, quando Fife cita l’Antico Testamento: un versetto del Levitico, non ricorda piú quale.

Fife dice: Levitico 20,2-3. Dirai agli Israeliti: Chiunque tra gli Israeliti o tra i forestieri che soggiornano in Israele darà qualcuno dei suoi figli a Moloch, dovrà essere messo a morte; il popolo del paese lo lapiderà. Anch’io volgerò la faccia contro quell’uomo e lo eliminerò dal suo popolo, perché ha dato qualcuno dei suoi figli a Moloch con l’intenzione di contaminare il mio santuario e profanare il mio santo nome.

Giusto. Cazzo, che durezza, Leo. Cioè, sono parole durissime. Stranamente, però, nel film, questo passo ottiene l’effetto opposto. Cioè, all’inizio mi pareva di stringere in mano una grossa pietra liscia e di essere pronto a scagliarla contro la testa calva di quell’uomo, per spaccargliela. Io sono in piedi tra la folla, e tutti sono armati di pietre, in attesa che il giudice dia il via libera. Intanto, si ascolta questa cupa voce fuori campo che recita la Bibbia e che per alcuni secondi ti fa sentire antico, primitivo, tribale e virtuoso. La videocamera inquadra per tutto il tempo in primo piano la faccia del vescovo McCann, le sue labbra tese e tremule, gli occhi serrati, la pelle pallida chiazzata di rosso e segnata da qualche tipo di eczema. Quell’uomo praticamente invita al disprezzo e appare rassegnato alla lapidazione; anzi, le dà quasi il benvenuto, come se quello fosse l’unico modo per farsi perdonare i suoi disgustosi crimini.

La voce biblica che cita il Levitico tace. A quel punto, fuori dall’inquadratura, si leva la voce acuta e sottile del giudice, molto contemporanea e liberal, stile University of Toronto, che subentra a quella fuori campo di Leo. È la voce pubblica ufficiale del Canada anglofono. Ti senti redarguito e ti vergogni un po’ di te stesso per come suona quella voce impeccabile e quella pronuncia da Cbc, perciò posi a terra la pietra e vedi che a uno a uno tutti fanno altrettanto.

Il giudice comincia a leggere la sentenza con quella bella voce liberal. Ho dimenticato come si chiama.

Uhlig, il giudice Rory Uhlig.

Giusto, il giudice Rory Uhlig. Accenna alle attenuanti, cosí le chiama lui, come le scuse pronunciate da McCann per i danni causati, e fa riferimento alla confessione del vescovo secondo cui tutto era partito da un’improvvida curiosità che si è poi trasformata in una forma ossessiva di dipendenza.

Sí. Un’improvvida curiosità. Una dipendenza ossessiva.

Il giudice parla della necessità di contemperare il dovere sociale della denuncia e della deterrenza contro crimini come quelli di McCann con la considerazione di fattori socialmente positivi, come ad esempio la carriera specchiata del vescovo quale eccellente direttore spirituale ed educatore. Testuali stronzate. L’uso di immagini pedopornografiche sadomaso da parte di McCann, osserva il giudice, si consumava nel segreto delle sue stanze private, quando lui era da solo. Cristo. Sembra di sentire l’avvocato difensore di McCann, non la persona che dovrebbe giudicarlo.

La videocamera si sposta dal giudice Uhlig e dal vescovo McCann per fare una panoramica sul pubblico che affolla l’aula, fermandosi su un uomo corpulento dalla faccia congestionata, in giacca sportiva azzurra a quadri e berretto da baseball bianco, in piedi verso il fondo. Si vede chiaramente che questo tizio sta per esplodere. Si vede la pressione che cresce sulla sua faccia rossa e sudata, mentre il giudice continua a parlare. Alla fine, il giudice annuncia, sempre con il suo accento raffinato, che a McCann verranno condonati otto mesi, oltre agli otto già scontati; sarà sottoposto a libertà vigilata per ventiquattro mesi; e sarà libero di tornarsene a casa sin da subito, anche se dovrà portare alla caviglia un dispositivo elettronico, non potrà piú avvicinarsi agli edifici scolastici e bla-bla-bla.

L’uomo con la giacca blu a quadri e il berretto da baseball esplode e si mette a inveire contro McCann. Al che Fife, invece di restare sull’uomo che inveisce (come – secondo Malcolm – qualsiasi altro film-maker avrebbe fatto), sposta l’obiettivo e stringe sul vescovo McCann seduto nella gabbia protetta da una vetrata. Lo si vede con gli occhi del tizio che urla: rannicchiato il piú lontano possibile dal vetro, come se qualcuno lo stesse aggredendo fisicamente. L’uomo in giacca e berretto da baseball va avanti a gridare. È escluso dall’inquadratura e dice che McCann è un demonio, stirpe di Satana, un mostro inviato dall’inferno a rovinare gli innocenti figli di Dio.

Abbiamo l’impressione di essere noi a inveire, a pronunciare quelle parole. La sua rabbia furibonda è la nostra. Grida che la sua vita è stata rovinata dal vescovo e dai suoi sacerdoti e da tutta la Chiesa cattolica, incluso il papa. Urla che da bambino è stato inculato da un prete alla Saint Joseph Training School for Boys ad Alfred, Ontario. Dice proprio «inculato». Dice che il prete che insegnava ginnastica l’ha inculato. Cristo. Dice che, quando lui e svariati altri ragazzi violentati si sono fatti avanti per denunciarlo, McCann ha protetto il prete della Saint Joseph, trasferendolo in un seminario a Saratoga Springs, New York. Il tizio dice tra i singhiozzi che gli hanno rubato l’innocenza e l’infanzia. L’ultima cosa che urla è: Tu e la tua Chiesa mi avete divorato l’infanzia! Mi avete divorato l’infanzia! E quando tace si sentono i poliziotti presenti che gli saltano addosso e lo trascinano fuori dall’aula senza che lui protesti. E per tutto quel tempo, la videocamera si rifiuta di farci vedere l’uomo con la giacca azzurra a quadri e il berretto da baseball. Solo il vescovo McCann, che si ritrae, intrappolato come un topo terrorizzato in una gabbia di vetro.

Fife non sa se ricorda quelle scene o solo quello che ha filmato o, ancora, quello che ha visto sullo schermo quando il film è stato proiettato al Toronto Film Festival del 1989. Potrebbe essersele immaginate, in tutto o in parte, o magari sta mescolando ricordi, immagini di repertorio, scene filmate da lui, il film finito, le conversazioni con gli amici e gli articoli dei giornali e delle riviste sull’arresto del vescovo all’aeroporto di Ottawa e sul processo, la condanna e il rilascio. Il caso, dall’inizio alla fine, si è trascinato per anni. Fife si domanda se lo si possa davvero considerare chiuso, a quasi trent’anni di distanza. Non ricorda di aver letto la notizia della morte del vescovo.

Nel film la lettura della sentenza va avanti un bel po’. Questo se lo ricorda. Dopo che l’uomo in giacca blu a quadri e berretto da baseball è stato portato fuori dall’aula del tribunale, il giudice Uhlig ricomincia a leggere la sentenza daccapo. Stabilisce che il vescovo McCann, per ventiquattro mesi, dovrà incontrare una volta alla settimana il funzionario della libertà vigilata. Dovrà sottoporsi all’esame di uno psicologo qualificato, che presenterà le sue conclusioni al suddetto funzionario. Non potrà visitare edifici scolastici e i loro dintorni, piscine, palestre, parchi giochi o altri posti dove possano radunarsi giovani minori di sedici anni. Gli è consentito l’uso di un computer e di altri dispositivi elettronici, ma un funzionario del tribunale avrà la possibilità di esaminarne il contenuto in qualsiasi momento senza preavviso. Non potrà né tenere materiale pornografico sul computer né vedere immagini erotiche in tv, e dovrà osservare il divieto di comunicare per via elettronica o telefonica con minori di sedici anni.

Il giudice Uhlig fa una breve pausa, come per lasciare che il peso della sentenza si assesti sulle spalle strette e spioventi del vescovo McCann, e poi gli comunica che è libero di lasciare l’aula. Mentre McCann si volta per uscire dalla gabbia di vetro e rientrare nel mondo esterno, il giudice, come se avesse un ripensamento, domanda all’avvocato di McCann – si chiama Reginald Wilton, ricorda Fife all’improvviso – se il vescovo risiederà in una canonica o in altra residenza ecclesiastica dell’arcidiocesi di Ottawa.

Prima che l’avvocato possa rispondere, una donna corpulenta sulla cinquantina, con capelli neri che sembrano tinti, si alza dalla sua sedia nella prima fila riservata al pubblico e dice che il vescovo McCann si occuperà personalmente di trovare un alloggio. La donna indossa un cardigan nero sopra una camicetta bianca e una lunga gonna di flanella grigia, scarpe nere, basse e comode, e niente gioielli. Fife è convinto di averla messa nel film. Non ne è sicuro, però. Saranno dieci anni che non lo rivede.

Il giudice dice: Lei è…?

Alice Dubois. Sono la portavoce dell’arcidiocesi. Sono l’addetta alle pubbliche relazioni. Il vescovo McCann non alloggerà in una canonica né in altra residenza dell’arcidiocesi, dice. Non sappiamo quali siano i programmi del vescovo.

Un’altra cosa che Fife ricorda è la scena fuori dal tribunale, dove l’avvocato di McCann, Reginald Wilton, cerca di far largo al suo assistito, in mezzo al nugolo di giornalisti e cameramen, fino all’auto che li attende. Non è chiaro chi sia l’uomo alla guida. È giovane, poco piú che ventenne, con lunghi capelli biondi e un naso prominente. I giornalisti piazzano i microfoni sotto il naso del vescovo e dell’avvocato e gridano domande. Il vescovo, pallido, la bocca cucita, la faccia inespressiva, li ignora e si muove con rapidità verso l’auto e sale a bordo, richiudendo la portiera con forza e autorità. Si vede chiaramente, ora, che è un uomo alto e atletico, in forma, giovanile per l’età che ha. Il suo avvocato, che indugia e si espone per un momento alla libera stampa e alla tv, è molto piú piccolo al confronto.

Il vescovo proseguirà nella sua decennale relazione omosessuale di cui si è parlato nell’udienza del 19 dicembre?

Nessun commento al riguardo, signori.

Pare che abbia perso un po’ di peso negli otto mesi seguiti al suo arresto. Sembra piuttosto in forma. Ha fatto ginnastica nella palestra del carcere?

Sí, avrà perso piú di dieci chili. Molto in forma, nonostante le dure condizioni della sua detenzione.

Che cosa sono quei segni che ha sulla pelle, sulla faccia e sul collo? È malato?

Niente di preoccupante. Semplici eczemi. In carcere, le condizioni sanitarie non sono ottimali, come sapete. È stato visitato da un medico che gli ha prescritto una crema antibiotica.

Il vescovo ha ricevuto espressioni di solidarietà da parte dei suoi parrocchiani?

Ah, sí, tantissime lettere dai suoi parrocchiani di Antigonish. E lettere di appoggio da parte di ecclesiastici e funzionari laici di altissimo livello.

Anche da parte del papa?

No, il papa non è intervenuto.

Malcolm dice: Okay, si balla, gente. Siamo pronti. Tu sei pronto, Leo?

Sí.

Malcolm batte le mani davanti all’obiettivo di Vincent. Intervista a Leonard Fife, 1° aprile 2018. Montréal.