Per Fife, tutto accadde in un istante. Per gli altri, la sua agonia andò avanti per piú di due ore. In quell’arco di tempo, Vincent e Sloan, su insistenza di Malcolm, continuarono a filmarlo e a registrarlo, in attesa che tra grida e gemiti e frasi incoerenti esalasse il suo ultimo respiro. Verso il crepuscolo, dalla sua gola uscí un rantolo. Prese a boccheggiare e fu scosso in tutto il corpo da un lieve spasmo, come se volesse scrollarsi di dosso una foglia caduta o una piuma. Dopo essere rimasto in silenzio per un bel po’, chiuse gli occhi e ansimò ancora una volta, senza piú espirare per diversi minuti. Renée posò una mano sulle spalle incurvate di Emma e toccò il collo di Fife, lí dove passa la carotide per andare al cervello. Tenendo due dita appoggiate all’arteria per trenta secondi, aspettò, aspettò e poi ritrasse la mano per farsi il segno della croce con le stesse dita. – Woy, woy, woy, – intonò in creolo. – Mi dispiace per lei, Madame Fife, – disse.
Le guance di Emma erano bagnate di lacrime, ma aveva smesso di piangere, ormai. – Va bene, – disse. – Ti ringrazio. È un sollievo che sia finita. Ha smesso di soffrire.
Vincent chiese a Malcolm il permesso di interrompere le riprese.
Malcolm disse: – Insisti sulla faccia per qualche secondo ancora. Appena Renée si toglie dall’inquadratura. Renée, potrebbe spostarsi un po’ a sinistra?
Renée finí di staccare con cura la flebo di morfina dal corpo di Fife e, voltandosi verso Malcolm, si mise a gridare: – Obènite! – Spinse il suo gran petto contro l’obiettivo della videocamera di Vincent e si allontanò dal letto di Fife. – Vye bagay, kalanbè, – inveí, a mo’ di maledizione. Passando all’inglese, disse: – Avete fatto una cosa molto brutta, monsieur, filmando un uomo che muore. Una cosa bruttissima. E avete ripreso anche me con la vostra videocamera. Non vi avevo dato il permesso.
– Okay, okay! – disse Vincent. – Spengo tutto.
– Sarete tutti puniti per questo, – disse Renée. – Dio vi punirà.
Vincent si voltò verso Malcolm. – Dobbiamo finirla qui. Io ho chiuso, – disse, estraendo la scheda di memoria dalla videocamera. Si infilò la scheda nella tasca dei pantaloni e si guardò intorno in cerca della piccola busta di nylon che conteneva le altre schede. Diana la raccolse da terra e gliela porse, e allora lui si tolse la scheda dalla tasca e la mise nella busta insieme alle altre due schede già usate, per poi rimettere la busta sul pavimento. Fatto questo, uscí dalla stanza.
Renée spostò il microfono di Sloan con il palmo di una mano. – E anche lei, Miss Sloan, ha fatto una cosa cattiva, – disse. Sloan ritirò l’asta e la posò sul pavimento accanto a Diana, rivolgendole uno sguardo a sopracciglia rialzate, come a chiedere il permesso. Aveva gli occhi pieni di lacrime. Diana annuí in segno di assenso, ma non disse nulla.
Malcolm scosse la testa. – Merda, il regista sono io, eppure all’improvviso siete tutti dei cazzo di esperti, – disse. – Okay, abbiamo finito, a quanto pare.
Sloan si diede da fare per smontare l’asta e poi si mise a sganciare la videocamera dal cavalletto e piegò il cavalletto e cominciò ad arrotolare i cavi. Nessuno proferí parola. Renée tirò il lenzuolo di cotone sulla faccia e sulla testa di Fife. Emma, in piedi accanto al letto, posò una mano sopra il lenzuolo, sul petto immobile del marito. A quel punto Vincent rientrò nella stanza, portandosi dietro le sue morbide borse nere piene di cerniere e cominciò a mettere via i cavi e le luci e le attrezzature sue e di Sloan.
Malcolm si avvicinò a Emma e le posò una mano su una spalla. – Mi spiace davvero, Emma. Posso abbracciarti?
– Cosa? No! Sta’ lontano da me, – disse lei, raddrizzando la schiena per affrontarlo. – Prendete la vostra roba e andatevene, tutti quanti. Ho bisogno di restare da sola con lui, – disse. – Tu no, Renée. Solo loro.
Renée disse: – È il caso che vada via anch’io, ora. Cosí lei può restare con Monsieur Fife. Riferirò all’agenzia quel che è successo. E chiamerò anche l’ospedale. Lei dovrà telefonare al medico per il certificato di morte, – aggiunse. – E all’impresa di pompe funebri, perché si occupino della salma.
– Tu credi che sia vero quello che ci ha raccontato? – disse Vincent sottovoce a Malcolm.
– Non è il momento di parlarne, ora. Ne discuteremo piú avanti. Non ha poi tanta importanza.
– No, infatti. In ogni caso, è difficile venirne a capo.
– L’importante è aver fatto il nostro film.
– Cristo, Malcolm, – disse Diana. Si avvicinò a Emma e prese le sue mani tra le proprie. – Andiamo in soggiorno a risistemare i mobili com’erano e a togliere i teli dalle finestre. Mi dispiace tanto, Emma. Resto qui un po’ con te per aiutarti, se ti va. Con il medico e le pompe funebri, intendo. Non dovresti occupartene tu da sola.
Emma annuí, come se avesse capito e approvato, anche se in apparenza non stava ascoltando.
Vincent e Sloan e Malcolm trascinarono le grandi borse nere in corridoio e le riportarono in soggiorno. Renée vide Malcolm passare davanti a Diana, che disse: – Devo farmi firmare la liberatoria da Emma.
– Fallo subito. Piú avanti potrebbe essere piú difficile. Fattene firmare una anche dall’infermiera.
– Tra un po’, – disse lei. – Adesso non è il momento.
Malcolm le rivolse un piccolo e fugace sorriso e se ne andò.
Renée, con permesso, uscí dalla stanza. Quando fu di ritorno, pochi istanti dopo, indossava sopra l’uniforme bianca un cardigan marrone e una giacca a vento di nylon azzurro e aveva con sé una borsa di pelle contenente medicine e altri accessori del mestiere. Emma rimase sola nella camera da letto, sempre in piedi accanto al corpo coperto del marito. A terra, accanto alla parete, c’era la bustina di nylon con le tre schede di memoria. Renée passò di sfuggita in quel punto e, chinandosi, raccolse la bustina, infilandosela poi in una tasca della giacca a vento.
Abbracciò Emma e disse: – Se ha bisogno di me per qualsiasi cosa, Madame Fife, può chiamare me o l’agenzia, e io tornerò ad aiutarla. Il mio lavoro qui è finito, e io devo andare.
Per alcuni secondi, Emma posò la testa sulla spalla di Renée, che era piú alta di lei, ma poi si rialzò e disse: – Grazie. Non è stato facile. Per niente. Ma tu sei stata molto forte e gentile. Io lo amavo, Renée, e so che lui amava me. L’unica cosa importante è questa, no?
– Sí, è l’unica cosa importante.
Renée uscí dalla camera, imboccò il lungo corridoio che si allontanava dalla zona living e lasciò l’appartamento. Passò davanti alla porta dell’ascensore e scese le due rampe dell’ampia scala di ghisa, sbucando infine in strada dal grigio convento ristrutturato.
Era buio e faceva freddo e stava ancora piovendo, e le strade e i marciapiedi, illuminati dal traffico e dai lampioni, luccicavano umidi. Renée si avvicinò alla pensilina della fermata Stm, due isolati piú a est dell’angolo tra Boulevard René-Levesque e Avenue Atwater. Sul marciapiede, accanto alla pensilina, c’era un cestino dei rifiuti verde scuro. Renée prese la bustina di nylon dalla tasca della giacca a vento e la gettò nel cestino, andando poi a sedersi sulla panchina sotto la tettoia in attesa del bus per Outremont.
Pensò a suo marito, Louis, che sarebbe arrivato a casa di lí a poco dal Musée des Beaux-Arts, dove lavorava come sorvegliante, e si domandò se gli sarebbe andato di uscire a cena quella sera. Erano dieci giorni, da quando lei si prendeva cura di Monsieur Fife, che lui mangiava fuori da solo tutte le sere. I Fife non avevano voluto assumere un’infermiera per la notte, perciò Renée lavorava sempre fino a tardi. E quando tornava a casa era stanca e non aveva voglia di preparare la cena per Louis. Avrebbero potuto invitare il figlio e la sua nuova moglie in un ristorante di Outremont, pensò, ma poi si ricordò che quella settimana lui aveva in custodia i suoi due figli e non li avrebbe di sicuro lasciati alla baby-sitter. Be’, perché non dirgli di portare al ristorante anche i bambini? Erano abbastanza grandi, sei e otto anni, da saper stare a tavola in un ristorante con degli adulti. Inoltre, lei non vedeva i nipotini da almeno un mese e ne sentiva la mancanza.
Qualcuno la chiamò da lontano. Renée si voltò verso sinistra e vide Malcolm che le si avvicinava rapidamente. Era in maniche di camicia e non aveva protezioni contro la pioggia. Le si sedette accanto grondante, e subito dopo sopraggiunse anche Vincent, a sua volta in maniche di camicia, che si fermò a qualche passo da loro. Aveva con sé la videocamera e, nonostante fosse sotto la pioggia, cominciò a riprenderli. Lei si domandò quale sorta di videocamera potesse mai filmare la gente al buio e sotto la pioggia. Doveva essere molto costosa.
Malcolm disse: – Hai preso tu le schede di memoria, vero, Renée?
– Sí.
– Che cosa ne hai fatto?
Lei fece un cenno in direzione del cestino dei rifiuti.
Malcolm si alzò e uscendo da sotto la tettoia raggiunse il cestino e sbirciò attraverso l’apertura, sotto il coperchio a cupola. Prese il telefonino e ne accese la torcia elettrica, proiettando la luce all’interno. Poi allungò una mano, recuperò la bustina con le schede di memoria e la consegnò a Diana, che Renée aveva visto arrivare subito dopo Vincent. Indossava una giacca a vento di un giallo vivace. Sloan non c’era. Doveva essere rimasta con Madame Fife. Renée era arrabbiata con Sloan, ma meno che con gli altri. La ragazza sembrava una brava persona, e la morte di Monsieur Fife l’aveva turbata.
Vincent andò avanti a filmare Malcolm e Diana anche mentre esaminavano le schede per assicurarsi che non avessero riportato danni. Il salvataggio delle schede di memoria sarebbe stato la scena finale di Oh, Canada, il film di Malcolm sulla vita e la morte del film-maker Leo Fife. Il film doveva avere un tema, e il suo tema era evidentemente quello della vita e della morte di Leo Fife. Non certo l’infermiera, Renée Jacques. E neppure Emma Flynn, la vedova di Leo. Né la vita e la carriera del film-maker, Leo Fife, anche se proprio questo era lo scopo per cui la Canadian Broadcasting Company li aveva pagati, e questa la veste in cui loro avevano promosso l’iniziativa. In un certo senso, come Malcolm si era prefisso, il film era privo di un tema. Era il ritratto auto-referenziale di un gruppo di amici che filmano la morte di un uomo. E non era quello che l’uomo morente avrebbe voluto. Dal film, però, non sarebbe emerso con chiarezza quale fosse il desiderio di Fife o perché, addirittura, avesse accettato di posare per quel ritratto filmato.
Emma, dopo lunghe trattative, decise di concedere alla Cbc il permesso di trasmettere Oh, Canada alla tv canadese. Era certa che il marito, nonostante una vita di segreti e bugie, la avesse amata, e lei aveva amato lui, e questa era la sola cosa di cui le importasse. Oh, Canada sembrava confermare l’amore che Leo aveva provato per lei, e ora che suo marito era morto, Emma non vedeva ragione di opporsi alla sua diffusione. Non pensava che avrebbe intaccato la reputazione di Fife, e cosí andò, infatti. Oh, Canada, però, non fu mai trasmesso negli Stati Uniti, dove i film di Fife e di Malcolm erano noti soltanto ai cineasti, dato che Fife era troppo apertamente politico, mentre Malcolm era troppo canadese. Renée negò il permesso di usare la sua immagine nel film, ma alla fine, grazie all’abilità di Malcolm e Diana nella loro arte, non fu un gran problema escludere dal montaggio finale l’infermiera haitiana.
Alle 18,15 l’autobus Stm per Outremont si fermò all’angolo tra Boulevard René-Levesque e Avenue Atwater. A quel punto Malcolm e Diana e Vincent erano già tornati all’appartamento di Fife per recuperare il resto dell’attrezzatura. Renée salí sull’autobus da sola e trovò un sedile libero piú o meno a metà del corridoio. Non aveva idea di come avrebbe descritto la morte di Monsieur Fife al marito Louis. Fife non era il primo paziente che Renée vedeva morire, e il modo in cui era morto non era insolito né difficile da descrivere. Fife, però, era il suo primo paziente che avesse preteso di farsi riprendere mentre moriva. Ed era stato il primo che avesse continuato a parlare fin quasi all’istante della morte, nonostante il grande dolore e il pesante effetto dei sedativi. La sua conoscenza dell’inglese le aveva permesso di comprendere le parole e le frasi, ma queste, perlopiú, le erano parse prive di senso, dato che Fife era in preda alle allucinazioni.
Forse avrebbe evitato di descrivere a Louis la morte di Leonard Fife. Era una cosa troppo complicata e bizzarra e stranamente perturbante. Gli avrebbe parlato, invece, della cena al ristorante con il figlio e i nipoti e la nuova moglie del figlio. Renée non aveva voglia di pensare alla morte di Leonard Fife.