3

«Miss Harper?»

Violet corrugò la fronte nel sonno. La voce sembrava arrivare da lontano, ma lei non aveva idea di cosa ci facesse lì. Era una voce di donna, sebbene non sapesse di chi, che ripeteva in continuazione il suo nome, ma anche quello non aveva senso. Nel sogno, era sola in mezzo alla brughiera e cercava riparo, disperata, mentre la neve si accumulava sempre più imprigionandola tra le sue pareti spesse, bianche, impenetrabili. Si sentiva persa e spaventata, e senza speranza di essere salvata...

«Miss Harper?»

Una mano le toccò la spalla, stavolta, e lei si svegliò di soprassalto.

«Dove sono?» Guardò intorno a sé, ma chiunque l'avesse svegliata stava tenendo una candela proprio davanti al suo viso, perciò tutto ciò che riusciva a vedere era un bagliore arancione.

«Amberton Castle.» Era la voce del sogno, però il tono era tutt'altro che cordiale. «Sono Mrs. Gargrave, la governante.»

«Oh... sì, certo. Ricordo.»

Si tirò su a sedere e guardò con occhi socchiusi la fiamma della candela. Davvero si era addormentata? Dopo avere camminato avanti e indietro per la stanza per un'eternità, alla fine si era rannicchiata sotto un telo che copriva una delle vecchie poltrone, però non si era aspettata di prendere sonno. Tra il freddo penetrante e la luce sempre più fioca, non le era sembrato possibile dormire in una stanza ghiacciata e dall'aspetto inquietante, ma a quanto pareva era successo. Dopo tutta l'ansia e la tensione degli ultimi giorni, doveva essere stata più stanca di quanto si fosse resa conto. A giudicare dal buio, per non parlare del dolore al collo, doveva essere lì da qualche ora, oltretutto.

«Abbiamo parlato all'ingresso, prima, vero? Avevate detto di avere organizzato un pranzo.»

«Lo avevo organizzato, infatti.» La donna fece una smorfia, irritata. «Il cuoco aveva preparato un pasto speciale per festeggiare il vostro matrimonio. Contro gli ordini del padrone, potrei aggiungere; ma volevamo darvi il benvenuto come si deve. Però è tutto rovinato, ormai.»

«Oh.» Non era certa di cosa dire. Non era certo stata lei a volersi rinchiudere in una torre. «Mi dispiace. Non volevo...»

«In ogni caso, la vostra camera è quasi pronta.»

«La mia camera?» Si alzò a fatica e riuscì a vedere in modo vago la fisionomia di una donna magra di un'avanzata mezza età. «Mi pareva che il capitano Amberton avesse detto che era questa la mia camera.»

«Si è messo una mano sulla coscienza.»

Coscienza? Ne dubitava. Avrebbe dovuto averla, una coscienza, per metterci la mano sopra, ed era difficile immaginare che il bruto che l'aveva rinchiusa avesse mai un qualche tipo di ripensamento. Comunque, qualunque fosse il motivo del suo rilascio, non intendeva metterlo in discussione.

«Sono sollevata. Temevo di dover rimanere prigioniera qui tutta la notte.»

«Buon Dio!» La governante fece un'altra smorfia d'irritazione. «C'è stato un tempo in cui questa casa era rinomata per l'ospitalità. Quando la madre del capitano Amberton era viva si faceva tutto a modo, ma da allora non c'è stato altro che declino. Non so perché mi ostini a rimanere, a volte...»

«Ma sono certa che la mia camera sarà molto comoda.» Violet indicò la porta con espressione incoraggiante. Mrs. Gargrave era piuttosto presa dall'argomento, però se doveva ascoltarla, preferiva farlo in un posto più caldo. «Vogliamo andare?»

«Sì. Va bene.» La governante sembrò delusa di essere stata interrotta a metà discorso. «Da questa parte.»

Violet la seguì, contenta di uscire dalla torre, rinfrancata dal fatto di ritrovarsi di nuovo nel corridoio rivestito di legno. Pareva estendersi per tutta la lunghezza della casa, con almeno dieci porte da un lato e una lunga balaustra e ancora altre scale dall'altro. Mrs. Gargrave la condusse verso di esse e poi su un altro pianerottolo, quasi identico al precedente.

«Vedo che non esageravano, dunque.» La governante gettò un'occhiata dietro di sé mentre si avvicinavano a una delle porte.

«Prego?»

«La vostra altezza. Siete addirittura più piccola di quanto dicevano.»

Violet vacillò un momento. Almeno una volta avrebbe voluto incontrare qualcuno che non sentisse il bisogno né di fissarla né di fare commenti circa la sua statura, quando la vedeva, come se in qualche modo lei potesse esserne inconsapevole, come se si trattasse di una bambina che era possibile criticare o sminuire, e non una donna con dei sentimenti. Fra tutti, c'era una sola persona che si era comportata come se non ci avesse fatto caso, e lei non era dell'umore adatto per avere pensieri indulgenti verso di lui. Per quanto riguardava tutti gli altri, ne aveva abbastanza. Aveva trascorso l'intera esistenza a sentirsi giudicata per la propria altezza e non intendeva più tollerarlo.

«Sarò anche minuta, Mrs. Gargrave, ma almeno ho buone maniere per non fare commenti sull'aspetto degli altri. Se non le avessi, potrei dire di voi che sembrate acida.»

La donna raddrizzò le spalle. «Be', non intendevo di certo offendervi, però non potete fingere che non si noti.»

«Non tento di fingere. Ma nemmeno posso crescere ancora.»

«Sì, certo.» Ci fu una terza smorfia irritata. «Siamo arrivate. Questa è la vostra camera.»

Violet si avvicinò alla porta con un nuovo e corroborante senso di vittoria. Ecco! Per una volta si era saputa difendere. Non si sarebbe più fatta criticare da Mrs. Gargrave né intimidire dal capitano Amberton, anche se con lui non aveva la sensazione di averla spuntata nel loro ultimo incontro. Anzi, si era fatta rinchiudere nella torre. Con tutti i suoi discorsi sul fatto di doverla proteggere, in fondo non era meglio di suo padre, che aveva dato per scontato che lei facesse sempre ciò che le veniva detto.

Se non altro, alla fine il capitano Amberton aveva ceduto e l'aveva liberata. Era una piccola vittoria. Ora doveva solo rimanere ferma sulla propria posizione e rifiutarsi di sposarlo. La sua cattura non era altro che un contrattempo, non la fine delle speranze di libertà. Anche se la reputazione era ormai rovinata, lei avrebbe comunque potuto farsi strada nel mondo. Una volta che lui si fosse reso conto che non si sarebbe arresa, avrebbe dovuto lasciarla andare. In caso contrario, il mese sarebbe comunque scaduto. Non sarebbe rimasta lì tanto a lungo, ovvio. Appena Ianthe avesse scoperto dov'era, sarebbe andata a salvarla di certo con suo marito Robert... Sperava solo che non ci volesse troppo tempo.

Era così immersa nei propri pensieri che impiegò un po' ad accorgersi di essere in una nuova stanza, un'accogliente camera da letto, illuminata dalla luce delle candele, con le pareti color panna e giallo pallido, pochi mobili e un grande bovindo che affacciava su quello che presumeva fosse il retro della casa. C'era già il fuoco acceso e scoppiettante che illuminava il letto a baldacchino provvisto di tende, dove una cameriera stava facendo il risvolto alle coperte.

«Questa è la mia camera?» Violet si guardò intorno stupita, sospettando in parte che si trattasse di uno scherzo. Era difficile immaginare un contrasto maggiore con la stanza che aveva appena lasciato. O con la sua vecchia camera da letto a Whitby. «È incantevole.»

«Non lascerò che si dica che non sappiamo accogliere gli ospiti.» La governante incrociò le braccia con un gesto teatrale. «A prescindere da quanto male si comporti il padrone di casa. O chiunque altro, per quello che importa.»

«È tutto pronto, Mrs. Gargrave.» La cameriera, una ragazza piuttosto giovane dai capelli ricci, accennò un inchino davanti a loro.

«Molto bene, Eliza. Ora immagino che la nostra ospite gradirà un tè. Non è così, Miss Harper?»

«Lo gradirei davvero, grazie. Posso chiedervi dove si trova il capitano Amberton?»

«In salotto, ma non credo che sia in condizioni adatte per mostrarsi. Di solito non lo è mai la sera. Si occupa di lui Martin, il suo domestico.»

«L'uomo che era con noi prima?»

«Sì. Sono tornati insieme dal Canada. Doveva essere una sorta di suo sottoposto nell'esercito, a quanto pare, ma è un uomo molto riservato. Deve fare i conti con gli atteggiamenti peggiori del capitano, eppure non ha mai detto una parola contro di lui.»

«Perché?»

«Dovreste chiederlo a lui. O al padrone, ma non ve lo consiglierei, non stasera. Fareste meglio a starvene nella vostra stanza, miss.»

«Volete dire che ha bevuto?» Violet fece una smorfia di disgusto. «Pensavo avesse già provveduto al nostro arrivo.»

«Sì, ecco...» La governante esitò, come se avesse voluto esprimere qualcosa e poi ci avesse ripensato. «Al riguardo, non saprei cosa dire. È il padrone ed è un Amberton, a parte tutto. Non voglio essere accusata di slealtà, anche se lo meriterebbe. Ora, come potete vedere, ho disfatto il vostro bagaglio.»

«Grazie...» Violet girò lo sguardo verso la toeletta. «... ma non ho intenzione di restare qui oltre stanotte.»

Mrs. Gargrave drizzò la schiena e inspirò a fondo. «Mi è stato detto che il matrimonio si sarebbe tenuto comunque.»

«Allora temo che siate stata informata male. Non intendo sposare nessuno, specialmente il capitano Amberton. Voglio tornare a Whitby il prima possibile.»

«Di nuovo senza uno chaperon, immagino.»

Lei guardò la donna con sguardo deciso. A giudicare dal tono, Mrs. Gargrave la riteneva almeno in parte responsabile della sua stessa situazione. Be', la vecchia Violet forse lo avrebbe accettato, si sarebbe sentita mortificata di fronte all'accusa sottintesa. La nuova Violet non intendeva più umiliarsi per nessun motivo.

«Come mai ho la sensazione che mi disapproviate, Mrs. Gargrave?»

«Non sono nella posizione di avere un'opinione.»

«Davvero?» La guardò con aria scettica. Aveva la netta sensazione che la governante invece avesse parecchie opinioni, molte delle quali negative. «Ma se volessi saperla? Se vi chiedessi cosa pensate di me?»

«Molto bene, allora, dal momento che me lo chiedete, vi dirò che disapprovo qualsiasi donna che si faccia beffe dei desideri del padre e scappi di casa da sola. È uno scandalo! Ai miei tempi, le ragazze facevano quello che veniva ordinato loro di fare.»

«Capisco. Allora vi interesserà sapere che ho trascorso ventitré anni facendo tutto ciò che mi veniva ordinato.»

«Così dovrebbe essere...»

«Uscivo una volta alla settimana in compagnia di mio padre. Non avevo alcun altro familiare, pochissimi conoscenti e ancor meno amici. Mi veniva detto cosa fare, dove andare, come vestirmi e perfino quali cibi mangiare. Ormai credo di essermi conquistata il diritto di prendere qualche decisione da sola, compresa quella su chi voglio o non voglio sposare.»

«Resta il fatto che non è giusto per una donna non sposata vivere senza uno chaperon nella casa di un uomo non sposato.»

«Forse no, ma non è stato per mia scelta. Sono stata portata qui contro il mio volere da un individuo che pretende che diventi sua moglie, malgrado i miei ripetuti rifiuti. Dovrebbe scandalizzarvi più questo che la mia disobbedienza, se così vogliamo chiamarla.»

«Ecco...» Mrs. Gargrave tirò indietro le spalle. «Come ho detto, non sono affari miei. A lui ho già espresso la mia opinione sul suo comportamento, per quanto possa servirgli, e ora ho fatto lo stesso con voi circa il vostro. Per come la vedo io, siete uno peggio dell'altro. Ho compiuto il mio dovere per farvi sentire a vostro agio e nessuno può negarlo. Il resto riguarda solo voi due. Non mi farò trascinare in niente di sordido.»

«Davvero caritatevole da parte vostra, Mrs. Gargrave.» Violet fu colta dall'improbabile impulso di ridere. L'espressione severa della governante lasciava intendere con chiarezza che la riteneva una sorta di meretrice. Era la prima volta in vita sua che veniva criticata per scarsa moralità e la sensazione era stranamente liberatoria. «Tutto purché la vostra coscienza sia pulita.»

Non ebbero modo di dire altro perché la porta si riaprì ed entrò di nuovo Eliza con un vassoio di tè e panini.

«Bene.» La governante fece ancora una volta una smorfia d'irritazione mentre la cameriera posava il vassoio sul tavolo. «Se doveste avere bisogno di qualsiasi altra cosa, suonate il campanello. Se ne occuperà Eliza. Buonanotte, Miss Harper.»

«Buonanotte, Mrs. Gargrave.» Violet chinò il capo con cortesia esagerata. «Vi sono davvero grata. Anche a voi, Eliza.»

Rimase lì in piedi, sorridente e immobile, finché la porta non si richiuse dietro di loro, poi si affrettò fino al vassoio, divorò i panini e bevve il tè a grandi sorsi, con gusto. Non aveva mangiato niente per tutto il giorno e lo stomaco vuoto aveva emesso continui gorgoglii mentre saliva le scale.

Finalmente sazia, si avvicinò al comodino, versò dell'acqua nel catino e si pulì viso e collo sfregando con vigore. Così andava meglio. Era strano, ma non avvertiva più neanche un po' di stanchezza. Piuttosto il contrario, si sentiva ristorata e rinvigorita e, ora che era libera, non aveva alcuna intenzione di rimanere dove le era stato detto, indipendentemente dai consigli di Mrs. Gargrave. Purché avesse evitato il salotto, quale momento poteva essere migliore per esplorare la casa di quando tutti erano a letto? Avrebbe potuto esserle utile individuare una via di fuga.

Prima di agire, però, era meglio essere preparati. Rapida, rovistò nel cassettone in cerca del suo scialle e se lo avvolse intorno alle spalle. Non si era ancora tolta il mantello e non lo avrebbe fatto. Riteneva il capitano Amberton capace di rinchiuderla di nuovo se l'avesse sorpresa e, nel caso, intendeva stare al caldo, anche se avesse significato indossare tutti insieme i vestiti che aveva. Infine, prese una candela e aprì la porta, ascoltandone preoccupata il cigolio prima di sgusciare nel corridoio.

La casa sembrava echeggiare di silenzio mentre Violet camminava furtiva sul pianerottolo, scendeva la prima rampa di scale e poi quella principale. Il cuore le batteva veloce, quindi attese all'inizio della balaustra per qualche secondo, tendendo le orecchie, ma non udì altri rumori oltre a un debole mormorio di voci in sottofondo.

Un brivido di apprensione le percorse la schiena. Se non avesse saputo che la realtà era diversa, avrebbe pensato di trovarsi in un luogo abbandonato. Nella quasi totale oscurità, si sentiva circondata da sagome e ombre misteriose che le facevano venire voglia di tornare di corsa indietro nella sicurezza della sua camera. Ma quello era ciò che avrebbe fatto la vecchia, timorosa Violet. La nuova Violet, invece, si fece coraggio e continuò determinata a scendere le scale fino alla porta d'ingresso. Come aveva immaginato, era chiusa a chiave.

Si voltò, appoggiò la testa contro il legno e scrutò il grande atrio. Il fuoco nel camino era debole, così solo metà della stanza era illuminata, mentre il resto era avvolto in una spettrale, misteriosa oscurità.

O così le sembrava. Fece qualche passo avanti, strizzando gli occhi per essere sicura. C'era un'altra fonte di luce, un lieve bagliore arancione che proveniva da sotto una delle porte che davano direttamente sull'atrio. Era la stanza dalla quale il capitano Amberton era uscito furioso qualche ora innanzi, appena prima di trascinarla su per le scale. Era il salotto? Posò la candela sul tavolo al centro dell'atrio, si avvicinò in punta di piedi e premette l'orecchio sul legno. Silenzio. Lui era dentro? Mrs. Gargrave aveva detto così, ma era possibile che nel frattempo fosse andato a letto. Oppure poteva essersi addormentato. Fu presa da un improvviso, irrefrenabile bisogno di scoprirlo, di vedere il covo del mostro, se non il mostro stesso.

Con cautela mise la mano sulla maniglia e aprì la porta, ignorando la voce del buonsenso che le diceva di andarsene, se non di correre via, mentre sbirciava all'interno in preda all'ansia e alla fine tirava un sospiro di sollievo. La stanza appariva vuota, tuttavia non era per niente come se la sarebbe aspettata, ma ben più invitante del covo di un mostro, quantunque con un tocco decisamente maschile, con le pareti di mogano lucidissimo, sei poltrone di pelle bordeaux, due divani di velluto verde e tappeti e tende cremisi scuro.

Incuriosita, fece qualche passo all'interno. Nella stanza non c'era alcun ornamento superfluo, nemmeno un centrino di pizzo in vista, solo due grandi credenze sulle quali troneggiava un'impressionante selezione di bottiglie, bicchieri vuoti e libri. Le uniche decorazioni erano alcuni dipinti di cavalli alle pareti e un paesaggio, una veduta di Whitby Bay, appeso sopra al fuoco ancora crepitante.

Fu allora che lo vide, accasciato su una poltrona vicino al camino, un piede ancora con lo stivale indosso poggiato su uno sgabello e l'altro steso davanti a sé, i lineamenti cesellati coperti per metà dagli indomabili riccioli scuri, spettinati. Violet si fermò all'istante, con il timore che potesse averla sentita, anche se, a giudicare dal movimento regolare del petto, dormiva profondamente.

Attese qualche istante per esserne sicura e poi si avvicinò, piano e senza movimenti improvvisi, incredula che stesse osando tanto. Per qualche motivo voleva vederlo più da vicino. Ora che la collera si era dissipata, almeno per il momento, era tornato a essere avvenente, sebbene l'impressione venisse in parte rovinata dall'aroma pungente di sigaro e di whisky che riempiva l'aria intorno a lui.

Violet urtò con il piede una bottiglia vuota appoggiata vicino alla sua poltrona e intimorita lo guardò in viso. Era lo stesso dell'affascinante giovane ufficiale che aveva conosciuto cinque anni prima, solo un po' segnato dal tempo. Sulla fronte e tra le folte sopracciglia c'erano rughe che lei non ricordava... troppe, come se le preoccupazioni fossero aumentate dieci volte da allora. In effetti, erano accaduti molti eventi nel frattempo. Era stato cacciato di casa, aveva perso il padre e il fratello, era rimasto ferito... Dunque, erano indici di dissolutezza o di dolore?

«Ah, Miss Harper.» La voce gli uscì così bassa da sembrare un brontolio. «La mia riluttante fidanzata. Avete dato una bella occhiata?»