6

«Non la state tagliando troppo corta?» Lance trasalì quando la lama gli passò sulla guancia.

Martin si schiarì la gola, infastidito, ma la sua mano non ebbe incertezze. «Avete bisogno anche di un taglio ai capelli.»

«Non c'è tempo.»

Si udì un altro sonoro colpetto di tosse. «Dovreste almeno cercare di sembrare un gentiluomo, anche se non agite come tale. Non riuscirete mai a farvi sposare da lei, altrimenti.»

Lance rimase sorpreso. Il suo servitore era un tipo taciturno, non era solito esprimere opinioni né sul suo aspetto fisico né sul suo comportamento, per quanto fossero deprecabili entrambi.

«Dubito che riuscirò a convincerla a sposarmi comunque. Sembra che stia perdendo il mio fascino. Sono io che non le vado bene, non la mia gamba.»

Tuttavia, prenderne coscienza lo aveva reso stranamente fiducioso. Considerato quanto si era infuriato pensando che lei lo stesse rifiutando per via dell'arto offeso, sapere che il vero motivo era invece il suo carattere non lo infastidiva, in confronto, nemmeno la metà. Comprendeva appieno le sue obiezioni al riguardo. Ora che aveva smesso di incolparla per il passato, poteva considerare la loro situazione dal suo punto di vista. Non ce l'aveva più con Miss Harper. Anzi, dopo che avevano parlato a colazione, si sentiva stranamente più legato a lei, ma immaginava che Martin avesse ragione. Se voleva che lei acconsentisse a sposarlo, doveva davvero cominciare a comportarsi da gentiluomo.

«È più intelligente delle altre, allora.» Martin mise da parte la lama.

«Così sembrerebbe.»

Lance si passò un asciugamano sul viso, poi si mise un paio di brache, una camicia bianca pulita e il fazzoletto da collo. Ora che si era lavato e sbarbato, si sentiva impaziente di andare di sotto, come se fosse ansioso di rivederla.

Era partito male con lei; in tutta onestà, gli era difficile immaginare un inizio peggiore. Da quel momento, però, l'avrebbe corteggiata sul serio. Sarebbe stata una sfida, eppure l'idea lo entusiasmava.

Si sentiva più leggero rispetto a quando si era svegliato quella mattina. Se fosse riuscito a convincerla a diventare sua moglie, avrebbe potuto estendere la sua attività mineraria. Aveva già investito il denaro guadagnato facendo il soldato, ma il patrimonio del padre di Miss Harper avrebbe fatto la differenza.

«Ecco fatto.» Annodò il fazzoletto da collo in modo elaborato. «Abbastanza gentiluomo secondo voi?»

«Meglio del solito.»

«Mi ricordate perché vi tengo con me?»

«Perché nessun altro vi sopporterebbe» borbottò Martin. «Ditele che è graziosa. Alle donne piace.»

Lance si voltò pieno di stupore. «Mi state dando dei consigli su come comportarmi con l'altro sesso?»

«Era solo un suggerimento, sir.»

«Bene, perché se c'è una cosa che so...»

«Perdonate, sir, ma lei non è come le altre.»

«Ah sì?» Stava cominciando a sentirsi vagamente irritato. «Per la sua presunta intelligenza o perché c'è qualcos'altro che la rende diversa?»

«Penso solo che non sia il tipo di donna che usi dei sotterfugi, sir. O che tradisca il marito.»

Lance strinse i denti a quelle parole. Martin aveva reso chiara la propria disapprovazione riguardo alla moglie del maggiore sin dall'inizio, ma era rimasto al suo fianco quando era scoppiata la bufera. Gli aveva perfino estratto la pallottola.

«Non voglio sedurla, Martin, voglio solo sposarla. Da quello che ho potuto osservare, i due desideri sono piuttosto diversi.»

«Non sempre, sir.»

«Davvero?» L'irritazione si stava trasformando in una vera e propria seccatura. «E parlate per esperienza, suppongo. Siete sposato, Martin?»

«Lo ero, sir. Mia moglie è morta dodici anni fa. Di colera.»

«Oh.» Lance si fermò con le braccia infilate a metà in un'elegante giacca nera. «Non ne avevo idea. Mi dispiace.»

«È stato molto tempo fa, sir.»

«Mi dispiace comunque.» Gli mise una mano sulla spalla. «Da questo momento avete il permesso di darmi tutti i consigli che riterrete giusti. Sentitevi libero di farmeli capire a forza di botte, se è necessario.»

«Non me lo sognerei nemmeno, sir. Non vi ho ancora mai visto soccombere in una lotta.»

«Mai?» Lance fece un'espressione scettica, ma quella di Martin rimase la stessa.

«In quel caso non perdeste, sir. Faceste la cosa giusta.»

Lance si strinse nelle spalle e poi, zoppicando, scese le scale. In cinque anni passati insieme, Martin non aveva mai nominato una donna, meno che mai una moglie, mentre aveva saputo ogni ignobile indiscrezione riguardante il suo superiore. Quanta poca attenzione aveva dedicato all'uomo che lo aveva servito con tanta lealtà? Come se avesse avuto bisogno di ulteriori prove del proprio egoismo!

Forse Miss Harper era davvero più intelligente di tutti gli altri, dopotutto. Forse aveva avuto ragione a fuggire da un uomo come lui...

Quando arrivò nell'atrio, la trovò che attendeva seduta vicino al fuoco con le mani unite in grembo, un modello di calma e padronanza di sé. Considerata la situazione, Lance dovette ammirare la sua compostezza, ma in fondo stava cominciando ad ammirare molti aspetti di lei. Stava cominciando a ricordare cosa aveva visto in lei la prima volta...

«Non capisco.» Lo guardò e gli indicò uno stemma sopra il camino. «C'è scritto 1832.»

«È l'anno in cui è stata costruita la casa.»

«Questa casa?» Lei si alzò e si guardò intorno come se vedesse l'atrio con occhi nuovi. «Ma sembra così antica. Pensavo che fosse almeno dell'epoca Tudor.»

«È voluto. Hanno persino consumato la pietra per farla apparire più antica. Mia madre era una lettrice vorace di Sir Walter Scott. Anche se credo che il suo autore preferito fosse Malory.»

«Le leggende di re Artù?» Lei sorrise mentre posava lo sguardo sul pezzo d'arredamento più grande e più centrale. «Avete una tavola rotonda!»

«La versione di mia madre, sì.» Lance osservò con interesse la sua espressione cambiare. Eccolo di nuovo, l'effetto che aveva notato la prima volta che si erano incontrati, il bagliore argenteo che dava l'impressione di avvolgerla nella sua interezza quando sorrideva. Solo che l'effetto sembrava addirittura più potente in quel caso.

«E voi siete Lancelot!» Si volse esultante verso di lui.

«Temo di sì» confermò Lance con una smorfia. «Però non vi aspettate che mi volti se mi chiamate così. Quasi tutti mi chiamano Lance. Potete farlo anche voi, se volete.»

Lei non rispose alla proposta. «Avrebbe potuto essere peggio. Non c'era anche un Sir Lamorak?»

«E anche Bedivere.»

«E Bors.»

«Pensate se avessi avuto altri fratelli.» Sollevò il sopracciglio. «Suppongo che chiamarvi Violet sia fuori questione, quindi? O dovrei chiamarvi Ginevra?»

«Ricordo vostra madre.» Sembrò ignorare anche quella seconda richiesta, e apparve invece pensierosa. «Venne a trovarci a casa con vostro padre quando ero piccola. Fu gentile con me.»

«Era una persona gentile.»

«Mi portò anche una bambola, una volta. Penso che avesse notato che non avevo molti giocattoli. L'ho tenuta con me per anni... Mi dispiacque molto quando morì.»

Lance si schiarì la gola. Come erano arrivati a quell'argomento? Per amor di Dio, doveva corteggiarla, ma lei sembrava decisa a essere seria.

«Prese un'infreddatura che poi si trasformò in febbre» spiegò cercando di non lasciare trasparire l'emozione dalla voce. «Due settimane dopo, se ne andò.»

«Mi dispiace. Anche mia madre ebbe una febbre di qualche tipo, credo.»

«Non lo sapete?»

«No.» Lei increspò un po' la fronte. «Non sono mai stata sicura di quello che successe. Mio padre di solito raccontava che era morta alla mia nascita, ma io me la ricordo. Lei c'era, e poi, da un momento all'altro... sparì. Non parlava quasi mai di lei e nessun altro aveva il permesso di farlo. Dopo un po' divenne strano chiedere.»

«Quindi nessuno vi ha detto niente?»

«No. Ero ancora piccola quando accadde, perciò non rammento molto. A stento ricordo che aspetto avesse. Vorrei tanto riuscirci.»

«Era come voi.»

Lei posò di scatto gli occhi sui suoi, lo sguardo illuminato di speranza. «Come fate a saperlo? L'avete conosciuta?»

«No, ma ho visto vostro padre. Non gli somigliate per niente, e lo dico con sollievo.»

«Oh.» Un delicato rossore le si diffuse sulle guance. «Ma comunque sono strana.»

«Strana?»

«Nell'aspetto. So di sembrare... diversa.»

«Da?»

«Da chiunque.»

«E volete sottintendere che sia negativo?»

Il rossore aumentò. «Le persone fanno commenti. Dicono che sono troppo piccola, troppo pallida, che i miei lineamenti sono eccessivamente marcati e i miei occhi enormi.»

«Chi dice tutte queste cose?»

«Alcune persone.»

«Ah.» Lance ci pensò. Suo padre, allora, con ogni probabilità. Tuttavia immaginava che ci fossero stati altri commenti indelicati negli anni. Era così che si vedeva anche lei? Era per quello che si era mostrata tanto sensibile alle sue parole in occasione del ballo? Lui aveva dato per scontato che fosse timida, ma non aveva mai considerato che potesse essere anche insicura riguardo al proprio aspetto. Perché avrebbe dovuto, se ne era stato tanto affascinato? Ma in quel momento le guance accese e lo sguardo sfuggente suggerivano che ci fosse un profondo dolore dietro.

«Allora formiamo una coppia perfetta, Miss Harper.» Le offrì il braccio e cercò di alleggerire gli animi. «Come già sapete, la gente fa commenti di continuo su di me, per lo più perché non ha niente di meglio da fare. Ora siete pronta per il vostro giro?»

Sembrava sollevata quando lo prese sottobraccio e lo seguì lungo l'infinita serie di stanze di rappresentanza. Il salotto e la sala della colazione li conosceva già, ma c'erano anche la sala da pranzo, una sala della musica, il salottino e infine il suo studio, sebbene gli sovvenne in ritardo che avrebbe dovuto tentare di metterlo almeno un poco in ordine prima di invitare una donna a entrarci. C'erano libri e carte dappertutto, e la scrivania era quasi nascosta sotto un'enorme mappa della tenuta.

«Questo è il vostro studio?» Sembrò alquanto colpita dall'entità del disordine.

«Una volta veniva chiamato così, ma mi pare che ora Mrs. Gargrave lo abbia ribattezzato lo scandalo.» La guardò con aria interrogativa quando lei contrasse le labbra. «C'è qualcosa di divertente?»

«Penso che sia la sua parola preferita. Ieri ero io lo scandalo.»

«Voi? Stento a crederlo.»

«Lo eravamo tutti e due, temo. Però in questo caso, mi dispiace dirlo, sono d'accordo con lei.»

«Non le lascerò pulire il mio studio. Se lo facesse, non ritroverei più niente. Non sono mai stato particolarmente ordinato.»

«Lo vedo. Cos'è questa?»

Si chinò sulla scrivania per esaminare la mappa e Lance si spostò accanto a lei, più vicino di quanto fosse necessario. Dopo tutti quei mesi era strano trovarsi tanto vicino a una donna. Con quello che era successo l'ultima volta, pensava che avrebbe provato repulsione, e invece era semmai il contrario. Il profumo fresco dei suoi capelli, il suono flebile del suo respiro, perfino il lieve calore che il suo corpo emanava stavano provocando una reazione fisica che aveva quasi dimenticato. Bizzarro, visto che le amicizie femminili che gli avevano fatto visita da quando era tornato non erano riuscite a destare in lui il minimo interesse.

«Qui si vede tutta la proprietà.» La superò con il braccio per indicare il perimetro della mappa. «Ho appena aperto una miniera in questa valle.»

«Voi?»

«Sì, un paio di mesi fa. Vorrei aprirne anche delle altre. Esiste già una ferriera a Grosmont, ma c'è ampia possibilità di costruirne di nuove.»

Miss Harper si voltò verso di lui, però non sembrò notare l'eccessiva vicinanza. Qualunque sensazione provasse Lance doveva essere del tutto unilaterale.

«Ma pensavo che viveste da recluso.»

Lui scoppiò in una risata fragorosa. «È questo che dicono di me a Whitby, che me ne sto seduto in una stanza buia a crogiolarmi nella mia stessa infelicità? Be', ho fatto la mia giusta parte anche di quello, come avete potuto constatare ieri sera, ma mi piace anche impiegare meglio il tempo che ho. Voglio migliorare la proprietà, non soltanto per me, ma per tutti quelli che ci vivono. La miniera è solo il primo passo.»

«Allora è per questo motivo che volete la mia eredità?»

«Sì.» Chinò il capo avvicinandosi a lei e continuò con un tono beffardo, a bassa voce: «O pensavate che volessi spendere tutto in brandy?».

«Non tutto.» L'espressione di Miss Harper non vacillò. «Mi aspettavo che una parte fosse anche per il whisky.»

Lui risollevò lo sguardo, con un sorriso d'apprezzamento. «Era una battuta, Miss Harper? Mi offendete, ma suppongo di meritarlo.»

«Sì.» Lei si voltò e, appoggiata alla scrivania, osservò le librerie che tappezzavano due pareti. «È proprio una bella stanza... almeno da quello che riesco a vedere.»

«Non si è badato a spese.» Lance si mise nella sua stessa posizione accanto a lei. «A mio padre non interessavano le modifiche che mia madre apportava alla casa, purché fosse lei a pagare.»

«Da come parlate di lui sembra che non vi piacesse.»

«A volte, però gli volevo bene lo stesso. Ma non la rendeva felice. L'ha sposata solo per i soldi. E, sì, ho colto l'ironia.»

«Lei sapeva che era quello il motivo per il quale l'aveva presa in moglie?»

«Non lo so. Era una donna intelligente, quindi immagino se ne fosse resa conto. Spero di sì. Spero che non sia stata ingannata.» Le lanciò uno sguardo di sottecchi. «Per quello che vale, io non ho mai inteso essere un cacciatore di dote.»

«I cacciatori di dote erano i nostri padri. Voi almeno siete sincero.»

«Fin troppo. È questo che mi mette nei guai.»

«Dubito che sia l'unica ragione.» Lo guardò negli occhi. «Ma apprezzo molto la verità.»

«Allora prometto di essere sempre onesto con voi.»

«Grazie.» Miss Harper si rimise dritta. «Possiamo vedere la sala da ballo, adesso?»

Il morale risollevato di Lance precipitò di nuovo. «Se volete.»

La riaccompagnò verso l'ingresso e poi lungo un corridoio in direzione di un paio di grandi porte a due battenti. La sala da ballo occupava l'intera ala est della casa, ma Lance aveva sperato di poter evitare quella parte del giro. In qualche modo aveva supposto che anche lei volesse evitarla, ma forse era più coraggiosa di lui.

«Eccoci.» Con riluttanza, aprì le porte.

Miss Harper trasse un respiro profondo mentre entrava con espressione malinconica. «È più grande di quanto ricordassi.»

«Era piena di gente quella sera.»

«Credo di sì. All'epoca mi era sembrato tutto così travolgente.» Lenta, andò verso il centro della sala, poi indicò un angolo in fondo. «È lì che è successo.»

Lance avvertì una stretta al cuore. Non c'era bisogno di chiedere a cosa si riferisse. Intendeva il punto in cui avevano litigato, dove lui aveva visto suo padre e suo fratello per l'ultima volta. E quella era la ragione per cui non era più entrato lì dentro... la ragione per cui, anche in quel momento, si rifiutava di superare la soglia. L'intera sala era piena di fantasmi. Se si fosse addentrato oltre, temeva di venirne travolto.

Lei era decisamente più coraggiosa di lui.

«Vi siete mai riconciliato con vostro padre?» gli domandò, guardandolo da sopra la spalla.

«No.» La voce gli era diventata più roca. «Eravamo fin troppo simili. Quando mia madre era viva, costituiva una sorta di cuscinetto fra noi, ma dopo la sua morte, non facevamo altro che litigare. Eravamo entrambi troppo testardi per cedere. Quella sera fu l'ultima volta in cui parlammo. Nessuno dei due scrisse all'altro. Quando mi spararono pensai che magari sarebbe stata un'occasione per riconciliarci, ma poi mi dissero del suo collasso. Sapete, è successo tutto nella stessa settimana.»

«Intendete voi, vostro fratello e vostro padre... tutti nella stessa settimana?»

«Lo scorso agosto non è stato il mese migliore per noi Amberton. Sono l'unico che è sopravvissuto. Quello sbagliato, a conti fatti.»

«Non dovete parlare in questo modo.»

«Perché no? Chiedete a chiunque e vi dirà lo stesso. Arthur era l'unico rispettabile di noi. Avreste fatto un buon affare sposandolo.»

«Solo che lui non mi voleva.» Abbassò lo sguardo mentre pronunciava piano quelle parole e, dopo avere esaminato il pavimento per qualche secondo, si accovacciò all'improvviso. «C'è un disegno qui.»

«È una rosa di York.» Lui osservò il gesto aggraziato delle dita di Miss Harper che sfioravano il pavimento. Era così minuta e delicata, e allo stesso tempo c'era qualcosa di molto affascinante in lei. «Ce n'è una anche sul soffitto.»

«Oh!» Lei sollevò il capo e i folti capelli le ricaddero sul pavimento. «È bellissima.»

«Sono lieto che vi piaccia. Ce ne sono per tutta la casa, se prestate attenzione.»

«Quante?»

«Cinquanta, forse. Io non ci faccio più caso. Eccezion fatta per il labirinto, naturalmente.»

«C'è un labirinto?» Lo sguardo di Miss Harper si illuminò di colpo. «Posso vederlo?»

«Temo sia coperto di neve.» Lance sorrise di fronte al suo palese entusiasmo. «Ma forse possiamo vederne i contorni dal piano di sopra.»

Chiuse con sollievo le porte della sala da ballo e la condusse di nuovo alla scala principale, aggrappandosi alla ringhiera per aiutarsi a salire con l'arto menomato. Così imparava a bere troppo, pensò amareggiato. Tutte le volte la gamba gli doleva di più, dopo, e affrontare i gradini quella mattina era come scalare una montagna. Miss Harper, però, gli camminava accanto con passo lieve e non lo guardava né allontanava lo sguardo, ma si adeguava al suo passo, come se fosse naturale per lei muoversi tanto lentamente. Lui apprezzò il gesto anche se non pensava di meritarlo.

«Da questa parte.» In cima alle scale voltò a destra.

«Cosa sono queste stanze?» chiese indicandogli con la mano la lunga serie di porte.

Lui mantenne lo sguardo fisso davanti a sé. «Sono le camere private della famiglia.»

«Una di queste è la vostra?»

«Non più.» Fece un cenno con il capo. «Una volta era quella.»

«Ma perché...?» Miss Harper si interruppe di colpo e smise anche di camminare, fissando la porta che avevano davanti. «È la stanza in cui mi avete rinchiuso ieri!»

«È là che stiamo andando. Offre la migliore vista sul labirinto.» Lance si voltò per affrontare il suo sguardo di accusa. «Non lo farò di nuovo, vi do la mia parola.»

«Non va bene la finestra di questa stanza?» Gli indicò un'altra porta. «Non possiamo vederlo da qui?»

«Sì, ma quella era di Arthur.» La gola gli si inaridì mentre rispondeva. «Ve l'ho detto, non uso queste camere.»

«Non possiamo nemmeno entrarci?»

«No!» ribatté, poi modificò subito il tono. «Io non ci entro. Non mi avvicinavo alla torre da dieci anni, fino a ieri, solo...» Si corrucciò mentre cercava senza successo di trovare le parole per finire la frase. Solo cosa...? Solo che gli era sembrato che fosse adatta a lei? Non poteva certo dirlo. Continuò invece, sempre trascinandosi con la gamba, verso la fine del corridoio, poi girò la chiave nella serratura e gliela porse. «Tenete, entro prima io. Potete vendicarvi, se volete.»

«Una prospettiva allettante.»

«Lo so, infatti confido nella vostra natura più assennata.»

Lance aprì la porta e oltrepassò la soglia con il suo passo incerto. La torre aveva otto pareti, quattro delle quali dotate di finestre e una di esse con una perfetta veduta dall'alto del labirinto. Se Miss Harper lo avesse seguito, lo avrebbe visto.

«Potete osservarlo da qui.» Le fece un cenno e lei avanzò con cautela, con ogni probabilità pronta a girarsi e scappare alla minima provocazione. «Vedete quelle siepi a forma di fiore?» Si mise da un lato della finestra e gliele indicò.

«Sì.» Lei rimase dal lato opposto. «È un disegno insolito.»

«È stato commissionato appositamente.»

«Cosa c'è al centro?»

«Non indovinate?»

«Un'altra rosa?»

«Qualcosa di un po' più arturiano.»

«Una roccia?» Miss Harper batté le mani quando lui annuì, e il suo viso risplendette di vera gioia. «Con dentro una spada?»

Lance sorrise, ammirando il suo entusiasmo. «Penso che sareste andata d'accordo con mia madre, Miss Harper.»

«Violet.»

«Violet» ripeté Lance, ma lei aveva già distolto lo sguardo e dalla finestra osservava l'esterno come se ne andasse della sua vita. Aveva due chiazze di colore sugli zigomi, notò lui, e c'era un piccolo movimento alla base della gola, un muscolo che si agitava, quasi impercettibile, come se lei non fosse poi così insensibile alla sua vicinanza quanto suggeriva l'atteggiamento.

Gli venne l'improvvisa voglia di accarezzarle l'elegante linea del collo con le dita. Cosa avrebbe provato una fanciulla di ghiaccio?, si domandò. Avrebbe sentito la pelle accaldarsi? Si sarebbe sciolta fra le sue braccia? Il pensiero gli provocò una contrazione al petto ma anche al basso ventre, e ciò lo mise a disagio. Era strano quanto intensamente avvertisse l'influsso di quel corpo minuto. Un'intensità che non avrebbe potuto essere maggiore se anche si fossero toccati.

«Violet.» Pronunciò ancora il suo nome e notò il tono caldo della propria voce. «Non posso cambiare le volontà di vostro padre, ma posso renderle più sopportabili.»

Lei sembrò avvicinarsi un poco. «Che volete dire?»

«Intendo dire che, se mi sposerete, vi concederò la vostra libertà. Desidero il denaro di vostro padre, è vero, ma non a ogni costo. Capisco le vostre obiezioni nei miei confronti, ma non vorrei mai vedervi diventare indigente per questo. I nostri padri ci hanno lasciato in questa bizzarra situazione, nel bene o nel male, tuttavia credo che possiamo aiutarci a vicenda. Possiamo rispettare il loro accordo a modo nostro. Possiamo vivere come volete e andare dove volete. Farò tutto ciò che è nelle mie possibilità per rendervi felice. Divideremo il denaro in modo equo.»

«Me ne dareste la metà?»

«Perché no? Il padre era il vostro e poi presumo che ci siano altre vecchie mura che vogliate andare a vedere. Credo che ce ne siano a Chester.»

«Quindi avrei la possibilità di viaggiare?»

«Certo, se è quello che desiderate.»

Lei si girò un poco, ma continuò a non guardarlo. «Come faccio a sapere che posso fidarmi di voi?»

«Avete la mia parola di gentiluomo, per quello che vale.»

«Ci devo pensare.»

«Prendetevi il tempo che vi serve» mormorò Lance, poi si corresse. «Purché non sia più di una settimana. Perché poi temo che i termini del testamento di vostro padre scadranno.»

«E allora entrambi perderemo i soldi.» Dalla voce sembrava pensierosa. «Che succederà se prima di allora la neve non si sarà sciolta? Potremmo non essere in grado di arrivare a Whitby per sposarci.»

«Celebreremo il matrimonio qui in paese. Vostro padre non ha specificato un luogo.»

«E se io ancora non volessi diventare vostra moglie?»

«Vi riporterò a casa di persona, senza rancore. La vostra reputazione può ancora essere salvata.»

Lei lo guardò dritto negli occhi. «Pensavo che ormai fosse già tardi, no?»

«Avete la fortuna di essere sotto lo stesso tetto di Mrs. Gargrave. È una paladina convinta della reputazione della famiglia, nonché della propria. La povera donna ha già un bel daffare, ma si farà garante per voi se prima sorbisco una delle sue interminabili prediche. Pensate a lei come alla vostra chaperon.» Sorpreso, Lance la vide sorridere per la sua proposta.

«D'accordo. Allora resterò per questa settimana e ci rifletterò.»

«Grazie.» A lui sembrò di liberarsi di un peso enorme. «In tal caso, spero che mi abbiate perdonato per ieri sera.»

Lei torse le labbra e si guardò intorno nella torre con curiosità. «In che stanza ci troviamo?»

«Questo era il salotto privato di mia madre. E la nostra vecchia stanza dei giochi, quando eravamo piccoli. Le piaceva tenerci vicino a lei.»

«Mi piace di più alla luce del giorno.»

Violet spostò con uno strattone uno dei teli per la polvere e scoprì una poltrona di velluto azzurro. Lance avvertì una fitta al petto, colpito dal ricordo di sua madre seduta lì che leggeva per lui e Arthur. Per qualche bizzarra ragione non aveva pensato che la torre avrebbe avuto effetto su di lui quanto le camere da letto di famiglia, e invece si sentiva il cuore come stretto in una morsa e riusciva a respirare a stento. Forse era la lezione per averci imprigionato Violet il giorno prima.

«Capitano Amberton?» lo chiamò lei con voce preoccupata. «State bene?»

«Lance» la corresse, mentre lottava per recuperare il controllo di sé. «Sì. È solo la gamba. Mi fa male, a volte.»

«Forse dovreste sedervi.»

«No» le rispose con troppa veemenza. «Sto bene.»

«Siete sicuro?»

«Passerà. Passa sempre.»

«Se lo dite voi.» Sembrava dubbiosa. «Quando è così, vi perdono a due condizioni.»

«Parlate.»

«Uno, se resto, vorrei avere questa camera per me. Mi sembra uno spreco non utilizzarla.»

«Molto bene.» Lance immaginava di esserselo meritato, anche...

«E due, mentre ci penso su, dovete lasciarmi fare tutto ciò che voglio. Non dovete dirmi dove andare, chiedermi dove mi stia recando o sorvegliarmi. Se mi offrite la libertà dovete dimostrarmi che parlate sul serio.»

«Come desiderate.»

«Bene.» Gli occhi di Violet brillarono e il suo sguardo si accese di una scintilla maliziosa. «Perché, a parte ieri, non sono mai stata fuori con la neve e mi piacerebbe provare a vedere com'è. Voglio esplorare. È accettabile per voi... Lance