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Violet scese risoluta le scale, con passo svelto, in modo da non avere ripensamenti. L'abito nuovo frusciava mentre camminava, ma le stava a pennello, ed era un fatto sorprendente, dal momento che quasi tutti i sarti sembravano incapaci di accettare l'esattezza delle sue misure e in genere le confezionavano vestiti troppo lunghi. In qualche modo, Lance era riuscito a ordinarne uno della giusta lunghezza. Come? Di certo non poteva essersi ricordato, dopo cinque anni, quanto fosse alta. Immaginava che avesse chiesto la sua taglia a qualcuno, ma a chi?

«Buonasera.» Violet passò accanto a Mrs. Gargrave nell'atrio. «Il capitano Amberton è nel salotto?»

«È in sala da pranzo, miss» rispose un valletto mentre la governante, rimasta a bocca aperta, la guardava ammutolita. «La cena è pronta per essere servita.»

«Grazie.»

Gli fece un cortese cenno con il capo e proseguì, sentendo un'esclamazione soffocata di sdegno alle proprie spalle, ma non aveva tempo da perdere. La porta della sala da pranzo era aperta e riusciva già a scorgere Lance all'interno. Era appoggiato allo stipite del camino, vestito con un paio di brache nere aderenti, degli stivali di pelle abbinati, una camicia bianca inamidata e una giacca molto elegante. Se non lo avesse conosciuto, avrebbe pensato a un esempio perfetto di nobile rispettabilità. Non aveva nemmeno il bicchiere in mano.

Violet si fermò sulla porta, sollevò il mento e raddrizzò le spalle prima di annunciarsi. «Buonasera, Lance.»

«Violet.» Lui alzò appena lo sguardo e subito dopo guardò meglio, sorpreso, studiando i capelli e poi l'abito. «Sembrate... diversa.»

«Oh.» Lei non poté fare a meno di sentirsi delusa. Non era proprio il complimento che aveva sperato di ricevere. «Volevo cambiare.»

«È evidente.» Lo sguardo di Lance si spostò sui suoi occhi e vi indugiò, ma l'espressione era indecifrabile. «Vi sta bene questo colore. Lo avevo immaginato.»

«Eliza ha detto che avete fatto arrivare l'abito da Newcastle. Grazie.»

Lui chinò il capo. «Pensavo di dovervi fare un regalo di nozze.»

«Temo di avere sconvolto Mrs. Gargrave.»

«Non ci vuole molto.»

Violet ancora non riusciva a decifrare la sua espressione. «Siete sconvolto anche voi?»

«Un po'.» Finalmente le sorrise, ma continuò a guardarla negli occhi. «Non è detto però che sia un'emozione negativa. Mi fa piacere venire sconvolto di tanto in tanto.»

«Cosa pensate dei miei capelli?» gli chiese con una certa apprensione. «Vi piacciono?»

Lance si sfregò il mento con la mano, l'aria pensierosa. «Sapete, la prima volta che vi ho visto ho pensato che somigliavate a un gattino. Avevo voglia di farvi una carezza sulla testa. Adesso, ancora di più.»

Un gattino? Rimase allibita. Quanti altri modi ancora c'erano per definirla insignificante?

«Non mi farete carezze sulla testa.»

«Non lo farò, lo prometto, per quanto ne sia tentato. Ma, se vi interessa, approvo. Pienamente, in effetti.»

«Perché sembro un gattino?» Violet non poté nascondere il risentimento nella voce.

Lui parve sorpreso. «Era un complimento. I gattini sono di solito ritenuti piuttosto teneri.»

«Sono piccoli e timorosi.»

«Ah.» Un lampo di comprensione balenò nello sguardo di Lance. «Avete ragione. Ma i gattini poi diventano dei bei gatti dal pelo lucido e con gli artigli, e abbiamo già avuto la prova che voi li avete.» Lei si schiarì la gola perché non l'aveva convinta del tutto, e lui rise. «Non va ancora bene? D'accordo, Violet, allora siete scandalosamente bella stasera. L'acconciatura vi dona.»

«Grazie.» Il complimento la fece arrossire. Nessuno mai, in tutta la sua vita, le aveva detto che era bella, né l'aveva guardata con tanto palese apprezzamento... nessuno tranne lui cinque anni prima, quando era stata convinta che la stesse canzonando. Si stava prendendo di nuovo gioco di lei? Lo scrutò. No, per quanto fosse sorprendente, sembrava proprio di no.

«Ma, cosa più importante» proseguì lui, «a voi piace?»

«Sì. Non mi ero mai resa conto, prima, di quanto fossero pesanti i miei capelli. Avevo sempre avuto la sensazione di portare un fardello, ma non avevo realizzato quanto gravasse. È come se riuscissi finalmente a muovermi in libertà.»

«Allora approvo ancora di più. Avete fatto da sola?»

«Sì, ma il risultato era orribile. Eliza me li ha sistemati.»

«Ricordatemi di aumentarle la paga. Sarebbe un'eccellente cameriera personale. Se deciderete di rimanere, sarà così.» Spostò una sedia per farla accomodare. «Ora spero che abbiate appetito. Il cuoco ha allestito un banchetto.»

«Alla fine ci hanno perdonato, nelle cucine?»

«Sembra di sì. Solo che dovremo mangiare tutto o potrebbero non cucinare più niente per noi.» Prese una bottiglia dal centro della tavola. «Non sapevo cosa avreste preferito bere. Ho pensato, forse della limonata?»

«Prenderò un po' di vino, grazie.» Sorrise vedendolo stupito.

«Credevo non approvaste.»

«Mio padre non approvava. Io non l'ho mai provato. Vorrei assaggiarlo prima di decidere.»

«Benissimo.» Lance lasciò la limonata, prese un'altra bottiglia e le versò un poco di vino nel bicchiere.

«Credevo che non vi piacessero le mezze misure» gli disse con uno sguardo penetrante.

«Touché.» Lui accennò un sorriso mentre versava altro vino. «Ammiro il vostro buongusto. Questo è un chiaretto piuttosto pregiato. Basta così?»

«Sì, grazie.»

Violet prese il bicchiere e bevve titubante un sorso. Il vino aveva un sapore molto più amabile del brandy di Mr. Rowlinson e l'effetto nello stomaco era di un piacevole intorpidimento. Ne mandò giù altri due sorsi pieni.

«A dire il vero, andrebbe sorseggiato, non bevuto tutto d'un fiato.» Il tono di Lance era allegro. «Fidatevi, quando si tratta di alcol, sono un esperto.»

«Oh.» Lei bevve di nuovo e trattenne il vino in bocca per qualche secondo prima di mandarlo giù. Subito il sapore sembrò più ricco e più intenso.

«I capelli vi stanno davvero bene, sapete?» Lui le si sedette di fronte. «Mi piacciono sempre di più.»

Violet lo scrutò dall'altro lato del tavolo, sospettosa. «Non dovete dirlo per forza.»

«Lo so.»

«Vi ho già assicurato che prenderò in considerazione la vostra offerta.»

«So anche questo.» Prese il bicchiere. «Pensate che stia cercando di sedurvi?»

«Non è così?»

«Vi stavo solo facendo un complimento basato sui fatti. È permesso, no?»

«Purché sia sincero.»

«Ve l'ho già detto, Violet, ho tanti difetti, ma non sono un bugiardo.»

«Mi dispiace.» Lo osservò mentre si riempiva il bicchiere fino all'orlo. «Tendo solo a supporre che...» Si morse il labbro. Non voleva rivelare cosa tendeva a supporre. Non voleva pensare più come prima, ma le vecchie abitudini erano difficili da sradicare.

«Che stia mentendo perché sono un cacciatore di dote e che non mi sognerei di farvi un complimento se fosse altrimenti?»

Fu scossa dalla sua franchezza. «Credo di sì.»

«Siete così poco sicura di voi, quindi?» Posò la bottiglia producendo un rumore sordo. «Sapete, a volte vorrei avere picchiato vostro padre quando ne ebbi l'occasione.»

«Anch'io.»

Lance sgranò gli occhi, ma qualunque commento stesse per fare gli morì sulle labbra quando due cameriere entrarono con delle scodelle fumanti di zuppa di verdure.

«Sembra buonissima.» Violet si leccò le labbra, pregustandone il sapore. «Sono affamata. È strano, però da quando sono arrivata qui ho l'impressione di poter mangiare un bue.»

«Anche due, se volete.»

«Mio padre non mi lasciava mai mangiare molto. Diceva che non era signorile.» Violet assaggiò un cucchiaio della pietanza e sospirò di piacere. La zuppa era così squisita che fu quasi tentata di prendere la scodella e berla. «Mi sento come se avessi patito la fame per tutta la vita. Ora voglio rifarmi del tempo perduto.»

«Allora smetto di importunarvi con i miei discorsi e vi lascio gustare la cena. Credo che il cuoco sarà molto contento.»

Cenarono in gradevole silenzio e terminarono una portata di salmone al forno prima dell'arrivo di manzo brasato, patate arrosto, pastinache, carote e piselli. Violet mangiò tutto con gusto. Voleva recuperare il tempo perso in moltissimi modi. Il cibo era solo l'inizio. Se solo avesse potuto avere la libertà...

Studiò di sottecchi Lance dall'altra parte del tavolo. Aveva detto che era disposto a concedergliela se lo avesse sposato e l'idea stava cominciando a tentarla sempre di più. Non era la bestia che pensava che fosse, la casa era incantevole e in Eliza aveva già trovato un'amica.

C'era solo una domanda importante che necessitava di una risposta, una domanda che aveva avuto in mente tutto il pomeriggio e l'ultima che avrebbe mai voluto porgli ad alta voce, ma che tuttavia andava posta. Le aveva detto che il loro sarebbe stato un matrimonio di convenienza, un modo per aiutarsi a vicenda, ma quanta libertà le avrebbe davvero concesso? Fino a che punto sarebbe stato un matrimonio? Considerata la sua reputazione, quanto voleva di un vero matrimonio? E come avrebbe mai potuto chiederglielo?

«Siete piena di sorprese, sapete?» Lance si rilassò sulla sedia e la guardò con occhi socchiusi mentre lei raccoglieva l'ultima cucchiaiata di granita di limone. «Vi ho giudicata male la prima volta che ci siamo visti. Ho pensato che foste timorosa e modesta, malgrado abbiate sfoderato gli artigli una volta. Non avrei mai immaginato che foste il tipo di donna che scappa da sola attraverso la brughiera. È stato coraggioso da parte vostra.»

«Mi pareva che aveste detto che era stato infantile.» Gli rivolse uno sguardo penetrante e lui fece una smorfia.

«Ero in collera quando l'ho affermato. Temo che il carattere non sia la mia dote migliore.»

«Qual è, allora?»

«Non ne ho idea.» Le sorrise con aria impacciata. «Non mi sarei mai aspettato che vi tagliaste i capelli e nemmeno che beveste vino.»

«A volte l'apparenza può ingannare.»

«Sì, è vero. Cambiando discorso, vi è piaciuta la passeggiata sulla neve?»

«Moltissimo. Ho trovato la spada nella roccia.»

«L'avete estratta?»

«Purtroppo no.» Emise un gran sospiro. «Sembra che io non sia destinata a diventare regina.»

«Sono contento di saperlo. Se lo foste, dovrei aspettare che siate voi a farmi la proposta.»

«Ma in quel caso non avrei bisogno di sposarvi. Avrei già la mia libertà.»

«Allora sono doppiamente contento. Non vi chiamerò Ginevra, dopotutto.»

«Ne sono contenta. Ho sempre provato dispiacere per lei.»

«Per Ginevra?»

«Sì. Nei racconti, suo marito...» Evitò di pronunciare il nome Artù, che lo avrebbe fatto pensare al fratello. «... la metteva di continuo alla prova lasciando poi che fosse Lancillotto a doverla salvare. Ovvio che preferisse lui.»

«Non l'ho mai considerata da questo punto di vista.» Sembrava vagamente divertito. «Quindi pensate che lo amasse perché la salvava?»

«Non necessariamente. Forse non aveva mai voluto sposare Ar... cioè, suo marito, tanto per cominciare. Ma ho sempre ritenuto che fosse una storia d'amore tragica. Lancillotto avrebbe dovuto fare la cosa più onorevole, alla fine, e lasciarla.»

«Avreste preferito un finale diverso?»

«Non so. Penso solo che meritasse un marito migliore.»

«Vale per molte donne.» Lance fece un sorriso lupesco. «Vi piace leggere?»

«Sì, ma...» La voce le si affievolì.

Lui inarcò un sopracciglio. «Fatemi indovinare. Vostro padre disapprovava?»

Violet sollevò le spalle per schermirsi. «Sceglieva lui cosa dovevo leggere. Tuttavia per qualche tempo ho avuto dei vecchi libri di mia madre che avevo trovato in una cassapanca dentro una delle camere degli ospiti. Li lessi tutti in un mese. C'erano Malory, Marvell, Thackeray e anche Richardson, ricordo, ma quando mio padre li scoprì me li tolse. Non so perché e cosa ne abbia fatto.»

«Be', sentitevi libera di leggere tutti i libri che volete mentre siete qui.» La guardò, meditabondo. «A proposito della vostra permanenza qui, avete avuto modo di riflettere sulla mia proposta?»

«Sì.» Violet giocherellò con lo stelo del bicchiere. «Ho solo qualche domanda.»

«Quali?»

A quel punto lei sollevò il bicchiere e bevve un gran sorso corroborante, mentre cominciava a capire perché a Lance piacesse tanto l'alcol. Rendeva certi argomenti più facili. «Mi chiedevo... delle camere da letto.»

«Camere da letto.» Lui ripeté le parole, perplesso. «Cosa desiderate sapere riguardo alle camere?»

«Se resto, potrò tenere quella che occupo adesso?»

«Se volete.»

«Quindi io, anzi noi non ci trasferiremmo nelle vecchie stanze di famiglia?»

Un'ombra oscurò il viso di Lance. «Non avevo guardato così avanti, ma potete scegliere qualsiasi stanza vi piaccia.»

«Oh.» Violet vacillò. Non capiva cosa stava cercando di chiedergli? Un libertino come lui! Non avrebbe di certo dovuto domandarlo apertamente, vero? Ma a quanto pareva, sì... Si schiarì la gola, imbarazzata.

«La divideremmo?»

«Divideremmo cosa?»

«La camera da letto.»

Lui spalancò gli occhi, stupito. «Lo vorreste?»

«No!» Violet sentì le guance avvampare. Stava cercando di capire cosa volesse lui, non di dire cosa voleva lei!

«Perdonatemi...» disse Lance mentre si raddrizzava sulla sedia, «... ma vista la vostra educazione...»

«Non vi aspettavate che ci pensassi?» Lei si sforzò di fare diminuire il rossore, ma sembrava piuttosto che aumentasse. «Forse non ci avrei mai pensato, tuttavia la mia amica Ianthe e il marito sono molto... affettuosi. Mi ha riferito anche qualche particolare.»

«Davvero?»

«E volevo sapere...» In qualche modo si sforzò di continuare a parlare. Ormai aveva iniziato, doveva almeno concludere la domanda, per quanto fosse mortificante. «Insomma... volevo sapere che cosa implicherebbe di preciso il nostro matrimonio.»

«Ah, e la vostra amica vi ha detto che implica condividere la camera da letto?»

«Sì. Lei e Robert la condividono, ma Ianthe mi ha spiegato che a volte, per alcune coppie, l'evento è solo occasionale.» Prese di nuovo il bicchiere e mandò giù diversi lunghi sorsi.

«Non dovreste berlo in quel modo se non siete abituata.» La voce di Lance suonava stranamente roca. «Potrebbe farvi stare male, dopo.»

Lei smise di bere, ma non posò il bicchiere e picchiettò un dito sul vetro mentre attendeva che lui le rispondesse. A giudicare dal silenzio, non sapeva proprio cosa dire.

«Cos'altro vi ha raccontato?» le domandò infine.

«Sul matrimonio?»

«Sì.»

«Che si condivide anche il letto.»

«Nient'altro?»

Violet fu colta dall'imbarazzo. Ianthe le aveva detto dell'altro, ma lei non aveva certo intenzione di ripeterlo.

«Capisco.» Lance abbassò un po' la voce. «Violet, non vi chiederei mai di fare qualcosa se non foste d'accordo. Di sicuro non vi costringerei a dividere la camera o il letto con me. I miei progetti sono sempre quelli di salvare la proprietà e basta. Il resto può venire dopo.»

«Il resto?» La voce le uscì stridula.

«Ho paura che garantire un erede sia un altro dei doveri ai quali mio padre si sarebbe aspettato che adempissi. Ciò renderebbe condividere la camera, e il letto, necessario di quando in quando, ma solo con il vostro consenso, naturalmente.»

Violet bevve ancora del vino, con la mente che turbinava. Non era sicura di cosa provasse di fronte alla parola dovere. In qualche modo implicava una netta mancanza di libertà. E poi non era proprio lusinghiero, come se quello fosse l'unico motivo per condividere il letto con lei. E per quanto riguardava i figli... Fino a un mese prima non aveva mai immaginato di sposarsi, figurarsi tutto il resto. Stava diventando difficile tenere il passo con tutti i cambiamenti della sua vita, eppure il pensiero non era spiacevole. Le sarebbe piaciuto avere dei figli, un giorno.

«Come ho già detto, non c'è fretta.» Lo sguardo di Lance era indagatore, come se fosse preoccupato dalla sua reazione. «In particolare perché non posso ereditare per legge il titolo di mio fratello prima di sette anni.»

«Oh.» Violet ne fu sorpresa. «Me ne ero dimenticata.»

«In tal caso, perché non concordiamo di pensare ai bambini fra sette anni? Sono sette anni di libertà per voi, sette anni per cercare di sistemare questo posto per me. Dopodiché, potremo dedicarci a una tranquilla vita domestica. Magari avrete anche imparato a prendermi in simpatia, per allora.»

«Che ne è del vostro piano di bere fino a diventare incosciente?» Si rabbuiò al ricordo di ciò che le aveva detto la sera prima. «Potreste non durare sette anni.»

«Apprezzo la fiducia.» Lui abbassò lo sguardo sul bicchiere. «D'accordo. Sapete condurre l'affare a vostro vantaggio. Ma se vi promettessi di astenermi dal bere durante le ore diurne?»

«Solo quelle diurne?»

«Più di tanto un uomo non può fare.»

Lei torse le labbra, pensierosa. «Quindi vivremmo insieme come fratello e sorella per sette anni?»

«Se è questo che volete. Non c'è bisogno che lo sappia nessun altro. Perfino gli avvocati non sono nella posizione di ficcare il naso nelle camere da letto. Possiamo entrambi scegliere di dormire dove vogliamo.»

Lei annuì, colpita da un'inusuale combinazione di sollievo e delusione. Avrebbe dovuto essere contenta, ma era difficile non sentirsi offesa da una tale nobile offerta da parte di un famigerato donnaiolo come lui. Non avrebbe potuto avere indizi più chiari riguardo al suo interesse per lei. A quanto pareva non la trovava minimamente attraente. Il che portava a un altro problema... Considerata la sua reputazione, se non voleva condividere il letto con lei, con chi lo avrebbe condiviso?

«E nel frattempo?» Cercò di fargli la domanda con noncuranza. «Ci sarebbero altre donne?»

«Intendete un'amante?» Lui fece balenare un sorriso malizioso.

«Non è uno scherzo!»

«Le mie scuse, mi avete colto alla sprovvista. Ma per rispondere alla vostra domanda, no, non l'avrei. Non ho sempre avuto il massimo riguardo per i voti matrimoniali, quelli degli altri, intendo, tuttavia ho imparato la lezione in proposito. Se è della mia reputazione che vi preoccupate, allora vi prometto che quei giorni sono finiti. Negli ultimi sette mesi non ho nemmeno guardato una donna. Chiedete a Mrs. Gargrave, se non mi credete. Tutte le domestiche hanno le loro virtù intatte, ma, chiaramente, non posso rispondere del loro comportamento con i valletti.»

«Non chiederò una cosa del genere!»

«Ciò non significa che oltre all'uso della gamba abbia perso anche quello di altre parti.» Rivolse uno sguardo significativo verso il basso. «Il mio incidente non è stato tanto pruriginoso quanto alcuni dei pettegolezzi avrebbero voluto farvi credere.»

«Lance!»

Lui sollevò le mani in un gesto di scuse. «Sto soltanto cercando di rassicurarvi riguardo al fatto di generare un erede: in tal senso il mio corpo funziona ancora alla perfezione. Ho solo perso interesse per l'atto, per così dire. Sono più che disposto a adempiere ai miei doveri coniugali per fini puramente procreativi, ma per quanto riguarda tutto il resto troverete in me uno dei mariti più fedeli d'Inghilterra.»

«Oh.» Violet prese il cucchiaio e raccolse ciò che rimaneva del ghiaccio sciolto nella coppetta, sperando che potesse fare qualcosa per raffreddarle le guance in fiamme. Be', aveva posto la domanda e lui le aveva fornito una risposta. Anche piuttosto chiara.

Perso interesse per l'atto...

Per certi versi, quelle parole erano le più deludenti di tutte.