«Che cosa volete fare riguardo alla casa?»
Lance si spostò in avanti sul sedile, nel tentativo di scorgere il volto di Violet, girato dall'altra parte, mentre sedevano fianco a fianco nella carrozza in movimento. Le cime della brughiera erano ancora ricoperte di neve, ma le vallate erano abbastanza sgombre da permettere il viaggio fino a Whitby senza troppe difficoltà. Il tempo era migliorato notevolmente nell'ultima settimana, così quel giorno sembrava quasi primavera, invece che inverno. In quel momento si trovavano ai margini della città, a due ore scarse dalle loro nozze, però prima dovevano recarsi in un altro posto.
«Vendetela.» Violet non esitò. «A meno che non vogliate tenerla.»
«No, se non lo volete voi.»
Lance scosse la testa, anche se fu inutile farlo poiché lei non lo stava guardando. Perlomeno ora gli stava parlando, un discreto progresso rispetto a quanto avesse fatto da dopo colazione. Sembrava assorta nei propri pensieri, con le piccole mani strette in grembo, il volto indurito. Stava anche serrando i denti, se lui non si sbagliava. Se non si fosse rilassata presto, se ne sarebbe di certo spezzata uno.
Sperava solo che fosse la naturale tensione dovuta al matrimonio e non che avesse cambiato idea e si sentisse costretta ad andare avanti dall'onore; tuttavia lui era restio a chiederglielo a voce alta. Era passata una settimana da quando aveva accettato la sua proposta e Lance si era convinto che sarebbero andati piuttosto d'accordo.
Andava detto che era stato occupato alla miniera, durante il giorno, ma avevano passato le serate insieme in salotto, a parlare o a leggere o a giocare a carte. Fino a quella mattina, lei era parsa abbastanza calma, felice, persino. Per quanto fosse strano, era stata una bella sensazione renderla felice, come se, per una volta nella sua vita, Lance stesse facendo qualcosa di positivo. Con sua sorpresa, si era sentito piuttosto felice anche lui. Aveva addirittura dormito meglio. Non aveva mai immaginato di trascorrere con una donna un lungo periodo, anche solo una settimana, ma in realtà gli era piaciuto stare con lei.
Quel giorno, tuttavia, era la prova decisiva. Ora o mai più. Le aveva concesso più tempo possibile perché fosse sicura, ma un giorno ancora e i termini del testamento di suo padre sarebbero scaduti. Potevano essere ricchi insieme o poveri separati, anche se, sotto un allarmante punto di vista, apparentemente per lei era stata una decisione più difficile di quello che Lance aveva creduto. Con indosso un semplice vestito grigio da giorno e il visetto pallido e tirato, sembrava più una donna diretta al patibolo che una sposa nel giorno più felice della sua vita.
«Benissimo, allora.» Fece del suo meglio per risultare allegro. «Chiederò a Mr. Rowlinson di cercare un compratore. Mi domandavo solo se volevate mantenere una residenza a Whitby.»
«No.» Violet si premette la mano sullo stomaco. «Dopo oggi, non voglio più tornarci.»
Lui rimase sorpreso dall'insolita durezza della sua voce. Recarsi a casa sua quella mattina era stata una proposta di Lance. Aveva pensato che prendere qualcuno dei suoi effetti personali avrebbe potuto farla sentire più a proprio agio ad Amberton Castle, invece doveva averle procurato la nausea. Ora che ci pensava, aveva notato che era diventata un poco pallida quando gliene aveva parlato, anche se non si era opposta. Non aveva detto molto altro. Era per quello, allora, che sembrava così tesa, o era lui che si aggrappava all'ultima speranza, nel tentativo di convincersi che il comportamento della futura sposa non avesse niente a che fare con le nozze imminenti?
«Violet?» Avvolse con delicatezza una mano intorno alle sue. «Non dobbiamo andare in quella casa se non volete.»
Lei diede una rapida, decisa scrollata di capo. «È tutto a posto. Sarò sciocca, ma è che non mi aspettavo di tornarci. È passata soltanto una settimana, eppure mi sembra di essere scappata da un'eternità. Sono successe molte cose.»
«Non tutte brutte, spero.»
«No.» Violet socchiuse le labbra, anche se non sorrise come lui aveva sperato. Neppure il suo tono era particolarmente rassicurante. «Non tutte.»
Le sue dita si irrigidirono sotto quelle di Lance mentre la carrozza si fermava. Lui guardò fuori dal finestrino la facciata di mattoni rossi del palazzo di suo padre. Persino sotto il sole splendente del mattino sembrava tetro e minaccioso. E lui che pensava fossero gotici i disegni architettonici di Amberton Castle! Quello sembrava uscito da un incubo.
Strinse la presa con fare rassicurante. «Se non volete entrare, allora lasciate che lo faccia io. Prenderò le vostre cose se mi dite quali desiderate.»
«No» rispose lei con forza, come se stesse cercando di spronarsi. «Non scapperò di nuovo.»
«Allora mi permettete di venire con voi?»
«Sì.» Il suo tono si addolcì. «Grazie.»
Le sorrise e le lasciò andare la mano mentre Martin apriva lo sportello della carrozza. Violet scese e Lance la seguì, rimproverandosi tra sé mentre la guardava salire i gradini anteriori della casa. Dannazione, era di nuovo tutta colpa sua! Considerato quello che gli aveva raccontato del padre, avrebbe dovuto immaginare che tornare lì avrebbe potuto turbarla, ma era stato ancora una volta insensibile, e proprio nel giorno del loro matrimonio! Non era di certo un inizio promettente...
Stranamente, non c'era nessuno pronto ad aprire la porta d'ingresso, perciò lo fece lui, entrando poi in un vasto atrio dal pavimento di marmo, che rimbombava a ogni passo. Si guardò intorno e represse un brivido. Era la stanza più lugubre e spartana in cui fosse mai stato, come se il proprietario fosse stato determinato ad avere più spazio possibile senza riempirlo.
«La servitù ha già iniziato a imballare gli arredi?»
«No. È sempre stato così» rispose Violet, che lo aveva seguito, con voce tirata. «Andrò di sopra a prendere le mie cose. Non ci metterò molto.»
Lui annuì e vagabondò fino al salotto. Senz'altro i domestici dovevano avere cominciato a riporre le suppellettili e i mobili in quella stanza. Ma no, non c'era traccia di bauli o casse da nessuna parte, né segni sul pavimento che indicassero che qualcosa era stato spostato di recente. Incredibilmente, la stanza doveva essere stata pensata così come appariva, semivuota e squallida, con pesanti tende nere drappeggiate sulle finestre, per chiudere fuori ogni traccia del mondo esterno.
Lo sguardo gli si illuminò quando scorse due poltroncine vicino al caminetto, una grande, di cuoio, con i braccioli, e dietro una piccola, di legno, dall'aria scomoda. L'altra metà del focolare era vuota. Vederlo lo fece infuriare in maniera indicibile.
Ruotò sulla gamba buona e uscì dalla stanza a passo deciso. Un maggiordomo dall'aspetto vetusto era comparso da chissà dove, ma non apparve turbato dalla vista di uno sconosciuto nell'atrio. Rimase fermo, ai piedi delle scale, con l'aria di essere stato tramutato in pietra a tutti gli effetti.
«Qual è la camera di Miss Harper?» domandò Lance mentre si avviava su per la scala.
Il volto antico si mosse a malapena mentre rispondeva: «Alla fine del corridoio sulla sinistra, sir».
Lance salì qualche gradino, poi si fermò. «Quante persone sono a servizio qui?»
«Io e la cuoca, due cameriere e un ragazzo, sir.»
«Mandate su il ragazzo.»
Continuò per la rampa più in fretta che poté e poi lungo un altro corridoio spoglio fino alla camera da letto di Violet. Rispetto alla grandezza della dimora, era sorprendentemente piccola. Al suo interno non c'era alcuna traccia della giovane, però. Lance avrebbe pensato di trovarsi nella stanza sbagliata, se non gli fosse sembrata molto simile a lei. Non avrebbe dovuto, poiché era vuota come il resto della casa, ma in qualche modo dava la sensazione di essere più allegra e meno oppressiva.
Distratto, fece scorrere la mano sul baldacchino del letto prima di fermarsi e premere il volto sul cuscino. C'era anche il suo odore. Non un profumo, ma una fragranza fresca e pulita, come sapone e... violette. Si accigliò a quel pensiero. Il nervosismo da giorno delle nozze doveva avere colto anche lui. Di solito non era sentimentale.
Alzò la testa e si tirò su al suono di diversi tonfi che provenivano dall'estremità opposta del corridoio.
«Violet?» La chiamò per nome mentre seguiva il rumore in corridoio, fermandosi di colpo sulla soglia di un'altra camera, molto più ampia, sorpreso alla vista di un mucchio enorme di vestiti e documenti impilati al centro. Ogni armadietto era stato aperto e svuotato, ogni cassetto tirato e rovesciato sul pavimento. Pareva che l'ambiente fosse stato travolto da una tempesta e, al centro di tutto, c'era Violet, con l'aria un po' intontita, come se non avesse idea nemmeno lei di quanto fosse appena successo.
«State bene?» Lance fece un passo incerto verso di lei.
«Sì.» Aveva il respiro affannato. «Stavo solo cercando una cosa.»
«Allora lasciate che vi aiuti.» Avanzò ancora, muovendosi piano come se lei fosse un cavallo selvatico che doveva essere domato. «Farlo in due è meglio che farlo da soli. Che cosa state cercando?»
Per un attimo, pensò che lei non glielo avrebbe detto, poi però il volto di Violet si raggrinzì in un'espressione di sentita supplica.
«Un oggetto che abbia a che fare con mia madre. Volevo trovare qualcosa, una lettera, un diario, un qualunque tipo di ricordo. Pensavo che ci fosse almeno un suo ritratto, ma non c'è.» Gli occhi le brillavano di lacrime non versate. «Credo di essermi lasciata un po' trasportare.»
«Sir?» Un ragazzo sui dodici anni gli arrivò alle spalle all'improvviso, con gli occhi sgranati davanti al disastro sul pavimento. «Mr. Jenkins ha detto che mi volevate, sir. Oh, chiedo scusa, Miss Harper.» Accennò un inchino quando la scorse. «Non vi avevo vista.»
Lance valutò il ragazzo con un'occhiata. Non avrebbe potuto essere più in contrasto con il maggiordomo nemmeno volendo, con la zazzera di capelli rossi, il viso allegro e una generosa spruzzata di lentiggini. «Come ti chiami?»
«Daniel, sir.»
«Benissimo, Daniel. Sai dove sono conservati i ritratti di famiglia?»
«A Mr. Harper non piacevano i ritratti, sir.»
«E i cimeli di famiglia, quel genere di cose? Dove li teneva?»
Il ragazzo assunse un'espressione pensierosa. «Non ne so niente, sir.»
Lance infilò la mano in tasca e tirò fuori uno scellino. «Ti piacciono le sfide, Daniel?»
«Sissignore!»
«Bene. Allora prendi questo. Se vuoi guadagnarne un altro, vedi cosa riesci a trovare. Dillo anche agli altri domestici. Stiamo cercando un ritratto o un ricordo, qualunque oggetto abbia a che fare con la defunta Mrs. Harper, capito?»
«Sì, sir.» Il volto del ragazzo si illuminò d'entusiasmo.
«E... Daniel?» Gli fece l'occhiolino. «Hai il permesso di Miss Harper di rompere qualunque ornamento o abbattere tutte le pareti che occorrono per trovarlo. Divertiti.»
«Lo farò, sir!»
Il ragazzino corse via e Lance tese un braccio a Violet. Lei sembrava ancora un po' stordita e per la centesima volta lui desiderò non avere nemmeno nominato la casa di suo padre. La visita non era affatto andata come aveva sperato. L'idea di averla fatta angustiare gli provocò una fitta quasi dolorosa al petto. Ora voleva solo portarla via di lì il più in fretta possibile.
«Andiamo?»
«Sì.» Lei gli si aggrappò con forza al braccio, reggendosi come se fosse un salvagente. «Andiamo.»
Violet uscì in strada con il cuore che le batteva con violenza contro il costato. Che cos'era appena accaduto? Sembrava tutto irreale, come un sogno o un incubo. Era salita nella sua vecchia camera da letto con tutta l'intenzione di prendere qualche oggetto personale, ma una volta arrivata in cima alle scale si era ritrovata invece a camminare verso la stanza del padre. Non le importavano più i suoi oggetti, si era resa conto. Teneva solo a qualcos'altro, una cosa che l'aveva tormentata da quando Lance le aveva detto che assomigliava a sua madre e lei non aveva saputo dire se fosse vero.
Ma avrebbe dovuto saperlo! Senza dubbio, qualunque figlia doveva sapere quale fosse l'aspetto della propria madre. E così era andata nella camera di suo padre a cercare indizi e aveva cominciato con calma aprendo qualche cassetto e sbirciandoci dentro, poi era stata in qualche modo posseduta da quell'idea e aveva rovistato in ogni armadietto e aveva scagliato tutti gli effetti personali del genitore sul pavimento, senza trovare niente.
«Mi dispiace.» Lanciò uno sguardo imbarazzato a Lance, che era sul marciapiede accanto a lei. «Non so cosa mi sia preso.»
«Non c'è bisogno di scusarsi. Ho messo sottosopra abbastanza stanze in passato. Avete fatto un buon lavoro, per essere una principiante.»
Lei cercò di sorridere, ma non ci riuscì. «Volevo solo trovare qualcosa di suo.»
«Lo so.»
«Grazie per quello che avete fatto.»
«Volete dire con Daniel?» Lance coprì con la mano libera quella che lei gli teneva sul braccio. «Speriamo che sia motivato a sufficienza.»
«È stata una buona idea. Vorrei solo...» Si passò rapida una mano sulle guance, mentre le parole si dissolvevano in un singhiozzo.
«Facciamo una passeggiata? Respiriamo un po' di aria di mare?» le propose lui in tono sommesso, quasi con gentilezza, e Violet sentì un groppo ancora più grosso annodarsi in gola. Non si era aspettata gentilezza da parte sua.
«Sì. Mi piacerebbe.»
La condusse in silenzio in cima alla scogliera, lungo la passeggiata che correva al margine della baia settentrionale, all'aria fresca, finché lei non cominciò a sentirsi di nuovo calma.
«È bellissimo qui.»
Si fermò, infine, tenendolo sempre sottobraccio, e insieme ammirarono la distesa increspata del Mare del Nord. Brillava come un manto di smeraldo che si estendeva all'infinito in distanza. Era calmo quel giorno, anche se poteva cambiare piuttosto in fretta, e lo faceva di frequente.
«È buffo. Casa nostra era così vicina al mare, eppure lo vedevo solo una volta alla settimana quando ci passavamo in carrozza. Non siamo mai scesi alla spiaggia. Per anni ho desiderato camminare sulla sabbia.»
«Non lo avete mai fatto?»
«Ora sì. Mio padre dormiva molto quando era malato. Lo accudivo la maggior parte dei giorni, ma c'erano volte in cui dovevo uscire o sarei impazzita. Ianthe stava avviando una scuola per alcuni dei bambini del cantiere navale e io ogni tanto la aiutavo. Un giorno andammo tutti a fare una passeggiata a piedi nudi sulla spiaggia.»
«Come è stato?»
Violet si scostò una ciocca di capelli che il vento le aveva soffiato sul viso. «Meraviglioso.»
«La libertà è una sensazione meravigliosa.» Lance le prese i capelli prima che il vento glieli scompigliasse di nuovo e glieli infilò con delicatezza sotto il cappellino. «Soprattutto il primo assaggio di libertà. Potrete camminare a piedi nudi sulla spiaggia tutte le volte che vorrete d'ora in avanti.»
Lei trattenne il fiato mentre le dita di Lance le sfioravano la guancia. Gli occhi castani sorrisero ai suoi, più dolci e gentili di quanto avesse mai immaginato che potessero essere, e le ricordarono quanto poco sapeva di lui, di quell'uomo con cui avrebbe trascorso il resto della vita. Stava facendo la cosa giusta, nell'acconsentire a sposarlo?
«Violet?» Le mise un dito sotto il mento, facendoglielo alzare. «Che cosa c'è?»
«Sta succedendo tutto così in fretta.»
«Se parlate delle nozze, sì. Quanto al nostro matrimonio, abbiamo sette anni per imparare a conoscerci. Pensatelo come un lungo fidanzamento.»
Lei strinse le labbra. Lance stava cercando di farla sentire meglio. Le sue parole avrebbero dovuto farla sentire meglio, ma non era così. Sarebbe stata sposata e allo stesso tempo non lo sarebbe stata. Con un uomo che non era tipo da matrimonio, che le aveva detto che era l'ultima donna che avrebbe mai scelto. Se lo avesse sposato, avrebbe contratto lo stesso affare di sua madre, un matrimonio basato sui soldi, non sull'amore. Poteva dare anche lei il consenso a un'unione senza amore? Sarebbe stato sufficiente? In tutta sincerità, non lo sapeva, ma il tempo per decidere si stava esaurendo.
«Quanto tempo abbiamo?»
«Fino all'ora fatale?» Lance tirò fuori l'orologio da tasca. «Mezz'ora. Abbastanza per andare a prendere la vostra damigella d'onore.»
«Sì.» Quel pensiero almeno la fece sorridere. «Sarà bello rivedere Ianthe.»
«Devo ammettere che sono piuttosto intrigato da quello che ho sentito su di lei. Che cosa vostro padre disapprovava nella vostra amica? Avete detto che vi aveva proibito di vederla.»
«Non avete udito i pettegolezzi?»
«Forse. Mrs. Gargrave si sente in dovere di deliziarmi con tutto l'andirivieni della società di Whitby, anche se cerco di non ascoltare. Essendo oggetto io stesso di tante dicerie, provo una certa dose di solidarietà con le vittime.»
«Be', Ianthe è una vittima. È stata perseguitata e ricattata da Sir Charles Lester.»
«Lester...» Lui assunse un'espressione pensierosa. «Un attimo, ora ricordo qualcosa in proposito. Cadde dalla scogliera, non è vero?»
«Sì, ma non fu solo una caduta. Stava cercando di sparare a Robert e mise un piede in fallo. Vidi tutta la scena da casa loro. Fu un incidente, però ci sono ancora delle voci. La gente dice che Ianthe deve avere fatto qualcosa per incoraggiare le sue attenzioni e che Robert lo attaccò in un impeto di collera.»
«E nessuna delle due è la verità, suppongo.»
«No. Lester era ossessionato da Ianthe e Robert rispose solo all'aggressione per difesa personale. Mio padre tuttavia detestava ogni accenno di scandalo. Aveva intenzione di vendere a Robert la sua darsena, prima di quell'episodio, ma in seguito si rifiutò di avere a che fare con entrambi. La vendette qualche mese dopo per metà del prezzo.» Violet lo guardò di sottecchi. «Presumo che Mr. Rowlinson non vi abbia accennato quando vi ha detto del testamento.»
«No, ma non sono avido. Siete comunque un buon affare.»
«Davvero divertente.»
Lui ridacchiò a bassa voce. «Allora sono ancora più incuriosito dalla vostra amica. Anche se sospetto che, date le circostanze, non sarà felice di vedermi.»
«No, forse no.» Violet dovette ammettere che si sentiva un poco apprensiva anche lei, in proposito. Considerato quanto era stata determinata nel progettare la fuga, non era sicura di quello che avrebbe pensato Ianthe sulla sua improvvisa decisione di sposarsi. Aveva cercato di spiegarglielo nella lettera che Martin aveva consegnato a Whitby, ma aveva la sensazione che l'amica potesse non essere del tutto convinta. «Ho bisogno di qualche momento... da sola, se non vi dispiace.» Sfilò con delicatezza il braccio da sotto il suo.
«Certo che no. Farò una passeggiata sul lungomare. Lenta, naturalmente.»
«Avete paura che scappi all'ultimo minuto?» Gli fece un sorriso ironico, ma lui rimase serio.
«Ho messo tutte le mie carte in tavola, Violet. So quello che voglio, ma voi dovete fare come desiderate. Quando sarete pronta, se sarete pronta, andremo dai Felstone insieme.»
Lo guardò allontanarsi con andatura zoppicante e provò un moto di gratitudine. Le stava dicendo che c'era ancora tempo per cambiare idea, ma lei non la voleva cambiare, si rese conto. Se non altro, la vita con lui non sarebbe stata noiosa. Non sarebbe mai stato del tutto rispettabile, però non era neanche l'uomo che aveva temuto che fosse. Scapestrato o no, era più profondo di quello che aveva creduto in precedenza. In lui c'era anche tanto dolore, per quanto tentasse di nasconderlo. Inoltre sembrava capire quello che lei provava per il padre e dava l'impressione di essere cambiato. Era pronto a cambiare ancora di più per sposarla. Non lo aveva visto toccare una sola goccia di alcol dalla sera in cui aveva acconsentito a sposarlo.
E, fattore più importante, voleva utilizzare i soldi di suo padre per costruire qualcosa, non solo per se stesso, ma per il bene di altri. Aveva un progetto, uno scopo, ed era anche pronto a permetterle di vivere la sua vita. Soprattutto, era stato sincero con lei sulla natura della loro relazione, non l'aveva ingannata fingendo che fosse coinvolto il suo cuore. Finché anche lei avesse protetto il proprio, sarebbero stati felici.
«Lance?» lo chiamò, prima che si allontanasse di una decina di passi, diretto verso Royal Crescent, sull'altro lato del lungomare. «La loro casa è laggiù.»
Lui si voltò piano e incrociò il suo sguardo con una tale intensità rovente che le tolse all'improvviso tutta l'aria rimastale nei polmoni. Si era levato il cappello e la combinazione di sole e brezza di mare gli faceva brillare i capelli di sfumature dorate, dandogli un'aria più scompigliata che mai. Sembrava più giovane, anche se la sua espressione era severa, come se si fosse preparato a un suo rifiuto dell'ultimo momento.
Violet si costrinse a riprendere a respirare. Era, senza alcun dubbio, l'uomo più attraente su cui avesse mai posato gli occhi e rendersene conto ebbe un effetto sconcertante sul suo corpo. I seni si indurirono e lo stomaco si contrasse, così che fu spinta a chiedersi se, dopotutto, non stesse commettendo un terribile errore. Non era ammesso alcun tipo di reazione. Quello non era contemplato dal loro accordo, non per sette anni, comunque. Quanto sarebbe stato mortificante desiderare un marito che non la voleva? In particolare quando quel marito era un noto libertino!
Poi lui le sorrise e Violet dimenticò tutto il resto.
«Venite, allora.» Lance si avviò nella sua direzione e lei si ritrovò a corrergli incontro, con i piedi che si muovevano di volontà propria. «Non ve ne pentirete, Violet, lo prometto.»
Le prese le mani quando si incontrarono sul marciapiede e se le portò piano alle labbra per baciarle una alla volta. Lei provò un brivido di piacere, toccata in maniera inattesa dal gesto. Voleva davvero che fosse felice, a quanto pareva. Forse sarebbe stato sufficiente. Qualunque altro effetto fisico avesse avuto su di lei, benché la mettesse a disagio, poteva essere controllato. Senza dubbio non c'era bisogno che lui ne fosse al corrente.
Camminarono a braccetto lungo la strada a mezzaluna fino alla casa dei Felstone, ed erano appena entrati nell'atrio quando Ianthe si precipitò fuori dal salotto e la avvolse in un abbraccio ben poco delicato.
«Violet! Ero così preoccupata!»
«Mi dispiace. Ti ho mandato un messaggio non appena ho potuto, ma la neve...» Lei strinse l'amica con altrettanta forza. «Non volevo metterti in agitazione.»
«Non è stata colpa tua.» Ianthe fece un passo indietro e fulminò Lance con lo sguardo. «Non era tua intenzione che accadesse tutto questo.»
«No, ma...» Violet spostò lo sguardo dall'uno all'altra e si domandò come sciogliere l'atmosfera tesa. Sembrava che Ianthe volesse buttare Lance in strada.
Nove uomini su dieci avrebbero tremato e sarebbero fuggiti davanti a uno sguardo così velenoso, ma lui chinò solo il capo, cortese. «Mrs. Felstone, suppongo.»
«Supponete bene.»
«Sono onorato di conoscere un'amica tanto cara di Violet.»
«Sul serio?» ribatté secca Ianthe con rabbia. «Allora mi rincresce informarvi che il sentimento non è reciproco.»
«Capitano Amberton?»
Robert spuntò in quel momento dal salotto e Violet provò un moto di sollievo. Almeno lui sembrava affabile. Non che potesse biasimare l'atteggiamento protettivo dell'amica, ma c'erano molti particolari da spiegare...
«Mr. Felstone.» Lance strinse con un sorriso la mano che l'uomo gli aveva teso. «Sono felice di incontrarvi di nuovo in circostanze più piacevoli.»
«Anch'io.» Robert si voltò verso Violet con aria seria. «Spero che possiate perdonarmi per quello che ho fatto. Non era mio desiderio tradirvi.»
«Lo so.» Lei sorrise per rassicurarlo, troppo grata in quel momento per fare diversamente. «Stavate cercando di essere d'aiuto.»
«Sì. E credetemi, sono stato rimproverato a sufficienza.»
«Oh!» Violet gettò un rapido sguardo all'amica. «Spero di non avere causato qualche guaio.»
«Non più di quanto non meritasse.» Ianthe la prese per il braccio e lanciò un'ultima occhiata velenosa a Lance, prima di trascinarla in disparte.
«Va tutto bene.» Violet rivolse un'espressione di scuse da sopra alla spalla ai due uomini. «Non è male come temevo.»
«Così hai scritto nella tua lettera, ma ne sei sicura?» le domandò l'amica in un sussurro concitato. «Non devi proseguire per forza con questa faccenda. Robert e io ne abbiamo parlato e sei la benvenuta in...»
«No! So cosa stai cercando di dire e... no. Non voglio vivere della vostra carità, anche se vi sono grata per l'offerta.»
«Ma il matrimonio è un grande passo.»
«È vero, ma so quello che faccio. È una mia decisione, non di mio padre, e mi sbagliavo su Lance. Non mi stava canzonando la prima volta che ci siamo incontrati al ballo e non è uno scapestrato, o almeno non lo è più. In ogni caso, abbiamo raggiunto un accordo.»
«Cosa vuoi dire?»
«Solo che adatteremo i progetti dei nostri padri in modo che facciano al caso nostro. Metà della mia eredità sarà destinata a una nuova produzione metallurgica. L'altra metà la potrò tenere per farci ciò che voglio.»
Ianthe sembrava dubbiosa. «Ti fidi di lui?»
«Sì.» Violet fu sorpresa dalla prontezza con cui rispose. «Si è comportato da perfetto gentiluomo per la maggior parte del tempo.»
«La maggior parte?»
Lei scrollò le spalle con fare evasivo. Aveva la netta sensazione che menzionare la sua reclusione in una torre gelata non avrebbe messo Lance in buona luce. «La gente non sempre è come crediamo.»
«Vero.» Ianthe diede un rapido sguardo verso Robert. «E va bene, se sei sicura, ti sosterrò.»
«Grazie.» Violet l'abbracciò di nuovo. «Inoltre, se non dovesse funzionare, posso sempre scappare un'altra volta.»
«Non scherzare. Rimarrai intrappolata lassù nella brughiera con lui.»
«Ero intrappolata in passato con mio padre, ma questo matrimonio non sarà una prigione, vedrai.»
«Non lo sarà» confermò Lance mentre si avvicinava a lei con aria solenne. «Credo sia ora di andare, Violet.»
Lei guardò i tre volti che la circondavano. Era difficile stabilire quale fosse quello più in ansia, anche se, per quanto strano, tale vista la rassicurò. Il fatto che tenessero abbastanza a lei da essere preoccupati la fece sentire calda dentro, nonostante i nervi in subbuglio. Non era ancora troppo tardi per cambiare idea, ma Lance le piaceva, si fidava di lui... e lo avrebbe sposato.
«Sì.» Gli prese il braccio e tutte le sue paure svanirono davanti all'improvviso calore del suo sorriso. «È ora.»