Violet sbatté le palpebre finché, finalmente, non aprì gli occhi. Aveva freddo, o meglio, una parte di lei aveva freddo. L'altra era bollente, rannicchiata contro la spalla di Lance e avviluppata dal calore del suo corpo. Le teneva le braccia rilassate intorno, ma, senza alcuna coperta, aveva i brividi.
Gli spostò con cautela un braccio e si mise a sedere, poi tirò le coperte sul letto, ma non fu d'aiuto. Era anche affamata, si rese conto. No, non solo affamata. Le fatiche della nottata l'avevano resa famelica. Gettò uno sguardo al marito addormentato e sorrise. La loro notte insieme era stata meravigliosa e sorprendente, più di quanto avesse mai immaginato, come se una volta che Lance aveva smesso di vivere nel passato fosse stato determinato a recuperare il tempo perduto. Le aveva fatto un po' male, ma nulla di preoccupante. In quel momento il dolore tra le cosce le ricordava solo che cosa era accaduto tra loro e non sarebbe tornata indietro nemmeno se avesse potuto.
Mise le gambe giù dal letto e si infilò una vestaglia prima di aprire piano la porta e sgattaiolare di sotto. Considerata la quantità di cibo preparata per la cena, ci doveva essere qualche avanzo. A giudicare dal buio, non era nemmeno l'alba, quindi era improbabile che disturbasse qualcuno in cucina.
Era a metà dell'atrio quando udì un lieve grattare, seguito da un forte scatto, come il suono di una chiave che girasse nella serratura e un chiavistello che venisse sollevato. Mezza addormentata, guardò dietro di sé, sicura di avere sentito male, quando vide aprirsi la porta d'ingresso. Si fermò di colpo sui suoi passi. Gli ultimi ospiti se ne erano andati poco dopo mezzanotte, alla servitù era stata concessa la mattinata libera per riprendersi ed era improbabile che qualcun altro entrasse in casa a quell'ora. Qualcuno che aveva ragione di trovarsi lì, comunque.
Violet trattenne il fiato, troppo sconvolta per gridare. Non c'era tempo per cercare un'arma. Non c'era tempo per fare niente se non nascondersi, si rese conto con disperazione mentre sfrecciava dietro una delle poltrone accanto al caminetto dove covava ancora il fuoco. Sbirciò oltre il bordo.
La sagoma nera di un uomo, con addosso un cappotto con la mantellina, si stagliava sulla soglia, come se fosse riluttante a varcarla. Al buio era impossibile distinguerne i lineamenti, anche se in lui sembrava esserci qualcosa di stranamente familiare. Era un ladro?
Violet si allungò piano oltre la poltrona, prese l'attizzatoio dal suo posto accanto al caminetto e lo strinse forte con una mano. Di certo nessuno animato da buone intenzioni sarebbe entrato di soppiatto in una casa nel cuore della notte.
Lo sconosciuto rimase sulla porta per quella che parve un'eternità, fissando davanti a sé come se fosse pietrificato. Poi, alla fine, il vento fece guizzare il fuoco e lui oltrepassò la soglia e chiuse piano il battente dietro di sé.
Violet osservò con attenzione, chiedendosi se fosse il caso di gridare. Ma se lo avesse fatto, senz'altro Lance si sarebbe precipitato a cercarla e l'ultima cosa che lei voleva era che inciampasse per le scale e si facesse male.
E se invece fosse corsa fino alle stanze della servitù? C'era un'altra rampa di scale in fondo alla casa. Se fosse riuscita a raggiungerla e a trovare Martin, allora non ci sarebbe stato bisogno di spaventare Lance.
Senza fare rumore, si alzò, pronta a correre. Lo sconosciuto si stava avvicinando. Doveva muoversi prima che la raggiungesse, doveva...
Emise un'esclamazione soffocata quando lui si spostò nella fioca chiazza di luce gettata dal fuoco. Era Lance! Tranne che non poteva essere, realizzò con la mente confusa. Lo aveva appena lasciato addormentato di sopra. Il che significava che poteva essere solo un'altra persona, ma era morta... o no? Un brivido le percorse la schiena. Aveva di fronte un fantasma?
Qualunque cosa o chiunque fosse, fece un movimento verso di lei e Violet balzò in piedi, brandendo l'attizzatoio come una mazza sopra la testa.
«Non avvicinatevi! Tornate indietro o griderò!»
«Aspettate!» Lo spettro alzò una mano come per difendersi e poi la lasciò cadere di nuovo, con aria sorpresa come la sua. «Miss Harper?»
Lei abbassò l'attizzatoio, indecisa. Il fantasma conosceva il suo nome, il suo vecchio nome perlomeno, anche se sembrava ignorare la sua nuova identità. Per qualche ragione il fatto la spinse ad avere meno paura di lui. Si presumeva che i fantasmi sapessero tutto, non era così? E di certo passavano attraverso le porte, invece di aprirle...
«Arthur?» La verità la colpì come un fulmine.
Per un attimo sembrò che lui stesse per negare, poi sospirò e annuì. «Sì.»
«Ma come... che cosa...?» Non sapeva quale domanda porre per prima. Che cosa ci faceva lì? Dove era stato? E, soprattutto, perché era entrato in casa nel cuore della notte come un criminale? «Pensavo foste un fantasma!»
Lui le fece un sorriso sghembo. «Un po' mi sento come se lo fossi. È strano essere di nuovo qui.»
«Credono tutti che siate annegato! Hanno trovato la vostra barca.»
«Sì.»
«Ci sono state delle ricerche.»
«Lo immaginavo.»
«Allora come... No, dove siete stato?»
Lui si passò una mano sul volto. «Potreste non credermi se ve lo dicessi. Quasi non riesco a crederci io stesso.» Allontanò la mano di scatto. «Ma che cosa ci fate voi, qui, Miss Harper?»
«Ci vivo.»
Il volto di Arthur diventò più pallido di quello di un fantasma. «Volete dire che vostro padre ha comprato Amberton Castle?»
«No» rispose sorpresa. Lui stava parlando come se non sapesse niente degli eventi degli ultimi nove mesi. «Mio padre è morto. È spirato tre mesi fa. Vostro fratello ha ereditato la casa.»
«Lance?» Le afferrò un braccio. «È vivo?»
«Certo.» Fu il suo turno di essere sconvolta. «Non lo sapevate?»
«Avevo sentito che gli avevano sparato. Pensavo...»
«Non è morto. Gli hanno sparato, ma è sopravvissuto.»
«Grazie.» Arthur chinò la testa con un singhiozzo soffocato. «Non sapete che cosa significhi per me sentirlo.»
«Penso di sì. L'ho visto piangervi.» Violet si tolse la sua mano dal braccio e si spostò. «Aspettate qui mentre vado a svegliarlo.»
«A svegliarlo?» Lui la guardò con curiosità. «Intendete dire che voi e mio fratello...»
«Ci siamo sposati due mesi fa.» Non poté fare a meno di sorridere a quelle parole.
«Ma... voi e Lance?» Apparve incredulo. «Perdonatemi, miss, cioè... Mrs. Amberton, ma speravo di trovare mio fratello vivo. Non mi sarei mai aspettato di trovarlo anche sposato.»
«È stata una sorpresa per tutti, noi inclusi, ma tra il testamento di mio padre e le speranze di vostro padre per la tenuta...»
L'espressione di Arthur passò dall'incredulità all'orrore. «Volete dire che il loro accordo era ancora valido? Pensavo riguardasse solo me.»
«Credo riguardasse voi, tuttavia il testamento di mio padre menzionava solo l'erede della proprietà degli Amberton e vostro fratello...» Smise di parlare quando Arthur cominciò ad andare avanti e indietro per l'atrio, passandosi le mani tra i capelli.
«Non ne avevo idea. Credetemi, non avrei mai immaginato che voi due avreste dovuto concludere l'accordo e sposarvi.»
«Non potevate sapere che sarebbe successo.»
«No, ma sapevo che vostro padre era malato un anno fa ed era improbabile che si riprendesse.» Sembrava imbarazzato. «Confesso che è stata in parte la ragione per cui me ne sono andato. Però ero consapevole di cosa pensava di mio fratello e in ogni caso, anche se non avesse avuto tale opinione di lui, non mi sarei mai aspettato che Lance procedesse con l'accordo. Ero convinto che, una volta che io non ci fossi più stato, la questione sarebbe stata chiusa.» Smise di camminare per un momento. «Sono stato così egoista. Mi dispiace.»
«Non ce n'è bisogno. Sono felice.»
«Con Lance?» Era sbalordito e lei rise.
«Molto. Quindi potete smettere di dispiacervi, almeno per questo.»
«Violet?»
Il suono della voce di Lance che proveniva dal pianerottolo di sopra li fece sussultare entrambi per la sorpresa. Lei alzò gli occhi e trovò il marito appoggiato alla ringhiera, con la candela in mano, anche se nella penombra supponeva che gli fosse impossibile vedere con chi stava parlando. Avrebbe solo capito che era un uomo. Per quanto fosse assurdo, si sentì quasi in colpa.
«Lance?» Si spostò in fretta verso la scala. «Sarà meglio che scendiate.»
«Chi c'è?»
«Venite a vedere.» Represse un sorriso mentre reprimeva la tentazione di rivelarglielo subito per alleviare la tensione, ma non spettava a lei.
«Lance?» Arthur uscì dall'ombra mentre il fratello raggiungeva i piedi della scala. «È davvero bello rivederti, fratellino.»
Ci fu un silenzio pesante quando Lance si fermò di colpo, rimanendo così immobile che per qualche istante sembrò che avesse smesso di respirare. Poi entrambi i fratelli si mossero allo stesso tempo e si strinsero in un vigoroso abbraccio.
Violet sentì un nodo in gola e si fece da parte, poiché non voleva intromettersi in quel momento, anche se era impossibile non commuoversi di fronte all'intensità della scena. L'espressione di Lance conteneva così tante emozioni che lei riusciva a elencarle a stento. Meraviglia, sollievo, gioia... sì, perfino gioia. Il cuore le si gonfiò nel vederla.
«Fatti guardare!» Lance fece infine un passo indietro, ma continuò a tenere Arthur per le spalle, stringendolo come se avesse paura di lasciarlo andare. «Sei vivo! Come è possibile?»
«È una lunga storia. Come stavo dicendo a tua moglie.»
Si voltarono entrambi a fissarla e Violet sorrise, condividendo la loro felicità. Era strano guardare due versioni dello stesso viso, tuttavia, nonostante le ovvie somiglianze fisiche, le differenze tra loro erano più evidenti di un tempo. Arthur in particolare sembrava un uomo del tutto diverso, con i capelli corti, la pelle abbronzata e le spalle che sembravano essere raddoppiate di volume durante la sua assenza, come se avesse trascorso gli ultimi nove mesi all'aperto. Uno sconosciuto non avrebbe nemmeno notato che lui e Lance erano gemelli.
«Venite a sedervi.» Indicò il caminetto, poi prese il secchio del carbone e ne aggiunse un po' al fuoco prima di riattizzarlo fino a fargli riprendere vita. «Raccontateci tutto.»
«Sì.» Lance condusse il fratello verso una delle poltrone, quindi si sedette sull'altra, mentre afferrava la mano di Violet e la attirava sul bracciolo accanto a sé. «Che cosa ti è successo?»
«Non ne sono del tutto sicuro. Penso di essere impazzito per un po'.» Lo sguardo di Arthur si spostò tra loro con evidente curiosità. «Che cosa penserete mai di me, Miss Harper? Dopo il modo in cui mi sono comportato con voi in passato, dovrete odiarmi. Stavo cercando di dimostrare qualcosa a mio padre, ma sono stato di una scortesia imperdonabile. Eravate una vittima come lo ero io, eppure vi ho trattata in maniera atroce. Mi dispiace.»
«Non volevate sposarmi» constatò lei, concreta.
«No, ma credetemi, voi non c'entravate nulla. Non è mai stata mia intenzione insultarvi.»
«Va tutto bene. Non mi conoscevate. Non ci conoscevamo. Non negherò di essere rimasta ferita all'epoca, ma voi eravate infelice. Chiunque dotato di occhi avrebbe potuto vederlo.»
«Suppongo di sì, anche se a quel tempo mi sentivo solo in trappola.»
«È per questo che siete scappato?»
«Sì, anche se non avevo intenzione di farlo, lo giuro. Sono uscito in barca quel giorno senza sapere che cosa avrei fatto. Ricordo solo di essere stato seduto a prua, a pensare al futuro, alla vita che mio padre aveva organizzato per me, consapevole di non avere la forza per combatterlo. Poi rammento di essermi ritrovato in acqua, ma che non mi sentivo in me. Non provavo niente, né freddo, né dolore, niente. Era come se avessi smesso di pensare e avessi saltato.»
«Quindi non stavi cercando di annegarti?» chiese Lance con voce rotta.
«No.» Arthur scosse la testa. «Non avevo un piano. Sapevo solo che non volevo più pensare. Quindi nuotai e nuotai e continuai a nuotare. Sentii la corrente trascinarmi e non lottai. Ora sembra assurdo, ma credevo che avrei trovato una risposta se avessi continuato ad andare avanti e basta. Per mia fortuna mi avvistò una barca di pescatori prima che morissi congelato. Erano di ritorno ad Aberdeen e chiesi se volevano prendermi con loro. Non avevo denaro, naturalmente, però il capitano era un uomo gentile. Forse pensava che fossi sfuggito alla legge, ma disse che potevo lavorare per ripagare il costo del mio passaggio, se volevo. Così feci e mi piacque. Fu un cambiamento gradevole avere uno scopo, un lavoro da svolgere. Sono sempre stato bravo in mare e si scoprì che ero bravo anche con le mani. L'equipaggio doveva sapere che ero un gentiluomo, ma mi dimostrai in grado di lavorare sodo e dopo un po' mi accettarono. Quando tornammo ad Aberdeen chiesi se potevo restare a bordo. Il comandante mi offrì una miseria come compenso per cercare di dissuadermi, tuttavia accettai.»
«Fammi capire...» Lance si sporse un poco in avanti. «Stai dicendo che per tutti questi mesi hai lavorato su una barca di pescatori?»
«Per quanto sembri improbabile, sì.» Arthur guardò Violet con aria mesta. «Quindi, vedete? Non sono un fantasma, Miss Harper. Mi sono solo nascosto. Che è un altro modo per dire che sono stato un codardo.»
«Eravate disperato.» Violet si alzò dal bracciolo e andò ad accovacciarsi vicino a lui. «C'è una bella differenza.»
«Aspetta.» Lance alzò una mano. «E papà?»
Arthur apparve addolorato. «Ignoravo che fosse mancato. È facile evitare le notizie quando si è per mare e non volevo sapere che cosa stava succedendo. Presumevo che le cose si sarebbero sistemate da sole senza di me, che tu e lui vi sareste riconciliati...» Abbassò lo sguardo. «Non sapevo della sua morte. Non ho saputo nulla finché non siamo arrivati ieri al porto di Newcastle, e anche lì ne sono stato messo al corrente per caso. Ero seduto fuori da una taverna lungo la banchina quando ho udito l'oste riportare le vicende di una famiglia di Whitby. Il padre era un visconte, diceva, che era morto la stessa settimana in cui uno dei suoi figli era annegato e all'altro avevano sparato oltreoceano. La raccontava come se fosse una storia con una morale, anche se non ho idea di che morale fosse. Era la prima volta che la sentivo e fu come se mi si fossero d'un tratto riaperti gli occhi, come se fossi stato addormentato e avessi sognato negli ultimi mesi. Gli ho chiesto cos'era successo all'altro fratello, ma lui non lo sapeva, quindi sono tornato qui più in fretta che ho potuto. So che non avrei dovuto introdurmi in casa durante la notte, ma non potevo aspettare un altro momento. Era già abbastanza grave avere sentito quello che era accaduto a nostro padre. Avevo tanta paura di apprendere il peggio anche su di te.»
«Venite.» Violet si alzò, nel tentativo di rompere l'atmosfera cupa. «Dovete essere esausto se siete in viaggio da ieri. Farò preparare una stanza. Avete fame?»
«Aspettate!» Arthur tese una mano per fermarla. «Nessun altro deve venire a sapere che sono qui. Soprattutto ora.»
«Non essere assurdo.» Lance iniziò ad alzarsi. «Dobbiamo svegliare l'intera casa e festeggiare.»
«No» dichiarò il fratello con un tono imperativo che lei non gli aveva mai sentito prima. «Per quanto riguarda il resto del mondo, io sono annegato quel giorno.»
«Che cosa? No, Arthur, tu sei tornato.»
«È troppo tardi. Se tornassi, allora ci sarebbero ripercussioni su ciascuno di noi. Ciò che è fatto è fatto. Dobbiamo solo lasciare le cose come stanno.»
«Ma questo è tutto tuo. La casa e la proprietà sono tue per diritto di nascita. Tu sei...» Lance si interruppe a metà frase e spostò gli occhi su di lei con lo sguardo colmo di angoscia.
«Che c'è?» Violet sentì un presentimento solleticarle la nuca. «Lui è cosa?»
«L'erede.» Le labbra di suo marito sembravano sbiancate tutto d'un tratto. «Arthur è l'erede.»
Per qualche istante, a Lance sembrò che il tempo si fosse fermato e che tutti e tre fossero rimasti in sospeso, senza sapere che cosa fare, mentre le implicazioni delle sue parole riecheggiavano forte nell'aria. In lui scorrevano così tante emozioni che ignorava quale fosse la dominante; era solo consapevole di un forte panico.
Arthur era l'erede. Arthur era vivo. Il che era stupefacente e incredibile e meraviglioso allo stesso tempo, tuttavia il terrore minacciava comunque di sopraffarlo. Rendersene conto lo trafisse con il senso di colpa. Come poteva essere nel panico proprio adesso? Il fratello che amava, e che aveva creduto perso, era vivo. Era motivo di festeggiamenti, non di panico. Avrebbe dovuto saltare di gioia e invece riusciva solo a pensare a Violet.
Lei doveva sposare l'erede degli Amberton. Era ciò che suo padre aveva voluto, ciò che affermava il testamento di Mr. Harper. Ora che Arthur era tornato, sarebbe stato tutto rimesso in discussione. Ci sarebbero stati avvocati e tribunali e precedenti e aventi diritto a fare rimostranze per l'eredità di Violet. Lei avrebbe perso il denaro, alla fine? E a lui importava qualcosa? Quel pensiero lo bloccò di colpo. No, a lui non importava un accidenti del denaro. Lo voleva per la proprietà, quello era vero, ma se avesse dovuto scegliere tra Violet e la sua eredità, allora non c'era scelta. Voleva lei.
Ma che cosa poteva offrirle in cambio? Era solo un ex soldato caduto in disgrazia. Se prima non era stato degno di lei, ora lo era ancora meno. Lei meritava di conservare il suo patrimonio e anche la libertà, di essere la signora di Amberton Castle, ma con un uomo migliore al suo fianco: Arthur.
Provò un dolore al petto come se il cuore gli si stesse davvero spezzando in due. Forse quella era la vera prova, il modo in cui poter finalmente fare ammenda. Quello era il dolore che meritava. Dopo la notte insieme, tuttavia, aveva la sensazione che Violet non lo avrebbe accettato, a meno che lui non l'avesse costretta a... a meno che non l'avesse respinta.
Se fosse riuscito a farlo.
«Non puoi andartene ancora e basta, Arthur.» Si costrinse a parlare con calma.
«Sì che posso, ora che so che stai bene.»
«Così da poterti fingere di nuovo morto? Non ti sottrarrò l'eredità.»
«Non me la stai sottraendo, te la sto donando. Se resto lontano per sette anni, allora sarà tua comunque. Non devo andarmene per sempre.»
«No.» Sostenne lo sguardo di Arthur, inflessibile. «Andrò dalle autorità e dirò loro che sei ancora vivo, se provi a lasciarci di nuovo. Nostro padre voleva che mandassi avanti la proprietà. Voleva che tu fossi il suo erede.»
«Perché pensi che sia scappato?»
«Voleva anche che tu sposassi Violet.»
«È troppo tardi per...»
«No, non lo è.»
«Come?» Fu Violet a parlare ora.
Lance si voltò riluttante a guardarla. «Possiamo ottenere il divorzio.»
«Su quali basi?» domandò lei con un'aria sconvolta, come se lui avesse appena minacciato di spingerla giù per le scale, e il cuore gli si strinse.
«Inganno. Potete dire che siete stata tratta in inganno, che siete stata costretta a sposarmi quando il legittimo erede era ancora vivo.»
«Non affermerei mai una cosa simile!»
«Dovete. Altrimenti la vostra eredità potrebbe essere perduta.»
La sentì trarre un brusco respiro. «La mia eredità?»
«Sì.» Lo sguardo addolorato e tradito di Violet lo fece sentire male, ma continuò comunque: «Avete sposato l'uomo sbagliato. Non sono io l'erede degli Amberton».
Lei sbatté forte le palpebre. «Quindi volete mettermi da parte e poi... che cosa?»
Lance strinse la mascella, costringendosi a proferire il peggio: «Poi voi due potrete sposarvi. È ciò che entrambi i nostri padri volevano, ciò che doveva succedere fin dall'inizio. Potrebbe essere l'unico modo per assicurarsi il denaro».
Ci fu un grave silenzio prima che Violet parlasse, la voce quasi innaturale, stranamente calma. «In tal caso, ritornerò a Whitby domani mattina.»
«Che cosa?» Arthur rimase sbigottito. «Siete impazziti? È assurdo.»
«È la cosa migliore per tutti. Non voglio essere l'erede, Arthur.» Lance zoppicò lentamente verso il salotto e si soffermò sulla soglia. «Non l'ho mai voluto e soprattutto non così!» Poi sbatté la porta dietro di sé.