19

«Cosa significa che se ne è già andata?»

Lance ebbe la sensazione che Ianthe Felstone lo avesse appena colpito forte con un pugno allo stomaco. Non sarebbe rimasto sorpreso se lo avesse fatto davvero. Sembrava averne molta voglia. Era sembrato anche che non avesse voluto nemmeno ammetterlo in casa, solo che era intervenuto il marito, che lo aveva lasciato entrare quando si era presentato senza preavviso, con i postumi della sbornia e l'aria sciupata, alla porta di casa loro. Dopo che Mrs. Gargrave era svenuta, si era messo i primi abiti che aveva trovato e si era precipitato fuori casa, a cavalcare di gran carriera verso Whitby senza nemmeno aspettare Martin.

«Significa che se ne è già andata» ribatté la donna con rabbia. «Un'ora fa.»

«Dove è andata?»

«Che cosa vi importa, se tanto desiderate il divorzio?»

«Voglio parlare con lei.»

«Be', lei non vuole parlare con voi, non più. Non vuole starvi nemmeno vicino.»

«Mrs. Felstone.» Lance si passò una mano tra i capelli e desiderò avere messo un po' più d'impegno per apparire rispettabile. «È stato un errore accennare al divorzio. In mia difesa, posso dire di essere stato sconvolto dal ritorno di mio fratello, ma sono comunque stato uno stupido e lo riconosco. So anche di essere uno dei più inutili mascalzoni che Whitby abbia mai prodotto, però amo Violet. Non voglio il divorzio. Se mi dite dov'è, prometto che non le farò mai più del male.»

«Ianthe.» Mr. Felstone mise una mano sulla spalla della moglie e l'espressione di lei vacillò.

«E va bene, ma questa è in assoluto la vostra ultima possibilità. Se farete di nuovo qualcosa che la turbi...»

«Allora potrete buttarmi giù dal molo di Whitby voi stessa. Spiccherò persino il salto, se mi ordinerete di farlo. Ora, per favore, ditemi dov'è.»

«È andata a York.»

«A York? Da sola?»

«Sì, Mr. Rowlinson ha scoperto dove vive sua zia. E no, mia zia Sophoria è andata con lei.»

«Avete l'indirizzo?»

Mrs. Felstone sospirò e andò a uno scrittoio, quindi tornò con un pezzo di carta. «Ecco.»

«Che treno ha preso?»

«Quello delle dieci» rispose il marito. «Ce n'è un altro presto, se vi sbrigate.»

«Correrò, se devo.» Stava già zoppicando verso la porta. «Grazie.»

Il viaggio verso l'entroterra sembrò interminabile e non solo perché ogni fischio gli dava la sensazione di avere uno sciame d'api dentro la testa.

Lance tenne lo sguardo fisso fuori dal finestrino mentre il treno sbuffava per miglia attraverso la brughiera, fermandosi in quelle che sembravano essere tutte le stazioni esistenti, finché non entrò nella piatta distesa della valle di York e infine nella città stessa.

Lui saltò giù dalla carrozza prima ancora che la locomotiva si fosse arrestata e si guadagnò un fischio di rimprovero dal capotreno, così come una fitta di ammonimento dalla propria gamba. Ignorò entrambi. Tutto ciò che voleva era trovare Violet e rimettere le cose a posto.

Se fosse riuscito a rimetterle a posto. Lo stomaco gli si strinse sul se. Non voleva pensarci.

«Capitano Amberton?»

Una piccola figura gli bloccò la strada quando raggiunse la fine del binario e lo costrinse a fermarsi di colpo per la sorpresa. Si trovò a guardare negli occhi luminosi di una donna dai capelli bianchi, avvolta quasi del tutto in pizzo rosa, con indosso quella che sembrava essere una gorgiera elisabettiana intorno al collo.

«Madame?» Si sollevò il cappello con aria interrogativa.

«Oh, siete voi.» La visione in rosa parve raggiante. «Vi ho visto solo una volta di persona, ma alcuni volti sono indimenticabili. Sono Sophoria Gibbs.»

«La zia di Mrs. Felstone?» chiese dubbioso. Era difficile immaginare un contrasto più netto con la nipote.

«Proprio lei. Sono molto lieta di conoscervi, anche se suppongo che siate più interessato a vedere vostra moglie. Venite, dunque.»

Non aspettò che lui le offrisse il braccio ma gli infilò la mano nell'incavo del gomito e lo condusse decisa verso l'uscita della stazione.

«Non capisco.» Lance abbassò lo sguardo sulla donna. «Mi stavate aspettando?»

«Oh, sì, caro. Ho controllato quando sarebbe arrivato il treno successivo e sono tornata a prendervi. Ho detto a Violet che andavo alla sala da tè, ma era solo una piccola bugia, perché ho bevuto una tazza di tè mentre aspettavo. Naturalmente lei non ha idea che siate arrivato, ma d'altra parte pensa che non la vogliate.» Gli diede una pacca sul braccio come se fossero vecchi amici. «Io però sapevo che non era così.»

«Lo sapevate?»

«Certo!» L'anziana donna annuì con vigore. «Sto iniziando a pensare di essere più sentimentale di voi giovani.»

«Ma lei dov'è?»

«Lassù.» Si fermò fuori dalla stazione e indicò l'alto profilo grigio delle mura cittadine. «Non si sentiva ancora pronta per andare a fare visita alla zia, così abbiamo pranzato, o almeno io ho mangiato, e poi abbiamo fatto una passeggiata. Credo si senta un po' smarrita, povera cara. Perché non andate lassù a cercarla?»

«Grazie.» Lance le prese la mano e la baciò. «Sophoria. Che bel nome. Posso chiamarvi così?»

«Insisto perché lo facciate, caro.»

«Allora, se riesco a convincere mia moglie a tornare a casa con me, prometto di dare il vostro nome alla nostra prima figlia.»

«Be', in tal caso dovete riuscirvi. Su, là c'è una scala. Pensate di farcela?»

«Niente mi fermerà.»

«È questo lo spirito giusto, caro.» Annuì in segno di approvazione. «Lo penso anch'io.»

Violet si appoggiò a una delle strombature di pietra delle mura medievali della città e osservò i tetti di ardesia perdersi all'orizzonte. Era tutto terribilmente ironico. Aveva voluto visitare York da che aveva memoria, da quando aveva sfogliato il vecchio libro di illustrazioni di sua madre, e ora che era lì riusciva solo a volgere lo sguardo alla brughiera, da dove era venuta, ad Amberton Castle e a Lance.

Aveva l'indirizzo di sua zia nella borsa, ma sembrava incapace di muovere un altro passo verso quella casa, come se compierlo fosse stata l'ammissione finale che il suo matrimonio era finito e che stava procedendo oltre. Lance ormai sapeva che se ne era andata? Sarebbe stato sollevato e gli sarebbero interessati solo i soldi? A ogni modo, non importava. Aveva preso la decisione di andarsene e non sarebbe tornata, non da un marito che non la amava.

«Violet?»

Si irrigidì al suono della sua voce, ma non si voltò. Per un attimo pensò di esserselo immaginato, tuttavia nel profondo sapeva che non era così. Riusciva a percepirlo dietro di sé, lo capiva dal modo in cui il cuore aveva prima spiccato un balzo e poi iniziato a batterle in maniera irregolare contro il petto. Trasse qualche respiro profondo per cercare di calmarsi, almeno quanto bastava per riuscire a pensare nonostante la crescente reazione frenetica del suo corpo.

Era venuto a cercarla! Eppure sapeva già che non era lì per lei. Proprio come la prima volta che era scappata, l'aveva inseguita solo per i soldi. Aveva messo del tutto in chiaro i suoi sentimenti quella mattina. Forse intendeva persuaderla a tornare indietro e a sposare suo fratello, ripetendole che era meglio così.

Accarezzò le mura, facendo scorrere le dita sulla pietra dura e fredda. Erano rimaste in piedi oltre settecento anni e quelle romane al di sotto erano ancora più antiche. Per un fugace istante, desiderò tramutarsi in pietra anche lei. Una statua non poteva sentire, provare sentimenti, essere ferita. Teneva il volto fisso davanti a sé. Le statue non vedevano nemmeno e, se si fosse voltata a guardarlo, temeva che le avrebbe fatto ancora più male.

«Come mi avete trovato?» Fu sorpresa da quanto priva di espressione le uscì la voce.

«La vostra amica ha deciso di concedermi un'ultima possibilità e sua zia afferma di essere stata certa che sarei arrivato, così mi attendeva alla stazione.»

«È una sentimentale. Che cosa ci fate davvero qui, Lance?»»

«Ero preoccupato per voi.»

Lei fece un sorriso cinico. «Mio padre diceva sempre che era preoccupato per me. Per questo mi teneva reclusa. Forse aveva ragione sul fatto che sarei rimasta ferita, ma volevo comunque la mia libertà. Desideravo essere libera da lui e ora voglio essere libera anche da voi. Se siete venuto solo perché siete preoccupato, allora potete voltarvi e andarvene. Sono in grado di badare a me stessa.»

«Lo so.» L'ombra di Lance cadde sulla sua. «So anche che siete perfettamente capace di reggervi sulle vostre gambe, di fare tutto quello che vostro padre non vi ha mai permesso di fare... Ma il problema è che io non ne sono in grado. Non so più reggermi da solo. Sono un disastro. Ero un disastro prima di sposarvi e sono di nuovo un disastro adesso. Non posso stare senza di voi, Violet.»

«Avete detto di volere il divorzio.»

«Dico un mucchio di stupidaggini. Il ritorno di Arthur mi ha fatto precipitare nel panico. Ero felicissimo di rivederlo, ma quando ho pensato a quello che poteva significare per noi...»

«Per la mia eredità?»

«Al diavolo la vostra eredità! Non mi interessa un accidenti dei soldi! Sono stato uno sciocco. Pensavo di fare la cosa giusta lasciandovi andare, ma non sono mai stato bravo a fare la cosa giusta e non posso cominciare adesso, soprattutto se significa perdervi. Ma avevate ragione la notte scorsa: non sono l'uomo che ero. Mi avete cambiato. Mi avete reso un uomo migliore e trascorrerò il resto della mia vita a essere buono e onorevole e tutto quello che dovrei essere, se solo mi perdonerete. Non pensavo sul serio ciò che ho detto.»

Il cuore di Violet sfarfallò. Non diceva sul serio, non aveva voluto il divorzio, eppure il ricordo di quelle parole faceva ancora male. Si appoggiò con una mano al muro, per sorreggersi.

«Sapete, quando mio padre è morto, ho creduto di essermi finalmente liberata dalla prigione. Non volevo più che un uomo controllasse la mia vita. Volevo scoprire chi ero io, invece. Vi ho sposato perché mi avete offerto la possibilità di scoprirlo, ma in qualche modo vi ho comunque concesso il controllo. Vi ho dato il potere di ferirmi perché ero felice con voi. Non volevo tornare a viaggiare perché iniziavo a sentire di avere una casa, una vera casa mia, infine. Non mi sentivo più piccola, impotente e intrappolata. Anche se il nostro matrimonio era tutto basato sui soldi, mi sembrava stesse diventando qualcosa di più. La notte scorsa ho avuto la sensazione che fosse qualcosa di più.»

«È qualcosa di più. Sì, vi ho sposata per il denaro, ma è stato il miglior errore che abbia mai commesso, la decisione giusta per i motivi sbagliati. E se ora perderemo tutto, non mi importa. La proprietà non andrà in rovina, né la miniera. Ci vorrà più tempo per realizzare dei profitti, ma alla fine ci riusciremo. Quanto alla casa, dovrebbe assomigliare a un castello: qualche muro sgretolato in più non farà danni.» Appoggiò la mano sulla pietra accanto alla sua. «So che vi piacciono così.»

Lei mosse piano le dita verso le sue. «Ve lo ricordate?»

«Stavate venendo qui la prima volta che siete fuggita da me, come potrei dimenticarlo? Avevate detto che vostra madre aveva un libro di illustrazioni di York.»

«Ora so perché. È nata qui.»

«Mrs. Felstone mi ha riferito che stavate venendo a cercare vostra zia.»

«Sì.» Violet allungò il mignolo e lo usò per accarezzargli con delicatezza la mano. «Avevo in programma di andare dritta a casa sua, ma... pare che non riesca a muovermi.»

«Perché?» chiese lui con voce un po' roca.

«Perché mi sento di nuovo in trappola. Quando avete detto che avrei dovuto ottenere il divorzio, avete fatto sembrare tutto quello che provavo una menzogna, come se anche la persona che ero diventata fosse una menzogna.» Alla fine si voltò e appoggiò la schiena al muro per guardarlo in viso. «Non voglio che sia stata tutta una menzogna.»

«Niente era una bugia, Violet, lo giuro. Tu non sei una bugia. Sei la donna che amo.»

«Mi ami?» D'un tratto le mancò il respiro.

«Sì. Avrei dovuto dirtelo la notte scorsa. Ti amo così tanto che camminerei lungo tutte queste mura sulla mia gamba malandata se ciò potesse dimostrartelo.»

«Sono due miglia.»

«Allora potrei impiegare un giorno o due.» Si avvicinò ancora un poco a lei. «Non mi aspetto che tu dica che ricambi il mio amore. Solo... vieni a casa con me, Violet. Per favore.»

«No.» Lei scosse la testa e Lance parve scoraggiato. «Devo trovare mia zia e scoprire perché è rimasta lontana per tutti questi anni.»

«Se è ciò che desideri» rispose con voce tesa. «Voglio che tu sia felice.»

«Grazie.» Violet esitò per un altro istante e poi gli prese le mani, come aveva fatto lui sul lungomare, poco prima del loro matrimonio. «Ma dopo, vorrei che mi portassi a casa.»

«Davvero?»

«Sì.» Il cuore le si strinse per l'espressione colma di speranza che gli apparve sul volto. «A condizione che non cerchi mai più di fare la cosa giusta, non senza prima consultarti con me. Non sei molto bravo a farlo.»

«Lo so.» Gli occhi color ambra si illuminarono e Lance rise.

«Quanto alla mia eredità...»

L'espressione gli tornò tempestosa. «Te l'ho detto, non mi interessa quel maledetto denaro! Il gatto del vicino di casa del cugino di tuo padre è libero di prenderselo, per quello che me ne importa!»

«Non se lo prenderà. L'altro avente diritto ha disconosciuto il testamento. Il denaro è già mio... nostro. Se ottenessimo il divorzio, probabilmente diventerebbe tutto tuo.»

«Non lo vorrei mai...»

«Allora sei incastrato con me.» Sorrise e gli lasciò andare le mani per gettargli le braccia al colo. «O dovrai pensare a un buon motivo per divorziare da me, perché io non divorzierò. Ti amo anch'io, capitano Lancelot Amberton, e non voglio il divorzio, mai più!»