Rosario Rusto era un pesce piccolo. Era ammesso tra i gnuri in cambio dell’ospitalità – obbligata – che offriva loro nel retro della pizzeria. Le sue opinioni non contavano. Era il parente fesso del capo e doveva solo presenziare. Non faceva che lamentarsi con Nuzza per il carico settimanale di birra Lido, mannaia u porcu, ma poi rigirava lo straccio tra le mani e annuiva. Sì. Certo. Sicuro. Faccio.
Da bambino, era obbligato a pelare le mele di Totonnu e a portargli la cartella. Era nato secondo e si era abituato in fretta perché, in fin dei conti, il cugino maggiore decideva per lui e gli risparmiava il peso della scelta.
La discesa anticipata dal santuario e il ritiro volontario di Totonnu lo facevano sentire eccessivamente esposto. Durante i primi due giorni di solitudine, aveva provato a contenere la preoccupazione. Si era cucinato un piatto di pasta con l’uovo fritto, aveva spostato due mobili per far sembrare il locale più ampio. Si era addirittura comprato tempere e vernici per ritinteggiare la sala e la facciata, ma poi gli era mancata l’energia. Il terzo giorno aveva sfogato tutta la sua angoscia: «Irene, chiudi la serranda».
«Non vedete che c’è gente?»
«Falla sgombrare.»
«Non sono neppure le otto.»
«Non fare domande. Obbedisci e basta.»
La figlia spense l’insegna che dava sulla strada e accompagnò i clienti all’uscita con una scusa debole: «Perdonateci, c’è finita la farina».
Dalla piazza, u spazzinu vide che la saracinesca si abbassava e lanciò un’occhiata inquisitoria.
«Irene, vattene a casa» le disse Rosario. «Anche tu, Rocco. Fila. Tua madre ne sarà contenta.»
Nel giro di due spinte, i ragazzi si ritrovarono fuori dal locale, oltre la porta del retro.
Sentirono la chiave ruotare nella toppa: «Che gli è preso?».
«Non ne ho idea.»
«Diamo un’occhiata.»
Rocco impilò tre casse di birra Lido e intrecciò le mani davanti a sé: «Sali» disse a Irene. La ragazza mise il piede destro sull’appoggio e si arrampicò tra i cartoni: «Non vedo nulla».
Lui la spinse in alto, contro la finestra.
«E adesso?»
«Ancora più su. Di più.»
Dal riflesso dello specchio del bar, riuscì a distinguere il padre: «Allora?».
«Lo vedo.»
«Che fa?»
«Una cosa strana.»
«Cioè?»
«Non ci puoi credere.»
«Parla.»
«Mai visto prima.»
«Se non lo dici anche a me, ti faccio scendere.»
«Guarda la televisione.»
«Le televendite del Belletta?»
«Macché.»
«La differita della Reggina?»
«Non indovineresti mai. Guarda un programma di notizie. Un telegiornale.»
«Domani piove zucchero.»
«Fammi ascoltare.»
Gorbaciov e le riforme: è la svolta. Polemiche per il caso Tortora.
«E ora che fa?»
«Si infila nel forno e riemerge con un pacchetto di nazionali. Si accende una sigaretta.»
«Ma se ha smesso di fumare!»
«Non più.»
L’inflazione aumenta, calano gli acquisti degli italiani.
«Adesso si stappa una birra, roba da non credere... Una birra marca Lido!»
«No!»
«Sì. Beve, rutta. Si gratta anche la testa.»
Sequestro Follani, parla il marito della donna rapita nel Bresciano.
«Si avvicina al televisore, alza il volume. Lo abbassa. Appoggia l’orecchio all’apparecchio. Scappa, ritorna, si morsica le mani.»
E ora veniamo a Lucia Follani, la donna scomparsa cinque giorni fa dalla sua abitazione di Brescia.
«Non ti agitare, Irene, o caschi.»
«Zitto. Parlano della prena.»
Il marito è ancora senza notizie e si rivolge ai rapitori: «Voglio lanciare un appello. Mia moglie è in condizioni delicate. Chiedo di averne cura». La donna, lo ricordiamo, è al sesto mese di gravidanza. Non era mai successo prima. Cresce lo sconcerto nazionale. Le forze dell’ordine seguono differenti piste investigative. Il ministro degli Interni mobilita l’esercito. Il caso Follani aggiunge una pagina nera alla triste storia dei sequestri italiani. Passiamo allo sport. Dopo la conquista della Coppa dei Campioni, la Juventus si ritira a Villar Perosa per...
«Irene?»
«Hai sentito anche tu?»
«Qui sotto non si capisce niente.»
«Fammi scendere.»
Rocco si chinò. La ragazza si sfilò dalle sue spalle e si sedette sulle casse di birra Lido, con le gambe a penzoloni nell’aria: «Mio padre ha paura» disse a Rocco.
«Di che cosa?»
«Di se stesso. Di non essere abbastanza.»
«Zi’ Totonnu lo protegge, non gli succederà niente di male.»
«Ma come, non l’hai capito?»
«Che cosa?»
«Anche zi’ Totonnu ha paura.»
«Lui non può avere paura.»
«Perché?»
«Perché è un capo. I capi comandano.»
«Tutti hanno paura, Rocco. Altrimenti non esisterebbe il coraggio.»
«Usciamo da qui. Andiamo sul tetto.»
Dal tetto del magazzino, il cielo è un pane di olive e stelle.
Mi importa sapere che esisti. Mi importa poterti sfiorare.
La vicinanza era la sola cosa della quale avessero certezza. Il tempo scorreva e si portava appresso le loro età. Le illusioni. Ogni anno una candelina, una croce in più sul calendario.
Ancora non lo sapevano: erano insieme.
Era già così tanto.