Due volte a settimana, Angiolino andava in pizzeria con il padre: «Una capricciosa senza carciofini» comandava.
«Buonasera, Angiolino, come va la salute?» si informava Irene.
Lui alzava le spalle. Bruna aveva recuperato il lato destro del letto e la convinzione che il figlio fosse un patrimonio personale. «Anche tu sotto chiave?» domandava la cugina a bassa voce. Poi squillante, per farsi sentire: «Ci vuoi anche l’olio piccante?».
«L’olio piccante e due litri di ossigeno.»
«Come dici, ’Ngiulinu?»
«Niente, patri. Spiegavo a Irene che la gassosa la voglio con la cannuccia.»
In paese, il ritorno di Totonnu era la notizia più importante. Nel resto d’Italia, invece, la scomparsa della prena aveva suscitato commozione e scandalo. La profezia di Totonnu era diventata reale. I militari erano arrivati in massa e avevano occupato la provincia. Si infilavano nelle case, perquisivano campi, pozzi e casolari.
«Io lo dicevo!» si lamentava Rosario tra gli odori della cucina. «L’esercito, ci hanno mandato. L’esercito! Adesso che facciamo?»
I soldati viaggiavano ammucchiati nei cassoni dei camion. Avevano sempre un posto da esplorare e ci andavano correndo. Cercavano la prena. La loro presenza sollevava la polvere: «Correte, correte,» diceva zi’ Totonnu «così la sera vi coricate stanchi».
A volte, a fine turno, i militari andavano in pizzeria. Capitava di rado. Totonnu aveva istruito Rosario: «Quando arrivano, sii gentile. Sulle pizze mettici la mozzarella doppia e il pomodoro fresco. Mi raccomando: falli pagare. Se offri loro da mangiare, sono obbligati a rifiutare. Non sono abituati alla cortesia».
I militari si presentavano in borghese, con i jeans e le magliette colorate. Alzavano in aria i boccali di birra e avevano sempre un motivo per brindare. Per Manuele, che compie vent’anni. Per il figlio del sergente, nato oggi all’alba. Alla salute di Francesco, che torna al Nord e si va a maritare. Per gli abitanti di questo paese che, quando ci vedono, si voltano e fanno gli scongiuri peggio che davanti agli appestati. Non ce l’avevano detto all’addestramento. Non ci avevano detto che il pericolo più grande, per loro, siamo noi.
Con Irene, i soldati facevano i gentili. Lei dimostrava più dei suoi quindici anni: «Che prendete?» domandava la ragazza, con il blocchetto in mano e la matita spuntata. I militari si intrufolavano dentro i suoi vestiti e la pizzicavano come le zanzare d’estate. Rosario li lasciava fare. Mandare avanti la figlia gli risparmiava lo sforzo di fingere. Irene stava lì – caviglie scoperte e il chicco di riso tra i seni da donna – e si lasciava guardare: «Allora, che prendete?».
Loro ridevano. Erano ragazzi e come lei, come Rocco, abitavano un’età curiosa. Mangiavano con l’appetito dei giorni di festa e si davano pacche sulla schiena nel tentativo di stare vicini, senza dire ad alta voce che sì, erano soltanto esseri umani. Anche loro, in fondo, avevano paura.
Una sera, in pizzeria, capitò un militare che al paese suo faceva il muratore. Non ci poteva credere. Era vero? Era possibile? Era normale? La cosa gli dava l’orticaria. Roba da buttare via la testa. A Fosco c’era una scala: «Una scala che non porta al mare» disse scandalizzato a Irene, che lo osservava con il blocchetto delle ordinazioni in mano.
Aveva i gradini scompagnati e il corrimano rotto. Era soltanto un mucchio di pietre destinato alla rovina. La prima pioggia abbondante si sarebbe portata via la sola possibilità di scendere alla spiaggia.
Rosario guardava la figlia, invitandola a tagliare quell’eccesso di confidenza: «Volete ordinare?» chiese lei.
«Se potessi fare il mio mestiere, quello che so davvero fare, ci penserei domani stesso. Prenderei le misure e taglierei con cura le tavole per la posa. Colerei il calcestruzzo. Una bella spolverata di cemento e poi una livellata con la cazzuola. Ah, la cazzuola. Che strumento eccezionale. Impugnatura solida, becco compatto.»
«Pizza bianca o rossa?»
«Per il corrimano invece sceglierei del legno locale. Che legno avete, da queste parti?»
Irene non rispose.
«Sulle montagne qui attorno ho visto castagni, faggi e abeti bianchi. Sceglierei il faggio, che ha un legno robusto. Purtroppo non è molto impermeabile. Ci vorrebbero tre passate di vernice incolore, così da non coprire la sfumatura rosata dell’originale.»
«Birra?»
«Tasselli a espansione, per fissare il corrimano.»
«Piccola, media o grande?»
Rocco sparecchiava gli altri tavoli e Angiolino allungava le orecchie: «Cu non si faci i fatti soi, va cercandu i guai ca lumèra» lo richiamò Totonnu.
«Scusatemi.» Irene interruppe il militare. «Ho altri clienti da servire. Dovreste fare la comanda.»
Il giovane aveva il vizio di far scorrere il labbro inferiore sui denti: «La comanda? Ah già. Polpo in umido. Possibilmente in pignatta. Con patate, porri, carote e peperoncino.»
«Non serviamo piatti di mare.»
«Non servite piatti di mare? È vero? È normale? È possibile? Dovevo immaginarlo. Siete ciechi e monchi, quaggiù. Non avete ancora capito che il mare è una grazia ricevuta e dà da mangiare.»
I clienti appoggiarono le posate sui piatti: «Al mio paese ci gustiamo la vita. Stiamo a quattro ore d’auto da qui. Quando arriva la bella stagione, carichiamo il frigorifero sul tettuccio della macchina e lo portiamo in spiaggia. Lo attacchiamo alla corrente comunale e ci mettiamo la birra e il cocomero a ghiacciare. A parte, montiamo la gratella per cucinare il pescato. Per variare, salcicce e bistecche di cavallo. A ferragosto, poi, non ne parliamo. Stiamo in spiaggia quarantotto ore di fila, ciascuno con il proprio ben di Dio in mostra. Beviamo, cantiamo, ci divertiamo. Facciamo anche i balli di gruppo perché, a stare insieme, ci si fa coraggio. Non serve il talento. La notte dormiamo sulla spiaggia. I più giovani sulla sabbia, gli anziani sulle sedie a sdraio. Ogni tanto ci scappa persino di fare all’amore».
Irene abbassò lo sguardo.
«E non è un caso se a metà maggio, da noi, vengono al mondo un sacco di creature. Le levatrici lo sanno. È un altro figlio dell’allegria, dicono incoraggiando le madri a spingere. Qui, invece non c’avete capito niente. Non vi sapete divertire. Dimmelo tu: perché avete paura del mare?»
«Vi preparo una quattro stagioni» lo interruppe Rosario, infilandosi nel forno. «Ci metto carciofini, prosciutto, olive nere e funghi. Omaggio della casa.»
Il militare si voltò verso di lui e realizzò che un silenzio artificiale era sceso sulla sala: «No grazie» rispose. «Si è fatto tardi, devo andare.»
Uno dopo l’altro, i clienti ripresero a mangiare.
Il giovane si alzò. Afferrò il berretto e una sacca mezza vuota. Prima di uscire, si avvicinò a Irene: «Arrivederci» le disse. E poi, all’orecchio: «Il mare non ha padrone, non te lo scordare».