A mattina inoltrata furono svegliati da alcune voci che entrarono nel sonno e si mischiarono ai sogni. Voci. Voci! Suoni confusi, staccati dai visi e dai discorsi. Il sole, ormai alto, si intrufolava negli occhi.
Rocco.
Che c’è.
’Ngiulinu.
Chi parla?
Sono Irene.
Perché urli?
Non sto urlando.
Attorno, c’era un’aria spensierata.
Gli sconosciuti erano una decina, forse più. Avevano abbandonato i pantaloni e gli scarponi sulla sabbia. Durante la notte erano stati in montagna, a cercare la prena. Non la conoscevano, eppure trovarla era il loro mestiere. Si erano infilati tra le ginestre e i corbezzoli, erano saliti fino a incontrare i castagni e gli abeti dalla corteccia bianca. Avevano incrociato un ghiro a caccia di bacche, avevano intravisto un cinghiale. La prena, invece, non l’avevano trovata. Erano rientrati a Fosco con la montagna nelle ossa e si erano spogliati per liberarsi dal freddo: l’acqua del mare era calda di notte. Senza la divisa, i militari tornavano ragazzi. Si tuffavano e riemergevano, in un gran baccano di schizzi e spuma.
Irene tastò la sabbia, per accertarsi che Rocco e Angiolino fossero al suo fianco. Rassicurata dalla presenza, alzò la testa e strizzò gli occhi a guardare. Cercò la faccia che assomigliava a Pascàli. Non la trovò. Che peccato, si disse, il militare non aveva visto di che cosa erano stati capaci.
Si voltò verso la scala e vide che era ancora più sghemba di come se la ricordava. In prossimità della baia mancavano addirittura due gradini e la dimensione di ogni singola parte andava riducendosi fino a diventare quella di un mattone. Lungo il percorso, c’erano macchie verdi. Divise accartocciate. Sul cemento ancora fresco, le impronte degli scarponi. Qualcuno aveva perso una borraccia di alluminio e la foto di una fidanzata.
Che stupidi erano stati a addormentarsi, si rimproverò Irene.
Un giovane dagli occhi chiari li salutò: «Sei la ragazza della pizzeria?» chiese.
«No» mentì Irene.
Non osava guardare in cima alla scogliera. Di certo gli abitanti di Fosco erano lassù, riuniti in consesso, e aspettavano i tre disgraziati per riempirli di domande. Cosa ci facevano in fondo a una scala che il giorno prima non c’era? Una scala che, per giunta, portava al mare? Per colpa di quell’opera del demonio, il nemico si era impossessato dell’acqua. Eresia affronto sacrilegio. I militari erano in mare e stavano nuotando. Era colpa loro? Ci sarebbero stati processi privati e pubbliche condanne. Zi’ Totonnu li avrebbe rinnegati.
«Siete stati voi?» chiese il soldato con gli occhi chiari.
Non ci fu risposta.
«Siete stati voi a costruirla?»
I compagni uscirono dall’acqua, cavalcando. Non diedero ai tre il tempo di scappare. Li acchiapparono, li sollevarono in aria, corsero sulla spiaggia con i loro trofei e li buttarono in mare. Irene sprofondò. Quando riemerse, sputò fuori il sale. Rocco raccolse Angiolino, impegnato ad annegare: «Che fai?» gli disse.
«Muoio!»
Si alzò in piedi. L’acqua gli arrivava alle ginocchia. La risata, a Rocco, uscì sincera: «Che c’è da ridere?».
«Avete avuto proprio una bella idea» disse il giovane dagli occhi chiari. «Chissà perché nessuno ci aveva mai pensato.»
Rocco prese Irene per mano e la spinse verso l’orizzonte. L’acqua le coprì le ginocchia, le cosce. Le arrivò fino alle spalle.
«Ehi» gridò Lino dalla spiaggia. «Tornate indietro! Non so nuotare.»
La ragazza si guardò attorno e si rese conto che i militari sorridevano e avevano vent’anni. E se suo padre l’avesse ingannata? E se la madre le avesse sempre mentito? Forse i suoi lo avevano fatto con l’idea di preservarla dalla fuga. Avrebbe dovuto risalire la scala e dirlo alla famiglia e a tutti i compaesani. Sarebbe dovuta andare in tv, durante le televendite del Belletta: «Non abbiate paura» avrebbe rassicurato. «Scendete dalla scala che porta alla spiaggia. Il mare è uno spazio da abitare.»
Immersa nell’acqua, non sentiva il peso di nessuna colpa. Rocco la precedeva. L’uno per l’altra e ognuno per sé, consapevoli che la distanza fosse necessaria al benessere. Anche Angiolino si era fatto coraggio. Seduto sulla riva, concedeva alle onde la possibilità di rubarlo un centimetro alla volta.
In quel momento, Irene non riuscì a dirlo. Le parole sono etichette che si appiccicano sui ricordi, per poterli ritrovare. I corpi dentro il mare, le divise sulla spiaggia e l’assenza di giudizio: era la libertà.