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Le guardie arrivarono di notte. Non accesero i lampeggianti. Le loro auto scivolarono tra i vicoli e si fermarono a pochi metri dalle case addormentate. I militari entrarono dalle finestre, si arrampicarono sui balconi, sfondarono gli usci. Portarono via i pochi gnuri rimasti e non risparmiarono neppure tre vecchi e sei vedove. Li schiacciarono a capo chino dentro le macchine. Solo allora i lampeggianti cominciarono a brillare. Blu nero nero blu, le case singhiozzarono: qualcuno aveva denunciato. Qualcuno di vivo. Di informato.

A Fosco c’era una spia.

Un traditore.

Ne siete sicuri?

Certo, altrimenti ci avrebbero lasciato in pace.

C’era poco da fare.

Il sale accumulato davanti alla porta dei Rusto era un indice puntato. È maru u spogghiatu ma è chiù maru cu è sulu. L’esistenza di chi non ha nulla può essere amara, ma la condanna più grande è la solitudine. La famiglia dell’infame meritava di restare da sola, in mezzo al nulla. Il paese era marchiato e persino pronunciarne il nome portava male: «Andiamocene» dicevano i pochi rimasti. Bisogna sparire. Cambiare aria. Presto, c’era da vestire i bambini e da svuotare gli armadi e le dispense. I parenti di Pescheto e Reggio erano già stati avvisati. Felice Lorida aveva mandato a dire che a San Rotondo c’erano delle sistemazioni libere. Mancava la corrente, ma avrebbe provveduto lui personalmente nel giro di un paio di giorni. Che benefattore. Felice Lorida indicava la strada e la cosa migliore era dargli retta.

Qualcuno se ne andò in macchina, qualcun altro si incamminò con il proprio carico di sporte e mocciosi in lacrime. Davanti a casa di Nuzza, le donne sputarono a terra e si fecero il segno della croce. Lei restò immobile, con il borotalco in petto e lo scialle del matrimonio sulle spalle. Irene guardava dalla finestra della sua camera da letto, senza capire il motivo di tutto quel trambusto. Non le interessava. Dopo il funerale di Rocco, si era persa nel dolore. Era lì, eppure era assente. I suoni e la luce erano diventati insopportabili. Guardare senza vedere era meglio di capire. Dormire era meglio di pensare. Sonno soffice, inefficace, disturbato dalle voci degli estranei e dai clacson delle automobili che richiamavano per accelerare le partenze.

Le famiglie furono le prime ad andarsene. Poi fu la volta dei commercianti. Peppantoni u citrata abbassò la saracinesca del bar, l’edicolante se ne andò senza svuotare il chiosco, la proprietaria dello spaccio caricò pasta, riso e fave su un furgoncino targato ZH. Don Ippolito partì sulla 126 carica di aspersori e ostie consacrate. Persino Bruna si preparò per la montagna. Avrebbe spedito Angiolino in collegio e avrebbe chiesto ospitalità a Cuncetta: «Vattene anche tu» disse alla cognata. «Questo posto, ormai, ha la maledizione dell’infame.»

Nuzza restò sull’uscio. Il marito sarebbe ricomparso da lì a poche ore e quel ritorno, per lei, sarebbe stato un vanto.