Irene non era più uscita di casa dal funerale di Rocco. Quel giorno Maria Catena aveva abbracciato con ostinazione la cassa, quasi che il legno potesse ricambiarla. Nel sollevare la bara, i forestieri avevano perduto la presa e l’avevano fatta scivolare di lato, per poi recuperarla con un movimento scomposto poco prima che toccasse terra. Irene aveva pensato al corpo di Rocco, al suo sconquasso. Non si era accorto di nulla. Il suo sonno era eterno. Quello terreno, invece, obbligava alla necessità del risveglio. All’inizio aveva disprezzato l’appetito, le era sembrato una mancanza di rispetto nei confronti del dolore. Poi era stata costretta a cedere. Aveva visto la sua mano allungarsi verso il piatto che Lorenza le lasciava sul comodino. La bocca si era aperta e lo stomaco aveva accolto qualche cucchiaio di riso bianco. Le era tornato un appetito scarso, ma regolare.
Angiolino le aveva regalato il mangiacassette per aiutarla a ricominciare. Like a Virgin non era una semplice canzone. Era una spinta verso il centro della stanza, il movimento timido del piede che batteva a terra con l’intenzione di incitare il corpo. Cosa facevano le ragazze della sua età, nel resto del mondo che non si chiamava Fosco? Si mettevano i tacchi alti e la sera andavano a ballare. I ragazzi guardavano e si lasciavano scegliere. Ballare era una questione fisica. Pelle, sudore, vibrazioni e contatto.
Nel mondo che non si chiamava Fosco, le ragazze e i ragazzi si innamoravano giurando sul presente. Ti giuro qui e ora, perché il futuro è troppo lontano e immaginarlo è fingere. Qui e ora, è la sola promessa che conta. Taccd for de veri forst taim.
Lorenza entrò nella stanza, spense il registratore e interruppe i suoi pensieri. La sorella si voltò a guardare: «Che fai?».
«Vedo che stai meglio. Mi fa piacere. Io invece sono stanca.»
Aveva un alone scuro che le segnava gli occhi.
«Devo chiederti un favore.»
«A me?»
«A nessun altro. Devi aiutarmi a riportarla a casa.»
«Di chi parli?»
«Di nostra madre.»
Nuzza. Sguardo severo e un lumicino sempre acceso alla Madonna delicata.
«Tu te ne stai chiusa qui dentro, ma la tua solitudine non aiuta Rocco a ritornare. Anche nostra madre ha deciso di vivere in un mondo suo. Si è spenta.»
«Che cosa devo fare?»
«Non lo so, ma io sono stanca e da sola non ne sono capace.»
Lorenza aveva il piglio di un’adulta e il tono dell’ordine. Che peccato. Aveva infilato l’adolescenza in una scatola da trasloco e le aveva detto che sì, sarebbe ripassata troppo tardi per chiedere un risarcimento inutile.
A Irene, la richiesta della sorella suonava come un dovere impossibile da comprendere. Lei e Nuzza non erano mai state in contatto. Si può essere sangue dello stesso sangue e rimanere stranieri gli uni agli altri. Cosa poteva fare? Parlare con la madre, implorarla o, peggio, metterle una mano sulla spalla per fingere un conforto che non poteva dare?
«Non posso fare nulla.»
«Inventati qualche cosa, quello che vuoi» disse Lorenza, uscendo dalla stanza.
Irene si ritrovò nel silenzio. Scostò il lenzuolo, mise i piedi a terra e scoprì che il pavimento era piacevolmente fresco. Provò ad alzarsi. Sentì la testa girare. Appoggiò la mano al comodino e fece cadere il quaderno arancione e le matite colorate. Mannaia a mia. Aprì la porta, imboccò il corridoio e raggiunse la stanza della madre. Le ciabatte di Rosario erano scomparse, insieme al portabiti da uomo che di solito stava vicino al letto. Lorenza le aveva detto del cuore del maiale: «Be’?» si era meravigliata. «Non dici nulla?»
Irene si era limitata a chiudere gli occhi. «La bambina terrà la bocca chiusa» aveva detto il padre. «La vita mia a pegno.»
Le pareti color panna erano grigie di tempo. Sul comò di fronte all’armadio, c’erano il rosario e un’immagine della Madonna delicata consumata dai sospiri. Una mutanda con l’elastico allentato pendeva dalla sponda del letto. Quel particolare svelava a Irene l’intimità dell’estranea che l’aveva partorita senza crescerla. Sua madre.
«Non posso fare nulla.»
Eppure c’era una cosa di cui era capace. Disegnava visioni che erano desideri utili. Sua madre non le aveva mai condivise. Diceva che erano scarabocchi, giochi da bambina o problemi dai quali difendersi. Se l’avesse circondata di visioni, Nuzza si sarebbe offesa, addirittura arrabbiata. Si sarebbe risvegliata per tornare a essere la madre di sempre, diffidente e ruvida.